L'università libera - n. 1 - gennaio 1925

L'UNIV rn S1T ÀLI8ER A ~IVIST A MENSILB DI COLTURA SOCIALE • N. 1 . Gennaio 1925 - MILANO - Viale Monza 77 FARE DEGLI UOMINI Presentiamo una. rivista di cultura, ·e la presentiamo nella ferma convinzione che la nostra iniziativa, anche se modesta, non è vana. Noi crediamo che per l'uomo·Iibero che si sente padrone di sè ed arbitro del proprio destino il sapere sia uria necessità, il pane per il suo spirito desideroso di verità e di luce. Pei·chè dal sapere deriva la saggezza, perchè col sapere si plasma la coscienza e si tempra il carattere. Cosciem~a è potenza e carattere è virtù. l partiti politici . e le correnti sociali preparano le vie del divenire; 'gli uomini, esa:>perati dalla quotidiana lotta per l'esistenza, sognano l'isola benedetttt della pace; la scienza e la ragione cercano di illuminare i più profondi abissi della vita per svelarne i ~steri. Tutto è intelligenza, e più l'intelletto umano si affina, più l'aspra lottt.\. fra l'uomo é. la natura si svolge ·a favore dell'uomo. Sapere per combattere e per vincere: è una via, è un programma, è un cr<~do. J Non abbiamo grandi cose da dire e non abbiamo alcun dogma da imporre. Indaghiamo nel vasto mondo dello studio, fissiamo_ il nostro· ·sguardo negli sprazzi di luce che rompono la 'tenebra dell'ignoranza, e vogliamo che alh'i, come .noi, godano di quella luce. Non crediamo nelia cultura ufficiale che si asside, cattedratica, a dettar dogmi inviolabili, crediamo piuttosto nell'indagine, nel libero esame· dell'uomo che medita, nel ragionamento di chi s~ intuire la verità per capacità propria. Indipendenza intellettuale fatta lfbern dagli impacci tradiil.onali e che 'si libra· _nel• ci_elodella libertà dellq spiri.to. ·Cultura libera, dnnqtfe ... Ed è peì· questo che abbiamo intitolato la nostr~ rivista col nome di « UnivèrsHà Libera». ·· Fra i nomi di colorq che si sono assunti il compito di redigere questo quaderno mensile, se ne troverà più d'uno che ·non è .~ nuovo alle battaglie della penna, - nome di qualche militante che ha sulle spalle tre o quattro iustri di lotte giornalisticl)-e l

W'UNIVBRSITÀ LIBERA combattute nel campo politico ed in quello della coltura, no di quache militante che porta con sè un credo sociale oper pel domani. Ma in queste pagine non si farà una politica di p tito o di setta, perchè giudichiamo che la verità non è monop lio di alcun partito e di alcuna setta ► la verità emerge dal sape ed il sapere è eclettico. Noi vogliamo formare degli uomini, e cioè delle individualità ben definite e sicure di se stesse, perchè siamo convinti che tutte le ide·e, anche le più luminose e le più eccelse, diventano vana retorica quando non sono sostenute da uomini consapevoli, pronti e temprati alla lotta e disposti al sacrificio, uomini padroni della propria intelligenza e capaci di giudicare il bene e il male senza lasciarsi fuorviare dall'inganno altrui. Volendo riandare nelle vicende del movimento sociale itaJiano dell'immedia<to dopo guerra, non sarebbe difficile di dimostrare come tutti quegli entusiasmi siano svaniti nel grigiore fosco della nebbia appunto per mancanza di uomini consapevoli capaci di additare agli. entusiasti la giusta via che avrebbe potuto condurre alla mèta. Facilonismo, mancanza di una solida cultura sociale, mancanza di fede profonda: queste le caratteristiche spirituali del 1919-20. Propositi forti, canti e grida; ma gli uomini che s'erano assunti il compito difficile e delicato di condurre le masse alla conquista suprema, non avevano_ l'intelletto forgiato alla battaglia: prospettavano la gioia dell'indomani della vittoria, ma non prospettavano il sacrificio che la vittoria avrebbe dovuto costare. Così, di fronte alla realtà crudele, il castello costruito sulla sabbia si sfasciò e le masse si sbandarono. Formare degli uomini: questo il 'nostro compito; ma non per servire questo o quel partito politico, ma per servire il bene di tutti. Quando l'uomo sa, intuisce la verità, sceglie la propria via ed il proprio credo e combatte serenamente sicuro di combattere per il giusto e per il buono. La Redazione Questo primo numero esce con alquanto ritardo a causa delle formalità imposte dalle nuove rest[izioni legali sulla stampa. Contiamo però di Il rimetterci presto ìn pari e di poter continuare regolarmente la pubblicazione della rivista, alla quale hanno già promesso di collaborare diversi apprezzati scrittori cli cose sociali, ed alla quale daremo ogni nostra disin- · teressata attività aff inchè riesca sempre più interessante e quasi indispensabile per chi vuol farsi una seria coltura. Ai nostri amici raccomandiamo vivamente di occuparsi della sua diffusione, e specialmente di raccogliere abbonamenti, giacchè i nostri mezzi sono limitatissimi e inadeguati alla nostra volontà di fare.

MOVIMENTISPIRITUALI LA RIVOLUZIONE PROTESTANTE Negli anni che precedettero la Guerra E_uropea la questione .religiosa, in italia, non sollevava ·fervore di discussione e non molti erano gli studiosi che si assumevano il compito di scrutaré nei misteri della fede e di Dio. In quei tempi erano in piena efficienza l'anticlericalismo podrecchiano e l'ateismo puro, e perciò si giudicava superflua fatica l'indagine nei problemi dello spirito: si combatteva l'idea religiosa con lo scherno e colla volgarità e si tirava innanzi senza opporre idee ad idee. Poi venne la guerra che seminò pel mondo la morte ed il dolore ... · Quando l'uomo si sente percosso dal dolore o si trova al cospetto della morte si piega pensoso sul mistero dell'aldilà, ed eleva l'anima all'idea di Dio. Così avvenne che nel dopo guerra lo spirito religioso si fece breccia ili larghi strati, si affermò e si diffuse, creando larghe correnti di pensiero. L'anticlericalismo degli anni passati ha abituato gli italiani a limitare l'idea di religione nella prassi cattolica dell'adorazione di Dio, quel Dio onnipresente ed onnipotente, creatore del . mondo, e che dall'alto del suo regno di perfezione assoluta scruta con occhio corruscato l'opera sua:, pronto a colpire ed a punire chi oltraggia le- sue leggi immutabili. Iu realtà si è religiosi anche se non si segue la p1;assi catto.Jica o di altra credenza divina, anche se non si crede in nessun dio. Esser religiosi vuol dire credere fermamente in qualcosa di migliore che, o per fatalità d'eventi o per volontà di uomini, dovrà venire, e conseguentemente essere disposti e decisi a combattere con purezza d'intenti e fino al più grande sacrificio perchè ,questo « qualcosa di migliore» - e cioè l'ideale - diventi realtà. Perciò anche il socialismo, purchè servito con spirito di sacrificio e con fede tenace, può essere una religione. Tra le edizioni del Coenobium furono pubblicati, or è qualche anno, tre volumi: « Confessioni e professioni di fede di letterati, fi-losofì, ecc.» nei · quali sono raccolte le diverse opinioni di personalità italiane e 'straniere a proposito di religione. Sarebbe interessante, al fine di dimostrare la fondatezza della nostra interpretazione dell'_idea religiosa, di riportare il pensierò espresso in quelle pagine da positivisti come Roberto Ardigò, da atei come Felix Le Dantec, d~ libertari come Laurent Tailhade, Han Ryner e Paul Gille, da scienziati come Flammario11: Nessuno di costoro crede nel dio a·stratto e metafisico delle religioni divine, ma ognuno- d'essi ha il proprio credo o naturale, o scientifico, o filosofico, o sociale e per questo credo pensa ~ combatte. Nel loro caso ì'idçl.io è la filosofia, è la verità scientifica, è la bontà, è l'avvenire sociale, è la natura, è la solidarietà, è il bene universale. Abbi?-mo voluto spiegare, a, guisa di premessa quale è il nostro concetto di religione onde non· venir fraintesi. Noi studiamo i movimenti religiosi più dal punto di vista sociale che da quello teologico: i misteri, la me-

