se vissuta in modo eguale 11unismoe anticomunismo 1sciuto solo un ventennio e che tutto era sbagliato. ista a Karol Modzelewski. negozi, il fatto di non fare più interminabili code, conta per quanti possono fare acquisti, conta molto meno per coloro che sono stati cacciati dalla coda perché non hanno quattrini e quindi possono solo guardare gli altri comprare tante belle cose. lo semplifico con questi esempi, ma è chiaro che non esiste una sola esperienza umana in questa transizione. E se la gente dei centri che fornrnno l'opinione, come ad esempio i giornalisti di Varsavia, afferma che il popolo polacco non ha memoria e ha dimenticato il passato, questa è una sciocchezza. Il passato e il presente dei giornalisti sono diversi da quelli, ad esempio, dei dipendenti di un'azienda agricola di stato che è stata liquidata: sui campi non cresce più niente, né ci sono gli animali che potrebbero pascolarvi. Per questa gente, che pure non era affatto privilegiata sotto il regime comunista, la vita è diventata insicura, essi hanno una sensazione di degrado: erano poveri prima e adesso lo sono ancor più. Se hanno votato postcomunista lo hanno fatto non ispirandosi a un' ideologia, ma semplicemente guardando alla propria situazione nell'arco della loro vita: nel periodo del regime comunista, nei quattro o cinque anni di governo Solidarnosc e nei due anni di governo postcomunista. Non è che si fanno tante illusioni sui postcomunisti, ma pensano che i postcomunisti, in quanto rifonnatori più cauti, meglio rispondano alle loro inquietudini e preoccupazioni. Se si guarda a quanta gente è rimasta a terra, perché non è salita sulla nave della transizione, non può destare meraviglia quello che è successo. Bisogna anche considerare che in genere i polacchi hanno subìto sotto il comunismo un processo di promozione sociale e culturale, e quindi sopportano ancor meno il degrado di oggi. I postcomunisti, da quando sono arrivati al potere, continuano più o meno lo stesso indirizzo liberista delle rifom1e, però lo fanno con maggior cautela. Hanno capito benissimo il senso del voto a loro favore, hanno capito che la pazienza si è esaurita, che il voto che hanno ricevuto è un voto di impazienza. E infine, per spiegare i risultati elettorali, bisogna tener conto del fattore Chiesa. Da un'analisi del voto risulta che, dopo i disoccupati, il ceto sociale che più ha votato per i postcomunisti sono stati i contadini e che, se nelle grandi città era in vantaggio Walesa, nelle piccole città e nelle campagne ha prevalso Kwasniewski. Bisogna dire che nelle aree più tradizionaliste della società polacca, quelle rurali e contadine che sono anche le più religiose, la propaganda anticomunista della Chiesa è stata non solo inefficace, ma totalmente controproducente, perché ha determinato una reazione anticlericale. Assistiamo al riemergere cli un anticlericalismo popolare cli impronta populista, perché il parroco vive bene, mentre la gente vive sempre peggio, e siccome la gente non ha più tanti mezzi da versare alla Chiesa, il parToco diventa sempre più esoso per i suoi servizi di culto in occasione di matrimoni, battesimi, funerali, e questo suscita un certo malumore. Anche questo è un fenomeno inatteso. In fondo la Chiesa si era data tanto da fare per cambiare il regime polacco, per dare rifugio agli oppositori. Sotto questo punto di vista la Polonia è stata la grande delusione del Papa: doveva essere un modello di fede militante. Ma in Polonia il cattolicesimo non è mai stato molto profondo. Il cattolicesimo polacco è un cattolicesimo superficiale, rituale più che vissuto, almeno a livello popolare, con l'esclusione di alcuni ambienti intellettuali. Certo, si può ammettere che il cattolicesimo è più forte in Polonia che in Italia, che pure è stata dominata per tanto tempo dalla Democrazia cristiana. Noi purtroppo non abbiamo una Democrazia cristiana -e dico purtroppo anche se adesso è bersaglio di tutte le peggiori ingiurie- perché a mio parere un partito cattolico è in grado di difendere alcuni principi fondamentali dello stato laico. In Polonia la maggior parte dei partiti politici vuole strumentalizzare l'appoggio della Chiesa a proprio vantaggio politico, il che crea fortissime tensioni anticlericali. Al1 'indomani delle elezioni presidenziali ho sentito alla radio un reportage da un comune rurale, in una delle zone più arretrate della Polonia: il reporter girava di casa in casa con il microfono e raccoglieva tante battute dei contadini, e soprattutto delle contadine, contro il parroco. Una contadina diceva: "Quello lì ha in confessionale come