L'università libera - n. 6 - giu./lug. 1925

L' U N I V F. R S I T À I. I n E R A 173 moderati della rivoluzione italiana -e dei monarchici, Giuseppe Mazzini vinceva e trascinava dietro di sè maggiori consensi per l'evidente sincerità delle intenzioni, per l' ardore e la tenacia della sua fede, per la costanza instancabile della sua attivib'.,, pel senso d'amore e di bonìtt che traspariva da ogni sua parola e per lo spirito di sacrificio da cui era animato. Giuseppe Ferrari, ingegno acutissimo, giudicava assai meglio dal punto di vista rivoluzionario gli uomini e le cose e s' ingannava di meno - benchè avesse anche lui degli apriorismi, come la fiducia nell'iniziativa rivoluzionaria francese, che lo trassero in errori evidenti - ma era una forza troppo cerebrale e troppo poco spirituale, troppo uomo di gabinetto; capì gli errori politici di Mazzini, ma non ne comprese il cuore e fu ingiusto con lui più d' una volta. Gli mancava ad ogni modo quel senso d' almegazione, che in Mazzini era tanto forte; e certo in lui assai minore fu la forza di resistenza ali' ambiente e la costanza, se lo vediamo finire, in. contraddizione con tutto il suo pass_ato, senatore del Regno e cavaìiere del Merito Civile di Savoia, mentre Giuseppe Mazzini, hicrollabile, moriva dopo di lui « esule in patria» ma sempre fedele alle idee difese, predicale e tentate d'attuare senza stancarsi mai fino dagli anni dellà giovinezza. Certo assai migliore del Ferrari, ugualmente lontano in teoria ed in pratica da Mazzini, ma più vicino a ·questo per superiorità d'animo e di cuore, fu Carlo Cattaneo. Ma non divaghiamo. La_ lettera di i\Iazzini a Ferrari, dell' ottobre 1849, invitava quesli a collaborare nell'Italia ciel Popolo risorta a Losanna, e tentava amichevolmente di vincerne ·]e riluttanze, di spiegare il passato, di confutare le obiezioni con accenni di cui l'uno e l'altro comprendevano il significalo. ?\fa forse prevedeva che Ferrari si sarebbe rifiutato, perchè annunciandogli come Cattaneo gli avesse gii, risposto di non calcolare su di lui, aggiungeva malinconicamente: « E questo è il male supremo. O inerzia o individualità che si ritirano come Achille nella tenda. L'influenza che s'acquisterebbe pel bene, se ci mo- . strassimo tutti unili, associati ed attivi, non l'intendo che io» (1). Ed aveva ragione. Ma d'altra parte bisogna convenire che, con una personalità dell'imponenza di Mazzini, - che ormai riempiva di sè il movimento rivoluzionario italiano, ---:-era troppo difpcile collaborare, avendo idee diverse, senza lasciarsi assorhire e trascinare nella sua orbita al di là dei propri intendimenti. Nè a ciò potevano facilmente ~-assegnarsi clclle forti individualità come quelle di Cattaneo e Ferrari. Ad ogni modo Mazzini fece I' Jtctlia del Po polo tu tla da sè o con quelli ch'erano già suoi fedeli seguaci. Vi collaborò, è vero, Carlo Pisacane che dissentiva radicalmente da lui ed era all'incirca sulle stesse direttive di Catt::lneo e Ferrai:i (anzi si spin- (1) Idem, idem. - pag. 324.

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