l'UNIVfRSHÀ LIB rn A· RIVISTA MENSILE DI COL1 URA SOCIALE N. 2 - Febbrnio 1925 - MILANO - Viale Monza 77 LAVORO E COLTURA Noi vogliamo che la coltura, invece di rimanere monopolio di élites, abbia da espandersi per diventare patrimonio di tutti, anche delle classi più umili. Vi è chi crede che le classi umili non debbano 9 non possano avere accesso nel gran tempio del sapere perchè il sapere è patrimonio riservato a coloro che sono favoriti dalla fortuna; ma l'esperienza della vita vissuta dimostra che più l'uomo sa, ,più ha valore, e dimostra anche che i ..benefici del sapere dì ogni uomo influiscono sul benessere dell'umanità tutta e sul destino dell'avvenire. Un operaie colto lavora meglio· e dà una migliore produzione d'un operaio incolto; una classe proletaria consapevole del valore, della natura e delle difficoltà dei problemi sociali sa orientarsi peT virtù propria e sa agire con coscienza in modo che dalla propria azione l'umanità tutta possa avere giovamento, benessere e progresso. Gli spiriti rigidamente conservatori - e cioè quegli spiriti che credono" che la vita sociale debba procedere sempre lungo la via su cui attualmente cammina - giudicano dannosa, ai fini del loro conservatorismo, la diffusione della coltura fra le classi umili. Per questi conservatori, gli. operai ed i contadini debbono essere i produttori puri, assorbiti unicamente dalla manualità del lavoro, percli.è alla parte intellettuale del lavoro pensa la classe superiore che dispone e dirige. Ma noi, che giudichiamo il lavoro come un sacro diritto ed un sacro dovere e che crediamo che nell'avvenire il lavoro potrà elevarsi all'altissimo valore di religione, noi auspichiamo che alle attuali form.e di divisione del lavoro, succeda il lavoro integrale e cioè che la manualità del lavoro abbracci l'intellettualità. L'operaio ed il contadino non debbono essere soltanto macchine obbedienti ad una forza ignota e superiore, maccp.ine che manipolano inconsapevolmente la materia; ma debbono diventare i cr"eatori stessi del loro lavoro; il lavoro non deve essere soltanto forza bruta, ma anche capacità· intellettuale. , Questo nostro conc_ftto di lavoro integrale è certamente in
34 L' U N I V E R S I T À L I B E R A contrasto coll'organizzazione dell'officina e dell'agricoltura moderne. La civiltà r.apitalista, spinta dalla necessità dii dover produrre sempre .Più intensamente, ha creato la grande industria, e da ciò ne è derivato il principio di divisione del lavoro. 1on vogliamo e non possiamo discutere qui questo principio, perchè lo scopo di questo brevissimo scritto non è quello di esporre la teoria e la pratica del lavoro integrale; diciamo solamente che l'uomo non vive soltanto per produrre, ma vive anche per godere la vita, e che una delle più pure fonti del godimento .è quella di creare colla propria intelligenza. Il lavoro bruto conduce alla decadenza dell'intelletto e dello spirito. Le classi umili hanno dunqu_e il diritto di accedere nel tempio della coltura: coltura tecnica per quanto riguarda il loro lavoro; · coltura sociale per quanto riguarda la loro vita collettiva ed il lyro avvenire; coltura artistica per quanto riguarda i bisogni del loro spirito che deve raffinarsi ed acquistare una sensibilità sempre più vibrante perchè questa· sensibilità deve condurre al bene. Noi, con questa nostra rivista, intendiamo appunto portare il · nostro contributo nella lotta per la conquista del sapere da parte delle classi lavoratrici. Non è una lotta nuova, lo sappiamo, perchè si può dire che questa lotta ebbe inizio col diffondersi per tutto il mondo delle id'ee socialiste; ma non è una lotta conchiusa; anzi molto cammino ancora vi sarà da percorrere prima d'arrivare alla vittoria. Il nostro contributo è umile, perchè i nostri mezzi sono poveri, ma tutto può servire allo scopo supremo; le diverse iniziative si integrano e si armonizzano ed uniti diventano arma efficace. Colla pubblicazione di q~1esta rivista noi proclamiamo un altissimo principio: il lavoratore ha diritto di attingere alle fonti del sapere perchè la coltura è patrimonio di tutti e perchè nessun privilegio ha il diritto di umiliare l'intelligenza. Poi, l'intelligenza, condtfrrà il 1-àvoratore al lavoro libero ed integrale. CARLOMoLASCHI. PIETRO KROPOTKIN Lavoro intellettuale e Lavoro manuale Prima Edizione Italiana con prefazione del Traduttore. Divorzio fra la scienza e il lavoro manuale - L'educazione professionale - L'educazione integrale - Il sistema di Mosca: la sua applicazione a Chicago, Boston, Aberdeen - L'insegnamento concreto - Lo sciupio di tempo nelle scuole - La scienza e la tecnica - Vantaggi che la scienza può trarré da una associazione del lavoro intellettuale col lavoro manuale. Un bel volumetto di 80 pagine, L. 2 franco ovunque.