penitenza la prescrizione di votare per Walesa, non vogliamo un parroco del genere". Questo fenomeno di fiducia nei postcomunisti -o piuttosto, come dici tu, questo voto di impazienza che ha premiato i postcomunisti- lo consideri reversibile o definitivo? Pensi che in Polonia sia possibile un'alternanza a breve termine? Non la credo tanto possibile. L'esperienza delle due ultime tornate elettorali, quella del '93 e quella del '95, a distanza di oltre due anni, dimostra piuttosto che il fenomeno si approfondisce. Nel '93 coloro che avevano superato le loro inibizioni anticomuniste e votato postcomunista, erano il 20% circa degli elettori; se includiamo anche il partito contadino, dove le inibizioni sono molto minori e che ha raggiunto il 15%, arriviamo al 35%. Adesso nel primo turno Kwasnewski ha ottenuto più del 38% dei voti e nel secondo turno la maggioranza assoluta. C'è anche da rilevare che questa volta la partecipazione alle urne è stata molto alta, attorno al 70%, che in Polonia è tanto. Nelle elezioni presidenziali precedenti la partecipazione era stata di poco superiore al 50%: il che vuol dire che coloro che si sono decisi ad andare a votare hanno votato postcomunista. Adesso i sondaggi per i postcomunisti giungono al 3637%. Quindi è ancora un fenomeno in ascesa, una tendenza che potrebbe continuare, a meno che non si verifichi una crisi politica molto profonda. Quello che è allarmante in questa situazione è che l'alternativa ai postcomunisti diventa sempre più l'estrema destra, cioè una destra populista che strumentai izza lo scontento popolare e alimenta le tendenze fascistizzanti. La maggior parte dello scontento popolare si è finora scaricata nel voto ai postcomunisti, ma c'è anche gente molto frustrata, che ha un legame emozionale con la tradizione anticomunista, che tende oggi all'anticomunismo militante. Sono palesemente in crisi i partiti del centro, del centro-sinistra, alcuni dei quali -come l'Unione del Lavoro- non arriveranno alla soglia del 5%, che occorre per entrare in Parlamento. Anche l'Unione della Libertà sembra in via di emarginazione. Per sottolineare come questo fenomeno sia preoccupante, basti dire che la destra estrema tende a coprire i settori dello scontento e della frustrazione anche nella grande industria: la fabbrica Ursus, ad esempio, è controllata da un nucleo sindacai-fascista molto attivo. Ma le zone di maggior degrado, e quindi scontento fino alla disperazione, sono quelle rurali o le piccole città emarginate, che hanno scarse prospettive di riprnndersi. Qui chi non ha lavoro non può, come in Occidente, muoversi in cerca di un'occupazione in quanto è legato all'alloggio, come nel Medioevo si era legati alla terra. E l'alloggio non è nemmeno di proprietà individuale, ma appartiene ali 'azienda agricola di stato onnai inesistente, oppure al comune, e nessuno ha i soldi per comprarselo, anche a un decimo del prezzo di mercato. Andare a cercare lavoro in una città distante una trentina di chilometri è teoricamente possibile, ma non servirebbe a nulla, perché il salario ricevuto corrisponderebbe più o meno al costo del biglietto dell'autobus. Né si può affittare una camera che sarebbe ancor più costoso. E' più conveniente prendere l'indennità di disoccupazione che dura un anno, un anno e mezzo nelle zone di disoccupazione strutturale, dopodiché rimane l'assistenza sociale, più qualche lavoro precario e in nero. Ma in questi territori marginali ci sono scarse occasioni di lavoro, al di fuori dei pochi posti nel settore pubblico: il comune, la scuola, il posto di polizia, il centro di assistenza medica, la stazione ferroviaria se c'è, ed è tutto. La popolazione polacca nel passato, da Poznan in poi, ha fatto scioperi, sollevazioni, ha creato un movimento di massa come Solidarnosc. E' successo l'ira di Dio in Polonia quando si rischiavano le pallottole per la strada, incarcerazioni, condanne. Adesso che c'è la democrazia sembra una popolazione molto inerte. E' arrivata la grande delusione per coloro che si erano ribellati. Non tutti si erano ribellati, ma gli operai che l'hanno fatto sono tra i più delusi adesso. Questa delusione può alimentare una nuova rivolta, ma difficilmente sarebbe una rivolta in favore della democrazia. Forse non si è ancora giunti a scoprire il contenuto democratico della rivolta, della rivendicazione, della ribellione. C'è come un senso di estraneità allo stato democratico. C'è stato un altissimo livello di attività sociale e poì si è calati quasi a zero. E' questa la patologia della vita politica in Polonia, come in altri paesi dell'Est. Ma negli altri