L'università libera - n. 8 - ottobre 1925

L'UNIV[RSITÀ LIBfRA RIVISTA MENSILE' DI COLTURA. SOCIALE N. 8 - Ottobre1925- MILANO .- _ VialeMonza, 77 L'INTERLINGUA L'anno 1766, un quattordicenne alunno del ginnasio di Salò, dato il tema: Elogio di Venezia, da svolgersi in latino, in prosa od in versi, lesse questa poesiola: Te saluto, alma Dea, Dea generosa, O gloria nostra, o yeneta regina! In procelloso turbine funesto Tu regnasti secura: mille membra Intrepida prostrasti in pugna acerba. Per te miser non fui, per te non gemo; Vivo in pace per te. Regna, o beata! Regna in prospera sorte, in pompa augusta, In perpetuo splendore, in aurea sede. Tu se.rena, tu placida, tu pia, Tu benigna, me salva, ama, conserva. Il maestro giudicò abbastanza buoni i versi, ma domandò: - Ma il latino dov'è? - Ad una seconda I,ettura, 'il maestro ed i condiscepoli del piccolo verseggiatore si accorsero che quella poesiola era bilingue (cioè:· in latino ed italiano insieme), ed applaudirono. Il ragazzo, che si chiàmava Matteo Buttarini, morì professore di lingua e di ldteratura greca all'Università di Pav~a, e quel suo saggio infantile non andò al di là del virtuosismo da « Cartoline del pubblico ». E fu un vero peccato, perchè egli, cogliendo le ·aITinità tra l'italiano ed il latino, si era avvicinato alla scoperta dell'Interlingua. . Il principio di questa lingua internazionale è s,emplice, quasi infantile. · È, anch'esso, l'uovo df Colombo. Ed è questa semplicità quella che cattiva la simpatia di coloro che ne vengono a .conos_cenza, simpatia che spero riuscirò a suscita.re, non per il mio breve e disadorno articolo, ma per }',evidenza dei pregi che l'Interlingua possiede. È appunto la ferma persuasione che l'Interlingua sia destinata al più grande successo, quella che mi ha fatto sentire esser mio dovere il propagarla.

226 L' U N I V E R S I T l L I B E R A L'argomento· scelto non è ·arido, essendo pieno di attualità, s·e per attualità si intende n_on l'effimera mod~ ma l'utilità impellente dei problemi. Molto si è diffusa ,l'idea di una li~ua internazionale che acceleri e dilati i rapporti commerciali, industriali, culturali dei vari popoli. E molte lingue internazionali sono state inventate •epropagate per rispondere al bisogno, sempre più sentito, di oltrepassare i confini _linguistici. · L'utilità grandissima di una lingua d'uso internazionale è ormai riconosciuta da tutti. Dallo studioso che si arresta di fronte alle lacune che ra.ppresentano per lui il non poter usufruire. delle opere scritte in una lingua che egli non conosce, al mercante che deve rinu~ciare a molti affari perchè non ha possibilità di corrispondenza, moltissimi sentono oggi quanto la diversità delle lingue intralci l'attività umana, nelle sue forme più nobili o maggiormente utili. Particolarmente nel campo della cultura è sentito il bisogno di una lin·gua che sia la chiave di tutta la cultura mondiale. E questa necessità la sentono, non tanto i tedeschi, gli inglesi, i francesi, che hanno la possibilità di tradurre su larga scala le opere strani•ere, o gli slavi, che hanno una notevole facilità nell'impadronirsi delle lingue., quanto gli italiani che per mettersi a contatto con la cultura europea ed americana_, hanno bisogno di imparare almeno tre lingue. Ne nasce l'inconveniente che la cultura offre vasti campi e facili conquiste a pochi privilegiati conoscitori di lingue straniere, si che, nel cam,po universitario, ad es•empio, non pochi corvi si fanno belli di penne di pavoni d'oltr' Alpe. E, inconveniente ben maggiore, avviene che la genialità italiana rimane ancora chiusa nella sfera della not9rietà nazionale, invece di correre, veloce e sicura, per il mondo. Di. qui scimiottamento di forme di arte e adorazioni di sistemi filosofici o scientifici dell'estero, e ignoti in Francia celebri in Italia, e sorpassati in Germania ancora vi vi ·e vegeti. da noi. - L'Italia, che ha una civiltà eterogenea, e potrebbe per la varietà delle forme menlali .e dei temperamenti, occupare una posizione di dominio nel campo della cultura europea, elaborando gli elementi che il suo naturale eclettismo le permetterebbe cogliere « fior da fiore » dalla vita intellettuale di tutti i paesi, .è ancora troppo provinciale, senza essere, per compenso, abbastanza italiana. E la scarsa padronanza delle lingue estere tarpa le ali allo slancio industriale e commerciale italiano, e ritarda quel trapasso da nazione agricola e patriarcale a nazione .industriale e moderna che solo può assicurare al. nostro paese un posto nel mondo, che non sia quello del « giardino d'Europa » che baratta i cenciosi emigranti con i turisti. Si diffonde la radiofonia, ma ben pochi italiani possono seguire un discorso alla Sorbona o alla Camera dei Comuni. j I .I

L' U N J V E R S I T l L J B B R A, 227 E pare che della neoessità clie ha l'Italia di avvicinarsi al resto d'Europa molti non se ne rendano conto. Lo si vede da come è stata poco tenuta in conto l'autonomia linguistica. Prima dell'annessione delle nuove provincie esistevano, in Italia, nuclei francesi, in V~l d'Aosta, pochi nuclei tedeschi nel Veneto e in Piemonte (al confine svizzero), parecchi albanesi ed alcuni greci nel meridionale, infine gli slavi della provincia di Udine, l'altro nucleo slavo del Molise, il nucleo catalano di Alghero, in Sardegna. Questi nuclei erano. (come sono tuttora) privi di qualsiasi aspirazione irredentista od autonomista. Non v'era, dunque, alcuna ragione politica per italianizzare linguisticamente quei gruppi allogeni. V'erano, invece, molte ragioni per fornire quei nuclei di scuole ed altri mezzi culturali, sì che fossero utilizzate quelle isole linguistiche a vantaggio deHe relazioni culturali e commerciali con altri paesi, e a vantaggio- della nostra cultura. Un paese prevalentemente unilingue, com'è l'Italia, avrebbe potuto ricavare dai nuclei allogeni dei profondi conoscitori delle varie lingue: conoscitori che avrebbero potuto essere ottimi insegnanti, corrispondenti commerciàli, ecc. Terminata la guerra, ecco annesse l~ compatta popolazione t•edesca dell.'Alto Adige e la popolazione slava di gran parte della Venezia Giulia. In un primo tempo le popolazioni annesse furono lasciate in abbandono. Si lasciarono perfino i nomi dell'Imperial governo austriaco alle strade e alle piazze. La classe dirigente italiana, si mostrò impreparata ai probl•emi connessi alla pace, e quando prese ad occuparsi delle minoranze allogene fa con spirito di dominio e con criteri strettamente politici. Tipico il pazzesco decreto Gentile, che ha abolito le scuole slave e ted•esche, e il decreto che vieta perfino l'insegnamento religioso in lingua slava, praticato nelle chiese. Gli italiani hanno tanto lotfato sotto il regime austriaco, per la conservazione della loro lingua e delle loro scuole. Ed ora si pretende considerare lo slavo un dialetto: il dialetto sloveno. Filologia di nuovo conio! Gli Jtaliani avevano ottenuto dal governo austriaco l'ins•egnamento italiano perfino nelle Università, ed ora il governo italiano nega agli slavi l'insegnamento slavo perfino nella scuola primada. Questo, mentre si difende l'integrità della nostra lingua a Malta e in Tunisia! Abbiamo bisogno di una lingua che permetta all'Italia di entrare dir•ettamente nella cultura europea. Si presentano tre strade: adottare una lingua estera, fra le più diffuse. Ma sulla nostra terra esistonò circa 2000 lingue e 53 di queste nella sola Europa. Se in antico l'egiziano, poi il persiano ed il gr,eco servirono come lingua internazionale, gli è che allora il mondo era il bacino del Mediterraneo, l'Asia meridionale, l'Africa settentrionale. · E il latino potè servire, nel medio evo, di base ai rapporti