ALLE MADRI I fanciulli hanno in sè l'eternità della vita; apparecchiamo con essi la felicità delle future generazioni. FEDERICO FROBEL. Dallo studio fatto presso un laboratorio batteriologico e nel s~guire cicli d_iconferenze tenute da medici insigni presso la Climca del Lavoro di Milano. mi convinsi che in tutte le classi sociali vi è quasi assoluta ignoranza di principi di puericoltura. L'_osservazione quotidiana poi mi fece rilevare che di frequente le famiglie possono, ma non fanno quan-to è loro dovere per i · propri bambiùi. Non muovo intera colpa ai genitori che non ebbero il mezzo di imparare o il tempo di vagliare troppo il loro comportamento verso la propria prole; ben diverso invece è il mio giudizio verso coloro che costituiscono la classe colta, la borghesia che pretende di formare la classe superiore. Nelle famiglie regnano troppi errori tradizionali. Si crede che l'educazione del fanciullo incominci con l'epoca scolastica, invece molto più lontano vanno le sue radici: inizia prima che il bambino veda la luce. Ricordo a tale proposito che un eminente dottore disse che come l'agricoltore non getta il seme a caso, ma prepara il terreno, lo adatta, lo sorveglia e cura la pianticella fin che darà il grano, così i genitori devono sorvegliare e curare le loro creature fino a che esse saranno capaci di vivere indipendenti. Il bambino è un poco quale lo facciamo, un poco quale lo vogliamo fare e un poco ancora quale ce lo fanno diventare gli_ altri. Prima della nascita la miglior guida è il medico, subito dopo la nascita la migliore artefice è la madre. L'educazione infantile ha per base l'igiene: si devono sorvegliare i pasti, il sonno, gli istinti, i primi bisogni'. Si deve saper occondiscendere e limitare a tempo opportuno. Da ciò sorgono tanti problemi che interessano direttamente i genitori, problemi che hanno il loro campo di svolgimento nelle pareti domestiche. Si affaccia la questione dei _premi e dei castighi, di quello che è e che non è lecito. Tanto una tolleranza quanto una limitazione può solleticare una buona quanto cattiva disposizione, può agevolare o intralciare un normale sviluppo fisico. Il bambino è inconsapevole, inesperto. È come il cieco che brancola fin che s'è abituato a guidarsi con l'aiuto dei propri sensi. Il bambino abbisogna di una cura quasi metodica, di una sorveglianza costante, perchè ogni giorno i suoi sensi si affinano ed i s.uoi muscoli si rafforzano. Vuol vedere, toccare, scompigliare tutto, vuole espandersi. La sua curiosità si fa più acuta, l'osservazione più
36 L' U N I V Z R S J T À L I B E R A profonda. In lui germogliano le prime radici della sua volontà; di quell volontà che diverrà il controllo di se stesso. La vita familiare non basta più al fanciullo; sorgono nuovi bisogni, nuovi desideri e l'educazione che avrà coadiuvato ed influito sul suo sviluppo fisico e psichico l'avrà più o mei:io bene preparato al nuovo ambiente, ad una più larga attività. Ma purtropp,o, · come dissi, vi è quasi assoluta ignoranza dei principi di puericultura. Molte giovani spose allevano i propri figli affidandosi all'istinto o al consiglio delle donne più anziane, ;le quali ,hanno 'dimenticato ciò che riguarda la loro prima infanzia, che confondono le epoche posponendole ed attribuiscono alcuni effetti a cause diverse da quelle èhe lì provocarono. Non si dimentichi eh~ fra le braccia materne e fra le pareti domestiche il bambino vede e sente molto, e molto impara: la madre, e l'ambiente. familiare devono avere per lui molta cura ed attenzione. La· mortalità infantile è forte. Nei primi mesi di vita in alcuni paesi raggiunge persino il 40% perchè troppo di frequente non si pratica un allattamento razionale. Si affidano spesso i bam- \ bini a nutrici mercenarie che dividono la propria attività fra la casa e la campagna, che somministrano latte di mucca od altri alimenti senza raziocinio, senza norme igieniche. Anzi, di frequente, i lattanti vengono lasciati in custodia ai vecchi infiacchiti dagli anni, consumati nell'intelligenza dalle fatiche e imbevuti di pregiudizi - qualche volta mostruosi. (Un ricordo personale mi richiama il senso di ribrezzo che provai nel vedere- una campagnola ottuagenaria che faceva ingoiare ad un piccino, a modo di pillole, tre cuoricini di rondine perchè il sacrificio dei tre rondinotti propiziava una forte iHtelligenza al bambino). Qualche anno fa· rumanitaria di Milano fece una statistica dei lattanti affidati alle halie di campagna e rilevò che il 25% dei bambini morivano prima che raggiungessero un anno di vita. Secondo detta statistica la forte mortalità in confronto della normale, allora calcolata del 16% dei lattanti d'Italia, era causata dalla deficienza di cura, dalle cattive condizioni economiche delle nutrici, dalla maggiore ignoranza, dalle superstizioni. I benefici dell'allevamento in campagna, i benefici dell'aria salubre erano annullati e sorpassati in senso inverso dalle cattive condizioni in cui venivano a trovarsi i lattanti. Le madri che hanno la coscienza del proprio compito, che sono dotate di quei sentimenti che tal.volta nobilitano persino le bestie, dovrebbero provare ripugnanza ad affidare i loro bambini a mani mercenarie, e solo un'assoluta forza maggiore della propria possibilità potrebbe rassegnarle a dividersi - non ad abbandonare - temporaneamente la propria creatura. E ciò anche (riporto il giudizio di un medico) perchè il numero delle madri che non possono allattare è più piccolo di quello cli.e generalmente si crede.
L' U N I V E R S I T À L I B E R A 37 Oh, se si pensa che l'amore filiale è una particolare affinità che si sviluppa e ingrandisce fra due esseri bisognosi l'uno di protezione e l'altro di espansione, di un .particolare adattamento fra madre e figlio! ... Il bambino conosce e ama solo chi lo cura, chi lo nutre, chi lo difende, quindi, « malgrado ogni legame naturale egli si affezionerà alla nuvice. Una madre ·che non l'alleva, mette già nel primo anno di vita fra sè ed il figlio u~ abisso che non sarà mai completamente colmato. » ·· MARIA Ross,. SAVERIOMERLINO: Politica- e Magistratura. (Piero Gohetti, editore, Torino, 1925. - L. 6). È un libro di polemica politica pieno di vivacità, interessantissimo. Ma è anche un forte libro di studio, di critica giuridica e di sintesi storica, che sarà letto con molto interessamento anche da coloro che, prescindendo dalle idee politiche dell'autore e dalla passione che vibra nelle sue pagine, si occupano della importante e sempre vitale questione della giustizia penale e civile e del problema, che v'è così intimamente connesso, della indipendenza della magistratura. Saverio Merlino che vive ormai da cinquant'anni fra magistrati, pro-- cessi, tribunali e codici, conosce