L'università libera - n. 3 - marzo 1925

L'UNIVfRSITÀ LIB[RA IOVIST A MENSILE DI COLTURA SOCIALE N. 3 - i\Iarzo 1925 - l\lILA '0 - Viale ;\lonza 77 LA RIFORMADEL CALENDARIO Sotto questo titolo si sogliono tratta,re le questioni relative alle riforme più o meno profonde che si vorrebbero introdurre ·nel computo del tempo. Ma tale titolo non rispecchia fedelmente il tema, inquantochè non una sola ma parecchie sono le riforme in discussione, epp_pi non si tratta, o non si dovrebbe trattare, (e del ,i ma « dei » calendari, dal momento che si vuol fare - e giustamente - una questione internazionale, sottoponendola alla Società delle Nazioni. Precisiamo, dunque, i termini del {.roMema, eh~ come in matematica, quando un quesito è ber'ie 'intavolato, è più facile comprenderlo e risolverlo. Anzitutto non si deve, o non si dovrebbe. che occuparsi del lato astro-cronologico della questione, eliminando completamente tu!to quanto si •riferisca a feste o ricorrenze nazionali, politiche o religiose (Pasqua, Pessah. Tensaè, Ramadan, ecc.), poichè, qualnnque fosse per riuscire il. calendario definitivo, sarebbe _sempre possibile ... infiorarlo di feste rosse o nere, bianche o verili, gialle od azzurrè, a seconda dei casi, dei costumi e dei gus~i tradizionali dei vari popoli. Secondariamente noi riteniamo vane ed inutili tutte le proposte tendenti a ritoccare un solo calendario -:- per esempio, il gregoriano - per jmporlo a tutto il mondo. Sono progetti senza seguito, palliativi senza effetto, mentre occor,re una cura radicale con criteri cosmopoliti; occorre sostituire a tutti i calendari· ancora vigenti un calendario cc unico ,i per tutti i popoli cosidetti civili, sì che il giusto titolo di questo articolo sarebbe: cc Il Calendario unico», oppure « L'unificazione dei calendari i,, od anche - con iperbole oggi troppo abusata - « Il Calendario universale>>, Crediamo poi che siano destinati a fallire tutti quei •progetti che vorrebbero sostituire la cc settimana » con altri periodi (cùme pentadi, decadi, ecc.) od intercalarvi dei giorni extrasettimanali, allo scopo di far sempre cadere le stesse date in giorni omonimi. Non neghiamo i vantaggi - però assai relativi - di quest'ultima proposta, ma quando consideriamo che la settimana, l'ebdomada (a parte la sua favolosa origine biblica) è l'trnico periodo cronologico a noi pervenuto senza alcuna i - •

66 L' U N I V E R S I T À L I LI E R A terruzione attraverso una sessantina di secoli, noi non riteniamo si possa facilmente rinunziare (come fece la Rivoluzione francese, sostituendovi la decade) ad un elemento di controllo che v;mta una così vetusta continuità e che si adatta benissimo alle esige1ize sociali del lavoro e del riposo. · L'ANNO TROPICO. Anche per quanto iiguarda la durata dell'anno noi non troviamo giustificata alcuna riforma che introducesse durate diverse da 365 o 366 giorni. Infatti, l'anno «tropico», o ciclo delle stagioni, comprende: giorni 365, 2422 = 365 g. 5 h. 48 m. 46 s. durata che può ritenersi come fissa, inquantochè non diminui..: sce che di mezzo minuto secondo per secolo, ossia di un minuto primo in 12.000 anni. · Se la durata dell'anno tropico fosse esattamente di giorni 365,25 = 365 g. 6 h., ossia 365 giorni ed un quarto, sarebbe chiaro che, facendo costantemente, dopo tre anni comuni di 365 giorni; un anno bisestile di 366, si tornerebbe, ogni 4 anni, in perfetta coincidenza colle stagioni (alle medesime date, cioè, di quattr'anni prima o dopo), ma quella differenza di circa 11 minuti primi (l'approssimata « centesma » di Dante, Par. X.XVII) complica siffattamente le cose da dover sopprimere tre bisestili secolari ogni 400 anni (infatti, il 1700, 1800 e 1900 furono comuni, mentre il 2000 sarà bisesti.le), eppoi si potrà sopprimerne un altro verso l'anno 3200. Come vedesi, questo sistema di correzioni - detto gregoriano, ma suggerito dal medico calabrese Luigi Lilio - è abbastanza semplice ed esatto, e non richiede affatto urgenti riforme, ragione per cui noi già ... cantammo (nel « Calendario mnemonico» pubblicato nell'Almanacco per tutti del 1918): Il vecchio Calendario ha l'ossatura solida, e lunga avrà vita futura. Ma ... vedremo più innanzi il resto. RIFORME RAZIONALI. Tutto c10 che si potrebbe e dovrebbe riformare nell'attuale cronologia per stabilire un « calendario unico, mondiale » non è dunque tanto nella parte sostanziale quanto in quella formale, perchè si tratterebbe delle seguenti convenzioni: 1) inizio dell'anno civile (capodanno) in uno dei punti c_a,rdinali dell'anno tropico (equinozi e solstizi), e preferibilmepte all'equinozio di primavera dell'emisfero boreale (che attualmente avviene al 21 marzo) perchè il nostro emisfero è il più continentale, il più popolato e la culla di tutti i calendari vigenti.

L' u N I V E n s I T À L I B E n A 67 2) distribuzione più razionale dei giorni nei vari mesi, in modo da ottenere trimestri più concordanti colla durata delle successive stagionì. 3) abolizione completa delle attuali denominazioni mensili,. strana accozzaglia di mitologia (Gennaio, Febbraio, Marzo, ecc.), di esaltazioni personali (Luglio ed Agosto) e dì assiduità aritmetiche (Settembre, Ottobre ecc), nonchè della voce «,bisestile», anch'essa anaoronistica, come i nomi dei giorni settimanali, che pure andrebbero cambiati. . 4) nuova enumerazione degli anni, in modo da comprendere nella stessa éra storica, od umana, o sociale che dir si voglia, tutti i tempi storici, senza l'incomoda distinzione -di anni av. C. o dopo C., che non sarebbe accolta dai cosidetti... infedeli, assai più numerosi dei fedeli. . Come vedesi, volendo giungere -ad un calendario «unico» le questioni da risolvere non sono poche nè tutte ... liscie. Alcune sono tali da toccare, se e.on proprio urtare, la suscettibilità e le tradizioni dei popoli che dovranno discuterle, e quando si pensa per es., che l'Inghilterra non ha voluto ancora adottare il sistema metrico decimale - di utilità pratica tanto evidente - vi ·è poco da sperare in una « prossima » unificazione dei calendari, e forse neppure nelle riformette attualmente in esame presso la S. D. N., che finirà per dichiarare la propria incompetenza (stante le puntigliose rivalità dei delegati cristo-mosaici) anche sulla vessata questione di stabilizzare la Pasqua, che noi consideriamo estranea alla questione principale del calendario unico, tanto più quando non si tocchi il ciclo settimanale. PROPOSTE ... BARONICHE. Comunque, ecco quale sarebbe il nostro parere sull'istituzione di un « calendario unico»; potevamo benissimo· chiamarle: proposte platoniche, anzichè ... haroniche, ma è lo stesso. L'anno in cui la rifoma fosse introdotta dovrebbe cominciare col giorno dell'equinozio di primavera per l'emh,fero boreale, corrispondente a quello dell'autunno australe. Naturalmente bisognerebbe prolungare l'anno precedente (l'ultimo del vecchio stile) fino al 20 marzo successivo, cioè risulterebbe (111 anno di 14 mesi e 20 giorni, precisamente come l'« anno di confusione » - il 44 av. C. ch'ebbe 445 giorni - reso necessario per effettuare la riforma ordinata da Giulio Cesare. Sul punto 2°) osserviamo che, e~sendo le durate delle stagioni astronomiche così distribuite: Primavera boreale (Autunno australe) = fl2 g. 20 h. Estate » (Inverno » ) = 93 » 15 » Autunno » (Primavera » ) = 89 » 19 » Inverno » (Estate » ) = 89 >) O ,,