228 L' U N,I V El\ SI T l LIBERA internazionali perchè la cultura ·europea era limitata a quelle poche nazioni che erano state campo delle guerre di conquista di Roma imperiale. Oggi il mondo della cultura s'è fatto ampio. Ai congressi internazìonali di scienza o di filosofia parlano giapponesi ed indiani, e giovani nazioni stanno entrando, a vel•e gonfiè, nella cultura europea: come la Ceco-Slovacchia e la Jugo-Slavia. E la Russia ha davanti a sè un avvenire egemonico nel campo industriale e commerciale. TORNARE AL LATINO? Il latino che fu lingua internazionale al tempo dell'Impero Romano e per tutto il medio evo, nel secolo XVIII non era usato ormai che dai matematici, come Leibniz, Newton, Eulero, 'Gauss, e da qualche giurista. Oggi, scienziati che si servono del latino ve ne sono ben pochi, se pur ve ne sono. Diverse proposte sono state presentate di tornare al latino scolastiço, ma scuole classiche, specie nei paesi neo-latini, non assicurano la padronanza del latino. Quanti, anche dopo otto anni di studio, potrebbero scrivere o parlare in latino? . Di ritornare al latino, quale unica lingua della scienza; fu presentata la proposta dal Prof. Pascal, e da altri, nell'adunanza 5 luglio 1917 dell'Istituto Lombardo di scienze e -lettere. E la proposta ebbe l'adesione 'di scienziati, letterati ed uomini poli- .lici d'Europa è d'America. L'Istituto doveva tenere nel novembre di quell'anno, un'apposit~ seduta per studiare i mezzi più opportuni per tradurre in atto tale idea, ma la seduta non fu tenuta nè allora nè poi. Al congresso di polizia di V~enna, nel settembre del 1923, fu avanzata la stessa proposta, ma fu respinta a grande mag- ·gioran~a .. Rimangono le lingue internazionali inventate o artificiali. E vi sono ormai 140 sistemi di lingue internazionali! Sarebbe come dire 100 Società delle Nazioni! Le lingue internazionali sono ·quasi per intero artificiali. Un numero non molto grande di parole-madri, scelte dall'invento.re, a suo arbitrio, da lingue naturali vive e morte, e determinate regole, anch'esse fissate arbitrariamente. · Il destino delle lingue artific:iali è di morire per le divisioni tra gli aderenti per la sostituzione di elementi arbitrati con altri pur essi arbitrari. Si formano delle associazioni, ognuna delle .quali batte la gran cassa in favore· del proprio sistema, e il pubblico finisce per diffidare. Tanto più che "i propagandisti delle lingue artificiali annunciano che in· pochi giorni ci si può impadronire del sistema da •essi diffuso ed invece, quàndo uno incomincia a studiare, si accorge che la lingua artificiale non è

L' U N I V E R S I T l L I B E R A 229 molto meno difficile di quelle naturali, e finisce per stancarsene. Accenniamo al Volapiik. Uri parroco tedesco, Schleyer (1831-1912), pubblicò nel 1879, in Costanza, un libro intitolato Volapiik, iq cui esponeva il suo sistema. Si trattava di una nuova lingua composta di parole tratte dal latino, dall'inglese, e da altre lingue: con ortografia spe.ciale e con una grammatica molto regolare. In poco tempo si poteva scrivere in Volapiik, con l'aiuto dell'appq_sito vocabolario. Il prof. Kerkhoffs, dotto cultore di studi linguistici, da Parigi comincia a diffondere, nel 1886, per mezzo di libri e periodici, il Volapiik, ma propone delle semplificazioni, e altri propongono nuove modifiche. Nel 1894 la propaganda del Volapiik giunge a possed•ere 25 periodici in Europa, Asia e America. Ora il Volapiik è poco internazionale, e non regge ormai più alla concorrenza dell'Esperanto e dell'Ido. Nel 1887 l'Esperanto prese il posto del_Volapiik, e da allora ad oggi s'è largamente diffuso, ma nonostante la tenace propaganda dei suoi adepti, non è giunta ad un grado di diffusione che possa farne prevedere il trionfo quale lingua universale. Gli esperantisti sono riusciti ad ottenere da alcuni governi (in Russia, in Bulgaria, in Rumenia ecc.) che l'Esperanto sia reso obbligatorio nelle scuole, specie in quelle commerciali. E batton<i continuamente presso Governi e consessi di carattere int-ernazionale, per ottenere che l'Esperanto sia dichiarato lingua int~rnazionale ufficiale. Un recente tentativo hanno fatto presso la Società delle Nazioni, é pare possibile che riescano a fare adottar-e il loro sistema nei rapporti radiotelefonici. Io credo che 1a· lingua internazionale destinata a soppiantare le altre sia l'Interlingua e vengo quindi a parlare di essa, senza soffermarmi ad esaminare le altre lingue artificiali. Leibniz, in un suo manoscritto De grnmmatica rationali pubblicato solo·nel 1903, espone un sistema di lingua internazionale: è il latino inarticolato. Kochanski, matematico, polacco, in rapporto col Leibniz, accenna nelle sue lettere, ad un sistema di lingua internazionale basato sul latino. . Il Grimm, nel 1860, pubblica un « Programma pro formazione de uno lingua universale » in cpi sostiene che il latino può servire di base a quella lingua. Nel 1887, i fondatori del Volapiik, si riunirono a Monaco di Baviera, e istituirono la _Kadem Interlingua, che si proponeva di riunire gli· studiosi di tale materia. Da qui e,bbe principio quella fioritura di studi interlinguistici che, fra l'altro, fruttarono l'Esperanto, pubblicato nel 1887 dal dott. Zamenhof. Nel periodo vitale dell'Esperanto e del Volapiik, l'ingegnere viennese Lott (1888) trovò esistere un vocabolario già comune alle lingue d'Europa, quasi sufficiente a formare una lingua intelli-

