L'università libera - n. 4 - aprile 1925

l'UNIHR1ST À LIBERA ~ R!VISTA MENSI LB DI. COLTURA SOCIA LE N. 4. _ Aprile 192::i -· i\llLANO - Viale Monza 77 Istruzione professionale e lavoro manuale educativo La coscienza del valore formativo del lavoro manu.;tle non ba ancora raggiunto, 1 quella chiarezza e quella diffusione che sarebbero desiderabili. Degli ostacoli pratici che incontra l'idea del- lavoro manuale come integramento di quello intellettuale non parlo, chè questo esame richiederebbe una troppo ampia · trattazione. Credo, invee-e, utile accennare allo sviluppo che nella pedagogia italiana e straniera ha seguita la valutazione del lavoro manuale. Questa presa in valore non risale a_ tempi lontanissimi, e que-sto perchè il lavoro manuale fu nel mondo greco-romano considerato come attività servile; e come tale rimase nel basso Medio Evo, benchè il cristianesimo ne avesse rivendicato la dignità •e le condizioni sociali dei lavori manuali si fossero elevate. Il lavoro mannaie comincia ad essere considerato da un punto di vista utilitarista, nel senso corrente della parola. Lo stesso Leon Battista Alberti (1404-1472) che cercava di imparare da tutti i lavoratori manuali, inter,rogandoli sull'arte loro, vuole che il giovanetto s'impratichisca in qualche mestien+, soltanto perchè, se colpito da avversa fortuna, possa esseve in grado di assicurarsi onestamente la vita. Per questa sola ragione il pedagogista lodigiano Maffeo Vegio (1407-1457) vuole che il giovanetto di ricca famiglia apprenda una delle arti manuali. Nel secolo XV, non si va al di là dell' apprentissage dei mestieri come mezzo di salvezza per i ricchi nei rovesci della fortuna o come utilità pubblica. Nel 1400 v'erano a Firenze degli istituti di esposti nei quali vi era la scuola dei mestie,ri, ma l'apprentissage era ostacolato dalle tendenze monopolistiche delle corporazioni e anche in seno ad esse procedeva lentamente per l'attaccamento alla posizione di privilegio che avevano i maestri. Il primo pedagogista che si avvicin· alla mod:erna valutazione del lavoro manuale è il Rabelais (14:83-1553), che, pur essendo un fervido sostenitore dell'istruzione umanista, mostra di capire l'importanza dell'istruzione scientifica. Egli vuole che l'rducando si pongn a contatto con la natunf. Gargantua, leggerà le Georgiche in mezzo ai prati e ai boschi, e studierà la bo- ..

98 L' U N I V E Il S I T À L I IJ E R A tan!ca in piena campagna. Insegnamento sperimentale, intuitivo, dunque. Per questo il Rabelais manda Gargantua a visi.- tare ì magazzini degli o-refici, le fonderie, i laboratori di alchimia (la chimica di allora), gli opifici di ogni sorta. Gargantua si darà al lavoro manuale soltanto nelle giornate di pioggia, e soltanto spaccando •e segando la legna e battendo i covoni nel granaio. Nelle fatiche mànuali· che il Rabelais indica non c'è affatto l'idea del lavoro manuale educativo, nel senso che· gli diamo oggi. Tel 1500 il pedagogista Silvio Antoniano (1540-1603) mostra. di capire il valore sociale dell'istruzione professionale! ma la considera estranea alla scuola, il che mostra che gli era sfuggito il valore educativo del lavoro manuale. Il senese Orazio Lombardelli (1540-1608) dà_ valore alle arti manuali •e studia i mezzi per perfezionarle, e combattendo i p ·egiudizi contro il lavoro manuale scrive:« il fare alcun lavoro in casa vostra di legname, o di muro, o di ferro, l'apparecchiar la mensa, il cavar acqua d'una cisterna,. l'assettare un orto, •e tai cose non fanno perder la reputazione, come s'avvisano i goffi,,. Ma egli si rivolge ai benestanti, ed è solo a loro che consiglia di iniziare i figli a qualche lavoro manuale. La valorizzazione dell'istruzione professionale dal lato sociale ed educativo insieme ha un assertore vigoroso nel Comenio (1592-1671), che ama l'istruzione tecnica, vorrebbe che dalle scuole, « officine dell'umanità n, uscissero artigiani vigorosi ed abili. Il Locke (1632-1704) nei suoi Pensieri sull'educazione scri- ·ve: « Non •esito a dirlo: io vorrei che il mio Signore imparasse un mestiere, sì, un mestiere manuale; vorrei ancora che ne sapesse due o tre, ma particolarmente uno,,. Questo perchè il lavoro fisico offoe alla mente un divertimento, un'occasione di riposo, procura al corpo un esercizio utile. E anche perchè serve come risorsa in caso di ristrettezza. Nel 1697 il Locke mostrò di capire il valore sociale dell'istruzione popolare ad indirizzo tecnico, faoendo al governo inglese una pregevole relazione sulla necessità di fondare « scuole di lavoro i> per i fanciulli poveri. Tutti costoro, dai tre ai quattordici anni, dovevano essere riuniti in asili dove trove-rebbero nutrimento e lavoro. Questo per combatt•ere il vagabondaggio e formare operai laboriosi. Il La Salle (1651-1719), voleva un insegnamento tecnico ,e professionale, e a Saint-Yon fondò una specie di collegio in cui si preparava gli alunni alle professioni industriali. L'abate Bernardino di Saint-Pierre· (1568-1743) si occupò dell'insegnamento professionale. Le scienze positive, le arti meccaniche, l'apprendimento di un mestiere, sono preferiti da lui allo studio deUe lingue. Egli vuole che intorno e dentro ai collegi vi siano mulini, stamperie, orti e giardini.