68 L' U N I V E R S I T À L I B E I\ A si potrebbero fare i sei primi mesi tutti di 31 giorni e gli altri sei tutti di 30 (negli anni bi&estili o, meglio, intercalari o quartali), mentre nei comuni l'ultimo mese avrebbe sempre 29 giorni. Quanto al punto 3°) i nuovi nomi dei mesi potrebbero formarsi con voci o fadici greche o latine, o magari esperantiste, purchè applicabili senza le attuali contraddizioni (nè quelle maggiori del Calendario repubblicano francese) ad entrambi gli emisferi; oppure con voci convenzionali, senza significato proprio, ma includenti le successive posizioni del Sole rispetto all'equatore. Qui v'è, davvero, un vasto campo di '" .. sbizzarrimento, e per dare un'idea-guida abbiamo escogitato il seguente esempio, che puzza di ... puzzle, lietissimi se esso suggerirà, com'è ·possibilissimo, soluzioni più geniali. Siano: R l'equatore, N il solstizio nord, S il .solstizio sud, ed A-E-I il primo, secondo e te-rzo mese d'ogni stagione o trimestre. Con tale convenzione, abbastanza mnemonica, si possono combinare i seguenti monosillabi nomenclatori dei 12 mesi, inclu,denti nettamente le vosizioni mensili del Sole senza allusioni ai caratteri meteorologici stazionali, che non si adatterebbero che ad un solo emisfero: I trim. Il ll'im. Ili trim. IV trim. 1° mese RA~ AR RAS SAR 2· ' )) REN NER RES SER 30 )) RIN NIR RIS SIR A questo punto ci sembra già di vedere i nostri lettori in atteggiamento ... sorridente, ma - pur lontani dal proporre _seriamente la nostra trovata esemplificante - li preghiamo, prima di accentuare il sorriso, di rammentare la stranezza dei nomi dei mesi ·ebraici, maomettani, etiopici, cinesi, ecc., riflettendo che quelli occorrenti per il Calendario unico internazionale non possono preferire una all'altre lingue vive, ed anche volendo noi potrebbero, risultando da combinazioni letterali includenti ·le successive posizioni solari. Del resto, l'attento leltore ha già capito il meccanismo di quella strana nomenclatura monosillabica: RAN? Primo mese (A) del primo trim·estre poichè il Sole va dall'equatore R al solstizio nord ( ) ; SER? Secondo mese (E) del quarto trimestre· N poichè il Sole va dal solstizio sud (S) verso l'equa~ R, R quatore (R), ecc. Capirete ancor meglio le ~ombinazioS ni disponendo le lettere principali (R, N, S) in forma di croce, come qui allato, e girando da destra verso l'alto nel senso di R, N,.R, S, R, ed intercalando mentalmente, fra ogni coppia, le ordinali mensili A, E, I.

L' U N 1 V E R S I T l L I B E R A 69 LA NUOVA<< ERA STORICA». Sul quarto punto - che farà scandalizzare ì soliti timorati - osserviamo subito che, nè siamo ben sicuri dell'anno in cui Cri1sto sarebbe nato, nè i .Papi furono gran che favorevoli all'adozione dell'Era Volgare proposta da fra Dionigi nel VI secolo, preferendo contare gli anni del loro pontificato, anzichè quelli del ,regno di Cristo. Tuttavia, per non. sovvertire tutte le date oramai cpnsacrate dall'uso più che millenario, e quindi per non ingenerare confusionismi cronologici, noi proponiamo la rotonda aggiunta di 5000 anni alla data dell'E. V., sì che, per es., la scoperta dell'America risulterebbe nel 6492, mentre il corrente 1925 diverrebbe il 6925; la data òella fondazione di Roma secondo Varrone (753 av. C.) sarebbe sostituita dall'anno 4247, ecc. Qualche astronomo potrebbe osservare che~ abbÌ.amo ~ià il Periodo Giuliano, che si fa cominciare convenzionalmente nel 4713 av. C., per cui il corrente 1925 equivale al 6638 del Periodo Giuliano, ma, come ognun vede, la sua adozione nella cronologia storica usuale ci obbligherebbe a cambiare tutte le cifre annuali dell'Era, Volgare, mentre colla nostra proposta non muterebbe che la cifra delle migliaia senza possibilità di equivoci. PROGETTI DIVERSI. Molte proposte si debbono agli ecclesiastici ab. Mémain, p. Cesare Tondini, p. Giuseppe Lais, prof. Botto, ecc. - ma poichè esse hanno specialmente di· mira la più ristretta mobilità, o addirittura la fissazione, della Pasqua, nonchè l'aécordo del calendario giuliano (russo) col gregoriano, non interessano gran. che la questione più vasta del calendario onico. Tra i molti altri progetti meritano speciale menzione quello di G3:ston Armelin (1887) poi modificato dal Flammarion, e ridotto, nel 1922, a questa misera cosa: capodanno ·e nomenclatura come adesso, Pasqua fissata al 7 aprile, trimestri eguali di . 30+30+31 giorni, comincianti in lunedì, coll'aggiunta, dopo il 31 dicembre di 1 (negli anni comuni) o di 2 gior·ni (nei bisestili) fuori della settimana e persino della numerazione! Roba ... da chiodi per un astronomo, ma è di quelli - a parte i di lui meriti volgarizzatori - che sostennero anche l'assurdità dell'ora estivai Il russo Glasenapp, come già l'inglese Denison, vorrebbe si facesse la soppressione di un bisestile ogni 128 anni, ·ed il serbo Trj scovitch vorrebbe bisestili quegli ·anni secolari eh.e, diyisi per 9, danno per resto zero oppure quattro. Giochetti in_uti_li.,e non r~forme, sono siffatti conteggi, che vorrebbero soshtmrs1 alla facile, elegante, mnemonica correzione gregoriana (o meglio liliana) rispetto agli anni secolari.