280 L'UNIVERSITÀ LIBERA gibile a prima vista per qualsiasi europeo collo: L'Accademia dal 1892 in poi seguì il nuovo indirizzo dell'Interlingua naturale riaffermandosi sempre più con la pubblicazione di vocabolari internazionali in cui le parole sono quasi tutte di origine latina. Tolgo da un articolo di propaganda interlinguista: « Il Prof. Peano, ordinario di calcolo infinitesimale alla R. Univer.sità di Torino, nel 1903 stampò alcuni suoi lavori in « Latino sine flexione » composto di parole internazionali sotto la forma del tema latino e senza grammatica. Il Peano s'avvicina più d'ogni altro al concetto di Cartesio, di Leibnitz e di Grimm. Egli non crea, non inventa, ma costituisce il suo vocabolario valendosi saggiamente di molti vocaboli comuni agli Inglesi, Tedeschi, Francesi, Spagnuoli, Italiani, Portoghesi e Russi. Nell'anno 1915 ha pubblicato il « Vocabolario comune» che è un monumentum aere pere.nnius di cognizione linguistica, nazionale ed universale; vi sono 14 mila nomi attualmente in uso presso tutte le nazioni, ogni nome poi è corredato da una diecina di nozioni utili ed interessanti circa l'origine, lo sviluppo e la diffusione (comprese le innovazioni _lessicali) di ciascun vocabolo internazionale. Oltre al suaccennato « vocabolario » ve ne sono altri come quello del Pinth (1912), del Basso (1913) e del Cariesi (·1921) ». L'Interlingua si diffonde. Ci sono tre riviste che escono in questa lingua e allo scopo di diffonderla: l'Accademia Pro Interlingua a Torino, la Revista Universale a Lida, in Polonia, e l(osmoglot a Réval, in Estonia. Appena tre riviste. Ma già diversi. scienziati pubblicano i propri lavori nel latino sineflexione, e fra questi il Peano, fin dal 1903, il prof. Ruggero Panebianco, già dell'Università di Padova. Mentre le opere in interlingua erano quasi tutte di matematica, recentemente il signor Fanti ha pubblicato in questa lingua, in Washington, un libro « Principios elementario de Radiotelegrafia et radiotelefonia», ed è già un passo dell'Interlingua quello di servire non già alle trattazioni strettamente scientifiche, ma a quelle di scienza applicata, e con carattere di volgarizzazione. A questo proposito ricorderò anche che la Rivista tecnica di clettricita, che si pubblicava prima della guerra, recava in ogni fascicolo una rassegna internazionale, di parecchie pagine, in Interlingua. Non solo le riviste che si rivolgono a,d un limitato pubblico, come la Rivista di Matematica del Peano, pubblicano ora articoli in interlingua; ma anche riviste di_carattere tecnico, COU!-•e Graphicus di Torino. E molti giornali e riviste parlano con simpatia dell'Interlingua. Talascio i periodici interlinguisti, e ricordo: In Italia: Il Medico Italiano, la Scien_zaper tutti, l' Archivio di Storia delle Scienze, la Rivista di Biologia, la Rivista delle Comunicazioni .. Anche i periodici e quotidiani politici ne

L1 UNIVERSITl LIBERA 231 hanno parlato: dalla Critica Sociale all'Osservatore Romano e al Corriere d'Italia e al Momento. E la Corrente ha propagandato gli insegnanti delle scuole medie, la Vox Populorum i pacifisti. E anche all'estero l'Interlingua è riuscita ad int-eressare varie riviste e giornali: come Science, ebdomadario scientifico di New York, l'Acadé,nie Royale de Belgique, il Messagger_o della salute di Chicago, il Mondo di Francoforte, e vari giornali del1'Argentina, del Brasile, ecc. Dell'Interlingua s'è parlato recentemente, anche a proposito della li_ngua internazionale da adottarsi nei rapporti radiotelefonici. Dovrei, · ora, .esporre i caratt-eri dell'Interlingua, ma questo allungherebbe troppo l'articolo. :Mi limito, quindi, a riprodurre dall'organo italiano dell'Accademia un saggio interlinguista: « Utilitate tle lingua internationale es ita ev.idente que es superfluo dcmonstra illa. Omnc persona que cogno8ce importantia et extensfone quc assume in tempore modt:1:no relationes scientificos et commerciales inter populos, inter nationcs, es persuaso de magna utilitate de medio de co-mmunicatione facile et accessibile ad omnes. Non dcbe hoc medio substituc linguas naturales cum lingua artificiale _ que 1ì usu· universale - utopia ne realizabile - sed nos debe crea apud Iinguas naturales medio simplo et rapido de communicatione per omnes populos. Nos non pede quod lingua internationale pote offer productiones artisticos vel philosophicas discussioncs; nos solo pete medio rapido, simplo, facile dc communicatione, f!Ue pote servi: a) pro relationcs commerciales internationales; b) pro communica inventiones, resultatos scient.iflcos et ceteros notnbiles; e) pro notifica publicationes notabiles circa varia scientias. In futuro tempore, es probabile lingua internatio"nale amplia suo campo ita ut viatores habe patrimonio mini!]10 de vocahulos, circa necessitates plus communes de vita, comprehensos in omne pago. Nunc satis pcte que diurnales scientificos internationales publica traductiones vcl stimmarios dc scriptos redactos in varias linguas, in Interlingua potius quam in quacdam naturale linguri. Idem petc per riccnsiones de libros plus importantes, Utile. es etiam que Societates, Commissiones et Congressus internationales publica suos delibcrationes in Interlingua.» Questò latino- macche:çonico farà inorridire voi, lettori di Cicerone, ma questa impressione sarà_ cancellata ben pr-esto quando, leggendo le riviste in Interlingua, potrete cogliere il pensiero profondo o la cognizione utilissima che per tutti gli int•erlinguisti del mondo ha fissato nel barbaro latino l'uomo d'oltr'alpe o d'oltre oceano. Non sarà solo la coscienza dell'utilità dell'Inter:- lingua che si farà chiara, ma anche un profondo senso di umanità si farà vivo.