l'argomento di cui tratta come pochi altri. Egli studia sopratutto i rapporti fra politica e magistratura, quali si sono svolti dal 1860 in poi in Italia, sia riferendosi a ricordi personali, sia a testimonianze di giuristi insigni, sia a prove incontrovertibili di fatti noti, dimenticati od ignoti, sopratutto riguardanti processi di carattere politico o connessi con la politica. Il quadro storico che risulta dall'esposizione del Merlino è completo ed altamente suggestivo ed istruttivo. È desso la cosa più interessante del libro, per gli studiosi. Ma non- meno importante è la trattazione ch'egli fa di altre questioni connesse: quella così d'attualità oggi. dei decreti legge, il diritto penale in rapporto ai movimenti proletari, il reato d'associazione a delinquere e sediziosa, l'istituto dell'ammonizione e del domicilio coatto, i rapporti fra bancà, governo e magistratura, gli stati d'assedio e i tribunali militari, i processi politici specialmente nel più recente nostro periodo storico, e così via. Oltre ad esaminare il presente ed il prossimo passato, S·averio Merlino tenta gettare anche uno sguardo all'avvenire, studiando quale potrebbe essere in seguito l'evoluzione di quello che oggi si chiama diritto penale. Egli si pone l'interrogativo « che fare?» non solo per ciò che riguartla la soluzione dei problemi attuali, posti sul tappeto con maggiore urgenza dagli avvenimenti che si sono succeduti nel nostro paese in questo faticoso dopo-guerra, ma anche per quel che può interessare una società futura organizzata su basi di maggiore solidarietà umana. Egli rifugge da ogni semplicismo e prospetta in proposito difficoltà molto gravi, di fronte alle quali il sociologo deve fermarsi a studiare, ed ogni uomo di coscie~za arrestarsi pensoso, perchè la soluzione di tali problemi coinvolge 1m- ·prescindibilmente la sorte di tutto il progredire d-ella civiltà. . Quei nostri lettori che ricordano e forse conservano i due lavori sulla « giustizia penale » di Enrico Ferri e sul « tramonto del diritto penale » di Luigi Molinari, editi. prima della guerra dalla. rh,:ista m_ilanese L'l:niversità Popolare, e si occuparono a suo tempo degli importanti argomenti qu1v1 trattati, troveranno nel volumetto di Saverio Merlino una nuova sorgente di osservazioni e di meditazione, quasi diremmo un completamento_ del!-<: questioni che vi si riferiscono ed un aggiornamento :i-Ha luce _di tant,. fatti nuovi e d'una scienza che si rinnova sempre e contmuamente. LUIGI FABBRI •. /
NOTERELLE PEDAGOGICHE DELL'EDUCAZIONE KSTETICA ; Negli studi di psicologia infantile, tra i quali è da rilevare quello del Pérez su L'arte e la poesia nel fanciullo, il fenomeno dell'emozione estetica è studiato nella sua genesi e neT!e sue primitive manifestazioni. Benchè il sentimento del bello nel bambino sia stato oggetto di accurate osservazioni e di acute indagini, esso è ben lontano da l'essere conosciuto a fondo. Quel ché permette l'esame delle sue manifestazioni esterne è di cogliere i tratti più evidenti e comuni. Ma la complessità del sentimento estetico lascia nel buio, o per lo meno in un'opaca penombra, chi voglia adden.trarsi nello spirito del bambino, per isolare questo sentimento dagli altri con i quali è amalgamato. E chi voglia tentare questo processo di chiarificazione minaccia di operare a vuoto, poichè il sentimento estetico, pur avendo tratti specifici, è una sintesi di varii sentimenti, ed ha radici in molti istinti. Il psicologo cercherà di ravvivare i ricordi della propria infanzia, di osservare con occhio attento e penetrante il bambino çhe tende le manine e sorride al cappello della madre, ai nastri- della balia; che si mostra compiaciuto della cuffia o della vestina che ha indosso; che ascolta attentamente la musica e tenta i primi accordi vocali, accompagnandosi con colpi di cucchiaio sulla tazza, ecc., e farà paralleli tra il bambino selvaggio, o scenderà a tr1c1cciar confronti tra il bambino e gli animali. Ma la genesi del sentimento estetico gli ~fugge, ed invano tenterà di coglierla. Il sentimento del beìlo, diremo alla buona, comincia col gusto dell'ornamento, si amplifica e si afTina come sentimento della natura, nel quale ·tende alla coscienza riel bel,o oggettivo, e culmina, specie nel fanciullo, con l'arte di piacere, nella quale istinti utilitaristi ed intuitiva coscienza del bene morale sono ancora mescolati e confusi; e nella prima giovinezza appaiono distinti in esso il sentimento estetico e la coscienza morale. Alcuni non accettano, alla maniera platonica, tait! distinzione. E pretenzioso sarebbe da parte nostra opporre l'affermazione che bello e bene sono fatti distinti, chè intorno all'identità o alla specifica essenza dei due da Platone ad oggi, si affatica la mei1te dei filosofi e degli psicologi, senza poter dare risposta di tanta evidenza da poter esser accettata come certa soluzione. Tuttavia ci pare che tale distinzione sia accettabile, se non riguardo alla genesi della coscienza estetica e di quella morale, che alle loro origini e forme primitive appaiono unite, anzi confuse, almeno nelle loro forme maggiori, e quindi più e meglio determinate . . Se è vero che l'impressione del bello fa si che l'uomo sia tratto quasi fuori di sè ed assorto nell'oggetto della sua contemplazione, si da dimenticarsi e da venire quasi ad identificarsi con l'oggetto contemplato; se è vero -che ciò è proprio anche della coscienza morale, che dal giudizio disinteressato assurge al sacrificio, mi pare occorra distinguere il bello dal sublime. Se il bello può far passare la co~cienza dalla materia alla forma, solo il sublime può farla passare dalle sensazioni alle leggi, e far sì che il senso morale non sia che il senso estetico trasferito dalle cose materiali a quelle_ dello spirito. . Se le emozioni estetiche possono influire sulla coscienza morale, questa ha qualcosa di irriducibil'e, di caratteristico pc1· cui si differenzia dalla semplice coscienza estet_ica. Il sublime è quel bello çhe trascende la forma. Il sacrificio del martire è sublime, ma se l'artista e la immaginazione dei popoli cercheranno di vestire l'anima eroica con forme ed espressioni di bellezza fisica, non per questo il senso del sublime, come atto di sacrificio, sarà sentito e compreso come bellezza di forma materiale. Da questa distinzione nasce una illazione pedagogica: che il bello può contribuire alla formazione .di una chiara e viva coscienza morale, ma non per quello che