paesi non c'era stata questa enorme attività sociale e quindi la delusione, la frustrazione sono forse meno profonde che in Polonia. E' una carica psicologica pericolosa, a mio parere, che può esplodere contro la democrazia. Noi per fortuna non abbiamo problemi di minoranze nazionali perché adesso la Polonia è etnicamente omogenea: la pulizia etnica l'avevano già fatta Hitler e Stalin. Anche se ci sono di tanto in tanto piccole esplosioni di antisemitismo; ma non ci sono ebrei e l'odio etnico ha bisogno di carne umana. In altri paesi del mondo postcomunista questi problemi invece esistono, e questo crea situazioni potenzialmente instabili e pericolose perché le frustrazioni, le ansie e le insicurezze della transizione possono scaricarsi appunto nell'intolleranza etnica e nella xenofobia .. Parliamo un po' di questi postcomunisti tornati al potere, sia pure -come hai detto- sull'onda delle frustrazioni e delle insicurezze. Va bene, il vecchio regime non potrà resuscitare e quindi sotto questo aspetto non sono preoccupanti. Ma come considerare questa gente diventata da un giorno all'altro un ceto di affaristi, di banchieri, di detentori di capitale? E' il trionfo della vecchia tesi di Gilas sulla "nuova classe"? Sì, certo, questo è un aspetto palese e preoccupante. Ma non c'è soltanto il potere economico. A mio parere, questa gente -non tanto i leaders, ma tutti i quadri di vario livello che sono stati cacciati viapensano che adesso è il momento della rivincita, e tornano non tanto forse per vendicarsi, ma in ogni modo per governare, per amministrare il paese. Ora, la loro mentalità, la loro attrezzatura mentale si è fonnata sotto il vecchio regime. Va bene che sono ideologicamente del tutto qualunquisti, se ne fregano assolutamente del comunismo, del socialismo, di tutto, però hanno un certo comportamento, un certo modo tradizionale di amministrare che, in una situazione in cui detengono lamaggioranza in Parlamento, i posti-chiave nel governo e la presidenza della Repubblica, può facilmente portare a non rispettare le regole della democrazia. C'è il pericolo che le vere decisioni si prendano dietro la facciata delle istituzioni parlamentari. Sarà un'oligarchia a governare. Questo pericolo esisteva anche con altre forze politiche, ma con i postcomunisti è decisamente maggiore. Penso paradossalmente che la cosa più grave nel ritorno dei comunisti è che loro non credono assolutamente nel comunismo. Anzi, loro convivono molto bene con il capitalismo un po' selvaggio che si sta introducendo o che proprio loro introducono, perché è un capitalismo in gran parte costruito dall'alto. E si trovano molto bene anche sul piano politico con la democrazia, adesso che hanno un potere legittimato dalle elezioni, cosa che non avevano mai avuto né sperato di avere. Come ho già detto, l'assetto democratico è fragile in Polonia. Ed è per questo che io e Kuron abbiamo voluto con la nostra lettera mettere in guardia contro certe pratiche di manipolazione e di cospirazione, usate per combattere l'avversario politico al di fuori di un aperto confronto democratico. Oggi da noi è molto facile e pericoloso strumentalizzare, non solo spezzoni dei vecchi servizi segreti -gli stessi personaggi che fabbricavano false accuse contro di noi sono diventati i San Giorgio dell'anticomunismo, cosa che ci è apparsa un pochino troppo divertente- ma anche lo scontento e le tensioni sociali. Tra l'altro, noi abbiamo votato nel 1991 una legge sostanzialmente antisciopero, certo molto più liberale di quella dei generali, ma nondimeno molto restrittiva. I postcomunisti, legittimati ormai dalle elezioni, possono avere la tentazione di usarla in un quadro tendenzialmente coercitivo. Anche sul piano costituzionale siamo carenti: abbiamo una vecchia Costituzione rimaneggiata in senso liberal-democratico, ma non siamo mai riusciti a fare, per motivi di gioco politico tra i partiti, una carta costituzionale più organica e coerente. E non abbiamo nemmeno risolto il grande problema dei rapporti con la Chiesa. Non è un quadro roseo, quello che ho tracciato. Ma se lo sviluppo economico procede e aumenta il livello di vita, per ora modestissimo e molto ineguale -la ripresa è basata soprattutto sulle esportazioni- può essere che noi in Polonia, insieme con la Repubblica ceca e forse l'Ungheria, riusciamo alla fine a cavarcela. So che in Occidente si dice che i paesi dell'Europa centro-orientale saranno in futuro i nuovi motori dello sviluppo europeo. Ma, guardando dal di dentro, temo che non sarà così. • UNA CITTA'
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