4 L' U N I V E R S I T À L I B E R A tafisica, la trascendenza, la prassi, le dissertazioni nebulo·se non ci intere~sano gran che; c'interessa piuttosto la consistenza pratica, il valore reale d'ogni religione e le capacità rinnovatrici e costruttrici ché ogni movimento spirituale sa suscitare negli uomini e nei popoli. In Italia si vuol dar vita ad un movimento protestante. Ii centro di questo movimento è rappresentato da un gruppo di scrittori che si stringe intorno alia rassegna settima1rnlc « Conscienlia >> che, si stampa a Roma, una rassegna che interessa anche i profani diQquestioni religiose perchè il suo contenuto non è limitato a problemi di filosofia o di prassi protestante, ma sconfina nel piii vasto mondo della coltura generale. Questo concetto d'eclettismo è spiegabile: il protestantesimo, pur avendo origini nello stesso tronco del cattolicismo - e cioè nel Vangelo di Cristo - non può irrigidirsi ;rnll'assoluto. Il cattolicismo è una religio~1e gerarchica, autoritaria, imperialista chiusa in una prassi formalista di riti e di dogmi. Lo spirito gerarchico ed autoritario ha condotto la Chiesa Cattolica all'infallibilismo del proprio capo temporale. Perciò la prassi cattolica è sempre ferma alle leggi delle sacre tavole interpretate, s'intende, secondo il giudizio déll'infallibile capo. I fedeli debbono credere ed obbedire, perchè il libero esame e l'indagine possono condurre all'eresia. Il protestantesimo, invece, vuol ridestare il senso spirituale ed umano della religione di Cristo, ed al formalismo della prassi cattolica ·contrappone la pietà interiore e l'amore spontaneo; al dommatismo contrappone l'indagine perchè è la coscienza individuale che deve scmtare nel Vangelo ed intuirne la luminosa verità dell'amore, perchè è l'individuo che per virtù propria e per consapevolezza deve fuggire il male per assurgere al bene. Ritorno alle pure origi.ni, dunque; cristianesimo integrale che si riafferma per la salvezza dello spiritò. Da ciò la necessità di non aYulgere la prnssi protestante dalla realtà della vita e dai campi del sapere. Lo spirito abbraccia la materia, la filosofia abbraccia la religione, la realtà si sublima nell'ideale, e l'anima umanJt• nsr,urge a Dio. Vivere nel mondo, tutto studiare e tutto- comprendere per· tutto amare. Uno dei migliori e dei più attivi scrittori cli « Conscientia r, - Giuseppe Gangale - ha voluto sistemare in un volumetto intitolato «.La Rivoluzione l'rotestante » le idee elaborate nella rassegna settimanale, ed ha trovato uì1 editore - Piero Gobetti - che ha stampato ed ora sta diffondendo la piccola opera. Piccola come mole, s'~ntende, ma densa di pensiero pcrchè in meno di cento pagine !_'autore condensa l'esposizione dell'ideologia e della prassi protestante. La· prima parte del Yolumetto è dedicata alla critica del cattolicismo c a·d alcune considerazioni sugli avvenimenti po-litici e sociali_ svoltisi dal 1914 ad oggi. Il Gangale sostiene che il cattolicismo ha creato nel popolo italiano una mentalità riformista ed accomodante e che di conseguenza tutta la vita politica e sociale italiana porta l'impronta di questa mentalità. In Italia è mancata una ri,·oluzione religiosa; la riforma ha sconvolto i popoli di tre quarti d'Europa senza toccare l'Italia. Vi furono tentativi ma i tentativi vennero soffocati nella persecuzione e nel sangue: il martirio dei valdesi è un fatto storico, Eppure l'Italia, prima che Lutero e Ca.I-

L' U N I V E R S I T À L I B E R A 5 vino iniziassero il loro apostolato, aveva già avuto qualche precursore della riforma: fra Gerolamo Savonarola, pur essendo fervente cattolico, s'era levato con tutta la fierezza del suo carattere cristiano contro la degenerazione morale della Chiesa del suo tempo. Ma se altrove Lutero e Calvino hanno potuto combattere e vincere, in Italia ciò non fu possibile. La politica cattolica stendeva ovunque le sue mani, e re e Jlrincipi obbedivano e perseguitavano. Secondo il Gangale, la conseguenza di questa mancata rivoluzione è che il popolo italiano manca di una vita spirituale; mancando di una vita spirituale questo popolo cammina nella storia senza una volontà decisa e senza una mèta. Il Gangale non crede nella gioventù cattolica legata strettamente al Vaticano e dominata· dai vecchi che la tengono al guinzaglio. Non crede nemmeno nel Partito Popolare. Il cattolicismo non può diventare democrazia. e se a volte sembra che qualche soffio di spirito nuovo aleggi nel giovane clero, ciò non è cl!e uqa manovra: si fa della lotta di classe e della politica democratica ·per impedire peggiori guai. Passato il pericolo si ritorna all'antico, si ritorna al domma infallibile, al dovere del povero ed al diritto del ricco. Interessanti sono i capitoli in cui il Gangale,' al lume della critica protestante, esamina gli avvenimenti politici che dal 1914 ad oggi hanno sconvolto l'Italia. Su questi capitoli, per ragioni ovvie, non _possiamo soffermarci. Rileviamo soltanto che il Gangale sostiene questa tesi: il movimento bolscevico svoltosi in Italia nell'immediato dopo guerra non arrivò a nulla di concreto perchè mancava di spirito religioso o, megliò, di una fede profonda. Scrive il Uangale: ,i Ie1·i il bolscevismo non aveva una forma morale, non aveva un solido religioso messianismo da opporre ai colpi d'ariete, e si sgretolò .... ». E più avanti: « ••• in nome di quale norma assoluta le masse bolsceviche avrebbero dovuto fare la rivoluzione? Per acquistare miglioramenti economici? Ma esse li ottenevano anche con le cose cosi come stavano e senza fatica. E: logico. Un socialismo politico non è possibile senza una fede categorica e 11011eco1101nica ». Fu dunque la man- 0 canza di ·vita spirituale nelle masse che fece disperdere gli entusiasmi del dopo guerra conducendoci alla situazione odierna. Cos'è il protestantesimo? Noi, come abbiamo già detto più sopra, studiamo i movimenti religiosi pii1 dal punto di vista sociale che da quello teologico e· perciò crediamo inutile, ai fini del nostro studio, il soffermarci a spiegare i ~ineamcnti della filosofia protestante. Nella terza parte del suo volumetto il. Gangale si dilunga nell'esporre questi lineamenti sostenendo, fra l'altro, che il protestantesimo è la concezione platonica del cristianesimo: « Dice11do plato11ica - aggi1111geil Ga11gale - no11 inte11diamo alludere al pe11siero cl'el Platone storico, ma all'Ìlldil'izzo del pe11siero di cui il ftlosof o greco fu la prima espressione storica,. e di cui è simbolo; il platonismo Ìllsomma come certezza che a Dio non s'arriva, a pC>steriori, per dimostrazioni, ma lo scopl'e, a priori, nell'anima nostra come dato d'illtuizione, per fede, per illuminazione diretta; che Dio, non è semplicemente la Causa, ma è la Vita, la Provvidenza del mo11do, iz Dio per cui avvie11e tutto ciò che avviene nel mo11do, il Dio della Grazia e 11011del libero, ar-