70 L' U N I V E R S I T•À L I B E R A Nel 1900 il ginevrino L. A. Grosclaude propose un cosidetto «· Calendario invariabile » a trimestri eguali di 30 +30 + 31 giorni, chiamando jour de l'an il 365° giorno, fuori della settimana, ·come le jour bissextile dopo il 31 giugno. Vale lo stesso commento fatto al Calendario « razionale ( ?), perpetuo ed universale » del Flammarion, però colle attenuanti, mancando al Grosclaude la qualità di astronomo. La stessa accoglienza merita il recente progetto (prossimo parente del ginevrino) del torinese Giuseppe GaUeano, con trimestri di 31-f-30-f-30 giorni, più un ottavodi dopo il 30 dicembre, ed un altro, nei bisestili, dopo il 30 giugno, entrambi fuori della settimana. Questo progetto fu preséntato e - si dice, ma .... lasciamoli dire - preso in considerazione dalla S. D. N. · E finirò coi progetti !ccennando a quello - pubblicato nel n. 3 del nos.tro Astrofilo, luglio 1900 - del compianto amico prof. Gentile Pagani, già direttore dall'Archivio storico di Milano, il quale, sfidando ogni pregiudizio, propose, oltre al cambiamento della barocca nomenclatura, l'anno diviso in 13 mesi di· -1 setti.- mane (28 giorni), ciascuno, coll'ultimo di 29 (e 30 nei bisestili) rispettando però il corso delle settimane. L'idea è buona e merita più considerazione di tante altre. ALTRE RIFORME. Sicuri, come siamo, che la questione del Calendario unico sarà risolta insieme a quella della pace mondiale, noi non abbiamo inteso, con questo scritto, che di mette,re il curioso lettore al corrente del problema senza intenzioni propagandiste ... Siamo anche sicuri, e. questo Io diciamo seriamente, che assai prima della riforma calendaristica avremo certamente la ci riforma oraria mondiale», cioè l'Ol'a unica od univel'sale,, comune a tutti i paesi del globo terrestre ed a tutte le navi in tutti gli oceani. · Questa riforma - che noi propugnamo da trent'anni,. cloè da quando combattemmo, per essa, contro l'imperfetto sistema dei cc fusi orari » - è oggi ,resa necessaria, anzi addirittura imposta dall'enorme sviluppo della radiotelegrafia che rende quasi istantanee le comunicazioni anche cogli antipodi; e quindi mettendo sempre più in stridente rilievo le differenze orarie tra pa-ese e paese. Che poi il meridiano fondamentale dell'ora unica rimanga quello di Greenvdch, o sia un altro più gradito alla maggioranza delle nazioni, è questione secondaria; l'essenziale l che se ne sèelga uno appropriato e degno della grande fungione di regolatore mondiale del tempo. Da oltre un secolo si va proponendo anche la riforma della divisione decimale del giorno, collegandola colla divisione centesimale dell'angolo retto. Già· Laplacc, Lagrange (poi seguìti da Ignazio Porro, e recentemente dal Cusani, dal. Raddi, dal Sa!,

L' u N I V E n s I T À t. I n E n A 71 mojraghi, ecc.) adottarono nelle loro opere (trattati e strumenti) la divisione della circonferenza in 400 parti o gradi, ~ questi in decimi, centesimi, ecc. Altri vorrebbero il giorno diviso in 10, o 20, o 30, o 40 ore con corrispondenti multipli angolari, ma per il fatto che queste cifre hanno meno divisori del 24 e del 360, assai difficilmente troveranno largo consenso, tanto più che, se pur hanno qualche vantaggio tecnico, non offrono evidente utilità pratica. .. Un'altra riforma parimenti desiderabile - e già suggerita da Giordano Bruno e da Quirico Filopanti - è quella del Cielo, che va spazzato da tutto quel bestiame, quelle fiere, quei mostri, quei rettili (anche lassù! ... ) che deturpano, sulle carte celesti, la bellezza e la chiar.ezza delle naturali ·costellazioni. Se, infine, stesse in noi decidere su tutto quanto riguard:;t il Calendario, faremmo, insieme alla riforma da noi preferita, un'altra ... riformetta concernente le principali festività, già accenata, nel nostro « Calendario mnemonico » succitato, coi seguenti . . . versacci: ... se volete andare avanti del Calendario attuai cambiate santi, coprite d'altri martiri le date, alla Ragione il Capodan sacrale, alla Giustizia la Natività e la Risurrezione a Libertà. Noi siamo troppo vecchi per assistere al trionfo di siffatti ideali, ma vorremmo che almeno lo potessero i più giovani fra i nostri lettori: è un augurio di lunga e barbuta longevità ... ISIDORO BARONI. In preparazione: PAOLO GILLE Professore all'Istituto degli Alti Studi del Belgio Abbozzod'una Filosofia della Dignità umana Prima edizione italiana a cura di L. FABBRI Introduzione: IL SOFISMA ANTJ-IDEALISTA DI MARX. Prima parte: IL PROBLEMA DELLA LIBERTA'. 1. Il problema. - 2. I fondamenti cosmologici della libertà - 3. FisioIogia del progresso -- 4. Libertà e solidarietà - 5. Conclusione: La forza morale e la libertà. Seconda parte: ANARCHIA O AN-ARCHIA. 1. Pragmatismo o umanismo - 2. Il magistero della ragione - 3. L'avvento del diritto umano. Terza parte_: L' INTEGRAZIONE UMANA. 1. ConsWerazioni preliminari - 2. L'autonomia - 3. La sociabilità - 4. La giustizia umanitaria - 5. Conclusione -- Il regno umano. Conclusione: PROPOSIZIONI FONDAMENTALI D'UNA FILOSOFIA DELLA DTGNITA' UMANA.