L' u N I V E n s I T À I. I Il E n A 99 Anche il Fourier (1772-1837), nel .suo trattato L'educazione natural.e, miscuglio di genialità e di pazzia, si occua del lavoro manuale; e vuole, tra l'altro, che i fanciulli visitino gli opifici ed i laboratori per riconoscere la propria vocazione professionale. Il Rousseau, che si ispirò probabilmente al << savio Locke », non mostra di aver capito il valore formativo del lavoro manuale, se non dal lato moral,e. Ma mostra di aver coscienza dell'importanza sociale den'istruzione tecnica. Emilio deve imparare un mestiere « più che per l'amore di conoscere il mestie1'e, per ·soffocare il pregiudizio che lo disprezza », e perchè, imparando un mestiere, si mette al sicuro dai bisogni, allorchè la rivoluzione gli tolgà le ricchez21e. Il Rousseau discute lungamente sull'importanza dell'attività manuale nell'educazione, ma mentre ne rileva i molti vantaggi sociali non capisce i benefici por-. lati dall'integrazione di quell'attività con quella intellettuale. Il Pestalozzi fondò a Neuhof una scuola agraria' sperimentale, per migliorare le condizioni mat,eriali dei contadini -svizzeri e per aprire vie nuove all'agricoltura. Nella scuola di Neuhof, i fanciulli dovevano coltivare speciali prodotti agricoli, filare e tessere il cotone e attendel'e ad altri lavori, unendo a queste occupazioni quelle intellettuali, _che occupavano minor tempo delle prime. Ma non c'era in questa scuola pestalozzìana relazion,e alcuna tra il lavoro manuale e quello intellettuale, e il tentativo di combinare le due attività fu tentato solo a Stanz, un'altra scuola ad indirizzo agrario. Il Pestalozzi, tuttavia, dimostrò la possibilità di far proce- ·. dere insieme il lavoro manuale e quello intellettuale e lo si può considerare, a questo proposito, più un precursore del Froebel che un discepolo del Locke e del Rousseau. La coscienza del valore economico dell'istruzione professionale fu chiara nel Filangieri che, nel suo IV libro della Scienza della legislazione, (1780-1785) sostiene che l' apprentissage debba essere curato dallo Stato •e regolato a mezzo di una particolare magistratura. el secolo XVIII varii scrittori propendono per un'istruzione popolare che abbia a, base l' apprentissage. Fra questi Giuseppe Gorani (1740-1819), democratico che partecipò alla Rivoluzione francese, che nel suo Saggio sulla pubblica istruzione (Londra 1773) vorrebbe che nelle scuol,e elementari si insegnasse il disegno, e si dessero da leggere ai futuri operai libri trattanti delle arti e dei mestieri. E vorl'ebbe che fossero impartite, a .preferenza delle altre, cognizioni di chimica, storia naturale, aritmetica e geometria. Così .Gaspare Gozzi (1713-1786) nella Riforma degli studi, scritta per i1 carico della Repubblica di v,enezia, vuole che le scuole popolari rendano i figli del p.opolo atti a quei mestieri che poi abbraccieranno. A questo proposito egli scriveva: « chi ammaestrass,e di più la povera gioventi1 nel tenere

100 L' U N I V E Il S I T À . L I B E R A quaderni mercantili o registri di ·fattorie, nel confrontar~ pesi. e misure, in un poco di geometria e di meccanica e di disegno, aprirebbe, la yia a molti poveri di buon ingegno, di potersi impiega-re a mantenimento onorato di sè e delle famiglie ». Con la Rivoluzione francese il principio dell'istruzione professionale trova sistematori e J.egislatori. Il Condorcet vuole che nelle scuol,e vi siano modelli di macchine e illustrazioni di mestieri, e che in qualunque grado dell'istruzione sia coltivato l'insegnamento delle arti pratiche. Il Romme nel suo disegno, che la Convenzione votò nell'ottobre 1793, stabilisce che si facciano assistere gli scolari ai lavori campestri e degli ~pifici « e vi prendano parte quanto lo consente la loro età». 1 el disegno Bouquier, anch'esso adottato, è_ stabilito che i giovani che, usciti dalle scuole primarie, non si dedichin9 a lavorare la terra « dovranno imparare un mestiere utile alla soci-età». Nelle Scuole Centrali, progettate dal Lakanal, prevale il criterio industriale. La prima grande affermazione del valore pedagogico del lavoro manuale la dobbiamo al filantropismo tedesco della seconda metà del settecento. L'introduzione del lavoro di « tornio, pialla e s·ega » nel corso di studi regolari del Filantropino (1774) aveva uno scopo educativo. Basedow, Herbat e Froebel precisano il valore educativo del lavoro manuale. Il Froebel (1782-1852) vede in tutte le forme di lavoro produttivo l'analogia con il gioco, e inventa i giochi istruttivi, ed educativi in quanto il fanciullo concretizzando materialmente le idée acquista una superiore capacità di esprimer-e la propria vita intellettuale e morale nell'azione. Oggi, in ogni nazione, il lavoro manuale tende ad integrare quello intellettuale. E i progl'essi sono stati rapidissimi. Bastino alcuni accenni. La prima scuola scientifica superiore americana fu l'Istituto Politecnico di Albany (New York) fondato nel 1824. In esso l'insegnamento teorico era integrato dalle •esercitazioni pratiche. Il Consiglio direttivo, in una sua relazione, affermava che gli studenti sarebbero diventati abili chimici « mediante il lavoro pratico, come fa chi apprende un mestie1;e ». Dal 1862 in poi· gli istituti di studi superiori degli Stati Uniti ebbero il carattere preminente di scuole di scienze applicate. In Germania le scuole professionali sorsero a Norimberga nel 1823. A partire -dalla metà del secolo XIX, gli studi scientifici ebbèro per base le scienze applicate. Le scuole superiori tedesche hanno un carattere eminentemente pratico. Le Fachschulen sono scuole strettamente professionali. Ma non è notevole la tendenza ad introdurre il lavoro manuale neHe scuole elementari. In Inghilterra, il Dicastero di Scienze ed Arti, ha incoi•aggiato il lavoro manuale nelle scuole, e l'insegnamento di esso è ora sovvenzionato dal governo. In Francia in ogni scuola elementare urbana vengono impartite

L' U N I V E R S I T À 1, 1 Il E R A 101 nozioni tecniche o di lavoro manuale. In Russia il governo bolscevico ha sviluppato enormemente l'indirizzo tecnico delle scuole, ma anche prima· della Rivoluzione vi erano scuole professionali: come quella di Mosca, che fino al 1881 fu una vera scuola modello. La Svezia possiede una scuola che fu ·studiata da tutti i c 1ltori del problema: la Scuola Normale di raas, nella quale Otto Salomon gettò le basi del suo metodo. In Italia, in se- • guito alla propaganda dell' Angiulli, di Emanuele Latino, di Giovanni Daneò e di allri pedagogisti e cultori di cose scolastiche qualche cosa si è fatto. Ma da noi il lavoro manua\e e quello intellettuale non. si integrano che in pochissime scuole e l'innovazione ondeggia tra il froebelianismo e l'istruzione professionale specifica. Do e il metodo Sloy: - eccitare l'interesse del fanciullo con la costruzjone di un oggetto completo, utile in famiglia o atto ad adornare la casa, - ed altri metodi analoghi, hanno raggiunto un grande sviluppo è nei paesi nordici e nord-americani. Gli educatori moderni hanno il dovere di interessarsi al problema. E tra gli scritti che possono introdurli in questo campo indico loro: Lavoro intellettuale e lavoro manuale, del Kropotkin, il quale ha colto è sintetizzato meravigliosamente il prob~e- )11a del lavoro manuale educativo. Problema sul quale ritorneremo, dato il suo grande interesse e data la necessità di una pronta, vasta e coraggiosa risoluzione. CAMILLO BEHNEHI. 111 corso cli slampa: PAOLO GILLE Professore all'Istiluto degli Alti Studi del Belgio Abbozzod'una Filosofia della Dignità umana Prima edizione italiana a cura di L. FABBRI Introduzione: IL SOFIS~IA ANTI-IDE.ALISTA DI 7\IARX. Prima parte: IL PROBLEMA DELLA LIBERTA'. 1. Il problema. - 2. I fondamenti cosmologici della libertà - 3. Fisiologia del progresso --- 4. Libertà e solidarietà - 5. Conclusione: La forza morale e la libertà. Seconda parte: A J~RCHTA O AN-ARCHIA. 1. Pragmatismo o umanismo - 2. Il magistero della ragione.- 3. L'avvento <lei diritto umano. Terza parte: L' INTEGRAZIO. IE Uì\CA 1A. 1. ·considerazioni preliminari - 2. L'autonomia - 3. La sociabilità - 4. La giustizia umanitai·ia - 5. Conclusione -- Il regno umano. Conclu8ionc: PROPOSIZIO .I FONDAì\rENTALC D'UNA FILO- ·soFIA DELLA DIG ITA' UMANA. 11 hcl ,olume di 160 pngine grandi, L. 5 franco di porlo ovunque.