232 L' U N I V E R S I T À L I B E R A Quel senso che fa parere divinatrici queUe parole di S. Agostino nel De C_ivitate.Dei: « Linguarum diversitas alienat hominem ab' homine ». L'Inte1:lingua potrà unire gli uomini che il pensiero, o la scienza, o la vita, rendono simili; potrà unirli al di sopra d-élle barriere linguistiche, nella espressione e comprensioJ1e di una lingua che ha un poco della musicalità del latino e che si avvicina all'universalità dellà musica. C. BERNERI. Per informazioni su l'Interlingua rivolgersi al Prof. G. Peano, Cavoretto (Torino). La menzogna bancaria Tutte le banche di questo mondo elargiscono a se stesse il seducente altruistico titolo di Istituto di Credilo. Ma, ad onta del- loro lusso pomposo, le banche non fauno credilo ad alcuno, bensi Io ricevono con fo\·zata e malcelata umiltà. Per capite che questa non è una paradossale affermazione, esaminiamo un po' come avviene che s01·ga una banca di credito, cioè un istituto scontista. Ecco: alcuni grossi possessori del superfluo mettono insieme un dato capitale, per es. 10 milioni di lire; fondano la loro legale società azionaria versando ad una banca statale il minimo della reale garanzia richiesta; trovano un locale in· ubicazione bene adatta; assumono il necessario personale tecnico; infine aprono gli sportelli. La prima fatica della nuova banca è quella di sollecitare con arte i piccoli risparmiatori, offrendo loro l'interesse del 3 o del 3 1 /2 per cento, a fare dei depositi: i quali depositi altro non sono - si noti bene - che prestiti del tutto fiduciari fatti a completo favore della banca stessa. Ho detto prestiti fiduciari perchè la banca non garantisce il depositante col mettergli in mano, all'atto del deposito, almeno una cambiale, ma soltanto un cartaceo libretto al portatore, che vale fluchè gli sportelli stanno aperti. Nel frattempo la banca o-ff1·e il ·suo danaro, vale a dire cerca di collocare prestiti ai bisognosi; essa peraltro, oltrcchè esigere dai suoi beneficati ( ?) 1'8 per cento di sconto, vuole garantirsi ed ultragarantirsi con cambiali ripetutamente avallate, o con ipoteche, o con altri solidi pegni. Cosi resta dimo-. strato che la banca - istituto di credito - nel mentre pretende di essere fiduciariamente creduta dai depositanti, non vuole punto credere ai suoi mutuatari, ma crede soltanto alle solide garanzie che da ioro ha ottenute .(ved. De usura di S. Ambi·ogio). Per via dei depositi fatti dai piccoli risparmiatori il capitale iniziale dei 10 milioni cresce ben presto fino a raggiungere per es. i_ 40 o 50 milioni realmente disponibili: col qmrlc vistoso capitale i fondatori della banca possono realizzare ingenti lucri. Oltre a .ciò la banca opera, come tutti sanno, in borsa, nell'industria, nel commercio; e molte sue operazioni sono fatte con la sola caparra: dimodochè l'effettivo giro d'affari sale a 100,. o 200, o 300 milioni e più. Il qual fatto è ovviamente immorale, perchè non sarà mai lecito con una garanzia effettiva di 10 soli milioni mettere in pericolo le diecine di milioni depositate in buona fede dai piccoli risparmiatori. Conclusione. Spesso avviene che la banca chiude gli sportelli, cioè fallisce.· I suoi fondatori, che già hanno intascato diecine di milioni di gua4agno, perdono soltanto i loro dieci milioni iniziali. E i depositanti restano gabbati con un ridicolo concordato. Ecco la gran luce che oggi viene dall'alto! GIUSEPPE .M1ss10.

Il conflitto di due generazioni TOQUEVILLÈ e GOBINEAU La corrispondenza tra Tocqueville e Gobineau (1) ci fa assi- . stere ai colloqui intellettuali di due· grandi spiriti che da tutto sembrano avvicinati, che tutto separa in fondo. Si amano, sono uniti dai vincoli di casta, dalla pai;-entela dei modi (2), dagl'interessi politici, dai favoi:i resi, da una fedeltà .affettuosa che non si smentisce mai. Ma la loro grande intelligenza, che li crede chiamati a stringere alleanza e a seguire la stessa strada, li trascina loro malgrado per vie differenti; e questa divergenza, che tormenta la loro amicizia, ma che la loro sincerità incensurabile non c·erca d'attenuare, fa si che ognuno divenga più chiaramente _cosciente della sua natura, e condp.ce i due amici a riconoscere, infine, che « appartengono a due cieli 'diametralmente opposti » (3). Veramente, dei due, uno solo evolve; l'altro resta allo stesso posto: è già formato. Quando s'inizia la corrispondenza, Tocqueville raggiunge la quarantina e passa all'apice della sua carriera politi'ca. Gobineau non ha ancora trent'anni. Egli si cerca e si trova, nel corso dei sedici anni che dura il suo scambio int-ellettuale con Tocqueville; e non è il minor interesse di queste lettere di farci.seguire - non dirò l'evoluzione - ma le brusche mutazioni di questo imperioso pensiero, che_sconcertano gli amici piii sicuri di conoscerlo, e che tuttavia rispçmdono alle esigenze logiche della sua natura. · Il Gobineau del principio della corrispondenza (1843) è o pare essere agli antipodi di quel che sarà alla fine. Occupato, per conto di Tocqueville, a un grande lavoro, destinato all'Accademia di Scienze morali, sulla condizione delle dottrine morali del secolo XIX e sulle loro applicazioni alla politica e all'amministrazione, si mostra molto più favorevole di Tocqueville alle aspirazioni del ·tempo; partecipa tanto al sentimentalismo quanto all'ideologia di quegli anni in cui il _romanticismo è in frutto e la rivoluzione in fiore. Scandalizza tuttavia Tocqueville; pubblicando due articoli su Alfred De Musset, e facendo l'apologia del capovolgimento morale che si prepara e già agisce tra noi. Vuole assolutamente scoprire nuovi principii... « Voi volete assolutamente cambiar la faccia del mondo; non volete contentarvi di meno ... » (4). (1) Correspondance cnlre Alexis de Tocq11eville et -Arthur de Gobineau (1843-1859), pubblicata da L. Schcman, Paris, 1908, Plon. (2) « In fatto di sentimenti elevali e delicati, siamo e saremo sempre della stessa setta.» (Tocqueville, p. 25).,. « I modi della migliore società •.. ,: (id.) (3) Tocqueville, 24 gennaio 1857. (4) p. 22.