) . L' U N I V E R S I T À L I B E R A 39 c'è di -formale in esso, bensì per quanto vi è di capace a muovere l'anima ed elevarla al sublime. E, infatti, la favola che fa piangere o sognare il fanciullo, è più bella, In sè, di una cantica di Dante? O la musica di W'agner è meno bella di quel nostalgico canto di pastore o di marinaio che rimane impresso indelebilmente nell'anima del fanciullo? Se il bello, in quanto tale, fosse educativo, non si capirebbe come amassero la musica Caligola e Nerone, e come certe anime chiuse alla luce del bene e sorde alla pietà, si possano aprire , commosse ad un'armonia di suoni o di colori. Certo è che il sentimento estetico cresce col morale, alle origini umane. Ma se non troviamo la statua di Fidia nel villaggio cafro, vediamo i Romani della decadenza e gli italiani del Rinascimento appassionati alle arti belle, e vediamo i ceti che più sono capaci di emozioni estetiche e di buon gusto dotati, non esser più gentili d'animo del prosaico contadino che non darebbe nè una pecora nè una botte di vino per un quadro del Raffaello. Vi è, dunque, un problema educativo, in senso proprio, implicito nell'educazione estetica, che, per sè presa, può limitarsi ad essere sviluppo del gusto, e delle capacità artistiche. Se l'arte fosse edùcatrice- di per sè stessa, basterebbe circondare il bambino di belle cose, divertirlo con dolci musiche ed interessanti racconti, esercitarlo al disegno, ecc. · Vi è invece il problema: quanto ~ come l'arte possa influire nella formazione della coscienza morale. E fin da Platone vediamo posto il problema, quando si riconosce, anzi si afferma con entusiasmo, l'influsso della musica, influsso che i J>iù lontani miti hanno simboleggiato, ma si distingue in musica blanda tale da rendere fiacchi e femminei i costumi, e musica epica, atta a suscitare sentimenti elevati e a muovere gli animi a magnanime. imprese. • . Errano coloro che vedono nell'arte la naturale educatrice dell'uomo, senza distinguere l'arte che dà ali all'anima e l'arte che può inaridirla in un estetismo inca]>ace di andare al di là della forma, e l'arte che può abliassarla alla volgarità, vellicando gli istinti più bassi. Rousseau cadçie; talvolta, nell'errore opposto. Vide nelle arti ciò che di pericoloso posseggono, senza vederne i pregi. Cosi condannò le favole, perchè, secondo lui, fuorviano la ragione, abbandonandola ai voli pazzi della fantasia. Non vide ,che nelle favole poetiche create da tutto un popolo vi è maggior verità, come notava il Vico, che nel racconto storico ascritto da un sol uomo, e che le favole rispondono alla natura fantasiosa del fanciullo, che può, quando delle favole non si abusi e le si scelgano con opportunità, esser portato all'immaginazione creatrice, cioè alla poesia e all'azione. armonica. Vi è una didattica estetica? Si. Ma varia, quante sono le possibilità di sviluppo di un'educazione estetica in rapporto alle varie e diverse personalità degli educandi. Possiamo, tuttavia, fissare qualche criterio. L'educazione del gusto non si può raggiungere medi;mte il mediocre, ma col perfetto. Ne deriva che i giocattoli, quasi sempre semi-deformi, dovrebbero essere piccoli capolavori, come taluni di quelli che escono dalle fabbriche .di Norimberga. E belle le illustrazioni dei libri. Belle le poesie, e non le solite filastrocche senza senso e monotone. Bella la musica e il canto; belle le, immagini scolastiche e domestiche; bello l'ambiente in cui vive il fanciullo. Questi dovrebbe vivere fra cose belle ed in ambienti luminosi, ordinati e graziosi, si che l'anima si abituasse all'armonia, che da esterna si fa interna: bisogno, abitudine della coscienza. Ma questo è, per la maggior parte dei fanciulli, un sogno. Ma c'è la bellezza delle campagne, o dei monti, o del mare, a portata di tutti. La bellezza della natura che, specie ai fanciulli urbani, dà impressioni vive, può offrire un vasto campo di educazione estetica, e in g,uanto ~lla be~lezza de_l fiore che sboccia, del sole che tramonta, del mare che cangia voci e colori, si aggiunge il sublime, come senso vago, eppur forte, del mistero. E- nella. scuola un vasto campo ancora. l\la non solo col fregio_ che orna
40 IlUNIVERSITl LIBERA le »areti, o coi quadri ~ con le proiezioni, o la storia dell'arte, o sihlili mezzi oggettivi e discorsivi, bensì con l'intuito del maestro di ciò che può diventare sublime per il fanciullo. Nella poesia letta a voce alta e con calda espressione, nel commento che dà rilievo e colore alle bellezze meno evidenti e trae elementi di commozione morale dalla bellezza formale e dall'interesse della vicenda; nella narrazione, epicamente i spirata, di gesta eroiche, individuali o collettive; nel canto corale di inni aventi senso e musica tali da muovere l'anillJa dei piccoli cantori. In tutta la vita scolastica, insomma. Educazione estetica vale, dunque, educazione che cerca di servirsi del sentimento estetico per sviluppare la coscienza del sublime. C. BERNERI. In corso di stampa: DR. CAMILLO BERNERI LA QUESTIONESESSUALE PnnIA En1zIONE I. La piaga è vasta - Il. L'iniziazione sessuale domestica - III. L'educazione sessuale nella scuola - Conclusione - Bibliografia. Un volumetto di 64 pagine, L. 2 franco ovunque. VINICIOPALADINI: Arte nella R11ssia dei 8011iets. - Roma, 1925. Edizioni de « La Bilancia», con 11 1·iproduzioni. L. 5. Il padiglione russo all'ultima Esposizione Internazionale di Vene.tia, offre lo spnnto a questo nuovo saggio di Vinicio Paladini, pittore, e critico già esercitato allo studio rlelle più interessanti correnti dell'arte con!emporanea, alle quali certamente la m,ova Ru~sia, sorta dalla rivoluzione d'ottobre, ha recato il contributo di energie originali e d'intuizioni vergin,i e vitali. L'arte russa ha assimilato rapidamente le ricerche occidentali dell'Impressionismo, del Futurismo, del Cubismo, in funzione però di una vigorosa capacità creativa, che già si rivela nelle opere dell'Annenkoft, del Thonoff, del Falk, della Exter, per non citare che i pittori più grandi e più caratteristici del movimento d'avanguardia di Mosca. I pittori di Leningrado, specialmente quelli del gruppo del « Mondo artistico », egualmente sotto l'influsso· delle esperienze occidentali, hanno però un carattere di più squisita raffinatezza e di maggiore tradizionalismo; tra di essi emerge il Kustodieff, inarrivabile pittore della vita provinciale. I tentativi arc-hitettonici ,:1.ell'Alltmann e del Tattin, le porcellane e le ceramiche finemente decorate attestano che in ogni campo l'arte russa cerca e saggia strade mai calpestate, traendo motivo specialmente dai sentimenti di liberazione e di rinnovamento che la rivoluzione ha fortemente potenziati. Il Paladini traccia una sintetica rassegna di questa arte lontana, cosi poco conosciuta tra noi, con sicurezza di analisi estetica e tecnica, con ampi riferimenti a problemi culturali di sommo interesse - l'arte e gl'intellettuali, l'arte e la rivoluzione - che giovano a mettere in piena luce la psicologia degli artisti studiati. PAOLOFLORES.