PENSIEROE VOLONTA' Lo. sviluppo spirituale della società dei tempi nostrr non· ·corrisponde ai giganteschi progressi del pensiero scientifico e della cultura tecnica, al fervore di vita che accelera il ritmo dei 1;ap- .porti sociali, e vince sempre più gli elementi e giunge ad una quasi completa conquista dello spazio. L'appello alle attitudini eroiche, il culto del Super-Uomo, è l'inno alla giovinezza, alla g\oia, all'amore del vecchio impotente e catarroso; è il panegirico del. • sedentario in onore dell'alpinismo. Ed è, anche, l'elogio dell'Ideale tessuto dal retore gretto ed affarista. Contrasto tra Il sogno e la potenza di .realizzarlo, pur nella limpidezza della rappresentazione, pur· nell'intensità del desiderio; contrasto tra l'a.ccademica abilità nell'ordire disegni e formulare propositi e l'inazione abulica; retorica falsa di chi non ha visioni di altezze nè battito d'ala, e pur sull'eterno fascino dell'Ideale intesse, per• irretfre consensi. Scarsa affermazione degli ideali della vita; mancato potere di esecuzione. Lo scetticismo svaluta i ·fini ideali; lo storicismo fa ài essi gioco indifferente di alterne vicende, a giudicar le quali basta il criterio del successo; e l'anima odierna, esaurentesi nel fervore dell'attività del giorno per giorno e trascinata dagli allettamenti esterni, giustifica la propria abulia con le necessità del realismo, unilateralmente analitico nel pensiero e piattamente accomodante nella pratica. Il prevalere della ragione sul sentimento toglie alrazione spontaneità ed interezza. Ogni cqntenuto di vita ha un alone d'indeterminatezza, ogni generosità è un. po' assurda, ogni azione eroica è un po' folle. Una relativa cecità è necessaria per vedere la luce del sublime. La riflessione può illuminare l'azione, chiarire l'obiettivo e tracciare la direzione; ma, rag riunto il limite di saturazione, la riflessione deve obliarsi nello scoppio o nèl ritmo dell'azione che è, essenzialmente, spontaneità, immediatezza. « L'intelligenza deve - come dice L Petrone - ridiventare natura». Non abbiamo che pochi maestri di vita, fra tanti maestri di dottrina, perchè l'azione è il prodotto massimo dell'unificazione, e il processo di sintesi è ostacolato, deviato dall'analisi, sterile perchè abulica anche come speculazione. E mancano i caratteri. Il che vuol dire che il cuore batte poco in molti e che la mente di molti non è sicura di sè. Frequente · è il mutare delle vesti politiche, letterarie, religiose, e gli uni giustificano i mutamenti con le ragioni del cuore e gli altri con ·gli imperativi del pensiero. La realtà è che il sentimento è in molti effervescenza, sentimentalismo epidermico. La verità è che manca a molti la possibilità della sintesi speculativa, che permette la stabilità ideologica e la resistenza volitiYa. Le crisi spirituali di oggi! Dagli abissi del Pascal agli affari editoriali del Papini. È il pensiero che arrugginisce la molla della volontà, o il pen-

L' U N I V E R S I T À L I B E R A 7S siero e Ja voJonta decadono insieme per l'azione corrosiva de]la vi la? Ecco i nemici del secolo XVIII a schernire il razionalismo ed adagiarsi nello scetticismo che sbocca nella filosofia deJl'autorità o nel pragmatismo che sbocca nello storicismo alla Guicciardini o nel cattolicismo de]la Restaurazione. La crisi spirituale di oggi è una crisi di volontà. Stanchezza del pensiero, che si chiama e si giustifica come crisi deJla scienza, fallimento deJla ragione, ecc. . L'Illuminismo ha errato come educazionismo, ma affermando un intimo rapporto tra il pensiero e la volontà ha visto bene. La libertà non è che_ il potere di obbedire alla ragione, che è base di ogni progresso individuale e collettivo. La libertà si fa interna, cioè diviene, solo vincendo gli istinti, gli impulsi, le passioni, cioè l'irrazionalità. Non vi è divorzio pos::.ibile. in senso assoluto, tra pensiero e volontà. Ognuno di noi trova, come il Racine, due uomini in se stesso, e potrebbe dire con S. Paolo: <e il bene che io voglio, io nol fo; ma il male che io non voglio, quello fo ». Ma quel voglio sta per vorrei. Poichè se volessimo realmente agiremmo conformemente al nostro desiderio di azione. E noi vorremmo, cioè agiremmo, se l'idea fosse intera, fos5e non uno schema, ma un'idea-forza, ossia un'idea talmente viva da t.rasmutarsi, necessariamente, in atto di volontà vera: in azione. Quali siano i rapporti tra l'intelligenza e la volontà, dal lato genetico, lasciamo agli p icologi ed ai fisiologi stabilire, poi<-h,~la comparsa e lo sviluppo di questi due modi dell'essere psichic0 si compiono: Come precede innanzi dall'ardore, Per lo papiro suso un color bruno, Che non è 11ero ancora, e il bianco more. Ma se lasciamo l'intelligenza ed il volere nel profondo seno deJl'indistinto psichico, possiamo consta tare, quando la determinazione si effettua nella successione: Penso, voglio, agisco, che non vi è volontà senza pensiero, e che la volontà è libera solo in quanto coscienza di sè. Il bisogno muove gli animali in una sfera rigida, mentre l'uomo è mosso da bisogni sempre maggiori. Egli vede il meglio, e, se ha la gioia del possesso, a quella subentra presto per lui la noia, sì che egli non si acqueta. Nell'uomo, quella tendenza allo sforzo che si riscontra anche negli animali, assume forme sempre più complesse; dall'irritarsi del fanciullo contro il suo compagno di giuoco che non sa nascondersi o corre non abbastanza forte, all'adulto che affronta il mare o il deserto o la montagna per la g'ioia di dominare la natura, cioè di superare sè stesso. Mentre gli uccelli amano andare conlro ,ento e i pesci risalire la corrente, l'uo1:no sviluppa questa 'inquietudine biologica fino a crearsi gli ostacoli o a cercarli. E la sua gioia è proporzionata allo sforzo

47 L' (; N I V E R S '1 T À L I B E R A compiuto per.raggiungerla, ed il dolore è dato dalla coscienza della propria impotenza a dominare il passato, la morte, la natura, la vita. E la sua vita morale consiste nella possibilità della coscienza del dover essere anteposto all'es~ere, sovrapposizione, contrasto dal quale scaturisce la volontà etica e sj determina il valore. È la ragione che condiziona e potenzia la volontà. Il pazzo che ripete meccanicamente l'inutile sforzo di afferrare un raggio di sole ha quella sola volontà, perchè quel vuoto ruotare della sua azione ha per pernio un'idea fissa. E il selvaggio che stropiccia pazientemente due pezzi di legno per trarne la scintilla più vuole e meno può del macchinista che con un semplice movimento sferra o trattiene il mostro di ferro. Lo scolaro annoiato che vaga, con la mente, fuori della 5cuola, non riesce a dominare il pensiero, a mantenere nel fuoco della coscienza la parola dell'insegnante, perchè la sua volontà è stanca. La sua volontà è stanca come pensiero, o il suo pensiero fantastica e la sua volontà non agisce, perchè il fisico non gli permette· l'interesse, molla di quella volontà intellettuale che è l'attenzione? Quando il Tommaseo dice che tutte le facoltà sono ancelle della volontà, viene, in fondo, a dire che la volontà è .wi sintesi potenziatrice della visita fisica e psichica. Ma questa sintesi si manifesta nel momento del volere, che è sempre fatto intellettivo nelle sue specifiche determinazioni, ma che non è che la. fase ultima di un processo che si eITettua nefl'indistinto psichico. lo non posso volere senza volere qualcosa, cioè senza pensare ciò che voglio. Ma quando ho coscienza di quel che voglio, quel volere particolare me lo trovo imposto dall'intelletto, e, pensandoci su, mi accorgo di averlo voluto pensare. Il senso del volere non è, quindi, che un avvertimento cosciente d'un lavoro cerebrale iniziatosi prima, quindi fuori, del pensiero conscio di sè. Riportiamo, a chiarimento di questo cenno, questo esempio dell' Ardigò: « Abbiasi un biroccino a cui sia attaccato un cavallo, munito di collana coh campanelli. Alla prima frustata il cavallo parte, e tira il biroccio. Perché il veicolo si muove? Perché il cavallo lo tira. Anche però non vedendo il biroccino muoversi, noi ci accorgeremmo subito del. suo muoversi dal suono dei campanelli. Non è a dirsi per questo che sia il suono che, determina il movimento del veicolo, sibbene il' suono è un effetto del movimento, è un fatto che l'accompagna e eh.e ci avverte che il biroccino si è mosso. Nella stessa maniera il 5enso della volontà non è altro che il suono, il quale ci avverte che il centro motore è in azione ed è in corso l'effetto fisiologico di esso sulle parti dipendenti n, · Questa concezione determinista della volontà viene a dimostrare l'intimità del rapporto tra quella e i I pensiero, e tra la vita p5ichica e quella fisica. La volontà è· necessita-, ma il pen-