234 L' i; N I V E n s I T À L I Il E n A E questo capovolgimento non è a vantaggio deUe religioni. Gohineau contesta la loro utilità sociale, e il Vangelo lo lascia freddo. _Tocqueville, che difende il cristianesi~no contro di lui, s'affligge e si sdegna che non si commuova leggendo il Nuovo Testamento (5). Nel 18<19,Tocqueville diventa ministro degli esteri, e prende Gobineau come capo di gabinetto. Ma la fortuna politica dei due amici è breve. Tocqueville dà le dimissioni, dopo il messaggio presidenziale del 31 ottobre 18'19, e Gobineau parte come segretario d'ambasciata a Berna. È l'inizio della sua lunga carriera diplomatica; che non interrompe però le sue relazioni con Tocqueyille. Egli tiene fedelmente il suo maestro ed amico al corrente . dei suoi lavori, delle sue riflessioni sul paese in cui abita, dei suoi prognostici sull'avvenire politico. Abbiamo così i suoi giudizi sulla Svizzera (1850-1854), sulla Germania (vista da Hannover e da Francoforte), sull'Austria e l'Italia, alla vigilia dell'unità italiana e dell'unità tedesca, e infine sulla Persia, dove soggiorna dal 1855 al 1858. Non c'è bisogno di dire l'interesse storico e documentario di queste lettere, .specialmente di quelle da Tehera , che formano un complemento indispensabile ai suoi « Trois ans en Asiè » e all'opera su « Les religions et les philo·sophies dans · ['A.sie centrale ». Noi, che c'interessiamo specialmente alla personalità dell'autore, vi troviamo prezios·e ·confidenze. Anzitutto, sulla sua carriera. I-In potuto destar meraviglia il fatto che un uomo di sì bell'ingegno abbia così poco emerso nella diplomazia, dove il suo nome, le sue relazioni gli aprivano largamente la strada. La corrispond·enza e-i spiega indirettamente le_sue sconfitte. Non aveva peggior nemico di sè stesso, del suo carattere. Nel gennaio 1851, Tocqueville gli dice bel bello che: se riusciva ad avere un po' più di cordialità arrendevole con gli uomini, non gli mancherebbe. nulla. Gobineau riconosce d'aver meritato questo rimprovero, a proposito di t~na certa disputa, al tempo in cui Tocqueville era al ministero. Ma non mette giudizio. Tutta quanta l'ambasciata di Berna (l'ambasciatore, il secondo s-egretario e l'addetto) domanda violentemente il suo richiamo, sin dal febbraio 1851. Ha esasperato i colleghi con i suoi·tapporti al ministero. Riesce a farsi mantenere a Berna, malgrado l'opposizione;· ma invece di star tranquillo e di far pncc, intriga per far mettere a disposizione il suo ambasciatore (6). Tutto il tempo, in cui resta a Berna, lo passa sul piede di guerra; e pare che il suo carattere combattivo ci si diverta (7). Tocqueville s'inquieta e teme che questo atteggiamento di eterna sfida gli giuochi qualche brutto tiro. Mandato a (5)- p. 22. (6) p. 156. (7) p. 159.

L' U N I V E I\ S I T À L I Il E n A 235 Francoforte, immediatamente ricomincia a litigare col suo ambasciatore. Fa arrabbiare M. de Fénelon, che domanda che si mandi al diavolo questo Gobineau, perchè è impossibile vivere con lui (8). Al che Gobineau risponde che Fénelon è matto da legare e fìnira male. L'ottimo Tocqueville lo supplica di non ripetere i metodi di Berna, d'essere molto modesto e abbastanza inattivo, di non cercare d'usurpare le attribuzioni del suo ambasciatore ... « Io credo che lo troverete poco disposto a lasciar scrivere un dispaccio ai suoi segretari d'ambasciata ... Non avete bisogno di dimostrare la vostra capacità, ma la vostra socievolezza, ricordatevelo ogni giorno. » ,(9). · E ancora: « Scrivete libri, ma nè memoriali nè dispacci, se volete arrivare presto a non aver più superiori. Ecco almeno il mio parere che vi dò da vecchio amico e senza esserne pr-egato ... » Il consiglio è buono, e Gobineau promette di seguirlo: « Oggi non è più possibile dire, come diceva M. De Reinhard (10), che io non -ero neppure capace di copiare, e, come ripeteva M. De Fénelon, che fuori del cinese, non ero buono a nulla.» Il suo orgoglio è soddisfatto. Ora fa dei libri. Ma si può esser sicuri che non ha mai disarmato. Mai ha saputo nascondere la coscienza della propria sup-eriorità e il disprezzo degli sciocchi, titolati e di alta condizione. È maestro nell'arte di non ·arrivare. Ma altre ragioni, --- più gravi ai nostri occhi, se non a quelli dei Signori della Carriera, -- designavano assai poco Gobineau per la diplomazia. Quest'uomo dall'int-elligenza così acuta nell'indagare la mobile· vita delle anime individuali, - quest'uomo dallo sguardo d'aquila per abbracciare i vasti orizzonti dei secoli, - più profondo di Montesquieu e pit'.1fine di Stendhal,· - inciampa quasi invariabilmente conh·o gli avvenimenti del passato e del prossimo avvenire. Vede (forse) ciò che s'è svolto o ciò che si svolgerit, nella lontananza di duemila anni. Ma non prevede mai l'indomani. I suoi errori politici si susseguono senza tr-egua, e sono di grosso calibro. Eccone un florilegio: 1) · Il taglio dell'istmo ·di Suez è funesto all'Oècidente. È troppo evidente che tutti i vantaggi andranno alla Grecia. Marsiglia e Bordeaux saranno rovinate (11). 2) L'Inghilterra si rovina, finanziariamente e commercialmente, nell'India. Soltanto gl'Indù s'arricchiscono (12). (8) p. 202. (9) 19 febbraio 1854. (10) Il suo ambascintorc a Bernn. (11) p. 232. (12) pp. 272-273:

236 L' U N I V E R S I T A L I B E R A 3) Nel 1854, a Francoforte: « Se il movimento apparente della Germania è nel Nord (cioè nella Russia), la forza seria, la forza determinante risied·e piuttosto nel Sud (cioè nell' Austria). >) (13). 4) Nel 1851, a Berna, predice l'imminente rovina della Svizzera, divorata dall'Austria. « Quando l'Austria avrà violentato la Prussia con l'appoggio della Russia», potrà darle qualche consolazione a spes·e della Svizzera, ed invadere il Ticino e i- Grigioni. (14). 5) Nel 1851, un viaggio in Piemonte gli fa sperare che Vittorio Emanuele « che si cura assai poco dei lavori del governo, passerà ben volentieri la corona al duca di Genova», e che tra breve <e la casa di Savoia sarà rientrata nell'alleanza austriaca», perchè << la nuova politica conimerciale di M. De Cavour » rovinerà l'industria indigena, a vantaggio di Genova e dell'Inghilterra. Tutto il problema sta nel sapere chi dominerà l'Italia, l'Inghilterra o l'Austria (15). · 6) Nel 1851; vede « la Russia· che aiuta l'Austria a costruirsi una potenza che sorpasserà, temo, quella di cui Carlo Quinto persegui l'ideale, se si realizzerà l'incorporazione di tutte le sue parti nella Confederazione germanica >) (16), ecc. Come si vede, la parte di Madame de Thèbes non riusciva al conte de Gobineau. Ma non siamo severi,. In storia, egli era presbite. Vedeva Silla meglio che Cavour o Bismarck. Sia detto sottovoce: i suoi errori sul presente ci lasciano pensosi sulle sue intuizioni del passato. Ma come resistere alla ·loro geniale evidenza! ... (Forse non è il minor pericolo. Il genio è più •evidente della verità. Ma quando l'una è fuori· portata, è bene contentarsi dell'altro ... ) * * * La parte pm interess~nte della Corrisponde 1za è quella che riguarda Ja grand·e opera che rivelò Gobineau non soltanto agli amici, che lo ignoravano, ma a sè stesso: il Saggio sull'Ineguaglianza delle Razze umane. A~sistiamo alla sua genesi e ai suoi primi passi nel mondo. È abbastanza ameno vedere l'innocente Tocqueville, messo a contribuzione da Gobineau, lavorare coscienziosamente (17) a preparare quel mostro che, una volta nato, indignerà i suoi sentimenti intimi. . (13) p. 216. Si noterà che Tocqueville che è ben lungi dal genio di Gobineau vede molto pili esattamente la situaziono poli-tica del presente. (14) pp. 14,i-148. (15) pp. 272-273. (16) p. 170. ·(1'7) Gobineau gli fa leggere Buffon e Flourcns, e riassumerne le idee su « la diversità delle razze, ma l'unità della specie umana».