6 L' U N I V E R S I T À L I B E R A bifrio, il Dio immanente insomma, no11 perchè egli sia il mo11do, ma perchè il mondo immane in lui». i\la l'esposizione dei lineamenti della filosofia protestante (il protestantesimo del Gangalc attinge alla fonte di Giovanni Calvino) non convince. E' una dotta dissertazione su vari sistemi di filosofia, ricca di sprazzi di luce, ma si conclude nella nebbia della filosofia. A noi invece interessa il concreto. Ed il concreto riappa1·e nell'ultima parte del volumetto dove il Gangale traccia le linee di una prassi protestante. Il protestantesimo è antimonastico, e contro il monachismo eleYa il concetto del lavoro, della sua dignità e della sua operosità: si allaccia col concetto .di Paolo: « chi non ·lavora non mangia». Il pi;otestantesimo crea· l'autarchia è cioè l'uomo indipendente che pensa da sè: « L'uomo è ric_hiamato ai suoi doveri di padre e di cittadino e passa, da membro irresponsabile di una comunità, a uomo solo autonomo, non solo di fronte a Dio, ma anc.he di fronte alla storia umana, alla Società». II protestantesimo è antipaternal\3ta .. Il patemalismo è metodo cattolico per acquietare e sottomettere; il parroco che pensa a tutto e provvede a tutto, che invade il sacrario famigliare e ii campò degli interessi pÙsonali è la resultante del paternalismo ('hiesastico che abitua gli uomini alla servitù. Il paternalismo statak, causa d'impigrimento dei popoli, deriva appunto dal cattolicismo. E dove il cattolicismo s'impone, lo Stato paternalista ed accentrato acquista maggior potenza, perchè il cattolicismo · ha abituato glì uomini all'obbedienza cieca ed .alla sudditanza. 11 contadin_o itali~no attaccato alla parrocchia, che non co·nosce nulla del ~ondo all'infuori del suo campo e della sua chiesa, che non vede nulla all'infuori della sua vita meschina, è i'l cattolico tipo, e contro questa m-iseria intellettuale e spirituale il protestantesir1to proclama la sua rivolta. Niente ritualismo esteriore, niente lusso di tempi, niente gerarchia. Tutto il mondo può essere chiesa per la preghiera: anche l'umile capanna, anche la campagna aperta ai venti ed al sole. Ogni credente è sacerdote di se ,. sle&so. Una religione individuale, dunque, che vive nell'anima dell'indi- ' i<luo: il cristianesimo puro, il Vangelo interpretato nel senso umano. Il Gangale si prospetta una. domanda: « Il J:\OStroprotestantesimo è democratico od antidemocratico?». Risponde: « Noi crediamo che alla vera· <lemocraziu non si possa arrivare che attrav~rso e dopo una rivoluzione religiosa ». Abbiamo fatto una rapida scorsa attraverso il libro del Gangale riassumendolo nei punti da noi giudicati più importanti, onde ,dare un'idea del come IIOi interpretiamo il movimento protestante italiano; movimento che ha la sua ragion d'essere giacchè il modernismo cattolico, a forza di rinunce e di sottomissioni, è ormai ridotto a zero e giacchè anche l'ala sinistra del Partito Popolare, dopo i casi di Cocchi e di Miglioli, non ha più alcuna infll\enza nel partito dominato dall'accomodante centrismo. Il movimento protestante vuol dare un mito al popolo italiano, una religione messianica che gli dia la forza spirituale di ricostruire la nazione su basi morali solide e che possa liberare la vita dell'uomo dai vizi e dalle turpitudini che lo rendono Caino: creare una vita austera di consapevo-

L' U N I V E R S I T À I. I B E R A 7 lczza e di bene. Leone Tolstoi, sotto un altro aspetto, ha propugnato lo stesso credo; anche Tolstoi voleva portare il cristianesimo alle fonti pure ... l\Ia Leone Tolstoi era libertario, mentre Lutero e Calvino erano autoritari. Leone Tolstoi era più vicino a Savonarola che non ai due giganti della riforma. Noi non sappiamo se il potestantesimo s.'.1rà sufficiente per dare al popolo italiano la forza spirituale di cui è manchevole. I fermenti del dopo guerra non diedero alcun frutto appunto perchè le classi produttrici non avevano una fede. Si voleva il socialismo, ma non si credeva nel socialismo. Bisogna idealizzare il socialismo - parliamo di spirito socialista e non di partito politico -- dargli valore di religione, elevarlo all'altezza di mito. Questo il compito dell'ora. Gli uomini non credono nel Dio metafisico perchè comprendono che non è che un inganno filosofico •.• L'Iddio è l'astrazione, il socialismo - anche concepito in senso spirituale di dottrina d'amore e di solidarietà - è la realtà. E la vita si svolge e cammina nella realtà. PIETR\)·KRl)P\Til<JN n.MVIV~ APP~GGI~ CASA-D>ITRICE ·S~cw..[-MJLM\) CARLOMOLASCHI. UN FATTORE DELL'EVOLUZIONE Il « Mutuo appoggio • di P~ro Kropotkin rimarrà sempre come l' inte~razione necessaria della teoria darwimana della lotta per l'esistenza ... li « Mutuo appoggio > non è soltanto la restituzione della teoria strappata ai curiali, agli staffieri ed agli apologisti della bor~hesia, nell'intenzione, nel pensiero e nell animo del creatore venerato; è la rivelazione al proletariato della gr1rnde irresistibile forza che gli darà tutta la vittoria. Lu101 GALLF.ANI, È uscita l'attesa prima edizione Ita-;- liana. Traduzione e prefazione di CAMILLO BERNERl Un bel volume di 320 pagine grandi L. 10 franco di porto ovunque. Sono pure usciti : CARLODARWIN: L'Origine delle Specie. Lotta per l'esistenza. Nuova· edizione completa con uno studio di Romeo Manzoni sulla vita e l'opera di Darwin. L. 15. - CARLODARWIN: L'origine dell'Uomo. Scelta sessuale. Nuova edizione completa iJlustrata. L. 15. GIOVANNICANESTRINI: La Teoria dell'Evoluzione. Introduzione allo studio delle opere di Darwin. Nuova edizione con prefazione del pottor Carlo Arnaudi. L. 10. La diretta ~onoscenza di queste opere è indispensabile per c:hi ·vuQl farsi una solida coltura ,scientifico-naturalista. Richiederle direttamente alla Casa Editrice Sociale che le spedisce franche di porto raccomandate tanto in Italia che all'estero,,