L' U N I V E R S I T À L I B E R A 75 siero dominando, · cioè comprendendo, questo processo di necessità, viene a renderlo libero. Chi pensa col Bovio: « Il volere è lo sprigionamento di una certa quantità di en~rgia rivolta ad un determinato scopo, ma la connessione indissolubile tra il fisico e il morale dell'uomo stringe la potenzialità di questa energia mqrale con quella fisica in relazione così intima che per volere è necessario poter volere », viene ad affermare la libertà del volere, come coscienza del pensiero della sua necessità fisica. Tanto più l'uomo è cosciente del fatto che il suo volere è condizionato dalla propria possibilità, e tanto più è in grado di volere. L'inibizione è il momento tipico della volontà in quanto è processo di pensiero, e quindi il pensiero avendo coscienza del suo potere crede di determinarne il volere. Mentre è la volontà che si determina avendo coscienza, come pensiero, del pro'prio determinarsi. Ma allora non esiste la libertà umana? Il libero arbitrio, ripetiamo, non va concepito come un'autonomia assoluta, poich·è la libertà,' se ha senso, è potenza, e la potenza è sempre limitata. Il pensiero è la libertà del volere, ma è libertà intrinseca ad esso, perchè elemento e momento di esso. La volontà è il complesso di energie che tendono ad effettuarsi come azione. Il momento di saturazione è l'idea che determina l'azione. Ma l'azione, in quanto sforzo, 1}vela l'uomo a se stesso. La volontà, cioè, acquista coscienza di sè nel passare dall'idea al fatto. C. BEUNEIU. Nuova interessante pubblicazione: GIUSEPPE MISSIO MAMMONA E D10 PRIMA EDIZIONE. I. La sorte dei diseredati - Il. La mal compartita materia guasta il banchetto della vita - III. Il Lavoro - Le tre specie di proprietà - L'Uso, unico titolo di legittimo possesso - IV. Le origini della proprietà sovrana -- I primi codici statali - La metamorfosi da schiavo a proletario - V. La totale incetta delle materie prime del patrimonio d'Adamo - A nuova situazione nuova legge s'impone - VI. Il Capitale monetato - L'Usura - Il Nazionalismo - Da Mosè ai tempi nostri - VII. Cristo contro l'usura - Il Mutuo gratuito - L'elemosina del « quod supercst » - La rinunzia al possesso assoluto - Altruismo od. egoismo? - VIII. Ancora dell'Usura - Credito per produzione e per consumo - Del lucro cessante - Del rischio - Del premio ai risparmiatori - Doppio abuso del credito - IX. Le punizioni dell'Usura - Guerra e rivoluzione - Responsabilità - Necessità dei flagelli - X. La questione del « poco» - Il processo ed il giudizio finale - XI. La comunione eucaristica - il falso ed il vero miracolo - Della mentalità miracolista in rapporto all'ambiente -giudaico-messianico-apostolico - L'ultima «frazione» - Il corpo di Cristo siamo noi! - L'eucaristia attraverso i secoli - La situazione odierna - NOTA FINALE: Dell'alleanza di1·etta fra Dio e l'Uomo. Un bel volume di 300 pagine grandi, L. 8.- franco di porlo.

DIZIONARIOFILOSOFICO ANIMA Sarebbe una bella cosa vedere la propria anima. Conosci te stesso (1) è un precetto eccellente, ma soltanto a Dio è concesso di metterlo in pratica; chi altri che lui può conoscere la sua essenza? · · Noi chiamiamo anima ciò che anima. E non ne sappiamo di più, grazie ai limiti della nostra intelligenza. I tre quarti del genere mpano si fermano qui, e non si preoccupano dell'essere pensante; l'altro quarto cerca: ma nessuno ha trovato e non troverà. · Povero filosofo! Vedi una pianta che vegeta, e dici vegetazione, od anche anima vegetativa. Noti che i corpi hanno e danno movimento, e dici forza; vedi il tuo cane da caccia che sotto di te impara il tuo mestiere, e gridi istinto, anima sensitiva; hai delle idee combinate, e dici spirito. Ma, di grazia, cosa intendi con· queste parol~? Quel fiore vegeta, ma vi è un essere reale che si chiama vegetazione? Codesto corpo ne spinge un altro, ma possiede esso in sè un essere distinto che si chiama forza? Questo cane ti .porta una pernice, ma vi è un essere che si chiama istinto? Non rideresti · di un ragionatore che (fosse stato pure precettore di Alessandro) ti dicesse: - Tutti gli animali vivono, dunque in essi vi è un essere, una forma sostanziale, che è la vita? Se un tulipano pote~se parlare, e ti dicesse: - La mia vegetazione e me siamo due esseri riuniti insieme, non ti faresti gioco del tulipano? Vediamo prima ciò che tu sai e di cosa sei certo: che tu cammini con i tuoi piedi; che tu digerisci con il tuo stomaco; che tu senti con tutto il tuo corpo e che pensi con la tua testa. VerHàmo se la tua sola ragione ha p.otuto abbastanza illuminarti per concludere senza un soccorso soprannaturale che tu hai un'anima? I primi filosofi, tanto caldei che egiziani, dissero: - Bisogna che vi sia in noi qualcosa che produce i nostri pensieri; questo qualche cosa deve essere sottilissimo: è un soffio, è del fuoco, è dell'etere, è una quintessenza, è un leggero simulacro, è una >entelechia, è un numero, è un'armonia. Secondo il divino Platone, i11fine, è un composto dell'uno e .dell'altro; sono degli atomi che pensano in noi, ha dette, Epicuro dopo di Democrito. Ma, nmico mio, come avviene che un atomo pensa? Confessa che non ne. sai niente. L'opinione alfa quale senza dubbio ci si deve attacc~re, è (1) Questa iscrizione ern incisa sul frontone del tempio di Delfo. Vedere anche Giovenale, Sai. XI, 27.