L'UNIVERSITÀ LIBERA. 287 Nell'ottobre 1853 ne riceve il primo volume. Prova molta riluttanza a decidersi a leggerlo. Da quel che gliene ha detto Gobine~u, presente che si troverà separato dal pensiero dell'amico; e il suo carattere affettuoso cerca di ritardare il momento. Bisogna pur decidersi; e dopo un mese d'attesa, egli comincia ad esprimere le sue afflitte impressioni. Ripugna all'idea-madre che gli sembra materialista, - cc cioè la f~talità della co'stituzione applicata non solo all'individuo, ma alle razze» (18). Non ammette la dottrina, cc questa specie di predestinazione agostiniana, ma che pesa sulla materia». La conseguenza ne è l'abolizione completa della libertà umana. Ora, Tocqueville << resta situ~to all'·estremo opposto di queste dottrine». Nè è me,no urtato dalla distinzione stabilita tra cc le qualità che fanno praticare le verità morali» e cc la capactià sociale ... C'è tutto un mondo intellettuale tra la vostra dottrina e la mia. » - Tocqueville è un vecchio liberale impenitnt·e di prima del 1848; è pure un pragmatista; non può separare il suo giudizio di un'opera dall'idea dell'effetto morale o politico ch'essa produrrà, e la tesi di Gohineau gli sembra nociva: se i popoli ci cred·essero, non farebbero pii1 nessuno sforzo di progresso; cc la dottrina dell'ineguaglianza permanente dà nascita all'orgoglio, alla violenza, al disprezzo del proprio simile, alla tirannia e all'abiezione ... » Gobineau tratta con riguardo, quanto più a lungo può, il suo vecchio amico. Non gli dice_.:..__(almeno prima d'esservi costretto) - ch'egli ha jl più grande disprezzo per i popoli (e specialmente per il suo), - che per loro, (per la Francia particolarmente), non trova nulla di meglio del potere ~ssoluto (19). Si contenta di ri-. spandergli ch'egli è uomo di scienza, indifferente agli effetti della verità, preoccupato soltanto di dirla qualunque essa sia (20). Ma risalta abbastanza il suo disgusto per cc l'attuale rincretinimento spiritu~le, che è, d~ una parte, universale, dall'altra, senza rimedio, e in infinito accrescimento (21) ». cc Non ragioniam di lor .•• » Abbandona tutti al loro destino e non si preoccupa cc che di poche centinaia d'intelligenze che si tengono ancora vive al disopra dell'atonia generale ». · Tocqueville soffre di questo duro pessimismo. Malgrado le sue disillusioni politiche, è di quelli che non potrebbero vivere ~enza allusioni sul progresso degli uomini e sull~ bontà finale dell'universo. Rimprovera a Gobineau di scoraggiare lo sforzo umano. (18) p. 187. (19) Lo scriverà chiaramente, il. -1 marzo 1859 (p. -340). (20) e Se la verità ·non ha in sè stessa una moralità superiore, sono il primo a convenire che il mio libro ne manca assolutamente; ma non ha neppure il contrario, in maggior grado della geologia o dell'archeologia, t:, , , una estrar.ione di fatti ,. (p, 21U), (21) p, !l21.

_238 -L' U N I V E R S I T À L I B E R A « Un'opera che cerca di dimostrarci che l'uomo quaggii1 obbedisce alla sua costituzione e non può quasi nulla sul suo destino per mezzo della volontà, è dell'oppio dato a un malato (22) ... » La parola « oppio » tocca sul vivo Gobineau. E la sua collera lo rivela tutto. Consente a bruciare, ma non ad addormentare ... « Se io sono un corruttore, lo sono con corrosivi, e non con profumi ... » Egli lascia la gente libera di fare quel che vuole, d'agitarsi, perorare, combattere, abbandonarsi agli « entusiasmi d'attività intermittenti ... >> « Ciò non mi riguarda affatto ... Ma io dico: Voi mori te ... Io dico che avete passata l'età della giovinezza, che avete ·raggiunta quella che è vicina alla caducità. Il vostro autunno è più vigoroso, indubbiamente, d·ella decrepitezza del resto del mondo; ma è un autunno, l'inverno arriva, e non avete figli ... Non c'è più nessuno che possa sostituirvi quando la vostra degenerazione sarà completa. La sete d:ei godimenti materiali che vi tormenta è un sintoll).o positivo. È un criterio altrettanto sicuro quanto il rossore delle gote nelle malattie di petto ... Ebbene! che posso farci? e perchè dico quel che è e quel che sarà, tolgo forse la minima cosa alla somma dei vostri giorni? Io non sono più assassino d·el medico che mi dice che la fine è vicina (23) ». · Queste terribili parole, che svelano in Gobineau - ben al di là dello storico e dell'artista - il profeta, sicuro d'aver ricevuto e di .recare neUe sue manì i segreti del Destino, naturalmente non erano fatte per piacere alla Francia del Secondo Impero, non più di quanto piacevano al popolo d'Israele i funesti oracoli degli .annunziatori della caduta di Gerusalemme. L'opera di Gobineau vien discussa in Germania e in Inghilterra, vien tradotta in America. In Francia, non è neppure letta. L'amor proprio dell'autore s'irrita contro questo silenzio in cui vede, a torto, una cospirazione. · « l9 so anche troppo bene donde viene ciò. Codesta gente che è sempre pronta a dar fuoco a tutto, materialmente, che non rispetta nulla, nè in religione, nè in politica, è sempre stata della più grande viltà in fatto di scienza (24) ... » Egli sollecita Tocqueville a parlar•e del suo libro ali' Accademia. Significa mettere l'amico in crudele imbarazzo. Tocqueville non vuole parlare del libro: perchè (lo scrive francamente) non potrebbe farlo· s·e non attaccandolo. Non nasconde pit1 la sua antipatia. Riprendendo il paragone che Gobineau faceva di sè stesso con un medico, egli dice che non perdonerebbe al medico ~he gli annunziass·e una malattia mortale, togliendogli ogni speranza di salvarsi. ( « Senza contare, - aggiunge, - che i medici s'ingan- (22) 8 gennaio 1856 (p. 254). (23) 20 marzo 1/lfi6. (24) 1 ° mag11io 18513.