Rileggendo ALLE FONTI DEL CLITUMNO di Giosuè Carducci Ad ogni nuova lettura di questa gemma della poesia cardµcciana ch'è la saffica « Alle fonti del Clitumno », chi non è estraneo ai luoghi cantati dal Poeta questi luoghi rivede ancor più belli con gli occhi della mente. Pensate di partire in una chiara mattina primaverile dalla rumorosa stazione centrale di Roma sulla linea di Ancona. Percorsa sul celere treno la malinconica campagna per lungo spazio deserta; dopo ·essersi lasciati alle spalle Orte solitaria e aver sostato lirevi istanti innanzi a Terni, alveare di lavoro e d'industrie, passeggeri immaginari guardiamo dinanzi a noi diventar sempre più collinosa la campagna bellissima, finchè ci accorgiamo d'esser già tra i monti, e sovrastarci l'Appennino, verso il quale la vaporiera si slancia, sbuffando e fischiando, quasi impaziente di sorpassar quelle giogaie, per correre più giulivo e più veloce, al di là, fra i dolci colli marchigiani, verso le rive del turchino Adriatico. Prima che il tre~o s'interni tra i monti scendiamo ad una delle piì1 piccole e solinghe stazioni, - che sembrano perdute e dimenticate, ai piedi delle alte colline che le circondano, . come ~.n un deserto. Ma non ~oltanto il treno, che s'allontana e « manda il suo grido», scomparendo laggiù verso Fossato, quivi canta l'inno alla vita: Il silenzio si anima. Tutto intorno le messi già alte e verdi, e il verdeggiare degli oliveti, dei vigneti e dei frutteti, e le casette a'rrampicate sui pendii, e più in alto le greggi; e là, sulla strada bianc_a che fiancheggia dt· tratto in tratto la via ferrata, due bianchi buoi che tira.no il baroccio dipinto: - tutto· si anima intorno a noi d'una v~ta inten·sa, e rivela l'assidua, vigile, paziente e lunga opera dell'uomo. . . . . . Ride il domestico lavor, le biade tremule accennano dal colle verde, il bue mugghia, su l'aia il florido gallo canta (1). (1) CARDUCCI, L·a Madre (Odi Barbare).

L' U N I V E R S I T À L I B E R A 9 Pure il linguaggio della natura, che quivi si spng1ona dalle co!le, sembra più forte ancora di quello umano. E se la_ voce umana ad esso si unisce - sia un grido di richiamo da un lontano casolare, sia il canto d'una villanella nei campi, - essa è -m armonia con l'ambiente, accompagnata dal sussurrò del vento_ tra gli alberi e dal gorgogliare tra i sassi del fiumicello che sgorga poco lungi, ricco già delle sue acque primaverili. Risaliamo, lungo la riva, il corso delle limpide acque. Se pur queste non sono precisamente l'antico Clitumno sacro a Giove, gli. occhi ne cercano, nonostante, le sorgenti così celebrat_e; ed i versi della nota ode barbara di Giosuè Carducci ritornano spontanei alla memoria, e dalla memoria alle labbra. Ancora una volta sul loro forte ritmo sonoro la mente · risale il corso dei tempi ... : Ancor dal monte, che di foschi ondeggia frassini al vento mormoranti ... , mentre la musica del verso accompagna ed anima di più forti vibrazioni tutto il sentimento che la visione delle circostanti bellezze naturali ridesta. Sì, questi luoghi debbon essere oggi all'incirca gli stessi che sono stati per secoli e secoli nel passato. Il lavoro umano ha coltivato queste terre, ma non puè> aYerne cangiati i caratteri nè mutato l'aspetto grandioso esteriore. Fu distrutto il tempio di .Giove, ed in mezzo alla robusta vegetazione del paese. furonò importate piante con essa meno in armonia; ed, ancor peggio, un vandalico utilitarismo ha diradate qua e là di alberi alcune vette. Ma i caratteri speciali del luogo rimangono, e co1 sì pure molte costumanze di vita e di lavoro agreste. Scendono ancora, come un tempo, dal monte fino al fiume le greggi; ancora la contadina, abbronzata dal sole, sta sulla soglia ed allatta l'ultimo nato: ancora: il villano, coperte l'anche di pelli di capra, spinge innanzi il « pio bove » trascinante il carro o l'aratro; anche oggi il pastorello deve tirare a forza la riluttante pecora nell'acqua, per lavarla, come ai tempi di Virgilio pei giovenchi (1). (1) Flectere luclantes inter vineta juvencos (Virgilio, Georgica II, 357) « spingere i riluttanti vitelli tra i vigneti».

• 10 L' U N I V E R S I T À L I B E R A E i forti giovenchi dal largo petto e dalle arcate corna richia- - mano alla memoria gli altri, a questi simili, cantati anche da Orazio (1). Ma nei versi carducciani la descrizione si fa viva pit- . tura; e quando il poeta, alla 'Vista del pargolo che dalle ginocchia della madre si stacca un istante dalla mammella per sorridere al fratello che immerge la pecora timorosa nell'acqua, mentre il padre severo, cop.erto di pelli come un fauno antico, poco distante guida il carro, a questa scena mette come sfondo maestoso l'Appennino, su cui oscure intanto fumano le nubi (2) anche il lettore, e spettatore insieme, si esalta di -dolcezza e di fierezza. * * * Segui~mo allora il poeta nell'invocazione all'Umbria verde, _· così bella, ed agli antichi itali iddii: gli dèi indigeti, « cbe non sono (come notavano il Chiappelli ed il Ferrari) gli dei dell'Olimpo, ma gli dei autoctoni ,, (3) che si adoravano nell'Italia centralé non ancora conquistata dai Rom.ani, ed .a cui rimasero profondamente devoti per lunghi secoli gli abitatori di quelle contrade anche dopo, non so<lofinchè durò la religione pagana dei Greci e dei Romani (con la quale i vecchi miti si confusero, ma non si fusero mai del tutto), ma anche più tardi. È noto che la stessa parola « pagano n acquistò il significato che le si dà oggi quando il cristianesimo, non più religione perseguitata e ribelle degli umili, dei poveri, degli schiavi e di pochi patrizi idealisti, ma divenuto con gli ultimi imperatori della de: cadente Roma religione di Stato, a sua volta si mise a perseguitare, insieme alle nuove eresie pullulanti sul suo tronco, quanti rimanevano ancora fedeli alla religione antica, la quale continuò a vivere nei « pagi n, cioè nei villaggi e nelle capanne, abbastanza apertamente all'inizio, segretamente poi, ed. infine inconsciamente in molte di quelle superstizioni medioevali delle (1) vitulus . .. Fronte curvatus imitatus ignes Tertium lunae referentis ortum (Orazio, odi, IV, 2). « Il vitello che con le corna nascenti imita l'arco luminoso della luna novella ». (2) Severino Ferrar i notava giustamente che il verbo fumano « con . vivezza pittorica fissando l'immagine, esprime il salir su delle nubi dalla cìma delle lllOntagne vaporando a guisa di fumo». (3) Da un commento all'Ode del Carducci di Severino Fe~rari, da cui aJ,biam tolte alcune delle citazioni - sopra ripo-rtate ..