L' U N I V E R S I T À . L I B E R A 77 quella che l'anima è un essere immateriale; ma certamente non concepite neanche .cosa sia codesto essere immateriale. I sapienti rispondono: - No; ma sappiamo che la sua natura è di pensare. - E da dove lo apprendete? - Lo sappiamo, perciò ch'esso pensa. - O sapienti! Ho molta paura che siate altrettanto ignoranti quanto Epicuro. La naJ.IHa di una pietra è di cadere, perchè e sa cade; ma io vi domando chi la fa cadere. - Noi sappiamo, essi continuano, che una pietra non ha anima. - D'accordo, io pure lo credo. - Noi sappiamo che una negazione ed una affermazione nqn sono affatto divisibili, non sono delle parti della materia. -:- Sono della vostra opi-- nione. Ma la materia, che ci è del -resto sconosciuta, possiede delle qualità che non sono materiali, che non sono divisibili; essa gravita verso un centro che Dio le ha dato. Ora questa gravitazione non ha parti, non è divisibile. L~ forza motrice dei corpi non è un essere composto di parti. La veg~tazione dei corpi organizzati, la loro vita, il loro istinto, non sono neanche essi degl_i esseri a parte, degli esseri divisibili: voi non potete affatto tagliare in due la vegetazione di una rosa, la vita di un cavallo, l'istinto di un cane, come non potete tagliare in due una sensazione, una negazione, una affermazione. Il vostro bell'argomento tirato dall'indivisibilità del pensiero non prova dun- . que assolutamente niente. Ma cos'è che chiamate la vostra anima? Quale idea ne avete? Senza :rivelazione, da voi stessi non potete ammettere altro in voi che un potere sco~osciuto, il quale permette. di sentire, di pensare. In tutta sincerità ditemi ora se codesto potere di sentire e di pensare è uguale a quello che vi fa digerire e camminare. Mi confessate di no, poichè il vostro intendimento avrebbe un bel dire al vostro stomaco: digerisci; esso non lo farà se è malato; invano· il vostro essere immateriale ordinerebbe ai vostri piedi di camminare; essi re~teranno fermi se hanno la gotta. ·1 Greci hanno sentito benissimo che il pensiero ·11011 aveva spesso niente a che fare con il gioco dei nostri organi; essi hanno ammesso per questi organi un'anima animale, e per i pensieri un'anima più fine, più sottile ... Ma ecco quest'anima del pensiero che, in mille occasion~, governa .l'anima animale. L'anima pensante comanda alle mani di prendere, ed esse prendono. Essa non dice affatto al suo cuore di battere, al suo sangue di colare, al suo chilo di formarsi; tutto ciò si compie senza di essa: ecco due anime ben imbarazzate e, ben poco padrone della casa. Ora questa prima anima animale certamente non esiste affatto, essa non è altro che il movimento dei nostri organi. Stai in guardia, o uomo! Con la tua debole ragione non puòi avere delle prove ché l'altra anima esiste. Non puoi saperlo che per

78 L'UNIVERSITÀ LIBERA mezzo della fede. Tu ·sei nato, tu vivi, tu agisci, tu p·ensi, tu vegli, tu dormi, senza sapere come. Dio ti ha dato la facoltà di pensare come ti ha dato tutto il resto; e s'egli non fosse venuto ad insegnarti nei tempi segnati dalla sua provvidenza, che tu hai un'anima immateriale ed immortale, non avresti alcuna prova. Ma vediamo i bei sistemi che la tua filosofia ha fabbricato su queste anime. · · Uno dice che l'anima dell'uomo è parte della sostanza di Dio stesso; l'altro, che essa. è parte del gran tutto; un terzo, che essa è creata con l'eternità; un quarto, che essa è fatta e non creata; altri assicurano che Dio le forma a .misura che se ne ha bisogno, e che esse arrivano all'istante della copula; esse ri- \ siedono negli animalucci seminali, grida uno; no, dice un altro, esse vanno ad abitare nelle trombe di Fallopo. Avete tutti torto, dice un sopravveniente, l'anima aspetta sei settimane che il feto sia formato, e allora prende possesso della glandola pineale; ma se ne torna indietro, attendendo un'altra occasione migliore, se trova un germe falso. L'ultima opinione dice che la sua dimora è nel corpo calloso: è questo il posto· che le assegna La Peyronie. Bisogna essere proprio il primo chirurgo del re di Francia per disporre così della dimora dell'anima. Nonpertanto il suo corpo calloso non ha fatto la stessa- fortuna che aveva fatto quel chirurgo. San Tommaso, nella sua settantacinquesima questione e nel- . le seguenti, dice che l'anima è. una forma subsistante per se; che essa è tutta nel tutto, che la sua essenza differisce dalla sùa potenza; che vi sono tre anime vegetative, cioè: la nutritiva, l'aumehtativa, la genera~iva; che la memoria delle cose spirituali è spirituale, e la memoria delle corporali è corporale; che l'anima ragionevole è u_na forma immateriale quanto alle operazioni, e materiale quanto all'essere. San Tommaso ha scritto diecimila pagine di questa forza· e di questa chiarezza; ed è pure l'angelo della scuola. - Si sono anche costruiti dei sistemi sulla maniera in cui questa anima sentirà quando avrà lasciato il corpo per mezzo del q·uale sentiva; come intenderà senza orecchie, fiuterà senza naso, e toccherà senza ma}li; quale corpo riprenderà in seguito, se quello che aveva a due arini, o a ottanta; come sussisterà l'io, l'identità della stessa persona; come l'anima di un uomo divenuto imbecille all'età di quindici anni, e morto imbecille all'età di settanta, riprenderà il filo ·delle idee ch'essa aveva nella sua pubertà; con quale gherminella un'anima a cui sia stata tagiiata una gamba in Europa, e che ,abbia perduto un braccio in· America, ritroverà gamba e braccio, i quali, essendo stati trasformati in legumi, saranno passati nel sangue di qualche animale .. Ma non si finirebbe mai se si volesse render conto di tutte le