L' l!' N I V E n s I T À L I Il E n A • 239 nano spesso! ») (35). Sa pure trovare il punto sensibile di Gobineau. Mette cortesemente in dubbio la sua fede cattolica, - questa fede neonata, che non gli conosceva affatto. Malgrado « le sue scappellate alla Chiesa», il sistema di Gobineau gli sembrava un ordigno anti-cristiano. - Gobineau balzò sotto la ferita; e la lettera in cui professa lasuà fede religiosa, ha il valore di una confessione dolorante e appassionata (26). Qui si vede come la sua conversione sia stata non solo il prodotto della sua intelligenza e della sua volontà riflessiva, ma l'eITetto delle circostanze che ha attraversato, delle impressioni ricevute <lalla Rivoluzione del 1848 e del slio esilio in Asia. « Sono uomo da secondare un'opinione che mi sembra falsa? ... Son forse vicino a ciò? ... No, se dico che sono cattolico, vuol dire che lo sono. Nell'estrema perfezione? ... Certam·ente no, e mc ne duole, ~ desidero che un giorno sia così; quando dico cattolico, vuol dire cattolico in tutto e per tutto, cuore ed intelligenza; e se io credessi come voi che le mie opinioni storiche vi contraddicono, le abbandonerei immediatamente. Certo, io sono stato filosofo, hegeliano, ateo. Non ho mai avuto paura d'arrivare sino in fondo. Per questa porta finale sono uscito dalle dottrine che mettono nel vuoto per rientrare in quelle che hanno un valore e una densità ... » ' Una frase di Rèmusat ha avuto su lui grande effetto. Rémusat gli ha detto: « Siete proprio un prodotto del vostro secolo; con idee feudali, eccovi anti-cristiano. » Gobineau, assai colpito da questa osservazione, ha cercato in quale dei due punti fosse il suq errore. Il feudale ha vinto. - D'altra parte, la Rivoluzione vista «coni propri occhi, e non pii1 .intellettualmente, tuUe quelle bluse sporche hanno prodotto su di lui un tal disgusto che, per prendere più sicuramente la via opposta, sarebbe stato capace di farsi monaco,. se non fosse stato ammogliato. » - Infine, «. la vita veramente attiva ha fatto il resto a poco a poco, e l'Asia l'ha compiuto. Qui, si fa appello alla preghiera, tutto il giorno. La vita non è senza pericoli. Che me ne farò d'opinioni filosofiche, ottime accanto al camino, sterilissime a cavallo? Ed •ecco come sono sincerissimamente, completissimamente, profondissimamente cattolico ... benchè io confessi, con gran rammarico, che- se, da quel che mi sembra, non ci sono lacune nella mia fede, .ce ne sono nella mia condotta ». Dopo questo Credo religioso, che non lascia adito a nessun dubbio sulla sua sincerità, Gobineau compie la sua confessione, rivelando a Tocqueville, questa volta senza riguardi, tutta la sostanza del suo pensiero politico sulla Francia e sulle sue pretese « istituzioni libere », sulla _menzogna (a suo giudizio) della Rivo. (25) 80 luglio 1858, (20) 29 na,·c-mhro 185A.

240 .. • L' U N I V: E R S I T À L I B E R A luzione e d•el liberalismo. cc Un popolo che, con la repubblica, il governo rappresentativo, o l'impero, conserva sempre piamente un amore smoder_ato per l'intervento dello Stato in tutti gli affari, per 1~ gendarmeria, per l'obbedienza passiva all'esattore, all'ispettore stradale, all'ingegnere, che non comprende più l'amministrazione municipale, e per cui l'accentramento assoluto e senza scampo è l'ultima parola d•el bene, questo popolo non solo non avrà mai istituzioni libere, ma neppure comprenderà mai quello che è. In fondo, avrà sempre lo stesso governo sotto nomi differenti; e dal momento che è necessario che sia. cosi, è meglio che questo governo, sempre lo stesso per principio, sia, nella pratica, il più semplice possibile . . . (Egli cioè preferisoe il potere assoluto). Non c'è nulla di libero, nelle istituzioni francesi, da cinguecento anni. cc Anarchia_ quanta se n·e vuole, e dispotismo serrl.pre » ;· Gobineau la preferisce « in abito nero piuttosto che in blusa; e molto meglio in abito .ricamato in oro che in abito nero» (27). Questa volta, nulla più resta dell'intesa intellettuale tra i due uomini. Tutto è distrutto. Impossibile illudersi ancora sull'abisso che si è aperto tra i loro pensi•eri, tanto religiosi che politici. Totqueville lo constata con dolore: « Io amo gli uomini . . . Se non ho di loro, forse, un'opinione migliore della vostra, credo - però che si possano migliorare e che si debba tentarlo ... Quando non posso nè stimar·e nè ammirare i miei simili, ciò che mi capita spesso, amo cercare almeno tra i loro vizi i pochi buoni sentimenti, che possono trovarvisi mescolati ... Quanto a voi, sia per carattere, sia in conseguenza delle penose lotte cui la vostra gioventù si è coraggiosamente consacrata, vi siete abituato a vivere del disprezzo che v'ispira l'umanità in generale e in particolare il vostro paese ... Voi disprezzate profondamente la specie umana; la credete non solo decaduta, ma incapace di risollevarsi mai ... Per mantenere almeno un po' d'ordine tra questa canaglia, il governo della sciabola e anche del bastone vi appare fornito di ottimi requisiti .... » (28). Gobineau, irritato, pone fine alla discussione. E d'ora innanzi tra loro non si parlerà più che della storia iranica, dei caratteri cuneiformi, e delle dispute di Gobineau con i membri dell'Accademia delle Iscrizioni. Ma è bello vedere come l'assoluto dissenso che separa le due intelligenze non colpisca affatto i loro cuori. E la morte di" Tocqueville (nella primavera del 1859), di cui Gobineau ha .notizia, durante una lontana missione, a Terranova, gli cagiona un profondo dolore. Egli l'esprime in termini co.mmo- • (27) p. 804, (28) 24 gennaio 1851 ~ 1G seltèmbrìl 185&,

L' 1.l N l,V _E R S J T À L J Il E R.A 241 venti, in una lettera (29), che chiude il volume della Corrispondenza. * * * Mentre seguivo questa grande discussione tra i due amici, il mio pensiero era costantemente richiamato verso i· problemi d'oggi; e la discussione mi pareva ancora attuale. Contemporaneamente credevo di distinguere qualcuna delle ragioni per cui il conte di Gobineau, all'indomani della guerra, ha trovato d'im- - provviso in Francia una popolarità, che nulla faceva prevedere. Certo, il genio del pensatore e dell'artista legittima ogni gloria. Ma questa gloria la legittimava tanto prima del 1914 che dopo il 1918; e non c'è luogo a credere che gli occhi del dopoguerra siano diventati più sensibili alle bellezze d'ordine intellettuale ed ' estetico di quelli di prima della catastrofe. Quasi sempre questi fenomeni di scoperte letterarie, - questa seconda na,scita di una grande opera, che da lungo tempo esistente si svela d'un tratto alla pubblica ammirazione - banno la loro spiegazione in ragiorni subcoscienti, più morali che estetiche. Una generazione scopre, tra sè e uno scrittore, una· certa conformità di pensieri, o di temperamento, che la dispone ad ammirarne l'arte e l'intelligenza. Non è questo il caso nostro? Cer.to, non possono essere tuttavia i sentimenti professati da Gobineau_ rispetto a « co4esta vuota e ridicola marionetta che si chiama la Patria, - questo idolo di legno, di cui i più volgari ciarlatani muovono i fili,.parlando in suo nome: giacchè di per sè, non esiste». - Non può essere il suò disprezzo per la Nazione, a cui l'autore· e il discendente del pirata Ottar Iarl oppone la razza (30). - E ancora meno i suoi severi giudizi contro la Francia, che esasperano Tocqueville, sino a far scrivere a questo amico, così piaziente e misurato: <e Io non conosco uno straniero, se non forse qualche pedante professore tedesco, che dia sulla Francia il giudizio che date voi, Francese » (31). Ma quan90 si è decisi ad amare - o a non amare - un grande scrittore, vi si legge ciò che si vuol leggere. Ci sono ben pochi lettori che ~bbiano un'intelligenza tanfo larga da abbracciare tutto quanto il suo pensiero. Quasi tutti fanno inconscia- (29) · Alla signora Tocquedlle, :;17 maggio 1859. La lettera è scritta, a bordo del Gassendi. (30) Aggiungendo che « non esiste una razza francese; e fra tutte le nazioni d'Europa, noi siamo quella in cui il tipo è maggiormente scomparso. Anzi prendiamo,, nel flsico e nel morale, come nostro ti1lo, proprio questa scomparsa.» (A Tocque.ville, 15 gennaio 1856). (31) 16 sellem!Jre 1858. Tocqueville s'irrita di sentire Gobineau di- . chiarare che « la Fi-ancia ha sem11re preso le cose solo dal loro lato piccolo · e meschino, e non ha mili prodotto uno spirito d'eccezione, tranne:\ torse quell'ignobile Rabelais,,, :t (p, 834),