La Repubblica Romana del 1849 E LA SUSSEGUENTE REAZIONE IN ITAL lA NEGLI SCRITTI DI GIUSEPPE MAZZINI. I. Gli ultimi due volumi, il 39° ed il 40°, della Edizione Na- • zionale degli scritti di Giuseppe Mazzini, :___che escono a Imola pei tipi di quella ben 1i.ota Cooperativa Tipogi;afico-Editrice (1) - contengono una parte delle opere del grande agitatore, la quale ha molta importanza dal punto di vista storico. Uno dei due volumi, il 14° delle cose politiche, raccoglie articoli, proclami, appelli, cenni storici, polemiche e documenti dal 2 dicembre del 1848, vale a dire da poco dopo la fuga di Pio IX a Gaeta., al febbraio del 1850, fino a quando cioè, cadute le repubbliche di Roma •e Venezia, durò nei rimasti e nei profughi la sov.raeccitazione, non scevrn di qualche superstite speranza, lasciata negli animi da circa due anni di lotte, di ansie, di errori, di eroismi, di vittorie e di sconfitte. L'altro volume, che costituisce il 21 ° dell'epistolario mazziniano, riunisce tutte le lettere dell'apostolo genovese dal •(i marzo al 3 novembre del 1849, comprendendovi così tutto il periodo in cui Mazzini fu in Roma a capo della Repubblica (egli vi era giunto dalla Toscana precisamente il 5 marzo) e l'altro successivo della sua fuga in Francia e in Svizzera, finchè di lui durarono gli atti che ancora si riferivano ·alla sua cessata posizione in seno al governo repubblicano romano. Gli scritti mazz!niani di questo tempo non sono de' più numerosi; ed è naturale, perchè lo scrittore· aveva ceduto il posto all'uomo d'azione. Appena giunto in Roma Giuseppe Mazzini pensò a ripubblicarvi L'Italia del Popolo, ch'era stata_ interrotta a Milano con la rioccupazione austriaca; ma fece appena in tempo a scriverne il programma ed un articolo, che, nominato tra i Triumviri a capo del governo, dovette smettere ogni lavoro giornalistico, per non- riprenderlo pit'1 che quando, s·confitta momentaneamente la rivoluzione italiana, egli dovè ritornare in esilio. · A tal proposito poco si sa una cosa : che Mazzini non aveva punto voglia di andar,e al governo, perchè (come diceva in una lettera ad un amico di Lugano, il Grillenzoni) riteneva di « poter fare più bene rimanendo fuori» (2). Ma non era umanamente possibile, allora, che Mazzini restasse in Roma capo del partito repubblicano e fuori del governo, dove invece l'assemblea e il popolo lo chiamavano a gran voce a~che prima ch'egli (1) SCRITTI EDITI ED INEDITI DI GIUSEPPE MAZZlì!'U - Volume XXXIX (Politica. Voi. XIV) .. - Volume XL (Epistolario Voi. XXI). - Imola, Cooperativa Tipografica Editrice Paolo Galeati. 1924. (2). Seri/li di G. ili. Epistolario. - Voi. XL,, pag. 8.

1.' U N I V E R S I T À L I B E R A 103 giungesse: ed accettò. Ma proprio in quei giorni scriveva al Mayer: « Non posso più godere. Fo quel che mi pare debito mio, ma senza •entusiasmo o speranza di vita individ\iale »; ed intorno al significato ch'ei dava al debito o dovere di assumere le responsabilità dirigenti gettano sufficiente luce queste energiche parole con ct;1ieccitava l'ex attivo segretario della Giovane Italia Giuseppe La1ùberti ad accettare il posto di preside di Ravenna: « Giuseppe mio1 dì quel che vuoi, maledici, dà del capo nel muro, ma è necessario e debito tuo verso il paese d'accettare la nomina che ti spediamo. Son io nel caso identico tuo; affranto fisicamente e mo·ralmente; ,e non di meno accetto; tanti altri . fanno lo stesso. Siamo in tempi ne' quali ogni ufficio è una missione e bisogna compirla .... ». (1). Il volume degli scritti politici, malgrado tutto ciò, è interessante, sia per il fatto in sè che ne contiene ben undici che si ristampano ora per la prima volta in Italia, sui diciotto contenuti nel libro, sia perchè e subito prima e subito dopo la repubblica il Mazzini offre preziosi elementi di giudjzio sugli avvenimenti cui prese sì precipua parte e sulle idee che vi si agitarono entro e su di loro influirono. Alla fine del 1848 tutte le illusioni, sia unitarie che federaliste, sul papato e sull'opera riformatrice di Pio IX erano svanite; come del resto erano quasi svanite quelle sull'iniziativa piemontese e su Carlo Alberto, o dovevano svanire al completo fra due o tre mesi. Tutti i ,rivoluzionari italiani si accorsero che avevano attribuito al papa pensieri e intenzioni che questi non aveva mai avuti nè poteva avere. Secondo il detto attribuito al Manzoni « Pio IX aveva benedetto l'Italia e poì l'aveva mandata a farsi benediI,e », ed era più vero e sincero nella seconda parte che nella prima (2). Egli, accampato a Gaeta e contro Roma libera gndante « il bando de_ll'universa guerra» era assai più in carattere; e soltanto le baionette austriache e francesi - non · certo i petti e le braccia dei popolani di Trastevere, che tanto l'avevano applaudito per più d'un anno - potevano ·essere il suo baluardo. ' . Sulla fine del 1848 il popolo italiano, e per esso non soltanto i rivoluzionari ma· fino i liberali più moderati, se sinceri, non speravano più in alire forze che in quella dell'iniziativa popolare e rivofuzionaria. Finalmente s'era compreso che tutte le vittorie· di un anno, dovute alle forze sorgenti dal basso, alla piazza, erano state sciupate e quindi annullate dall'opera dei moderati che non vedevano salute che nelle decisioni dall'alto; papa ,e principe ave- (1) Epistolario, idem - pag. 25 e 48-49. (2) Con intenti di riferimento alla politica attuale Armando Borghi nel n. /1 (Aprile 1925) della Rasseg11a Si11dacale di 1\Iilano - nell'articolo sul « Vecchio e Nuovo quarantottismo » - lumeggiava testè assai bene la illusione pio11011isla dalla fine del 1811G alla metà circa del 1848.