L' u N I V E n s I T À L I B E n A 79 stravaganze che questa povera anima umana ha immaginato intorno a sè stessa.· Ciò che è assai singolare, è che nelle leggi del popolo di Dio ~on c'è una parola che dica della spiritualità e dell'immortalità dell'anima: niente nel Decalogo, niente nel Levitico, e nean-. che nel Deuteronomio. - È certo che Mosè in nessun luogo propose agli Ebrei delle ricompense e delle pene in un'altra vita, è indubbio che non parla loro mai dell'immortalità delle loro anime, che non li fa mai sperare nel cielo, e che non li minaccia: mai dell'inferno: tutto è temporale. Prima di morire, nel suo Deuteronomio, Mosè dice: « Se dopo aver avuto dei figli e dei nipoti, voi prevaricate, sarete sterminati dal paese, e ,ridotti ad un piccol9 numero nelle nazioni. - Io sono un Dio geloso, che punisce l'iniquità dei padri fino alla terza e quarta generazione. - Onorate il padre e la madre affinchè possiate vivere lungamente. - Voi• avrete di che mangiare senza mancarne mai. - Se seguirete degli dèi stranieri, sarete distrutti. _,_ Se obbedite, voi avrete la pioggia in primavera e in autunno, del frumento, dell'olio, del vino, del fieno per le vostre bestie, affinchè voi mangiate e siate sazi. - Riponete queste pa-. role nei vostri cuori, nelle vostre mani, nei vostri occhi, scrivetele sulle vostre porte, affinchè i vostri giorni si moltiplichino. -:-- Fate ciò che vi ordino, senza aggiungere nè togliere niente. - Se sorge un profeta che predice delle co.:,e prodigiose, se la sua predizione è vera, e se ciò ch'egli ha detto si avvererà, e se vi dice: « Andiamo, seguiamo gli dèi stranieri . . . » uccidetelo · subito, e che tutto il popolo dopo di voi colpisca. - Allorchè il Signore vi avrà dato delle nazioni, sgozzate tutti senza risparmiare un solo uomo, e non abbiate pietà di nessuno. - Non mangiate affatto uccelli impuri, come l'aquila, il grifone, l'issione, · ecc. - Non mangiate punto animali che ruminano e la cui unghia non è fessa, come cammello, lepre, porco spino, ecc. - Osservando tutti i comandamenti, voi sarete benedetti nella città e nei campi; i frutti del vostro ventre, della vostra terra, del vostro bestiame saranno benedetti ... - Se non rispettate tutti i comandamenti e tutte le cerimonie, voi sarete maledetti nella città e nei campi, ... proverete la carestia, la povertà; morrete di miseria, di freddo, di febbre; avrete la rogna, la scabbia, la fistula; .... avrete delle ulceri nei ginocchi e nei polpacci delle gambe. - Lo straniero vi presterà con usura, e voi non gli presterete con usura ... perchè voi non avrete servito il Signore. - Mangerete il frutto del vostro ventre, e la carne dei vostri figli e delle vostre figlie, ecc. » È evidente come in tutte queste p,romesse ed in· tutte queste minacce non vi è niente che non sia temporale, e non vi si trova una parola sull'immortalità dell'anima e sulla vita futura.

80 L' U N I V E R S I T À L I B E R A Diversi illustri commentatori hanno creduto che Mosè era perfettamente istruito intorno a quei due grandi dogmi; e lo provano con le parole di Giacobbe, il quale, credendo che suo figlio era stato divorato dalle bestie, diceva nel suo dolore: « Discenderò con mio figlio nella fossa, in infernum, nell'inferno», cioè: morirò, poichè mio figlio è morto. - Essi lo provano ancora con dei passaggi d'Isaia e di Ezechiele; ma gli Ebrei ai quali Mosè parlava non potevano aver letto nè Ezechiele nè Isaia, i quali vissero molti secoli dopo. · È inutile disputare sopra i segreti sentimenti di Mosè. Sta il fatto che nelle sue leggi pubbliche non ha mai parlato d'una vita futura, e ch'egli limita tutti i suoi gastighi e tutte le sue licompense al tempo presente. - Se conosceva la vita futura, perchè non ha 'espressamente spiegato questo gran dogma? e se non l'ha conosciuto, qual'era lo scopo della sua missione? È una questione di cui si occupano molti grandi personaggi, i quali rispondono che il Maestro di Mosè e dl tutti gli uomini si riserbava· il diritto di spiegare a suo tempo agli Ebrei una dottrina che essi non potevano intendere allorchè erano nel deserto. Se Mosè avesse annunziato il dogma dell'immortalità dell'anima, una grande scuola di Ebrei non l'avrebbe sempre combattuta. Quella granrle scuola dei Sadducei non sarebbe stata autorizzata nello Stato: i Sadducei non avrebbero occupato lé cariche pii1 importanti, non si sarebbero tratti dal loro seno dei grandi pontefici. Sembra che non fu che dopo la fondazione di Alessandria che gli Ebrei si divisero in tre sette: i farisei, i sadducei e gli esseni. Lo storico Giuseppe, 'che era fariseo, ci insegna, nel libro XIII delle sue Antichità, che i farisei credevano nella metempsicosi. I sadducei credevano che l'anima perisse col corpo. Gli esseni, dice ancor~ Giuseppe, ritenevano le anime immortali: secondo loro, le anime discendevano in forma aerea nei corpi dalla più alta regione dell'aria; esse vi sono ricondotte da un violento attratto, e dopo la morte quelle che hanno appartenuto a della buona gente, dimorano al di là dell'Oceano, in un paese dove non vi è nè caldo nè freddo, nè vento né 'Pioggia. Le anime dei cattivi vanno in un clima del tutto contrario. Tale era la teologia degli Ebrei. Colui che solo doveva istruire tutti gli uomini venne a conciannare quelle tre sette; ma senza di lui non ~vremmo mai potuto conoscere_ niente della nostra anima, poichè i filosofi non ne hanno mai avuto un'idea determinata, e Mosè, il solo vero legislatore del mondo prima del nostro, Mosè, il quale parlava a Dio faccia a faccia e che non lo vedeva che di dietro, ha lasciato gli uomini in una profonda ignoranza su questo importante articolo. Non è che dopo .1,nillesettecento anni che si è ce1·ti dell'esistenza dell'anima e della immortalità,