!}UNIVERSITÀ LIBERA 11 streghe e dei folletti che non sono del tutto spente neppure ai giorni nostri (1). Altrove, nel notissimo inno A Satana, lo stesso Carducci ricorda questo fatto nella strofa te accolse profugo tra gli dèi Lari la plebe memore ne i casolari. Infatti ciò che di più ha resistito, contro ·n trionfante Cristia,nesimo, non è stata la grandiosa coreografica religione di Giove col suo· corteggio di dèi e di dèe greco-romano, molta pompa della quale s'è anzi trasferita alla religione nuova, ma l'ingenua fede preesistente anche a quella romana, che aveva, popolato di dèi familiari la casa e i campi, i boschi e le messi, i fiumi e le fonti. Si comprende benissimo come gl'itali iddii aleggiassero sull'accesa fronte del poeta, in ;mezzo all'Umbria verdeggiante a preferenza che altrove, se si pensa come quella regione dell'Italia centrale, lontana dai due mari opposti, e quasi chiusa tra monti selvosi è quella che' più dev'essere riuscita a conservarsi (non sempre, s'intende, nè completamente) immune da quel flusso e riflusso de' pit'.1diversi popoli che di altre regioni hanno profondaipente mutato gli antichi caratteri. Non sempre, dicevamo, nè completamente: mani straniere hanno piantato sui rivi sacri agli dèi indigeti d'Italia il salice piangente, pianta d'origine asiatica, simbolO' di umiltà e di rassegnazione, in contrasto con la robusta vegetazione del luogo, simbolo di forza e di vitalità: il leccio, la quercia, il frassino, il cipresso, ecc. Rivive nel poeta la vecchia ruggine contro i romantici, dai quali appunto il salice era tanto onorato in momenti funesti alla libertà, quando, dopo la reazione del 1815, contro• i gendarmi della Santa Allean_za non umili pianti di ras5egnati potevan rialzare e liberare i popoli, ma solo la forza armata della rivolta; e questa ruggine antica si sfoga. nell'augurio che il vento dell'Appennino sradichi e porti via la « molle pianta, . amore d'umili tempi » e soli restino i robusti e forti alberi che furono cari ai padri nostri. E alla loro ombra salubre, mormori il Clitumno e narri le antich~ storie della sua -terra. Dica le vi- (1) Di ciò fa menzione anche il lllichelet nel suo libro La Strega.

12 L' U N I V E R S I T À L I B E R A cende, a noi quasi completamente ignote, attraverso le quali l'Umbria fu conql,listata dagli Etruschi, e quindi Umbri ed Etruschi lo furono dai Romani, per formare infine un popolo solo, riconciliato in una religione cbmune ! Questa idea dei « vincitori e vinti», riconciliati, « placati da un nume comune » ritorna in Carducci nella Chiesa di Polenta; in cui si accenna al fenomeno storico per cui, nel primo medio-evo, longobardi e romani si fusero, sotto il verbo di Roma ; cristiana, per formare un popolo nuovo che circa tre secoli dopo si sarebbe aff~rmato nei liberi comuni. Non altrimenti Umbri, Etruschi e Romani ·eran già o quasi un popolo ·solo al tempo della seconda guerra Punica; sì che, quando Annibale sgominò l'esercito di Roma al Trasimeno, vincitori ~ vinti d'un tempo uniti respinsero con grande strage presso Spoleto le soldatesche mercenarie condotte dal Duce cartaginese. Magnifica è l'invocazione carducciana della patria in pericolo contro le orde minaccianti il pane e la libertà di tutti! Solo e possibile commento ne sarebbe la ripetizione; chè altrimenU non potrebbe riferirsi il grido disperato, che corre, echeggia e si ripercuote per le valli, mandato di monte in monte dal cupo suono ' della buccina (1). Un freddo postillatore può attardarsi a notare come ogni frase di questa invocazione corrisponda o ad un particolare storico, o ad una qualche caratteristica dei luoghi, oppur.e ad una reminiscenza letteraria. Sarà utile sapere perchè Mevania (Bevagna.) sia detta caliginosa (2) e perchè Todi sia chiamata marzi a (3); ma meglio ancora è rileggere: O tu che pasci i buoi presso Mevania caliginosa, e tu che i proni colli ari a la sponda del Nar sinistra, e tu che i boschi abbatti sovra Spoleto verdi o ne la marzia Todi fai nozze, lascia il bue grasso tra le canne, lascia (1) Ricordo d'aver visto, da ragazzo, nelle !\forche qualcosa di simile ::illa buccina: una tromba fatta con: un corno vuoto di bue, aperto alla punta. Esso serve a mandare lontano non soltanto suoni e gridi, ma anche distinte parole, e doveva essere usato pure per chiamare a distanza per irampi e per i monti. (2) Anche da Properzio Mevania fu detta nebbiosa. (3) Todi adorava Marte cd era una delle città etrusche pi1'1 guerresche. (Commento di Severino Ferrari),

