Una città - anno VI - n. 49 - aprile 1996

legato alla volontà, quanto alla cultura. Bonomi. Il vero problema è che mancano i luoghi del racconto. Posso avere tutta la capacità d'inventare la parola che si fa, la parola che riesce, ma poi la parola non riesce ad andare oltre. Ho l'impressione che se anche noi diciamo: "manutenzione e servizio" e troviamo due sindaci che sono d'accordo, non si vada oltre. In primo luogo per le cose che ci ha raccontato Bolaffi, per l'incapacità di queste istituzioni di farle andare oltre, ma anche perché non ci sono i luoghi del racconto. Prima il potere della parola aveva dei luoghi ove si esercitava, ove precipitava, fossero la Casa della Cultura, il sindacato, il circolo Turati. il circolo De Amicis, l'Einaudi, la Bollati Boringhieri. Grandi luoghi ciel racconto oggi totalmente depotenziati. Il vero problema è ritrovare i luoghi. De Rita. li luogo ciel racconto ha bisogno, però, che ci sia un racconto. Può anche darsi che noi si sia bravissimi ad elaborare il racconto e che poi nessuno ci stia a sentire. Lo dicono anche i nostri vescovi: '·Noi parliamo, parliamo, ma nessuno ci pubblica". Io, però, ho paura che non sia la cattiveria cieli' organizzazione della cultura moderna che ci vieta il racconto, ma che siamo noi a non avere il racconto da fare. Mi pongo il problema in termini quasi autobiografici. Primo, non è che ho sbagliato io, De Rita, a non intrattenermi ulteriorn1en1esulla mia ideologia clitipo molecolare? Secondo, non è che ho sbagliato a ragionare in termini di corpi intermedi invece che di istituzione attiva? Terzo. non è che ho sbagliato a non fare un po' di ideologia? Vediamo un po' di spiegare: lavorare culturalmente è avere il coraggio di intrattenersi sulle cose, mentre abitualmente pensiamo che sia un fuggire in avaRti, che il ricercatore debba innovare continuamente. Io sono stato per treni 'anni l'ideologo della molecolarità: la piccola impresa, il localismo, il lavoro indipendente, il postfordismo, tutto molecolare. A un certo punto, per ragioni che forse fanno parte della stanchezza del ricercatore rispetto alle cose che dice, ho pensato: "No, qui bisogna andare un po' più in avanti, la molecolarità non basta, bisogna ragionare di istituzioni, bisogna ragionare d'Europa, bisogna ragionare di Camere cli Commercio, di coesioni, di coalizioni, di Università di Castellanza". Ora, mi chiedo se non sarebbe stato più giusto restare a difendere il racconto della molecolarità piuttosto che slittare verso l'intermedio; perché oggi il rapporto tra locale e globale è gestito dalla molecola azienda e da nessun altro. I nostri stessi operatori di sviluppo alla fine che hanno fatto? Hanno creato aziende. Sono andati lì a fare aziende. Quindi il primato della molecola in economia sta là, così come il primato del locale, del molecolare ormai è anche nella politica. Oggi cosa significa un partito, un sindacato, un governo Dini, una lista Pannella? Oggi valgono i sindaci, anche a livello politico, vale la molecola. Allora la domanda che mi pongo come Censis è: "Ma se noi, Censis, avessimo continuato a dire che il molecolare vince sempre, quel racconto oggi non sarebbe più forte? In televisione o sulla stampa, Bollati Boringhieri o Einaudi, non m'interessa, ma avremmo la convinzione di stare raccontando il vero. Con questo non è che io voglia ritornare a cantare la bravura della molecola, dell'azienda offshore, perché alla fine mi dicono che dico sempre le stesse cose. Non è che ho nostalgia di 35 anni di cultura di molecola, vedo bene quanto ha dato al mio lavoro, alla mia fama, aver cantato le molecole anche quando la gente pensava alle fusioni Montecatini-Edison, ma il processo vero è che quelle molecole non possono essere solo cantate, vanno anche aiutate e quindi lo sforzo deve essere fatto dalle istituzioni, dai corpi collettivi. Arriviamo così al secondo punto. Forse non ho capito che una dimensione intermedia non solo era debole, ma imponeva un driver, una punta di freccia, e che questa doveva essere l'istituzione innovativa. Perché recuperare il soggetto collettivo, il sindacato locale, la banca