242 L' U N I V E R S I T l L I D E R A mente una scelta: di' ciò che piace e di ciò che dispiace, non prendono che una delle due pai:ti e fanno in modo di non conoscere l'altra. La fama del conte di Gobineau ebbe a soffrire in Francia sino a poco fa, perchè nella sua opera si volevano vedere soltanto gli aspetti « sgradevoli » (unpleasant, nel senso di Bernard Shaw). Oggi trae vantaggio dal fatto che questa opera lusinga segr<:tamente certe tendenz·e attuali. Bisogna notare che l'ora in cui viviamo non è senza analogie con quella in cui s'edificava, all'indomani del '48, il pensiero virile e disingannato di Gobineau. Per l'appunto Tocqueville gli rimproverava d'accordarsi troppo bene con lo spirito del tempo (32), la mentalità che succedeva alla rovina delle grandi speranze, « all'esaltata fiducia nel progresso e nell'umanità » - la mentalità che era nata da « la fatica delle rivoluzioni, dalla noia delle èmozioni, dall'aborto di tante grandi illusioni ... (33) ». E noi pure abbiamo visto il fallimento delle grandi illusioni, Diritto, Libertà, Progresso, Umanità, - non che queste sacre idee possano essere realmente colpite dalle manchevolezze di coloro che le hanno servite male, o dalle ipocrisie di coloro che se ne sono s~rviti troppo bene; - ma il discredito dei loro cinici o piagnucolosi rappresentanti ha, per una generazione, allontanato da esse le forz.e e le speranze attive. Come al tempo di Tocqueville e di Gobineau, s'afferma l'opposizione tra gli uomini di ieri, i vecchi umanitari, i liberali impenitenti, che s'ostinano a credere al progresso, e gli uomini nuovi, che hanno un nascosto rancor·e contro la libertà e il disprezzo di una umanità che troppo li ha ingannati. Una gioventù energica - (non parlo che dei forti: lascio al marciume gli epicurei e i bassi dilettanti) - una élite, temprata dalla prova del fuoco, ostenta un realismo pessimista, fatalistà, eppure eroico, che fa a meno di tenerezze, d'illusioni, di speranze, e che, su questo campo di rovine, sulle rivolte del proprio spirito domato, conquista malgrado tutto la sua gioia, dura e fiera, - L1tla di tutto ciò ch'essa nega come di ciò ch'essa afferma: - « Io solo, ed è abbastanza! » - l'anima sola, senza stampelle, dritta nella sua superbia, signora del proprio ordine, regina della propria disciplina, nemica dell'anarchia tanto fuori che dentro sè stessa, proietta sul cielo la sua ombra ingrandita, - il suo Dio, -- come nel suo orgoglio feudale un Henry de Montherlant detta le sue condizioni al suo Signore cattolico e pagano, che gli somiglia come un fratello. Questa gioventù d'oggi.- (e quegli adulti che trascina con sè)-- ritroveranno senza fatica nel conte di Gobineau, lq stesso aperto disprezzo del progresso, del liberalismo, dell' « oppio umanitario », degl'ideali democratici, (32) Tocqueville che, appartenendo a una generazione vinta, si rifiuta di seguire questa mentalità, la chiama « la malattia del tempo t, (88) 20 dicembre 1858,

L' U N I V E R S I T l L I B E i{ A 243 - la stessa visione tragica_ e orgogliosa della battaglia delle razze, ~ la stessa volontaria scelta del potere assoluto nello Stato e nella Chiesa, quaggiù e lassù. Insomma, l'ideale della forza, dell'ordine e della volontà contro quello della libertà. Non dobbiamo prender partito nel combattimento. Le nostre idee ·sono note, e non ci sono mancate -- nè ci mancheranno ~ le occasioni di esporle. Vogliamo lfrnitarci oggi alla tunzione di spettatori. E così vediamo in questa passata d'armi tr:;i. due generazioni uno di quei perpetui movimenti del bilanciere umano, che oscipa da un polo"all'altro, cercando il punto d'equilibrio, che perpetuamente la sua violenza sorpassa. Ma questa stessa violenza, queste oscillazioni tra i poli contrari, che cosa sono se non il ritmo della storia, il soffio dell'umanità? Il giorno in cui, sul punto d'equilibrio, s'arrestai:.se il bilanciere, il polso della vita sarebbe fermato. , ROMAIN ROLLANO. LUIGI FABBRI DITTATURA E RIVOLUZIONE Prima edizione, con una lettera-prefazione di E. MALATESTA •. SOMMARIO: I. Vigilia di Rivoluzione. - II. Il problema dello Stato. III. Dal Socialismo autoritario al Socialismo dittatoriale. - IV; Dittatura e libertà. in Russia. - V. La dittatura bor~hese della Rivoluzione. - V. Comunismo autoritario e Comunismo anarchico. - VII. Il Marxi- . ' smo e l'idea della dittatura. - VIII. Che cos'è la dittatura. - IX. L'insegnamento delle rivoluzioni precedenti. - X. Il concetto anarchico della Rivoluzione. - XI. Rivoluzione ed espropriazione. - XII. La paura della libertà. - Xlll. Lavoro e libertà. - XIV. La difesa della: Rivoluzione. - XV. La funzione dell'anarchismo nella Rivoluzione. - Bibliografia. Libro di grande attualità, che afi'ronta e risolve i più gravi problemi della Rivoluzione dinanzi alia critica anarchica. Un bel volume· di 380 pagine, L, 8.- CASA EDITRICE SOCIALE, Viale Monzaj 77 MILA~O

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