L' U N I V E R S I T À L I B E R A il torei fulvo a mezzo solco, lascia ✓ne l'inclinata quercia il cuneo, lascia la sposa a l'ara: e corri, corri, corri ! con la scure corri e co' dardi, con la clava e l'asta! corri! minaccia gl'itali penati Annibal diro. 13 ,..... Purtroppo la retorica guerrafondaia sfruttò, negli anni passati, fino alla noia, questo brano dell'ode carducciana, adattandolo alle meno appropriate circostanze; ma ciò non è riuscito a diminuirne la bellezza. L'appello supremo contro il fiero e f-unesfo Annibale, reso più .vivo dalla insistente ripetizione dell'imperativo corri I ai pacifici abitatori di quelle terre, qualunque fosse la loro tranquilla occupazione - al pastore ed al coltivatore, al boscaiolo e al cittadino della piccola città, - perchè interrompano, senza curarsi d'altro, ogni lavoro o cura personale e corrano a far argine alla straripante fiumana che minaccia <e gli itali penati » e con questi ogni lor bene ·ed ogni loro pace, descrive con una poderosa ed efficace eloquenza la disperata e improvvisa insurrezione, anche n~lle coscienze più intorpidite dall'egoistico benessere individuale, del senso della difesa collettiva da un pericolo comune ed imminente. È lo stesso sentimento della « patria in pericolo » ...r che, pe.r avvenimenti tanto diversi ed a tanta distanza di tempo e di spazio, ispirava al Carducci uno dei più bei sonetti del ça ira: <e Su l'oste} di città stendardo nero n, ecc., e l'altra ripe- .tuta invocazione disperata nei due non men forti ·e bei sonetti ' precedenti: <e O popol di Francia, aiuta, aiuta! ». Ma -- post nubila Phoebus - dopo lo spasimo della minaccia e lo sforzo disperato della improvvisa difesa, ecco l'acuta gioia della vittoria; il pericolo è cessato e i Mauri ed i Numidi che incutevan terrore sono in fuga, e il nembo non minaccia più da dietro i monti la tranquilla e fertile valle. <e Deh come rise d'alma luce il sole! » quando l'incubo tremendo fu svanito, sia pure a prezzo di molto sangue (1); e come s'alzarono gai i canti della vittoria! Più bella è la vita, quando si vince contro la -morte; e tutta la natura sembra partecipare della nostra: medesima contentezza. <e Uscir di pena è diletto fra noi», diceva Leopardi (2). (1) Parlando di Annibale, Tito Livio dice che a Spoleto fu J'espinto con grande strage de' suoi. (2) In La Quiete dopo la tempesta. .

14 L' U N I V E R S I T À L I B E R A Ma le valli ritornano pacifiche e tranquille al quieto lavoro; è tali le vede, ancl~e oggi, dopo tanti secoli, il Poeta. Nella: calma contemplazione d'ogni particolare· della scena che lrn sotto gli occhi, e ch'egli descrive con tanta finezza nelle tre strofe (1) seguenti la rievocazione della vittoria di Spoleto, il Carducci riaf- . ferma la sua idea che, per l'Italia, la fonte d'ogni poesia è nelle sue bellezze naturali, nei suoi :Q.umie nelle .sue foreste, nei suoi monti e nei suoi· campi, nel verde delle sue foglie e nei vivi colori dei suoi fiori. Di questo ci avverte non solo la tradizione letteraria dei latini, da Virgilio a Lucrezio, ma anche la tradizione mitolo,gica popolare, da cui quei poeti tolsero tanti motivi di belle~za. Carducci, a proposito d'altro argomento (2), chiamò il popolo « poeta eterno, quando non guasto da' maestri ». Ed è infatti di· natùra · squisitamente poetica quell'animare tutte le cose inanimate, che si estrinsecò nel culto degli dèi lari e dei ·penati e nella immaginazione attorno a questi di una infinità di genii: non gli dèi superbi e aristocratici dei patrizi, ma divinità fraterne e modeste ed umili, colle quali i pastori e i boscaioli vivevano in dimestichezza. Questj. non si sentivano soli, quando si allontanavano pasturando o a far legna, dacchè nelle fontane, negli alberi, nei ruscelli vedevano e sentivano l'anima delle ninfe e dei fauni, ron cui s'intrattenevano traendo dolci suoni dalle loro zampogne. Essi · di quanti la Natura in cielo e in terra e nell'aria e nel mar produce effetti tanti numi crearo . . . . . . · . . . . . . . . . . Entro la buccia di quella pianta pa!pitav~ il petto d'una saltante Dri-ade . . . . . . Quella limpida fonte uscia dall'urna d'un'innocente Naiade . . . . (3) E a questi versi musicali del Monti, che esclamava << Tutto' avea vita ·al/or! » ( 4) fanno riscontro gli altri del severo e dubi- (l) Da Tullo ora tace .•. fino_ a ... i silenzi del verde fondo. Questi versi, secondo un commento del Mazzoni e Picciola, richiamano la descrizione che del paesaggio e della. fonte ci ha lasciata Plinio il giovane in una. lettera all'amico Romano. (2) Nella breve nota alla sua poesia La Moglie del Gigante (Rime e Ritmi). (3) Vincenzo Monti; sermone Sulla Mitologia. (4) Idem.

L' U N I V E R S I T À L I B E R A 15 toso Leopardi, il quale ragionando ai!ch'egli « delle favole antiche » (1) al ricordo di queste si chiede: Vivi tu, vivi, o san~a Natùra? vivi, e il dissueto orecchi,o della materna voce il suono accoglie? Già di candide ninfe i rivi albergo, placido albergo e specchio furo i liquidi fonti. Arcane danze d'immortal piede i ruinosi gioghi scossero e l'ardue selve e più appresso segue l'affermazione coi noti versi: Vissero i fiori e l'erbe, vissero i boschi un di. Conscie le molli · aure; le nubi e la litania: lampa fur dell'umana gente ... ecc. (2). Questo motivo dei due grandi poeti di Alfonsine e di Recanati viene ripreso· da Giosuè Carducci, sia pure - come giustamente avverte Severino Ferrari, - con intenzione ed .indole diverse. Visser le ninfe, vissero esclama anch'egli. Il poeta ved~ le naiadi e le driadi darsi convegno sotto la luna per danzare e ricantare la leggenda degli amori di Giano e di Camesena (3) da cui gli antichi volevano fosse ge- · nerata la prima gente italica. Il. moderno riprende e fa sua la bella favola degli antichi per cui gli italiani avrebbero come progenitori un dio ed una vergine musa, a cui fu talamo l'Appennin f umani e. Si potrebbe dire del Carducci, per questo superbo slancio lirico, ciò che il Carducci disse altrove (4) di Arnaldo da Brescia: ch'ei si mostra veramente ......•. fantastico d'italo orgoglio. (1) ·Giacomo Leopardi, Alla Primavera. (2) Sempre da Alla Primavera del Leopardi. (3) « Le leggende italiche· fanno Giano il primo reggente insieme a Camasena, dea. nata dalla terra, ed istitutore .deili nei riti, nelle religioni, ecc.» (Gabriele Rosa, Le origini della Europa. Ed. « Il Politecnico )>, Milano, 1863, Vol. II, pag. 61), (4) Carducci, inno A Satana. del Lazio Aborigeni Civiltà in