' io4 I.; t: N I V E n s I T À L I Il E n A vano quasi del tutto compromessa e rovinala la rivoluz.ione italiana; e quindi non restava alla rivoluzione che salvare se stessa con l•e sole sue forze. La sua bandiera era ancora levata a Venezia, in Toscana, in Sicilia, a Roma: v'era, malgrado tutto, ancora . speranza di vincere! * * * In quel critico momento _della storia d'Italia; così densq di lutti, di dolori ed anche di vive speranze, e mentre stava già dall'esilio per tornar,e di nuovo nella mischia, Giuseppe Mazzini scriveva per la rivista inglese lo Spectator un ampio studio sui « Partiti e cose d'Italia n, che nel 39° volume degli « Scritti n tro- · viamo tradotto e pubblicato per la prima volta in italiano. Troviamo in esso chiaramente ,esaminata e discussa la situazione d'Italia all'indomani della fuga di Pio IX da Boma ed alla vigilia dei due fatti. più importanti del principto del sopravegnente 1849: la proclamazione della Repubblica Romana e la sconfitta di Novara. Da questo scritto abbiamo desunte le brevi osservazioni storiche· sopra accennate, le quali nel medesimo Ì1:rnno la loro ,, più eloquente dimostrazione .. Ma un'importanza anche maggiore ha quello scritto per un'altra ragione. Da qualche tempo si ripete, nelle discussio1ii sul Risorgimento, · nazionale, una vecchia menzogna dei moderati del 1860, che a furia d'essere ripet~1ta ha finito con l'e\sere presa per verità anche da coloro che av1·ebbero il dovere ai· non credervi ad occhi chiusi: che cioè la rivoluzione italiana è stata opera <l'una piccola minoranza, e non del popolo italiano. Ora, se è vero che, come tutte le rivoluzioni, anche la rivoll1zi9ne italiana si deve all;iniziatiwi. di minoranze audaci ed alla partecipazione attiva di una parte e non di tutta la popolazione, è anche vero che questa parte e quelle minoranze erano di carattere popolare, vale a dire composte. o di gente del popolo o di uomini idealisti ·staccatisi dalle caste dirigenti e privilegiate, i quali avevano sposate k idee più avanzate e volevano dare al movimento italiano un inclirizzo repubblicano, democratico e di libertà. Questo fu vern specialmenfo dopò il 1831 ed in tutto il movimento del 184840. Giuseppe Mazzini tutto ciò afferma e conferma in modo esauriente in· questo suo appassionato scritto, storico e polemico insieme. « Il carattere del moto lombardo - dice egli ad un certo punto, parlando della rivoluzione iniziatasi con le 5 Giornale, - fu essenzialmente repubblicano. Fu _tale per l'assenza di ogni elemento monarchico loca1e; per Je tendenze della gioventù che aveva combattuto sulle bar,ricate e che era stata quasi tutta preparata alla lotta dal lavoro di associazioni repubblicane segrete;

.. L' U N t V E R S I T À I, I Il E R A per gli' istinti e J.e attitudini d~eguaglianza che reggevano il popolo. L'aristocrazia aveva preso un'iniziativa solamente poco prima dell'insurrezione; e fu precisamente dimostrando che la re, pubblica era inevitabHe a Milano, e per naturale yonseguenza a Torino, che era riuscita ad attirare dalla sua Carlo Alberto. » (1 ). La critica, che della condotta della guerra del 1848 fa il Mazzini non è certo cosa nuova, ·oggi, benchè lo fosse quando il suo scritto fu pubblicato in Inghilterra. Dal punto di vista esclusivarnent,e militare oggi interessa poco sapere come l'esercito piemontese, superiore di numero a quello austriaco, non abbia profittato delle sue migliori condizioni ed abbia aspettato, per farsi battere, che il nemico si raccoglioesse, rafforzasse, ricevesse aiuti, ecc. Quello che più importa di quanto Mazzini racconta è che, anche dopo, si preferi, si volle non vincere solo per.chè per vincere avrebbe bisognato mettere in linea le forze popolari, i volontari; si abbandonarono le regioni e città insorte che, come il Tirolo e Venezia, avevano tendenze ·repubblicane; si respinsero o si tennero a bada migliaia di volontari dalla Svizzera, dalla° Corsica, da Parigi e dalla Polonia, nonchè si rifiutarono distinti ufficiali italiani, che s'eran battuti eroi~amente in ,Spag"na. Le offert,e disinteressate di Mazzini di mettere in campo altri volontari furono respinte - « rifiuto fondato in realtà sul pericolo di v•ede•rei repubblicani in possesso di armi >> (?). Si voleva bensì, in cambio del suo sangue necessario a realizzare il progetto ridotto d'un regno dell'Italia del nord, fare al popolo l'•elemosina di un po' ' di libertà; ma si aveva paura che la libertà il popolo se la conquistasse da sè ed a sè avocasse l'iniziativa ed il merito di sconfiggere e scacciare gli· Austriaci dall'Italia. Al contrario della leggenda maligna che si tentò acclimatare nelle storie -ufficiali del partito moderato negli anni successivi, (che allora non attaccò perchè troppo recenti i fatti e troppo fresche le memorie, ma che da qualche tempo si cerca di riabilitare) fu vero per tutta Italia ciò che cantò il Carducci con fieri accenti per la ,resistenza popolana dell'8 agosto 1848 a Bologna: · ..... .' .. un umile dolor prostrò per l'alte case il gramo . · cuor de' magnati. Ma (a plebe vile gridò: Moriamo. Dopo Custoza e specialmente dopo la « fatal Novara » il gramo cuor de' magnati si piegò alla sconfitta; non così il popolo, che un po' dovunque continuò a resistere, concentrando alla fine i suoi sforzi e le sue speranze su Venezia e su Roma repubblicane, dove se non potè vincere dimostrò valorosamente di saper combatterie e di saper morire. · Leggendo questo scritto di Mazzini sui « _Partiti e afTari d'lta- (1) Scrilli di e: M. - Voi. XXXIX, Politica - pag. 30. (2) Idem, idem, pag. 65.

