UOMO - Anno II - n. 2 - aprile 1944

52 un aforisma o in una brutalità. Pensai un momento alla gola al vizio più sconosciuto e inesplorato a quello più quotidiano e più legato alla stessa esi– stenza. Pensavo alla disattenzione criminosa che spesso gli dedicano i moralisti alla grossolana comi– cità che vi inscrivono i commedianti alla trascu– rata analisi che ne fanno i romanzieri. I cinque vizi capitali che ancora restano mi sembrava po– tessero interessare tutt'al più qualche provincia– le di cattivo gusto. Il lettore penserà a questo punto che io sia avulso dalla morale, forse nel tono che ho tenuto finora avrà visto una certa leg– gerezza una certa sfumatura frivola e scanzonata, ma io sono uomo del mondo, lettore, lei mi com– prende e mi deve perdonare. E allora come scrivere quel libro? Ma no, non poteva essere, non doveva essere, io non volevo fare la fine di quegli uomini che della vita non conoscono che la loro avventura, di que– gli uomini che strimpellando quattro corde arro– chite di sentimento, con le mani sempre sul cuore vorrebbero mettere questo loro muscolo deboluccio e sfaticato nel centro dell'universo. Io non volevo idoli e non volevo prigioni non volevo neanche gli spazii illimitati, le pianure senza orizzonti neces– sarie ai canti insensati di insensibili poeti; ma sopratutto io non volevo, dopo aver messo a soq– quadro mezzo il mondo, dopo aver farneticato nella

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