locale, la Camera cliCommercio, l'Universilil locale, non è più facile, non è più naturale, li devi sfidare. Devi dire all'Università cli Brescia, e faccio questo esempio perché ieri eravamo lutti al convegno di Montichiari: ''Senti, se vuoi essere in qualche modo coerente con la vitalità cieli' impresa, per favore non metterti a dire che fai dottorati di ricerca e diplomi universitari, perché sei fuori, farai parte di un'istituzione vecchia che si autoalimenta, ma non starai dentro i processi storici". Se la banca locale invece di fare banca del sistema locale, invece di mettersi insieme ai singoli che vanno a fare finanza a Dublino, dice: "Ma io faccio banca locale, dei consumatori locali, non mi interessa seguire le imprese''. smette di essere un soggetto mediatore. Se il sindacato confederale si mette a fare il patto territoriale forse resta dentro al gioco, ma se, invece. dice: "lo sto qui, difendo la situazione, difendo il mio potere contrattuale", -ed è, ad esempio. la logica di Sabbatini e della Fiom torinese-, allora vuol dire che non ha capito niente, che non sta dentro i processi reali. Si sta dentro la realtà locale, per carità, però in quella parte che non fa mediazione fra globale e locale. Perché ormai è la singola azienda ad essere il vero mediatore fra globale e locale. L'azienda di camere da letto di San Giovanni a Natisone che produce in Slovenia e in Romania, che fa la logistica con gli olandesi, la commercializzazione con i tedeschi, fa finanza a Londra o a Dublino è un'azienda che ormai non ha più neppure fisicamente il luogo, però media, è il vero soggetto della mediazione. Credo che il vero problema sia quello di uscire dalla logica della vecchia cultura istituzionale in cui l'istituzione si autoprotegge con le procedure e chi va fuori è accusato pure di tradire la Costituzione. ah, fate i dottorati di ricerca? Ho capito, grazie Chiunque abbia un'istituzione in mano non può che gestirla in termini di sollecitazione ai soggetti intermedi a reinterpretare iI loro ruolo, per collegarsi, aiutarsi, sostenere i soggetti che fanno davvero mediazione che, lo ripeto, purtroppo sono, ancora e solo, quelli molecolari. Il sindaco di Roma va a New York a ragionare di Duemila, cli Giubileo e di altro, Dini non ci va, il sindacato italiano non ci va. Significa che il processo di mediazione anche negli aspetti banali dei rapporti fra Stati viene tutto spostato su livelli bassi, il sindaco, la singola impresa, il broker che mi dice: "La polizza assicurativa sulla salute te la faccio fare con la società americana tal dei tali". Mentre invece il sindacato non dice niente, il partito non esiste più, la Coldiretti, la Confindustria, la Confartigianato, la Confcommercio. metteteceli tutti: le Acli, l'Arei, l'Arcigay, I' Arcigruppo. I' Arciquellochetipare, la Lega Ambiente, stanno lì tutti in una logica che è la loro. Va a eh iamare la Lega Ambiente per farla parlare di alta velocità, non verrà mai. "Facciamo una cultura coalizionale", ·'Ma no, no, i miei iscritti dicono ...". "Ma quanti sono gli iscritti? Venticinque, trenta, siete voi?". Alla fine, poi, si rendono conto, ti vengono dietro, capiscono che l'istituzione nuova significa anche il loro rinnovamento, che facendo il patto territoriale, la concertazione locale, si rinnova il sindacato a livello periferico. E' faticosissimo a farsi, però l'istituzione che fa cu llura di cooperazione e non cultura di demarcazione è l'unica strada possibile per rinnovare i soggetti collettivi. Se l'Università cli Brescia, sicuramente una delle più nuove, che non ha i 150 mila iscritti di Roma La Sapienza, di fronte a delle aziende bresciane che fanno mediazione per proprio conto, l'unica cosa che offre sono i dottorati di ricerca. sapendo che nessuno degli ingegneri che stanno in azienda andrà a fare un dottorato di ricerca. che quello è soltanto un modo per dare soldi a persone che vogliono far carriera universitaria, se quella è l'unica cosa che sa fare, vuol dire che è fuori. che non è un soggetto collettivo capace di mediazione. E fra qualche tempo 1• ingegnere 1• azienda se lo andrà a prendere in Polonia come