106 L' N I V E R S I T À J. I Il E R A lia » si comprende non soltanto lo stato d'animo suo, ma anche il programma col quale si avviava velso Roma. L'8 febbraio di quell'anno (1849) egli lanciava « Ai Livornesi» un appello per ·una lotta suprema contro l'Austria; e l'indomani appunto la Costituente proclamava a Roma la Repubblica. La notizia gli strappa un grido d'entusiasmo e, mentr'era ancora in Toscana, questo grido s'esprime nell'articolo « Per la proelamazione della Repubblica Romana » che è veramente anch'esso pit1 un proclama programmatico che altro. Ma un programma più conc1,eto e completo egli espone, dopo giunto a Roma, ridando alla luce L'Italia del Popolo, quando ancora sperava di potere, senza assumere responsabilità di governo, influire sul movimento e sulla cosa pubblica semplicemente come condottiero di un partito di popolo. * * * Mazzini riaffermava l'intento suo di l;:l.vorare per lo sviluppo progressivo dell'Umanità. « L'opinione che noi rappresentiamo ha da vent'anni in poi predicato che l'epoca del privilegio, del principio individuale era spenta; che un'èra nuova, l'Era del principio collettivo, l'Era dei popoli, s'iniziava; che la forza brutale messa a contrasto poteva renderne irregolare e violento il progresso, non arrestarlo ... » (1). E, dopo aver passato in rassegna i fatti reoenti che avevan dato ragione a lui contro tutte le illusioni piononiste e carlalbertiste, ne traeva argomento per constatare la superiorità dell'azione guidata dai principii su quella mossa da interessi o da opportunismo. È noto come alla base dei suoi principii morali, sociali ~ politici Mazzini ponesse, con intransigenza assoluta, la sua carafteristica concezione religiosa e la fede in Dio. Questa f.ede, del tutto diversa e lontana dal cattolicismo e da tutte le altre chiese precostituite, egli la proclamava di nuovo nel programma dell'Italia del Popolo che doveva in certo modo informare l'iridirizzo spirituale del ·governo repubblicano romano; ed è necessario tenerla presente, perchè essa spiega atti e atteggiamenti della Repubblica che altrimenti non si spiegherebbero se non con ragioni d'opportunismo che ripugnavano alla mentalità mazziniana. « Noi crediamo in Dio, - affermava Mazzini, - in Dio che regge, ama ed educa progressivamente tutta l'Umanità .... Crediamo in Dio, e quindi nella santa teorica del dovere. La vita è per noi una missione ... » ecc. (2). A ta~ proposito però bisogna avvertire che non tutti i repubblicani seguivano Mazzjni in queste idee; la maggior parte, anche di quelli che gli erano fedelissimi in tutto il resto, ne disse.ntivano, pur evitando di porsi contro il Maestro in cosa che sapevano stargli tanto a cuore. Del re- (1) Idem. Vol. XXXIX Politica, pag. 88. (2) Idem, idem, pag. 90-91.

L' U N I V E [I S I T À L I D E R A J07 slo i più, senza curarsi troppo del problep,a di Dio (influenzati com'erano dalle jdee razionaliste e positiviste predominanti allora fra i repubblicani •e rivoluzionari francesi), accettavano però praticamente il concetto, che Mazzini faceva derivare da Dio, che la vita sia una missione di lotta e di sacrificio per il bene e per il progresso dell'umanità e che quindi l'idea del dovere debba essere la molla pl'incipale dell'azione politica e sociale degli individui e delle collettività. Politicamente Mazzini, in questo programma, pres·entava la Repubblica come una cc istituzione educatrice », da cui il cittadino avrebbe imparato cc a intendere la libertà come condizfone di 1,esponsabilità e diritto di scelta fra i mezzi diversi che possono condurre al fine comune; l'eguaglianza come libertà di tutti, condizione di dignità umana e base indispensabile dell'associazione; e l'associazione, come legge dell'umanità, potenza moltiplicatrice di facoltà, di forze, di conoscenza, •e sola normal•e via di progresso». Da ciò deduceva che il ripetere, come molti facevano allora e non pochi anche oggi (e lo stesso ragionamento vale per ogni altro ideale di progresso umano), che prima bisogna pensare a fare i repubblicani e poi la repubblica, cc non è se non uno dei tanti errori politici coi quali i sofisti capovolgono la questione » (1). L'unico articolo, oltre il cc programma>> suddetto, che Mazzini ha pubblicato nell'Italia del Popolo di Roma, uscì in data del 2 aprile 1849. Esso è brevissimo, e cominciava con la ripetiz.ione d'un suo motto dell'anno prima a Milano: cc La guerra regia è finita: cominci, se l'Italia vuol salute davvero, la guerm del Popolo. L'articolo si riferiva, evidentemente, alla· fine della guerra tra il Pi•emonte e l'Austria con la sconfitta di Novara di pochi giorni prima. Questa fine miseranda Mazzini l'attribuiva, ancora ima volta, al fatto che la guerra era stata fatta dal Piemonte più per timore della rivoluzione repubblicana che per amore alla causa unitaria. « La guerra avversata per lungo tempo, tradita la prima volta, ricominciata per l'impulso venuto dall'Italia repubblicana, ha per intento supremo non la cacciata dell'Austriaco, ma la congiura contro il principio democratico rappresentato dal centro » (2). (1) Idem, idem, pag. 93. (2) Idem, idem, pag. 97 e 98. - Con le parole « La guerrn regin è finita; In guerra del pnese incomincil). » Mazzini cominciava nell'agosto 1848, dopo l'occupazione austriaca rli l\lilano, un energico appello slamP.ato alla macchia: Agli Italiani (Vedi Scrilli di G. M. vol. 38°, pag. 213). - In quanto nll'accusa mazziniana che il governo piemontese si giovnsse delln guerra nll'Austria per combnllere la rivoluzione, essa fu ripetuta nel Parlnmento Subalpino dall'on. G. Ferrari anche per la g11e1Ta del 18f>9, in una seduta del 1860; é Cavour, allora ministro, assenlr interrompendo l'orljore con le parole; « È vero! ».

108 L' U N I V E Il S I T À L I Il E Il A Assunto al governo,- nel Triumvirato con Armellini e Saffi, l'opera di Mazzini scrittore s'interrompe (1). Dopo il 2 aprile, il primo scritto che troviamo -di lui in questo volume è un foglietto clandestino rivolto Ai Romani in data 5 agosto 184D, vale a dire un mese dopo la caduta della Repubb1ica Romana, nel quale Mazzini eccitava i cittadini a non CQmpera,re prodotti francesi, - propaganda ch'egli continuo anche per lettera, specie fra le donne, e riprese poco p_H1 tardi con ·un articolo nell'Italia del Popolo (settembre 1849) che ricominciò a pubbJicare, esule di nuovo, sotto forma di rivista a Losanna. Il << rifiuto dei prodotti francesi » - oggr con neologismo in voga si direbbe boicottaggio - doveva essere la protesta degli italiani contro ì'occupazione francese di Roma: « ••• E sia protesta solenne, chè tra gli invasori e gli oppressi è rotto, fino al sorg,c,re della comune libertà, ogni vincolo morale, materiale, economico . Corrotta dall'egoismo e dalle cupidigie· materiali, I.a Francia s'è fatta bottega .... Ferite.i calcolatori nei loro inteil'essi . . » (2) * * * Ma dove la passione ~di Mazzini ed il suo sdegno prorompono è nella difesa ch'egli fa della Repubblica Romana àalle calunnie d'ogni sorta avventate contro di questa, contro i governanti coine contro il popolo di Roma, dagli uomini della politica uffi<:i,ale e della diplomazia francese, in combutta con i diffamatori austro-.papali e con la stampa più reaz.ionaria europea. Varrebbe la pena di ri-esumare, anche per un suggestivo con- 'fronto col linguaggio così simile di certa stampa reazionai·ia più moderna, il torrente di· male parole, di sconce insinuazioni, di irivenzioni 1e più fantastiche, che si rovesciarono durante e dopo il 1849, per alcuni anni - specialmente dopo, perchè la vigliaccheria umana s'accanisce più ferocemente contro gli sconfitti - sugli eroi delle rivoluzioni italiane di quel tempo, e sopratutto sui fatti e gli uomini della Repubblica Romana! Non v'è nefandezza, non v'è prava intenzione,. non v'è delitto che loro non sia stato attribuito . . . · Gli uomini della rivoluzione poco si curarono di· questi sfoghi del rancore e della paura, e lasciarono con disprezzo che. il (1) Mazzini fu eletto membro del Triumvirato, .con gli altri due, dall'Assemblea Costituente romana il 29 marzo. Evidentemente gli scritti per l'Italia del Popolo e forse il giornale stesso, uscito con l::t data del 2 aprile, erano già pronti. Non sappiamo sriiegarci perchè a questo punto dell'Edizione Nazionale la Commissione incnricata non abbia posto gli « Atti della Repubblica Romana» stesi da Giuseppe Màzzini, che quc~ti inserì nel Vol. VII dell'edizione Daelli (1864) e vi occupano le prime 57 pagine. Probabilmente la C_ommissionc ha seguito un criterio diverso, che però non ci fa conoscere nell'introduzione (questa ,·olla un po' troppo sommaria) in cui non accenna affatto n tnli «Alti». Fino a che non ci sin dimostrato il contrario, ·questa omissione ci sembra grave errore. (2) Idem, iclem, pag. 103, •

