86 L' U N I V E R S I T À L I B E R A - .,. creatura ed al mondo. V'è per lo scienziato qualcosa di più sacro dell'amore individuale: è il flusso, il riflusso e il progresso della vita. Non si deve esser vili dinanzi alla morte. Gli stoici non credevano nell'immortalità eppure han sempre consigliato di affrontare la morte ed il dolore della morte con animo tranquillo; com'è naturale che un fragile vaso si spezzi, così è fatale un uomo mortale muoia. Ma Guyau crede nell'immortalità e perciò sale più in alto degli stoici e dice: Non esser vile dinnanzi alla morte perchè la morte genera la vita. La morte offre due consolazioni al morituro: quella di poter contempla,re la vita trascorsa giudicando d'averla spesa bene e quella di varcare la soglia dell'ignoto per conoscere ciò che è, ·dopo la nascita, la novità piil misteriosa della vita individuale. La morte ha il proprio segreto, il proprio enigma, e si conserva la vaga speranza che' essa ce ne dirà la spiegazione, per ultima ironia, travolgendoci; spiegazione che i morenti intravvedono, secondo l'antica credenza, si che i loro occhi non si chiudono che nel fulgore di un lampo. Il nosll'o estremo dolore sarà cosi anche la nostra estrema ricerca. Abbiamo detto che il Guyau ha ragionato sulla morte mentre questa lo chiamava a sè, e sarebbe interessante, se lo spazio lo consentisse, riportare qui le pagine dell'Abbozzo d'una Morale. a quella di La Fede nell'Avvenire in cui l'autore, con tocchi mirabili, descrive le sensazioni che si provano quando la morte ci si avvicina lentamente. Sgomento, spe,ranza, accasciamento, ribellione, salite alle stelle, discesa negli abissi ... Infine una muta accettazione. Eppure non si deve esser vili: bisogna intuire la realtà, affermare lo svolgersi dell'infinita catena della vita. L'at- ' limo della morte arriva, ed il morto, afferrato e travolto nel gran turbine dell'evoluzione, continua la vita nell'eternità. A questo punto un oceano cli pensie1:i turbina nella nostra mente. Ecco la « fine del dolore» cli Buddha: "Esiste, o fratelli, quella Dimora ove invero non v'è nè terra, nè acqua, nè fuow, né aria, nè regno, nè primo mondo degli Dei informi, nè secondo mondo degli Dei informi, nè terzo mondo degli Dei informi, nè quarto mondo degli Dei informi,, non questo mondo, nè il mondo avvenire, nè sole nè luna. Ciò, o fmtelli, io non lo chiamo llè venire, nè andare, nè star ritto, nè cadere, nè alzarsi. Senza fondamento imnmtabile, al di là degli oggetti dei semi-sensi invero è quello. Questa, in verità, è la fine del dolore». Ecco l'annientamento della « volontà di vivere ,ì dello SchopenhaHer: « Noi riconosciamo volentieri che eia che resta de'/la completa abolizione della volontà non è asso'lutamcnfe per quelli che sono ancora pieni del voler-vivere. Ma per quelli pr.r i quali la volontà è negata, il nostro mondo reale coi suoi soli e la sua via lattea, che cosa è? Nulla ». ,,
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