già succede. Il bello è che il pro-rettore ha aggiunto: "Abbiamo anche dei professori che fanno certificazioni di qualità, però fanno fattura a parte". Benissimo. vuol 'dire che sono diventati anche loro dei piccoli imprenditori di se stessi. fatturano, fanno i professionisti! Terzo punto del racconto: se abbiamo oggi in mano un 'ideologia anti-efficienza e anticrescita. L'ho detto prima, il rapporto non è più con crescita ed efficienza, ma con servizio e manutenzione. Sono ancora del tutto propenso a dire che in fondo la forza della cultura giapponese sta nella ripetizione e nell'estetica, che sono due fatti fondamentali nel servizio. Noi, invece, pensiamo che quel che conta sia l'innovazione e la crescita. La cultura zen è una cultura della ripetizione, ma anche lo sciatore Tomba è una cultura della ripetizione: rifà 75 volte lo stesso paletto prima di avere la fluidità del samurai del paletto ed è quello a rendere il gesto elegante, estetico. Noi stiamo diventando un paese assolutamente inestetico, senza cultura estetica, senza niente, basterebbe leggere sulla pagina culturale lo sfogo di Arbasino sulla Milano brutta e cafona, e a Roma è anche peggio. Cominciamo allora a raccontare cosa significa oggi una cultura dell'abbondanza, una cultura della ridondanza, una cultura del servizio, una cultura della manutenzione, una cultura della ripetizione, una cultura dell'estetica, una cultura del care, cioè del farsi carico, una cultura della responsabilità collettiva, una cultura adatta al periodo in cui l'upgrading sarà finito. Cosa verrà dopo la promessa infinita? Un 'altra promessa infinita? Cosa verrà dopo Internet? 34 milioni di americani iscritti a Internet! L'altra sera a Montichiari uno mi ha detto: "Mi sono fatto mandare con Internet il catalogo a colori della Ferrari"! E' la promessa della promessa. E ce lo faceva vedere tutto contento, ma perché? Perché il meccanismo della promessa infinita è anche intrecciato, sinergico. Cosa viene dopo quello? Non so, magari, intanto, quello se l'è pure comprata quella Ferrari, i soldi probabilmente li aveva, ma poi cosa farà? Si rimette a navigare su Internet? Per chiedere cosa? In realtà, una generazione, quella successiva alla mia, spinta a pensare che tutto sarebbe stato meglio dopo dieci anni, si ritrova ad avere insicurezza sul lavoro, insicurezza sul welfare, spesso scoglionatura nei lavori che fa, a un certo punto dirà: ·'C'è qualcuno che comincia a raccontare cosa c'è dopo la promessa infinita?". Così, credo che, alla fine, lo spazio finisci per averlo, anche se non hai la collana Boringhieri di cui, alla fine, non ci interessa nulla. Bolaffi. Mi pare che quel che ha detto ora De Rita sia perfetto, quindi non aggiungerei altro se non che su questa base mèntori della molecola e mèntori dell'istituzione rinnovata possono lavorare insieme perché entrambi portano dei segmenti di knowhow. L'istituzione rinnovata io la descriverei semplicemente così: un 'istituzione in grado di superare il modello di competizione frammentata, oggi imperante, per passare a un modello di cooperazione coordinata. Un vecchio sogno della sinistra diceva: ·'Facciamo nuovi ministeri, facciamo nuove ...". Di qua in Italia non si passa, perché la cultura istituzionale italiana, sommata alla cultura sindacale, impedisce qualsiasi rifonna che tolga loro potere. D'altra parte, l'Italia non ha la cultura delle agenzie. L'autoreferenzialità della cultura istituzionale italiana impedisce di avere un quadro nazionale cli fronte a sé. è il sindaco di Roma a andare a New York per parlare di 2000 Anche gli altissimi burocrati non riescono mai a chiedersi: "Quello che faccio rientra nel quadro del l'interesse nazionale?". Non ci arrivano e così, spesso, dicono che non gli interessa. lo non ho mai capito qual è la cosa che viene prima, se il disinteresse o il non essere in grado, ma comunque il risultato è lo stesso. L'unica cosa che oggi riescono a fare è ragionare secondo procedure e competenze, rafforzate da Mani pulite; a questo punto tutto è blindato: la stupidità è elevata a potere assoluto. Competenze e procedure, punto. Quindi