PAGINE DI RICORDI LUTTI In quel tempo la morte visitò la nostra famiglia. Prima, non · l'avevo mai incontrata faccia a faccia. - Quando morì mia madre, ero ancora assai bambino. - Era stàta malata a lungo e noi non sapemmo quando la sua malattia s'era aggravata. Una volta dormiva nella stessa camera con noi; poi, nel · corso della sua malattia, fù condotta a fare un viaggio sulla riviera, e al ritorno, le fu preparata una camera al terzo piano degli appartamenti interni. La notte della sua morte, noi dormivamo nella nostra camera di bambini quando, non so a quale ora, la nostra vecchia governante irruppe piangendo e gridando: « Oh! piccini miei, avete perduto il vostro tutto!)). Mia cognata la fece tacere e l'allontanò, volendoci risparmiare il colpo subitaneo nel mezzo della notte. Semidesto, sentii mancarmi il cuore, ma senza comprendere quel ch'era accaduto." Venuto il mattino, non mi resi conto di ciò che significava per me la morte che mi si annunziava. Quando uscimmo sulla veranda, vedemmo mia madre stesa sul suo letto nel cortile interno. La sua apparenza non indicava che la morte fosse terribile; il suo aspetto era gra- ~ioso e placido come nel sonno e nulla ci fece realizzare_ l'abisso tra la vita e la morte. Soltanto quando si portò via il corpo per il viale principale e quando lo seguimmo in corteo sino al crematorio, fui preso da un impeto di dolore all'idea ~he mia madre non rientrerebbe mai più per quella porta e mai più riprenderebbe il suo posto nella casa. Alla fine della giornata, quando ritornammo dalla cremazione, entrando nella nostra dimora, levai gli occhi verso l'appartamento di mio padre al terzo piano. Egli _era ancora lì, sulla veranda, seduto immobile, in preghiera. La mia cogna.ta più giovane ebbe cura degli orfanelli, sorvegliò essa stessa il nostro nutrimento e vegliò sui nostri bisogni, perchè non sentissimo troppo duramente la nostra perdita. Tutto ciò che vive è dotato del potere di guarire l'irreparabile, di dimenticare quel che si perde senza ritorno. E nell'infanzia questo potere è più' grande. Nessun ~olpo penetra troppo profondamente, nessuna ciocatrice è permanente. Così questa prima ombra della morte che cadde su noi non lasciò tenebre dietro di . sè. Si dissipò dolcemente come era venuta, come un'ombra. · Pi.ù tardi, quando nei primi giorni della primavera, correvo fuori come un pazzerello, con un pugno di gelsomini annodati in •
42 Ì.' U N I V E R 6 I T À L I B E R A un ango10 della mia sciarpa di mussola, se quei bocciuoli, dolci e rotondi, venivano a toccarmi la fronte, mi ricordavano subitamente la carezza delle dita di mia madre. E sentivo pure che la tenerezza che una volta animava quelle dita maliose era quella che s'esprime nella purezza di quei fiori. Poichè quella tenerezza è là, sulla terra~ \in una misura infinita, anche se non lo s~ppiamo. : Invece, il mio incontro con la morte all'età di ventitrè anni fu un colpo durevole, che si prolungò quando sopravvennero alt-ri lutti e li congiunse tutti tra loro come una catena di dolori. Mai avevo supposto che una breccia potesse interrompere la serie delle gioie e delle pene della vita, e questa vita l'avevo considerata come un lutto, senza scorger nulla al di là. Quan~o subitamente venne la morte, e in un solo istante uno squarcio s'aprì irr quella trama unita, fui completamente smarrito. Tutto intorno a me gli alberi, il suolo, le acqu.e, il sole, la luna, gli astri, restavano immutabili e reali, come prima; e la persona che, in mezzo a loro, era più reale di loro tutti per i suoi mille punti di contatto ,con la mia vita, quella era scomparsa come un sogno, in un momento. Come mai conciliare quel che restava con quel ch'era scomparso? L'oscurità terribile che · mi si rivelava da quello squarcio m'affascinava notte e giorno. Tornavo sempre a pormi di nuovo davanti a essa, chiedendomi che cosa restasse al posto di ciò ch'era perduto. L'uomo non può acconsentire a credere al vuoto. Ciò che non esiste è falso· per ·lui; ciò che è falso non esiste. Di qui i nostri infaticabili sforzi per scoprire qualcosa là dove non scorgiamo nulla. -Come una giovine pianta relegata nell'oscurità si distende e s'allunga per trovare una via verso la luce, la nostra anima, quando la morte l'i!flmerge subitamente nell'òmbra, si sforza e si esaurisce per trovare una conclusione affer:rnativa. Quale angoscia può paragonarsi a quella in cui le tenebre impediscono di vedere l'uscita dalle tenebre? . Eppure, durante quest'intollerabile dolore, ogni tanto brillavano luci fugaci nel miQ spirito e };attraversavano sorprendendomi. Anche l'idea che mi stava recando tanta afflizione, l'idea che questa vita non è permanente, mi si •offriva come un sollievo. Il pensiero che noi non siamo rinchiusi in questa esistenza come tra i muri d'una prigione sorgeva in me con un lampo di gioia. Ciò che avevo posseduto mi era strappato,· ed era una causa di affanno; ma quando vi scorgevo quell'idea di libertà, una pace
, L' U N I V: É R S I T À L I D E R A mi si avvicinava. Poichè poteva essere· alleviato dalla morte, il peso opprimente dell'esistenza cessava di schiacciarmi. C'è quindi per l'uomo ,una via d'uscita fuori dalle forze ostili d'una vita ch'egli non può sopportare - questl1. verità mi apparve un ,, giorno come una rivelazione subitanea ~ benefica.' Allentati i miei vincoli col mondo, la bellezza della natura assunse per me un significato più profondo. La morte m'aveva dato un miovo punto df vista per conte.mplare la creazione, e vedendo l'universo risaltare sullo sfondo della morte, gli trovai una bellezza insospettata. . · Si manifestò ben presto nelle mie idee e nella mia ~ondotta una recrudescenza d'eccentricità. Non potevo tollerare di sottomettermi a'i costumi del giorno, nè di prenderli sul serio. Ogni preoccupazione di ciò che si potesse pensare di me scomparve diilla mia mente. Mi si potè vedere nelle l_ibrerie alla moda, raccolto in una &emplice tela rugosa con i sandali ai piedi nudi ... Con qualsiasi tempo, dormivo all'aria aperta sulla veranda al terzo piano. Là, le stelle ed io potevamo conversare faccia a faccia e appena appariva l'alba, io la salutavo. Questa fase non aveva nulla di comune con tendenze ascetiche. Era piuttosto la fuga di uno scolaro che si è accorto che il suo. pedagogo, la Vita, con la sua ferula, non è che 1,m mito, e quindi si sottrae' ai minuti regolamenti della scuola. Se, un bel mattino, trovassimo diminuita· di tre qua~ti la legge di gravitazione, continueremmo a camminare sul marciapiede? O .non scavalcheremmo piuttosto le case e i monumenti, per risparmiarci la fatica di cosfeggiarli? Così poichè il peso. della vita ·esteriore non · gravava più i miei piedi, non potevo più costringermi al corso usuale della convenzione. Solo sulla terrazza, nell'oscurità delle notti, brancolavo come ·un cieco cercando sulla pietra nei;a della morte un'is~rizione o un segno. Al risveglio, quando la luce.mattutina batteva sul mio letto scoperto, sentivo diventar meno fitta la nebbia che m'avvolgeva. Allorchè si dissipano le nubi, risplendono le colline, i fiumi e le foreste del paesaggio; così, allora, l'immagine del mondo, brillante ·di rugiada, si dispiegava davanti a me rinnovata e più. bella che mai.