16 r.' U N-1 V E R SI T À LIBERA , Già il Monti ed il Leopardi, nei canti già citati Snlla Mitologia e Alla Primavera, avevano con accenti di tristezza e malinconia rimpianto che i bei miti dell'antico panteismo popolare non avessero più vita (1); ed il medesimo rimpianto sgorga dal canto di Carducci, ma animato d'un· pensiero tutto suo, più nuovo e pii.i ardito. Il vero. motivo per cui il Carducci si duole che al « vedovo n Giove Clitumno più non rimangano che le misere rovine d'un tempio (quelle che, secondo il Chiappelli, durano àncora tra Spoleto e Foligno), o per lo meno il motivo predominante, è che Roma più non trionfa. Gli è che, quando le ninfe se ne fuggirono e furon costrette a nascondersi nei fiumi o tra i monti, quando cioè la religione dei pagani (in cui i poeti classici vedevano una specie di deificazione della natura) dovette cedere ·innanzi all'affermarsi vittorioso e invadente del Cristianesimo, anche la potenza di Roma crollò. Non è il caso d'esaminare, qui, se ·e fino a che punto vi fu tra i due fatti relazione da causa ad effetto, o se si tratti semplicemente di coincidenza. Verosimihnente il cristianesimo non fu che uno dei molti 'elementi che contribuirono a scuotere dalle· sue basi il decrepito Impero; e d'altra parte forse al cristianesimo si deve s,e la vinta civiltjl romana, mutandosi essa stessa, riuscì lentamente ad assimilarsi le energie giovani dei vari popoli barbarici che invasero l'Italia, Ma il Poeta dà senz'altro tutta al cristianesimo ed alla sua vittoria sul paganesimo la co:lpa della fine di Roma trionfatrice, di cui sente una nostalgia che oggi ai superficiali potrebbe apparire imperialistica. Certo egli non sarebbe mai giunto a chiamare come il Foscolo, i Romani « ladroni del mondo » (2); ma _bisogna anche aggiungere che il Carducci vedeva Roma più come datrice di civiltà aj popoli ·che come conquistatrice di territori; più in una funzione di 1,1.niversalità che di tirannide accentrata. Roma pagana egli la vedeva sempre attraverso i riflessi della sua educazione_ mazziniana, attraverso la visione della Città eterna risorta per la terza volta come maestra di libertà e apportatrice di pace tra le genti. · , Questo concetto di romanità democratica e pacifista si' trova più chiaramente espresso dal Carducci nell'altra « ode barbara», (1) Ora il bel regno - Ideai cadde al fondo .. ,. (Monti). - Ah.i, ahi, poscia che vole - Son le stanze d'Olimpo .. ·. (Leopardi). , (2) Nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis.

L' lf N I V E R S I T À L I B E R A 17 Nell'annuale della fondazione di Roma, in cui egli saluta l'unificazione delle « libere genti >> italiane attorno al· Campidoglio e vede Roma, l'antica madre, porgere dal colle fatale le marmoree braccia all'Italia, a la figlia liberatrice additando le colonne e gli archi: gli archi che nuovi trionfi aspettano non più di regi, non più di cesari, e .non di catene attorcenti braccia _umane su gli eburnei carri ; ma il tuo trionfo, popol d'Italia, su l'età nera, su l'età barbara, su i mostri onde tu con serena giustizia farai franche le genti. Se si tiene presente questa concezioll'e della •missione civile d.i Roma, ·e quindi del popolo d'Italia chiamato a far libere le genti, si comprende meglio il rimpianto del Carducci per la Roma pagana, e la invettiva contro « il galileo di rosse chiome ))' contro il Cristo, nel nC>me del quale i cc rei pontefici )) imposero ai popoli e a Roma stessa la soggezione e l'obbedienza cieca ai ·padroni della terra. Roma, .ei rimpiangeva sdegnoso, più non trionfa, poi che un galileo di rosse chiome il Campidoglio ascese, gittolle in braccio una sua croce, e disse: - Portala e servi. - Intorno a questa invettiva, cui segue la più vivace descrizione dei tristi effetti dello spirito di rinuncia e di rassegnazione nel mondo romano, si è fatta molta polemica in passato. Il Mazzoni l'id, il Picciola, nel loro commento già citato (1), quasi a scusare il Carducci, dicono che il poeta non voleva punto colpire la storica figura di Cristo, che non fu mai a Roma, ma solo un simbolo della corruzione medioevale. Ci sembra questa una difesa puerile, di cui Carducci non· aveva alcun bisogno. Non fu Cristo che ascese personalm~nte il Campidogiio, questo tutti lo sanno, ma il Cristo-dio come mito. Chè il vero trionfo il Cristianesimo lo riportò appunto con la conquista: di Roma, « ascendendo il Campidoglio)), Per voler essere troppo accomodanti, forse preoc- (1) Vedi Antologia· Carduéciana, a cura di Guido Mazzoni e Giuseppe Picciola.

18 L' U N I V E R ·s I T À L I B E R A cupati di preparare una « antologia » che potesse entrare senza troppi ostacoli in tutte le scuole, i due commentato.ri snaturavano del tutto l'idea del poeta. Il medesimo Carducci, del. resto, riconosceva implicitamente d'aver declamato contro Cristo e non contro un caduco simbolo ·della corruzione medioevale, quando quasi trent'anni dopo, ne_l 1905, così spiegava alla contessa .Pasolini le strofe tanto discusse : « Confesso che mi lasciai trasportare dal principio romano, in me ardentissimo, e fu troppo. Ma quasi al tempo ·stesso soavi cose pensai e scrissi di Cristo. Resta che ogni qual volta fui tratto a declamare contro Cristo fu per odio ai preti; ogni volta che di Cristo pensai libero e sciolto, fu mio sentimento intimo». E veramente soavi cose egli scrisse, quando pensò al Cristo terren'o, apostolo d'amore 'e di pace, martire dell'eterno ideale umano. Tutti ricordiamo i dolci versi Oh, allor. che del Giordano a i freschi rivi traea le turbe ·una gentil virtù e ascese a le città liete d'olivi giovin messia del popolo Gesù, (1) ecc. Ma è• anche vero che quando il Carducci rendeva omaggio a Cristo, ei s'inchinav~ (per usare ·altre parole sue della lettera alla Pasolini) « al gran martire umano » in cui vedeva il messia del _pop9lo, e non al « crociato martire» divino della religione e della chiesa in cui, - per lo meno il Carducci giovane e virile, non ancora vecchio, - vedeva al contrario il cc semitico nume»; nei misteri del quale cc la rriorte drimina » e che cc di tristizia l'aer contamina » (2). È pur vero che circa venti anni dopo il poeta scriveva La Chiesa di Polenta, che se proprio non è delle migliori odi del Carducci, contiene però quelle ultime strofe su l' cc Ave Maria » che non si posson -leggere senza viva commozione e che sono pervase da un forte senso di misticismo. Ma misticismo non significa cattolicesimo e neppure cristianesimo, benchè il Carducci degli. ultimi anni non abbia pii1 saputo sottrarsi del tutto all'influenza di quest'ultimo. V'è 4el resto nel Cristianesimo una propria bellezza ideale, acquisita al patriJl}onio morale ed estetico di tutta l'umanità, anche di quella non 'Cristiana. D'altra parte bisogna tener presente che del suo anticristianesimo il Carducci non aveva fatta una vera e pro- (1) Poesia Per G. Monti e G. Tognetti (Giambi ed Epodi), (2) In. una chiesa gotica (Odi barbare).