L' U N I V E R S I T À I. I R E R.A 81 Cicerone non aveva che dei dubbi; suo nipote e sua nipote poterono apprendere la verità dai primi Galilei che venne,ro a Roma. Ma prima di quel tempo, e dopo in tutto il resto delJ; terra dove gli apostoli non penetrarono, ciascuno doveva dire alla sua anima: Chi sei tu? Da dove vieni? che fai? dove vai? Tu sei non so che cosa, pensante e sentente, e, quand'anche tu pensassi e sentissi centomilamHioni di anni, tu non ne sap.rai mai più p1:;rte stessa, senza il soccorso di un Dio. O uomo! Questo Dio ti ha dato l'intendimento per ben condurti, e non per penetrare nell'essenza delle cose ch'egli ha creato. VOLTAIRE. PIETRO J{ROPOTJ{IN, Il Mutuo Appoggio. - Casa Ed. Sociale, Milano, L. 10. Il fatto della solidarietà umana posto a base della società, non in antagonismo di quella che è la indispensabile e fatale lotta per il progresso della specie, ma a complemento della sua evoluzione, ecco il punto- centrale della dottrina kropotkiniana. La scienza positiva che ha indagato e vagliato i fatti non poteva fissare dei I imiti insuperabili alle prime deduzioni sperimentali; l'indagine e l'osservazione storica dovevano portare più oltre il cardine principale di ogni sopravvivenza e convivenza sociale. Come negli animali, così tra gli uomini ciò che è forma, nucleo, associazione poggia sull'aiuto reciproco, sull'anlr'aide. Che ques.to sia stato in principio e possa essere ancor oggi non credo lo neghino più neanche le dottrine reazionarie. Ammesso il fatto della solidarietà come fattore dell'evoluzione, il problema che può sorgere è quello della necessità di anteporre la volontaria perpetuità sua ad ogni altro più duro ideale di lotta .o di isolamento. Ma non bisogna obliare che ogni ideale umano ha una importanza ben relativa di fronte alle eterne leggi naturali. Queste leggi il I{ropotkin nega che siano quelle della « lotta per la vita tra gli uomini; la lotta per i mezzi dell'esistenza di ogni animale contro i suoi congeneri, e di ogni uomo contro gli altri uomini». Egli dice ancora: « Io non potevo accettare questa opinione, perchè ero persuaso che ammettere una spietata guerra per la vita in seno ad ogni specie, e vedere in questa guerra una condizione di progresso, era formulare un'affermazione non solo 5enza prove, ma non avente nemmeno l'appoggio dell'ossevazione diretta». Dopo aver analizzato e descritto attJ·averso a quali fasi e svilup1li si manifesta il mutuo appoggio negli animali in genere, il Kropotkin indaga l'esistenza dei selvaggi prima e poi dei barbari. Sono fatti ed osservazioni probatorie che si succedono e fissano nel lettore l'esatta visione del divenire e del formarsi della fribù e della famiglia. Nel medioevo si vedono formate già le istituzioni autoritarie di contro alle corporazioni, alle « ghilde » che sono i 1mclei I ibertari di convivenza. Si fortificano allora le caste dominanti e comincia la .decadenza. Lo Stato si forma contro il Comune ed è una continua lotta. Coll'industrialismo moderno si perpetua ancor più l'antagonismo tra ogni .forma di libera associazione operaia e l'accentramento statale. • • Nella produzione kropotkiniana questo M11luo Appoggio, ora uscito nella prima edizione italil!na, occupa un posto d'importanza capit~le. È una miniera di fatti ed un repertorio di osservazioni eccezionale. Come tutte le grandi opere dell'ingegno veramente originali, esso è sempre di attualità. Ogni perio.do storico che si ricordi, e specialmente certe accidentali fasi politiche, in opere come queste si trovano analizzati al lume della critica storica e riflessi nella stessa enunciazione dei fatti. È questa una di quelle opere n10lteplici, che abbracciano tutti i vari aspetti del problema sociale, e che fortificano il cervello ed il cuore. L'averla pubblicata ora in Italia è stato un gran bene ed è certo che saranno molti quelli che vi at• tingeranno fede e cornggio. O. DELCHIAltO,

NOTERELLEPEDAGOGICHE PEDANTERIA VECCHiA E NUOVA. La moderna pedanteria la quale oggi vegeta e pl'ospera, trasform_azione di quella d'un tempo, odiosa odiata, ma trasformazione priva d'intrinseco progresso. Vorrei per ciò attaccar vigorosamente i sistemi educativi sopravviventi, ma che hanno faltù il loro tempo, e quelli così detti « nuovi » i c1uali, fin dal loro sorgere, sono imbastarditi da dottrine che scimiottano la vera scienza, la vera, possente arte cli svegliare, ed avviare le energie dei nuovi alla vita. Si levarono voci sdegnose, voci di riprovazione, di condanna, di dileggio e di ingiuria contro la pedanteria ciel passato, rozza, brutale, spesso ignorante, corrotta ed ignobile che estingueva in fiore la intelligenza, il sentimento, fiaccava la volontà, facendo dei vinti pur in coloro che ancor non avevano combattute le battaglie della vita. Non si risparmiarono nemmeno acerbe censure contro quer sapienti, maestri, che usavano metodi che addormentavano le co~cienze e ne facevano strumento di una setta. Sappiamo èhe suscitarono l'ilarità nei teatri del cinquecento e del seicento le commedie che esponevano sulla scena il pedante. Dal maestro d'Orazio, Orbilio il bastonatore, a quello del Giusti molti pass~rono alla posterità col marchio impresso da qualche allievo, o da qualche nemico di tutto quanto opprime e deprime, è schiavitù della mente, rovina del carattere. I maestri flaaellatori; i professori im bollitori, masticatori di geruncl i, parrucconi gonfi di· vana scienza vennero derisi, scherniti in versi ed in prosa in ogni tempo. Oggi è così grande la produzione di insigni ope1·e di pedagogia, sì de- . cantano con così brillanti parole i pregi del maestro e della sua opera illuminata, che ci si trova ridotti a giurare che egli è, quale lo sognava il Comenio, « il sole della scuola». Vediamo. Attra-vcrso il soagetto educando (dice çon classica pedanteria) confluiscono nella scuola il passato ed il presente; vi si trova una promessa di quello che potrebb_e divenire la società tra alcuni anni. Pur troppo la pedanteria, non ~ccnde dalla cattedra, non ha occhi per vedere al di là delh1 scuola; non s·'accorge neppure che il fanciullo ignora se stesso, e non di mostra espansione che con chi lo comprende; Se pur lo studia essa tieth~ per guida la pedagogia ufficiale, per tal modo trionfa la pedanteria che tormenta gli scolari con stucchevoli lezioni, li amareggia con inconsulta severità, nell'assegnazione dei voti. Almeno con l'uso dei monitori, molti anni fa, si potevano comprare e commerciare i - voti delle lezioni e dei compiti, tra scolari! « Ti do tanti pennini, o bottoni, e tu, in cambio, muti il cinque in un 8 o in 10 !... » Ai giorni nostri ci si scandalizzerebbe di quesl o mercato; se proprio sì è messi nella necessità di derogare dalia giustizia, siamo gente pratica noi, occorre saperlo fare su larga scala! Per e5empio, pensare se non sia il caso di chiudere un occhio ed anche due, sull'esame « di una figlia di papà» o sull'esame del nipote di un onor~vole ! I letterati degli scorsi secoli dimostrano che i precettori privati erano disposti a qualsiasi. transizione, pur di non disgustare le famiglie dei loro nobili e ricch'ì allievi: i pedanti d'oagi (baciate, 11011 dico maestri), bocciano senza pietà gli alunni poveri, o che non hanno genitori dai quali si possa ottenere qualche cosa. In quanto all'insegnamento, credo che si possa ritener giusta l'espressione incisiva: « è una scarpa cinese applicala ai cervelli». Si fa lavorare molto, ne convengo; ma si fa lavorare bene? I maestri conducono a tutto osservare, a tulio aiudicare; e spiegano ogni cosa nei più minuti particolari, e sorpassano la stessa curiosità infantile, cosìcchè la mente si stanca. Inveèe delle tracce, le tre o quattro prnposizioni su qualc~e delizioso Luigino, o su qualche monello che è la disperazione di tutti! ... Oggi tutto l'apparato scolastico è moderno; fin Il maestro non rassomiglià

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