LE PIOGGE E L'A.UTUNNO Secondo il calendario indù, ogni anno è sotto l'influsso d'un pianeta. lo ho altresi constatato <:he su ogni epoca della mia vita _ una stagione ha es~rcitato il predominio. Quando rievoco la mia infan~ia, la stagione delle piogge avviluppa i miei ricòrdi. Un acquazzone ha inondato la veranda: Tutte le porte delle camere sono chiuse. Peari, la vecchia cuoca, torna dal mercato, col suo paniere pieno di legumi al braccio. Grondante, essa sguazza attraverso le pozzanghere. Ed io, senza costrutto, galoppo lungo tutta la veranda, in entusiastico piacere. O ancora, sono a scuola. Si fa lezione in un peristilio a colonnato, separato dall'esterno da paraventi di stuoie. N,uvole e nuvole si sono ammassate per tutto il pomeriggio; ora, il cielo ne è coperto. Mentre _guardiamo in aria, comincia a piovere; il tuono ·rulla a lungo; i lampi attraversànp lo spazio da un estremo all'altro, come se una pazza lo lacerasse con le unghie. La parete _di stuoie trema; si direbbe che il vento stia per rovesciarla su noi. Non vediamo più nulla nei nostri libri; il Pandit ci permette di chiuderli. Allora, mentre il temporale urla e si scatena, noi restiamo lì con le gambe penzoloni, e la mfa anima scappa e fugge lontano verso la landa dove passa il principe dei racconti di fate. E la profondità delle notti ·di Sravan (t) ! Il rumore crepittmte dell'acquazzone s'infiltra per gli interstizi della mia sonnolenza ·è mi r'iempie d'un riposo delizioso, più profondo del sonno. Quan- ._do, per attimi, mi sveglio, imploro il cielo che la pioggia duri sino al mattino, che il nostro viale sia sommerso e che la scalinata dello stagno sia sott'acqua sino all'ultimo gradino. Ma nell'età di cui ho ultimamente parlato, l'autunno regna sulla mia vita. I miei giorni m'appaiono sotto la chiara trasparenza degli ozi d'Aswin (2). Nell'oro fuso del sole d'autunno, riflesso dall'erba bagnata di rugiada, camminò lungo la veranda componendo un canto sul modo Jogiya: « In questa luce mat- . tutina, non so che il mio cuore' desideri ... » S'avanza il giorno. Risuona il gong della casa. È mezzogiorno. Il modo è cambiato, ma il mio animo, ancora pieno di musica, non ha posto nè per il lavoro nè per il dovere. Ed' io canto: _« Che (1) Mese che corrisponde a luglio-agosto, momento culminante della stagione delle piogge. (2) Mese che corrisponde a settembre-ottobre, momento delle più lunghe v:tcanze dell'anno, al Bengala.
L' U N I V E R S _I T l L I B E R A 45 è questo giuoco puerile, o mio cuore, che t'assorbe in te stesso durante queste ore senza scopo? ». Nel pomeriggio, steso sul bianco tappeto della mia cameretta~ mi provo a tracciar disegni in un quaderno, non nello sforzo ·di produrre qualcosa ma trastullandomi, per il piacere d'evocare immagini. Intanto, la serena giornata d'autunno penetra attraverso le pareti di questa cameretta e la riempie, come una coppa, d'un filtro inebriante e indorato. Io non so perchè tutti i giorni di questo periodo m'appaiano come immersi in quel firmamento d'autunno e nella sua luce. L'autunno matura i miei canti come matura le spighe per il mie- _ titore, l'autunno -riempie i miei granai di radiosi ozi, l'autunno inonda d'una gioia irragionata il mio animo alleviato d'ogni fardello e che si diletta dei canti e delle storie che inventa. Ecco in che differiscono queste due stagioni caratteristiche· della mia infanzia e della mia giovinezza: durante la prima, m'avvolge il mondo della natura cattivandomi con le sue· molteplici manifestazioni; durante la seconda, la festa che si svolge è la manifestazione del mondo degli uomini. I giuochi de'lle nubi e della luce restano nello sfondo. Il mio animo si riempie dei mormorii della gioia e del dolore umani. Poichè all'azzurro del •cielo d'aqtunno il nostro sguardo dà la sua espressione pensosa; nel soffio delle sue brezze passa la nostra nostalgia. ·1 miei poemi hanno battuto alla porta degli uomini. Non è più un andirivieni senza conseguenza. S'apre una porta dopo l'altra, una camera dopo l'altra. Quante volte si ritorna portando via con sè soltanto il ricordo del chiarore d'una finestra scorta da lontano, o del suono d'un flauto sentito dietro la porta d'un palazzo l Perchè ·uno scambio possa stabilirsi, l'anima deve incontrare un'anima, la volontà deve misurarsi con una volontà, trionfando di molti ostacoli. La. sostanza del nostro essere, in lotta con quegli ostacoli, si slancia, rimbalza, sgorga in un riso o in lacrime, e attraversa bufere di cui è difficile discernere il corso. (1'r.aduzione di PAOLO FLORES). RABINDRANATH TAGORE. L'UNIVERSITA' LIBERA RIVISTA ME~SILE DI • COLTURA SOCIALE Abbonamento annuo L. 10 - semestrale L. 6. Dall'estero tin anno L. 15 _ sei mesi L. 8. Amministrazione presso la CASA EDITRICE SOCIALE, Viale Monza, 77 • MILANO:
• DIZIONARIOFILOSOFICO ABRAMO Abramo è un nome celebre in Asia Minore e in Arabia, come Thot tra gli Egiziani, il primo Zoroastro in .Persia, Ercole in Grecia, Orfeo in Tracia, -Odino tra le nazioni settentrionali, e tanti altri più conosciuti per la loro celebrità che per una..._loro vera istoria accertata. Intendo dire della storia profana, poichè per quella clegl i Ebrei, nostri maestri e nostri nemiéf, che ,crediamo e che detestiamo, siccome la loro stoi'Ìa è stata visibilmente scritta dallo Spirito Santo stesso, abbiamo per essa i sentimenti che dobbiamo .avere. Qui noi non ci rivolgiamo che agli Arabi; essi si vantano di discen-. dcre da Abramo per mezzo di Ismaele; essi credono che questo patriarca costruì la Mecca e che morì in questa stessa città. Il fatto è che la razza di Ismaele è stata infinitamente pii1 favorita eia Dio che non la razza di 'Giacobbe. L'una e l'altra razza veramente hanno dei ladri; ma i ladri aTabi .sono stati prndigiosamente superiori ai ladri ebrei. I discendenti di Giacobbe non conquistarono che un piccolissimo paese, che hanno perduto; i ,discendenti di Ismaele hanno conquistato una parte dell'Asia, dell'Europa e dell' Affrica, hanno stabililo un impero più vasto di quello dei no mani ed :hanno scacciato gli Ebrei dalle loro caverne, ch'èssi chiamavano la terra :promessa. Giudicando delle cose per mezzo degli esempi delle nostre moderne istorie, ;Sarebbe molto difficile che Abramo fosse stato il padre di due nazioni così :differenti. Ci si dice che egli era nato in Caldea, che era figlio di un povero vasaio il quale guadagnavasi la vita facendo deL piccoli idoli di terra. Non è molto verosimile che il figlio di quel vasaio sia andato a fondare la Mecca a trecento leghe da li, sotto il tropico, passando attraverso impraticabili deserti. Se 'egli fu nn conquistatore, si rivolse indubbiamente al bel paese dell'Assiria; e se non fu che un pover'uomo, come ci viene de- , .scl'itto, egli non ha certo fondato