r,' ~ N I V E n s I T À L I n E n A 109 torrente melmoso facesse il suo corso per esaurirsi in se stesso. Ma quando in Francia, che almeno di nome era ancora una repubblica, alla Camera dei deputati, nelle sedute del 6 e 7 agosto 1849, i due ininistri Tocqueville e Falloux, per giustificare il govet·no dell'assassinio della Repubblica di Roma e delle infamie che gli occupatori francesi continuavan!) a commettervi, osarono far propri,e quelle calunnie e quelle diffamazioni, assumendone la responsabilità ufficiale e ripetendole, dando loro quasi il carattere di accuse di una nazione intera contro una sorella sacrificata e calpestata, allora la nobile voce di Giuseppe Mazzini si levò a far giustizja di tante menzogne, a proclamare la verità. Anche prima, del resto, in forma meno polemica e più espositiva, Mazzini aveva fatto stampare in Inghilterra, nella Northern Star di Londra del 6 agosto, un'altra sua lettera pur essa pubblicata ora per la prima volta al completo in italiano, nella quale ragionava delle cause e conseguenze della Repubblica Romana e ne anticipava la difesa: « Roma è caduta! (così comincia lo scritto). È· questo un grande delitto e un grande errore. Il delitto pesa sulla, Francia; l'errore sull'Europa civile, e sopra~ tutto sulla vostra Inghilterra». Da quest'inizio si comprende che Mazzini, avrebbe desiderato un intervento inglese, sia pure sol- . -tanto diplomatico ma energico, favorevole all'Italia e contro la politica liberticida e papalina della Francia. L'autore dimostra che il governo repubblicaino a Roma rappresentava •effettivamente la volontà della grande maggioranza dei romani e delle popolazioni dello stato pontificio, che i governanti avevano dato prova delle migliori intenzioni di giustizia e di libertà e ch'•erano stati sopratutto umani, tolleranti e longanimi coi nemici, perchè avevano inspirato tutti i loro atti al « principio <li·libertà e di libero consenso, innalzato dall'Assemblea Costituente a un diritto attivo e vivente». Metteva inoltre Mazzini in guardia l'Europa e specialmente l'Inghilterra contro gli effetti del terrore (introdotto in Roma con l'occupazione francese) e della restaurazione papale: « Questo si chiama mettere sul trono la forza brutale .... sostituire la spada e il pugnale alla legge; d·e- . oretare .un.a guerra feroce senza limite di tempo o di mezzi fra ·gli oppressori resi diffidenti per paura, e gli oppressi apbandonati all'istinto della reazione e dell'isolamento. Che l'Europa p.onderi su queste cose ... » (1). La « Lettera ai signori Tocqueville ,e Falloux » sopra accennata riprese gli stessi concetti, ma li sviluppò più diffusamen te e con pa,rticolare riferimento alla Francia. Essenzialmente po1'emica, essa passava in rassegna i fatti romani fin dalla fuga di Pio IX; discuteva punto per punto con appoggio di fatti, di date e di nomi le affermazioni dei due ministri francesi, ristabilendo la verità e sopratutto provando come « l'accusa di (1) Idem,_ idem, pag, 107, pag. 112 e pag. 114.

110 L' U N I V E R S I T À I, I B ERA violenza, di terrore ·eretto in sistema, gittata contro il governo repubblicano » fosse una menzogna smentita dai fatti, e spe- ~ialmente dall'eroica difesa della città contro gli invasori. « on si comanda col terrore l'entusiasmo a tutto un popolo armato! » esclama il ·Mazzini; •e, dalla polemica di difesa passando all•offesa, dimostra come l'esercito f.rancese fosse entrato nello Stato romano con la simulazione e l'inganno, e le sue operazioni di guerra si fossero svolte in continua contraddizione con le d·ichiarazioni del Governo di Parigi e con le promesse alle popolazioni romane. Non è il caso di diffondersi troppo st( questo scritto, del resto assai noto perchè compreso anche in altre •edizfoni italiane, fra cui quella del Daeili. Oramai, ciò che più ha valore, - un valore permanente, - è l'accento, sono le considerazioni morali, la lezione di fi,erezza e di energia che ci viene dalle parole mazziniane. « Uomini senza cuore e senza credenza - grida egli ai governanti francesi conculcatori a Roma del diritto itaJi.rno - ultimi allievi d'una scuola che, incominciando dal predicare e atea dottrina dell'Arte per l'Arte, ha conchiuso nella formula del potere pel potere, voi avete da molto smarrìto ogni intelletto di storia, ogni presentimento dell'avvenire » (1), E dopo av•er di nuovo negata la vitalità del papato, perchè « Roma e l'Italia non perdoneranno mai al papa l'avere,' come nel medio evo, invocato le baionette straniere a trafiggere petti italiani >', con parole piene di malinconia e· d'orgoglio insieme conclude: ,, .•. Voi, Ministri di Francia, avete potenza, oro, eserciti e moltitudini d'uomini pendenti dal vostro cenno; io non ho conforti se non in pochi affetti, e in quest'alito d'aura che mi parla di patria dall' Alpi ... Pur non vorrei mutare la mia sorte con voi. Io porto con me nell'•esilio la calma serena d'una pura coscie11• za ... Ho combattuto e combatterò senza posa e senza p:.1ura, dovunque io mi sia, i tristi oppressori della mia patria, la Menzogna qualunque sembianza essa vesta, e i Poteri che, come il vostro, s'appoggiano a mantenere o ricreare il regno del privilegio, sulla corruttela, sulla forza cieca e sulla negazione del progresso dei popoli; ma ho combattuto con armi leali. .. » (2) .. Quc:sla lettera aperta « Ai signori Tocqueville e Falloux, ì\.Jinislri di Francia » ebbe subi o in quello stesso anno 1849 mclte edizioni in Italia, Svizzera, Francia e Inghilterra. Tradotta in pit'.1lingue, - in Francia fu pubblicata in otto giornali dhersi - s'impuse all'attenzione europea. Le menzogne della diplomazia furc no sfatate; e Mazzini vinse contro di lei una buona battaglia. (1) lclem, iclem, pag. 161. (2) /demJ ide111 png, 166, LUIGI FABBRI.

