UOMO - Anno II - n. 2 - aprile 1944
mante, pieno di segni personali come una stanza sconvolta, di gesti esatti come impressionanti ri– cordi, mi toglie il respiro. E alla fine, da questo morire e nascere ad ogni incontro sale un senso di vuoto: alla Mansfield avviene come a Cecof, che ad ogni epilogo lascia andare i fili: sono i fallimenti inesplicabili dei mon– di non ancorati a un pensiero, non sostenuti da un pensiero. Di questa fragilità la Mansfield stessa si accorge e soffre, e ne è testimonio il Diario, il suo libro infelice e negativo, dove essa scrive an– che quando « non può scrivere». Con il Diario e le Lettere entriamo nel mondo del suo tormento e della sua sincerità: essa è il più vivo e il più emozionante dei suoi personaggi, e davanti alle sue vicende e ai suoi quesiti quello che ora ci viene più spontaneo ed urgente è il pa– ragone, il paragone con noi. Quando essa dice: ~ ringrazio Iddio d'essere nata laggiù. Un paese giovane è un'autentica eredità anche se non ce ne accorgiamo subito» sentiamo subito la insuperabile ragione di tanta differenza di scrittura, fra noi e lei, pur con tanta vicinanza di natura. Quello che per lei è d'animo per noi è di stile. E davanti a lei proviamo quasi l'impressione che lo stile sia il controllo che gli animi oscuri ed impuri si impon– gono davanti all'espressione. Guai a noi se fossimo sinceri. Essa è pura e incontrollata. I più antistili– stici per noi e i più propri per lei sono gli sponta– nei gesti nel sonno. Problemi puri di scrittura essa non se ne pone come gli uccelli problemi di canto: i problemi uman.i neppure se li pone come tali - li 41
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