dei regni lontani. La Genesi riporta ch'egli aveva settantacinque anni quando usci dal J)aese di Haran, dopo la morte di suo padre, Thare il vasaio. Ma la s~ssa Genesi dice pure che avendo Thare generato Abramo a settant'anni, quegli vi~se fino a cl.uecc·ntocìnque anni, e che Abramo non lasciò ~ran che dopo la morte di suo padre. Con questo conto, appare chiaramente dalla stessa Genesi che Abramo era anziano di centotrentacinque anni quando lasciò la Mesopotamia. Egli andò da un paese idolatra fn un altro paese idolatra chiamato Sichem, i_n Palestina .. Perchè vi andò? Pcrchè lasciò le fertili 1·ive dell'Eufrate per una contrada così distante, così sterile e pietrosa come quella di Sichem? La lingua caldea doveva essere molto differente da quella di Sichem; non era per niente un luogo di comme1·cio; Sichem è distante dalla Caldea più di cento leghe; bisogna attraversare dei deserti per arrivarvi. Ma Dio voleva ch'egli facesse quel viaggio: gli voleva far vedere la terra_ che molti secoli dopo i suoi discendenti dovevano occupare, Lo spirito umano comrrende penosa1nente le ragioni di un tale viaggio. Ma Abramo è appena arrivato nel piccolo montagnoso paese di Sichem, ,che la farne lo scaccia. Egli va in Egitto con sua moglie cercando di che
L' U N I V E I\ S I T À L I B E R A 47 vivere. Vi sono duecento leghe da Sichem a Menfi. ~ naturale che si vada cosi lontano e in un paese di cui non si conosce neppure la lingua per domandare del grano? Ecco dei viaggi abbastanza strani, intrapresi all'età di quasi centoquarant'anni. Abramo conduce a Menfi sua moglie Sara, la quale era giovanissima e quasi bambina' in confronto a lui, giac~hè non aveva che settantacinque anni. E siccome era molto bella, egli risolse di trarne partito. « Fingiti di essere mia sorella, e_gli le disse, affinchè mi si faccia del bene per merito tuo». Avrebbe dovuto dirle piuttosto: « Fingi di essere mia figlia». Il re naturalmente s'innamorò della giovane Sara e donò al preteso fratello molte pecore, buoi, asini ed asine, cammelli, servitori e serve: il che prova come l'Egitto, fino da allora, era un regno molto potente e civile, e quindi anche antichissimo, dove si ricompensavano magnificamente' i fratelli che offri- .vano le proprie sorelle ai re di Menfi. Abramo, il quale amava molto viaggiare, andò nell'orribile deserto di Cades con sua moglie incinta, sempre giovane e sempre graziosa. Un re di quel deserto non mancò d'innamorarsi di Sara, come era avvenuto al re d'Egitto. Il padre dei credenti ripetè la stessa menzogna: fece passare sua ~noglie per sua sorella e ne ebbe ancora delle pecore, dei buoi, dei servitori e delle s·erve. Si può dire che Abramo divenne ricchissimo per mezzo di sua moglie. I commentatori hanno riempito un prodigioso numero di volumi pe1· giustificare la condotta di Abramo e per conciliare la cronologia. Bisogna dunque rimandare il lettore a quei commentarii. Sono stati tutti composti da degli spiriti fini e delicati, metafisici eccellenti,. gente senza pregiudizi e nient'affatto pedante. VOLTAIRE. G I U S E P P E M I S-S I O MAM.MONA E D10 PRIMA EDIZIONE. I. La sorte dei diseredati - II. La mal compartita inateria guasta il banchetto della vita - III. Il Lavoro - Le tre specie di proprietà - L'Uso, unico titolo di legittimo possesso - IV. Le origini della proprietà sovrana - I primi codici statali - La metamorfosi da schiavo a proletario - V. La totale ince•ta delle materie prime del patrimonio d'Adamo - A nuova situazione nuova legge s'impone - VI. Il Capitale monetato - L'Usura Il Nazionalismo - Da Mosè ai tempi nostri - VII. Cristo contro l'usura - Il Mutuo gratuito - L'elemosina del « quod superest » - La rinunzia al possesso gratuito - Altruismo od egoismo? - VIII. Ancora dell'Usura - Credito per produzione e per consumo - Del lucro cessante - Del rischio - Del premio ai risparmiatori - Doppio abuso del credito - IX. Le punizioni dell'Usura - Guerra e rivoluzione - Responsabilità - Necessità dei flagelli - X. La questione del « poco » - Il processo ed il giudizio finale - XI. La comunicazione eucaristica - Il falso ed il vero miracolo - Della mentalità miracolista in rapporto all'ambiente giudaico-messianico-apostolico ~ L'ultima «frazione» - Il corpo di Cristo siamo noi! - L'eucaristia attraverso i secoli - La situazione odierna - NOTA FINALE: Dell'alleanu r diretta fra Di-0 e l'Uomo. Un bel volume di 350 pagine grandi, L. 8,- franco di porto. CASA EDITRICE SOCIALE - Viale Monza 77 MILANO
INTRODUZIONE ~l COMPEN_DJO DELLA STORIA D'ITALIA DEI SECOLI DI MEZZO. \ Le leghe, le guerre e le emulazioni delle repubbliche italiane, surte nel medio evo, coi potentati che dividonsi di presente l'Europa, furono brevi e di poco momento; onde potrebbesi tener opinione che la storia di loro sia al tutto di un pregio secondario, e che ogni popolo dopo aver istudiato nella propria debba, innanzi di faTsi ad escogjtare la storia degli Italiani, rivolgersi a quella dei collegati ereditari, o di coloro i quali appellansi con nome barbaro i nemici naturali della sua nazione. Sarebbe questo un errore: la vera importanza della storia sta negli esempi di morale ch'ella può porgere; non_ si vogliono in essa ricercare scene di sangue, sibbene ammaestramenti intorno al governo della razza umana; la conoscenza delle vicende de' tempi andati , allora solo è proficua quando ci apprende a cansare gli errori dei popoli, ad imitarne le virtù, a vantaggiarsi della loro sperienza. Ma lo scopo sublime di questo studio, la scienza di governare gli uomini pel loro pro, per Io sviluppo delle loro facoltà industriali, intellettuali e morali, per l'incremento della loro. prosperità, non deve replicarsi nell'Europa moderna clie dalle repubbliche italiane del medio evo; da queste ella si traboccò su tutte le altre nazioni. Dopo la distruzione dell'impero romano che trasse nella sua ruina l'antica civiltà, il supremo potere fu per più secoli in balia dei barbari i quali, concitati dalle loro efferrate passioni, trattavano i popoli coll'oltracotanza del vincitore. Non più governo, non più congregazione degli abitanti· di un paese istituita pel benessere universale, ma conquistatori e vinti. Scorgevasi infatti nei primi uno spirito d'independenza; erano compagni legati ai capi al solo fine di satisfare in comune la loro rapacità .e lussuria: ogni vanto nell'esser temuti, obbediti e nel vendicarsi ponevano; scapricciatisi sui vinti, si dilettavano altresì dell'udir celebrare ne' conviti dai. loro poeti siffatti disordini ch'egli avevano in conto di egregie gesta, e se ne teneano. Ai caduti per converso sotto il giogo dei barbari era tolta ogni speranza di patrocinio: non giustizia per essi, e rotto in fine ogni vincolo sociale. Col sudore delle lor fronti doveano apprestar tripudi e ghiottornìe ai vincitori, durar patimenti ed umiliazioni ond'essi si pavoneggiassero del loro dominio. Tale fu, per lungo ordine di anni, dopo il disfacimento dell'impero romano, la condizione di tutti i popoli d'Europa, condizione la di cui storia è pressochè vuota di sodi insegnamenti, e che torn~ meglio il trasandare: perocchè noi siamo di leggeri adescati da tutto ciò che offre un'apparenza di gagliardia. Alletta ne' barbari quella valentia, la quale altro non partorì che delitti e desolazione; noi attribuiamo qualche fiata alle lunghe rivalità che Ii tennero divisi, l'odio nato tra i loro discendenti, e un poetico prestigio avvolge