DIZIONARIOFILOSOFICO Amicizia È un tacito contratto tra· due persone sensibili e virtuose. Dico sensibili, poichè un monaco, un solitario può non essere cattivo, e vivere senza conoscere l'amicizia. Dico virtuose, perchè i cattivi 11011 hanno che dei complici, i voluttuosi hanno dei compagni di dissolutezza, gli interessati hanno degli associati, i politicanti riuniscono dei faziosi, la maggio1' parte degli uomini oziosi hanno delle relazioni, i principi hanno· dei .cortigiani; soltanto gli uomini virtuosi hanno degli amici. Cetego era il complioe di Catilina, e Mecenate il cortigiano di Ottavio; ma Cicerone era l'amico di Attico. A che conduce questo contratto tra due anime tenere ed òneste? Gli obblighi ne sono più forti o più deboli, .secondo il loi·o grado di sensibilità e il numero dei servizi resi. - L'entusiasmo dell'amicizia è stato più forte tra i Greci" e tra gli Arabi che tra. noi. I, racconti sull'amicizia che quei popoli hanno 'immaginato sono ammirevoli; noi non ne abbiamo affatto tli . eguali, noi siamo in tutto un po' secchi. L'amicizia era un punto di religione e di legislazione tra i Greci. I Tebani avevano il reggimento degli amanti: bel reggimento! Alcuni lo han preso per un reggimento di sodomiti; essi s'ingannano ; è prendere l' accessorio per il principale. L'amicizia tra i Greci era prescritta dalla legge e dalla religione. La pederastia disgraziatamente era tollerata dai costumi; ma non bisogna i'mputare alla legge degli abusi vergognosi. Ne riparleremo. Amore Amor omnibus idem. (1). Qui bisogna far ricorso al fisico; l'immaginazione ha ricamato la stoffa della natura. Se vuoi avere una idea dell'amore, guarda i passerotti del tuo giardino; guarda i tuoi piccioni; contempla il toro mentre si conduce dalla giovenca; osserva quel fiero cavallo che due valletti conducono dalla pacifica cavalla che l'attende, e che scosta la coda per riceverlo; guarda come scintilla no i suoi occhi, intendi i suoi nitriti; contempla quei salti, quegli inchini, quelle orecchie diritte, quella bocca che si apre con dei piccoli moti convulsi, quelle narici che si dilatano, quel soffio infiammabile che ne esce, quei crini che si rialzano e ondeggiano, quel movimento imperioso con cui si slancia sull'oggetto che la nl:ltura gli ha destinato; ma non esserne geloso, e pensa ai vantaggi della specie umana: essi compensano in amore tutti quelli che la natura ha dato agli animali, forza, bellezza, !,eggerezza, rapidità. (i). Virgilio, Georgiche, III 1 244.

112 L' U N I V F- R S I 1' À I. I B E R A Vi sono pure_ degli animali che non conoscono affatto il godimento. I pesci squamosi sono privati di questa dolcezza; la femmina getta milioni di uova sulla melma; il maschio che li incontra passa su di essi fecondandoli con la sua semenza, senza p1'eoccuparsi a quale femmina appartengano .. La maggior. parte degli animali che si accoppiano non gusta il piacere che con un sol senso; e <lacchè questo appetito è sod- • disfatto, tutto è finito. Nessun animale, all'infuori di te, conosce gli abbracci; tutto il tuo corpo è sensibile; le tue labbra soprattutto gioiscono di una voluttà instancabile, e questo piacere non appartiene che alla t~ia specie; infine in ogni momento tu puoi abbandonarti all'amore, mentre gli animali non hanno che un tempo indicato. Se tu riflettessi sopra queste preminenze, diresti col conte di Rochester: « L'amore, in un paes,e di atei, fa. rebbe adorare la Divinità~- . Siccome gli. uomini hanno ricevuto il dono di perfezionare tutto ciò che la natura conoede loro, essi hanno perfezionato -anc11e l'amore. La proprietà, la cura di sè, rendendo la pelle più d'elicata, aumenta il piacere del tatto, e l'attenzione sulla propria salute J·ende gli organi della voluttà più sensibili. - Tutti gli altri sentimenti entrano in seguito in quello dell'amore, come dei metalli che si amalgamano con l'oro; l'amicizia, la stima, vengono al soccorso; le doti del corpo e dello spirito sono altri nuovi Iegami. Nam f acit ipsa suis inlerdum f oemina f actis, Moriyerisque modis, et mundo corpore c11ll11, Ut facile insuescat secum vir deyere vilam. (LUCREZIO, libro IV). L'amor proprio soprattutto ristringe questi legami. Ci si compiace della propria scelta, e· le illusioni in folla sono gli ornamenti di quell'opera di cui la natura ha posto le fondamenta. • Ecco ciò che tu hai al disopra degli animali; ma se tu gusti tanti piaceri che essi ignorano, quanti dolori di cui le bestie non ne hanno idea! Ciò che vi è di orribile _per te, è che la natura ha avvelenato nei tre quarti della terra i piaceri dell'amore e l·e fonti della vita con una spaventosa malattia alla qµale soltanto l'uomo è soggetto, che non infetta altro che in lui gli organi della generazione. Questa peste non è, come tante altre, una conseguenza dei no5l.ri eccessi. Non è per niente la sregolatezza che l'ha introdotta nel mondo. Le Frini, le Lais, le Flore, le Messaline, non ne furono punto attaccate; essa è nata nelle isole dove gli uomini vivevano nell'innocenza, e da là si è sparsa nel vecchin mondo. •Se mai si è potuto accusare la· natura di disprezzare la sua opera, di contraddil'e il suo piano, di agire contro le sue vedute, è stato in questa occasione. È questo il migliore dei mondi pos-

L' l' N I V Il R S I T À L I B E R A 113 sibili? Eh che! se Cesare, Antonio, Ottavio, non hanno avuto questa malattia, non è forse possibile ch'essa .abbia fatto morire Francesco I? No, si dice, le cos,e erano ordinate così per il meglio: voglio crederlo, ma ciò è duro. Amore detto Socratico. Come s'è potuto fare che un vizio distru ltore del genere umano, se fosse stato generale, che un infame attentato contro la natura, sia peJ·tanto così naturale? Appare essere l'ultimo grado della corruzione meditata, e nonpertanto è ·il retaggio ordinario di coloro che non hanno avuto ancora il tempo di essere corrotti. È •entrato in cuori, completamente nuovi, che non hanno conosciuto ancora nè l'ambizione, nè la frode, nè la sete I. di ricchezze; è la cieca giovinezza che, per un istinto male spiegato, all'uscire dall'infanzia si precipita in questo disordine. L'inclinazione dei due sessi l'uno per l'altro si manifesta di buon'ora; ma, quel che si sia detto delle AITricane e delle donne dell'Asia meridionale, questa inclinazione è generalmente pili forte nell'uomo 'che nella domia; ·è una legge che ·la natura ha stabilito per gli animali. È sempre il maschio che attacca la femmina. · I giovani mas~hi della nostra specie, allevati insieme, sent•endo quella forza che la natura comincia a manifestare in loro, e non trovando l'oggetto naturale del loro istinto, si gettano su ciò che gli somiglia. Spesso un giovinetto, per la freschezza della sua pe-Jle, per la vivacità dei suoi colori e la dolcezza dei suoi occhi, somiglia durante due o tre anni ad una bella ragazza; s,e lo si ama, è perchè la natura si sbaglia: si rende omaggio al sesso, attaccandosi a ciò che ne ha le bellezze, e, quando l'età ha fatto svanire quella rassomiglianza, l'inganno cessa. Citraque juvenlam Aetalis breve ver et primos carpere f lores. (OVIDIO, Metamorfosi). Si ·sa bene che questo abbaglio della natura è molto prn ,comune nei climi dolci che n•ei ghiacci del settentrione, perchè il sangue vi è più acceso, e l'occasione più frequente: così, ciò che non appare che come una debolezza nel giovane Alcibiade è una disgustante abbominazione in un marinaio olandese e in un vivandiere moscovita. ' Io 110·11 posso tollerare la pretesa che i Greci abbiano autorizzato_ questa licenza. Si cita il legislatore Solone perciò Gh'egli ha detto in due brutti versi: Tu preferirai un bel giovinotto - fintanto che non avrà barba sul mento. Ma si può credere in buona fede che Solone fosse legislatore quando scrisse questi due ridicoli versi? Egli era giovane allora 1 e, quando lo sregolato di-