L' U N I V E R S I T À L I B E R A pria convinzione filosofica; anticristiano e pagano fu, com'ei spiegò, per sentimento romano e per passiOne politica e non di più.- Il suo temperamento individualista era fatto per compren- · dere più la-ribellione (la sola ribellione) che la rivoluzione: ecco perchè egli misconobbe per lungo tempo il cristianesimo e per tutta la vita il socialismo. Quando poi il Carducci parve avvicinarsi· al Cristianesimo, ciò non fu con spirito critico; ma del cristianesimo subì la sugge-. stione per un veicolo che non era atto a fargli comprendere nella sua interezza e come forza dinamica l'idea ~ristiana: ne subì cioè la suggestione attraverso il sentimento della propria stanchezza. Egli vedeva cioè, in sul declinar della vita, nel Cristianesimo un oblio Iene de la faticosa vita, un pensoso sospirar quiete, una soave volontà di pianto, (1) Ma il Carducci del 1876, non era ancora vecchio e stanco, non subiva ancora codeste suggestioni. Quindi del cristianesimo, o meglio del cattolicismo, vedeva solo i lati. negativi e meno simpatici: la distruzione dei templi pagani per mano dei fanatici cristiani, l'abbandonò del lavoro fecondò per l'ozio degli eremi, la maledizione alle gioie della vita per non sperar salute che nella morte, il dispregio dei legami terreni pii1 dolci dell'amore e della famiglia, l'esagerazione dell'umiltà fino a farsi un merito dell'abiezione, gli ·orrori dei « flagellanti >> umbri del 1260, ecc. ecc. Sopràtutto ripugnava al Carducci quell'ebbrezza di dissolvimento - di autodissolvimento - insito nei principii d~ rassegnazione, .di obbedienza cieca, di esaltazione del dolore e dell'oltretomba, che predominarono in alcuni 'periodi storici del medio.evo cristiano. Ma dalla triste v1s10ne d'una Italia, in cui Roma « piii non trionfa >> il Poeta si risolleva con un lirico colpo di ala in più spirabil aere. « I foschi dì passaro ! »_·egli esclama; e rivolge co~1mosso il saluto ali'« anima umana», che fu « ser·ena » in Grecia nelle asprezze della vita e della morte, che fu << intera e dritta_» in Roma nelle battaglie delle arm1 e dell'inteIHgenza, e che 11 Poeta invoca perchè di nuovo « risorga e regni». Dopo ~ ,!ava~r~ del Rinascimento e della Riforma, dopo le tempeste punficatnc1 del 1789 e del 1848, l'anima dell'uomo non può, non devè più essere anima di servo. (1) In La Chiesa di Polenta. {

20 I.'UNIVERSITÀ LIBERA Trionfi e regni, questa libera anima umana, sulla Natura bella e con la Ragione: « Sì - esclama in una delle sue prose il Carducci medesimo (1) - ho inneggiato a queste due divinità dell'anima mia (la Natura e la Ragione) e di tutte le anime generose e buone; a queste due divinità chè il solitario e macerante e incivile ascetismo abomina sotto il nome di carne e di mondo, che la teocrazia scomunica sotto il nome di Satana n, Orbene, l'ode Alle fonti del Clitumno non è anch'essa che un inno, fors'an- .'co piiÌ efficace e più artistico, alle medesime due divinità laiche, la Natura 'e la R~gione, cui l'Italia deve tanta sua bellezza _e tanta gloria· e vittoria di pensiero. · Nè il passaggio dal saluto all'anima umana, al saluto all'Italia, che subito segue, è senza significato-. Non concepiva Mazzini la terza Italia come avente una sua missione di carattere universale, da svolgere in ~eno all'umanità? _Così, il saluto con cui il Poeta licenzia il carme si rivolge alla Terra ausonia, madre di giovenchi per l'apre di pace e di poliedri per quelle della guerra, madre di biade e viti e leggi eterne ed inclite arti, traducendo quasi alla lettera alcune note « de l'antica loden, del georgico inno del buon Virgilio, le sonanti parole del quale sono nell'orecchio ·anche di tanti che non sanno il latino: Salve, magna parens frugum, Saturnia tellus, magna. virum ! .... (2) Ci avvien di ricordare, a questo punto, che con altrettanta efficacia toccava il Carducci una non dissimile corda emotiva traducendo nell'ultimo sonetto del ça ira, quasi altrettanto letteralmente, le prime parole della Marsigliese dei sanculotti del_1792: « Marciate, o de la patria incliti figli ... n ecc. Noi che un tempo ammirammo, ci commovemmo e ci esaltammo alla poesia serena •ed antica del latino Virgilio ed al coro vibrante e moderno del francese Rouget de l'Isle; proviamo una commozione più viva, raddoppiata, risentendo nella nostra lingua, in una armonia più vicina e accessibile al nostro orecchio, un motivo lirico già (1) Polemiche sataniche (Lettera a Quirico Filopanti). (2) Salve, o gran madre delle biade, terra di Saturno, generatrice cl'eroi ••• (Virgilio, Georgiche, libro II).

L' U N I V E R S I T À L I B E R A 21 noto e caro. Così come in un'opera musicale la ripetizione di alcune vecchie note, che già ci commossero in passato, ci procurano una nuova ma più intensa -e profonda emozione, se l'arte le ha sapute innestare tra altri motivi non meno belli. Al Poeta, conscio quàsi certamente d'aver fuso ne\ bronzeo .verso un canto imperituro, che maggior grandezza e nobiltà d'espressione deriva dall'altissimo soggetto, par di s·entire - presso le sorgenti sacre al Dio pagano - il plauso venire a lui ed al suo carme da tutti i boschi e le acque dell'« Umbria verde». E intanto la vaporiera, che sbuca dai monti e corre verso la poco lontana Terni industriale, concilia il suo grànde am·ore per Roma eterna e per l'Italia dalle grandi tradizioni storiche con l'altro sùo amore, altrettanto sacro e forte, per la umana civiltà in perpetuo divenire, da cui dovrà alfin sorgere un giorno, lungamente sperata, aspettata e preparata « la giustizia pia del lavoro». LUIGI FABBRI. LUIGI FABBRI DITTATURA E RIVOLUZIONE Prima edizione, con una lettera-prefazione di E. MALATESTA. SOMMARIO: I. Vigilia di Rivoluzione. ~ II. Il problema dello Stato. III. Dal Socialismo autoritario al Socialismo dittatoriale. - IV. Dittatura e libertà in Russia. - V. La dittatura borghese della Rivoluzfone. - V. Comunismo autoritario e Comunismo anarchico. - VII. Il Marxi- . smo e l'idea della dittatura. - VIII. Che cos'è la dittatura. - IX. L'insegnamento delle rivoluzio11i precedenti. - X. Il concetto anarchico della Rivoluzione. - XI. Rivoluzione ed espropriazione. - XII. La paura della. libertà. - XIII. Lavoro e libertà. - XIV. La difesa de1la Rivoluzione. - XV. La funzione dell'anarchismo nella Rivoluzione. - Bibliografia. Libro di grande allualilà, che afl'ronla e risolve i piiz gravi problemi della Rivoluzione dinanzi alla cr.ilica anarchica. Un bel volume di 380 pagine, L. 8.-

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