L'U.NIVERSITl LIBERA 49 ancora secoli dai quali una sola lezione n'è dato imparare, quella di evitare ad ogni costo il loro risorgimento. La storia utile, la storia che dovrebbe andare per le mani di tutti, piglia le mosse dal tempo in cui vincitori e vinti; ridottisi ad abitare una terra medesima, formarono un solo popolo; o più presto da quello in cui l'idea del pubblico bene fu il veicolo che gli ricongiunse; ed i popoli governarono e non furono governati. Nelle diverse regioni procedette più o men rapido il travasamento dei vincitori coi vinti, nelle une depressi i primi; nelle altre sollevati i secondi. Il quale travasamento per altro, gettò le fasi di un ordine pubblico solo allora che p~polo e proprietà assunsero un nome distinto. Dopo l'inonùazione dei barbari, i popoli d'ogni paese erano aggregati all'esJrcito. Ma siccome l'esercito, non volendo rimettere punto della sua forza, dovette mantenersi stabile, e commettersi ad un capo col quale accumunava · ogni potere sino ad insignirlo di un'autorità quasi dispotica, accadde spesso che ·codesto capo, proclamato ·re dai barba1·i, dopo essere stato l'uomo dell'e.sercito ne divenne il padrone. Lo guidò, l'obbedì, lo padroneggiò. Il governo militare si trasformò quindi in patrimoniale; popolo ed esercito pertennero meçlesimamente al re, e furono amministrati al solo vantaggio del re. Durando siffatti governi militari, o patrimoniali; mentre i Franchi teneano la Gallia, i Visigoti la Spagna, i Sassoni e poscia i Normanni l'Inghilterra; od i re di cotesti popoli vincitori signoreggiavano esse contrade, ·1•1talia non indugiò guarì a comprendere e dichiarare ch'ella era donna di sè medesima, a recarsi in proprio la somma delle cose pubbliche, e ad indirizzarla al miglior essere di lei. Non altrimenti che gli altri popoli dell'occidente, invasa l'Italia dai barbari, spogliata, avvilita, sconvolta, si travagliò indarno a ributtare i suoi vincitori, a cacciarli dalle sue terre, a riordinarsi in un solo stato. Qui come altrove, l'antico corpo sociale era annientato, ma qui più che altrove il principio della vita covava di sotto ai ruderi del colosso atterrato. Soggiacquero gli Italiani come nazione, ma gli amminicoli della loro gran lega sociale, le città, le borgate, i primi elementi insomma che costituivano la nazione, si riscossero, ed affidarono a sè stessi la propria difesa. Ogni congregazione di uomini sopravvissuta al naufragio della grande congregazione ebbe l'ardimento di sussi- . stere da sè; si fu di leggeri capacitata aver lei degli interessi da salvare, delle idee superiori alla tema; delle virtù che poteano procacciarle la vittoria. Gli Italiani specularono il bene dell'universale, non il bene de' padroni alle spese 'dei servi; dap- ·principio i battiti del cuore, e subito la loro intelligenza li avvertì che avevano ancora una patria; per questa ei diedero i primi all'Europa un solenne documento di pubbliche virtù; Appena ebbero cominciato a i:eggersi da sè e per sè, nell'età di mezzo, lorquando gli altri popoli viveano una vita miserrima, eglino av-
50 L' U N I V E R S I T À L I B E R A viavansi a grande stato. Illuminati e virtuosi, l'esercizio delle arti e del commercio addoppiando le loro ricchezze, svegliò. l'attenzione degli altri popoli. Il loro contegno chiarì le comuni o le congregazioni più umili stabilitesi nelle rimanenti città d'Europa, le quali da lungi imitavanli; la loro sperienza prescrisse norma alle meditazioni di alcuni sommi uomini cresciuti nel governo delle repubbliche italiane, i quali dalla pratica trapassarono alla teorica delle società civili, ed additarono, non solo ai loro compatriotti; ma a tutti gli uomini, a tutte le età avvenire, qual era la meta cui doveano intendere le nuove congregazioni, e quali i mezzi a conseguirla. . Per altro, tanto che le repubbliche italiane accrescevano in popolazione, in lumi, in virtit e ricchezze, i governi patrimoniali sparsi nel resto dell'Europa ingrandivano in modo affatto diverso. I progressi delle nazioni nella civiltà operavansi a rilento; contuttociò se ne facevano; i loro padroni aumentavano parimenti in potenza, non già per io dirozzamento dei sudditi,' sibbene per la congiunzione di nuovi Stati; i loro regni sottoposti alle leggi dell'eredità e della primogenitura, le quali ingenerano sempre e in breve t1:;mpo l'estinzione delle famiglie doviziose, ei:ansi allargati, in quella guisa che il patrimonio di tutte le famiglie doviziose impinguasi dalle eredità, dai maritaggi, o dai sopmsi. , Le antiche case principesche eransi spente, od in tutti i loro rami, o per lo meno ne' rami primoge_niti; i pochi sopravissuti nei rami cadetti aveano raunato ogni cosa, e una tlecina di sovrani potenti era sottentrata ad un centinaio di sovrani più deboli. In sullo scorso del secolo quintodecimo, i dominatori delle nazioni francese, alemanna e spagnuola furono adescati dalla maravigliosa opulenza dell'Italia, laddove il saccheggio di sola una città valea talvolta il tributo di milioni de' loro sudditi. Appigliandosi ai più frivoli pretesti, irruppero nell'Italia, la quale in quarant'anni di guerra fu mano a mano posta a soqquadro da fotti i popoli che poterono osteggiarla. Per le avanìe di cotesti nuovi barbari dileguassi· finalmente !'.opulenza che li avea attirati; se non che i soldati del Settentrione e dell'Occidente recaron_o nelle loro terre natie coi tesori degli Italiani gli ammaestramenti attinti alla scuola di una civiltà più avanzata. I semi raccolti nelle repubbliche italiane del medio evo furono sparsi copiosamente per tutta l'Europa; onde non ci esce mai di mente · ·su qual terra furon vedu"ti per la prima volta germogliare. Questo primo sviluppamento della Nazione Italiana, così istruttivo per tutte le altre nazioni, è ora nostro proposito di qui brevemente descrivere. Ci siamo ingegnati di racchiudere in un · solo volume il compendio degli avvenimenti che dalla caduta dell'Impero romano infino allo spegnersi delle repubbliche de) medio evo alternarono nell'Italia. • (1836)_ l. C. L. SISMONDO DE SIS:VIONDI.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==