bisogna anche qui risolvere il problema, perché se noi l'affrontiamo dicendo: "Superiamo le procedure, perché sono farraginose", anche lì non si passa e se non passeremo non so quanto tempo ci vorrà. Quindi la strada che vedo è una strada di innovazione istituzionale basata su un modello di cooperazione inter-amministrativa: le amministrazioni si accordano sul fatto che non si fanno la guerra, che non si tolgono le competenze, che non si tolgono il potere e insieme stabiliscono che cosa fare. Bisogna individuare, cioè, un modello concertato, cooperativo fra le amministrazioni, che fissino gli obiettivi e vadano poi a discutere con la politica. In questo modo, infatti, l'amministrazione tornerebbe ad essere in grado di interloquire autorevolmente con il sistema politico, se non altro perché queste istituzioni sarebbero le uniche in grado di ragionare in maniera metanazionale. Bonomi. Io ritengo che la dimensione della molecola, intesa come soggetto in sé, sia un ciclo finito; credo che dobbiamo continuare a lavorare sulle molecole, ma su quelle che fanno mediazione tra locale e globale, che possono essere tanto l'impresa di Montichiari quanto Sassolino che va a vendere i Boe a Londra. D'altra parte, quando non si fa mediazione tra il locale e il globale, si finisce nel rancore locale, che viene quotato al mercato politico dalla Lega. La cultura del sindacato, la cultura delle rappresentanze imprenditoriali, la cultura del ceto politico, la stessa forma partito vanno ridisegnate in quello spazio che, con un orribile neologismo, ho chiamato giocale. Il secondo punto è quello delle istituzioni innovative. E' un discorso che noi abbiamo già fatto, in parte, quando siamo intervenuti per due anni nel Mezzogiorno. Dicevamo che il vero problema non era solo quello dell'istituzione che presidiava il territorio e faceva repressione della criminalità, ma anche dell'istituzione amica, che innovava il processo. Ora, anche l'istituzione innovativa ha bisogno di regole, è una parola che ho difficoltà a pronunciare, perché molto spesso le regole invocate da sinistra sono poi le regole della conservazione, non le regole dell'innovazione, sono le regole di chi presidia già gli spazi. Però, l'istituzione creativa oltre che di regole è fatta anche di uno spostamento delle istituzioni verso il metanazionale attraverso coalizioni di territorio. Non si può difendere la Fiat a Torino nella logica di Sabbatini, la Fiat a Torino è la mondializzazione e quindi non la presidi occupando uno spazio nuovo, che media fra il locale e il globale. Bolaffi diceva che ormai il welfare comincia a stare a Bruxelles: allora o c'è un 'istituzione innovativa in grado di gestire il welfare da Bruxelles, oppure il nostro stato sociale sarà spazzato via da un populismo che dice che sono tutte pensioni regalate. Terzo ed ultimo punto, l'ideologia del futuro, che significa poi incominciare a dire che è possibile fare altre cose, che non è detto che non ci sia altro che la "pura regola di Maastricht". Su questo, però, credo che un racconto nasca avendo in osservazione i laboratori dove iniziano a formarsi gli elementi di inattualità rispetto a quel modello. Vi ho consigliato di leggere il libro di Touraine, Lettera da Parigi. Touraine, come sapete, è uno dei protagonisti del dibattito francese sullo sciopero dei di°pendenti pubblici, che lui vede come l'ultimo episodio conflittuale di un mondo vecchio, in contrapposizione a Bourdieu per il quale quello sciopero era il primo episodio della lotta alla mondializzazione. Ebbene, la cosa che più mi ha colpito è quando Touraine dice: "Ricominciamo a fare cultura, ricominciamo a mettere in piedi centri studi, perché fare cultura in questa fase storica significa fare un 'operazione direttamente politica, perché la politica è ormai priva di cultura e il mondo dell'offerta è privo di cultura". Ricominciare a far cultura è l'unica base che permette a un racconto di poter diventare ip_eologia. Mi pare anche questa una sfida che chi fa ricerca, chi fa comunicazione, debba assumere fino in fondo. - UNA CITTA' 3

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