114 ,.' u N I V E n s I 1' À L I ll E n A venne saggio, non mise affatto- una tale infamia tra le leggi della sua repubblica; è- come se si accusasse Teodo,ro di Bezo d'aver predicato la pederastia nella sua chiesa perchè, in gioventù, fece dei versi per il giovane Candido, e perchè dice: Amplector hunc et illam. Si abusa del testo di Plutarco, il quale, nelle sue chiacchiere, al Dialogo dell'amore, fa dire ad un interlocutore che le donne non sono degne del vero amore; ma un altro interlocutore sost.icne invece come si deve il partito delle donne. È certo, per quanto può esserlo la scienza dell'antichità, çhe l'amore socratico non era punto un amore infame: è questo .nome di amore che ha ingannato. Ciò che si chiamava gli amanti di un giovanotto erano pPecisamente ciò che sono fra noi i paggi dei nostri principi, ciò che erano i fanciulli d'onore,. dei giovinetti addetti all'educazione di un giovane titolato, condividendo gli stessi studi, gli stessi lavori militari: istituzione guerresca •e santa di cui si abusò come delle. feste notturne e delle orgie. La compagnia degli amanti istituita da Laio era una schiera invincibile dr giovani guerrieri ingaggiati con giuramento a dare la loro vita gli uni per gli altri; ed è ciò che di più bello ha mai avuto la disciplina antica. Sesto Empirico •ed altri hanno un bel dire che la pederastia era raccomandata dalle leggi ·della Persia. Ch'essi citino il testo delle leggi; che mostrino il 'Codice dei Persiani, e, se essi lo mostrano, io non lo cr•ederò .ancora, dirò che la cosa non è vera, per la :ragione che essa è impossibile. No, non è nella natura umana il fare una legge che contraddice e che oltraggia la natura, una legge eh~ annientePebbe il genere umano se fosse osservata alla lettera. Quanta gente ha preso per leggi del paese degli usi vergognosi tollerati in un paese! Sesto Empirico, il quale dubitava di tutto, doveva dubitare pure di quella giurisprudenza. Se vivesse ai nostri giorni, e vedesse due o tre giovani gesuiti abusa:r,e di qualche scolaro, avrebbe egli il diritto di dire che quel sollazzo è loro permesso dalla costituzione. d'Ignazio di Lojola? L'amore dei giovanotti era tanto comune a Roma che non ci si pPeocc_upava di punire una tale inezia nella quale tutti incappavano spensieratamente. Ottav10 Augusto, questo omicida sregolato e poltrone, il quale osò esiliare Ovidio, trovò bellissimo che Virgilio cantasse Alessio e che Orazio facess,e delle piccole odi per Ligurino; ma l'antica legge Scantinia che proibisce la pederastia, sussisté s-empre: l'imperatore Filippo la rimise in vigore, e cacciò da Roma i giovinetti che si prostituivano per mestiere. Infine io non credo che vi sia mai stata nessuna nazione civile che abbia fatto delle leggi contro i costumi. VoLTAIRE.

Un capitalista moderno Vi è chi sostiene che Henry Ford è un incolto e che il libro che qui intendiamo commentare non è stato scritto _da lui. Questo potente industriale nord americano, secondo costoro, non sar-ebbe altro che un fortunato che oggi vuol approfittare della sua fortuna pÙ impancarsi a genio e dettar leggi di esperienza commerciale e di successo a tutto il mondo. Non ci sono forse i giornali umoristici del Nord America che usano schizzettare questo re dell'industria automobilistica mentre legge il giornale capovolto? Tutto questo, però, non ha per noi grande interesse perchè intediamo semplicemente osservare l'uomo e la sua opera come risultano dal libro, e commentare. Henry Ford è un capitalista moderno, esponente tipico e ge-· niale di una fonna mentis che, ·data l'origine, può dirsi avanzata, forma mentis che invece di limitare la visione della vita economica e sociale dentro angusti confini di gretto conservatorismo, spinge lo sguardo più in là per abbracciare campi sempre più vasti. Nato nel 1863, oggi non può più essere elencato nei giovani, ma l'opera sua venne iniziata negli anni rosei e progredì attraverso una tenace attività costruttrice: da agricoltore a piccolo meccanico a ingegnere a grande industriale. Positivista per eccellenza, non si è mai_ lasciato trascinare nel mondo dei sogni astratti; padrone di una enorme forza di volontà, s'è fissata una mèta, I.'ha perseguita e l'ha raggiunta. Oggi pll;Òcantare vittoria ed il suo nome corre per tutto il mondo. Certamente il suo « concetto di lavoro » non collima con quello di moltissimi industriali del mondo latino. L'industriale latino è ancora .legato alla vecchia tradizione feudalista, vede il mondo chiuso ·dentro i confini della sua azienda e giudica che lo scopo della sua azienda non è che quello di guadagnare: guadagnare molto e col 1ninimo sforzo. Perciò non disdegna la speculazione. · · Henry Ford si stacca nettamente da questi principi. Egli sostiene che lo scopo principale di qualsiasi lavoro è quello di render dei servigi ai propri simili: l'umanità ha molti bisogni da soddisfare, ed il lavoro di tutti ha appunto lo scopo di soddisfare questi bisogni. Pei'ciò, secondo il Ford, la specul~z.ione non è lavor_o: la speculazione non rende dei servigi ai propri simili, ma rende diffici1e lo scambio e la distribuzione dei prodotti a danno dei produttori e dei consumatori. L'industriale latino ama accovaciarsi pigramente sotto le ampie ali dello Stato. C'è una crisi? una difficoltà? uno scoglio da superare? Provveda lo Stato. Cosi si forma e va consolidandosi lo Stato paternalista col suo pesante bagaglio ·ai favoritismi e di protezionismo. Ford, invece, è. liberista: scopo dello Stato non è quello di fare o di proteggere degli affari: lo Stato pensi alla sua funzione politica ed il cittadino pensi alla produzione. D1altronde·

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==