UOMO - Anno II - n. 2 - aprile 1944
40 la mano sulla testa di un bambino e si sente, den– tro, lievemente pulsare. Felicità tanto forte da to– gliere il fiato: si fa fatica a tenerla, a rimanere obbietti vi senza trascendere in cielo. Con tutto questo amore la Mansfield non si di– stacca di un passo dal mondo; non illumina che persone e cose. Le illumina ad una ad una, le chia– ma con i loro propri nomi senza mai trasposizioni, poichè vuol parlare di loro e ,ion di sè. Amo la sua obbiettività intera: quello che di magico e di incantato talora dalla pagina nasce, non è dai con– tatti delle parole ma delle cose; essa dice quello che ha visto, quello che ha sentito: non sogna scri– vendo, ma racconta i sogni. Io elevo leggerla a piccole dosi come un poeta, tanto è accesa quella sua « special prose» tutta im– mediata: come i lirici e come i bambini, il suo mon– do non ha prospettiva, ma ogni oggetto invade tutto il campo, ogni sensazione è somma, è to– tale. Essa predilige i personaggi bambini - e an– che gli adulti li muove secondo la loro autentica anima infantile - poichè sono i bambini che capi– scono senza pensare, che vivono nel vivo incanto ciel sentire naturali i miracoli. I bambini non in– ventano ma incontrano. Non sentono il giusto e l'ingiusto ma il dolce e l'amaro. Così a leggerla io provo la stessa sofferenza dell'infanzia, quando si è sgominati ogni volta dall'incontro con le cose, inesplicabilmente felici, inesplicabilmente infelici. E' poesia che stanca come la stessa realtà : ci con– suma, ci soggioga con l'evidenza; tutto sott'occhio, tutto sottomano. Questo mondo tutto vivo e eia-
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