::.--::- . n:~? :~f~>t~> a .)t ~ò:N§ TI SCRUTANO Negli anni la cura delle vite prende il sopravvento sull'indignazione per l'ingiustizia sociale. Il giovane pastore che a 4000 metri ha i ieans e il walkman. La scissione interiore dei giovani e il problema di non vergognarsi di se stessi. Intervista a Luisa Melazzini. Luisa Melazzini ha fatto per molti anni la maestra elementare. Dal 1989 si occupa degli indios quechua del Perù, al seguito di una missione cattolica. Dopo i primi due anni il ritorno è stato drammatico, ho avuto istintivamente un rifiuto forte per questa nostra civiltà. Questa volta, dopo altri tre anni, è stato più facile, ma non so spiegare il perché... Mi hanno impressionato le comodità, la bellezza dell'Italia, positivamente. L'altra volta predominava il senso dell'ingiustizia, e il rifiuto del fatto che qui tutto è comodo e bello, che la gente non lotta in ogni momento per sopravvivere: l'avevo avvertito con dolore, ho avuto sentimenti di odio per questi nostri popoli così ricchi. Perché questa volta no? Porque serà? Vedi, mi faccio le domande dei campesinos. Forse perché ho sviluppato un adattamento maggiore alle condizioni di vita di laggiù. Forse allora ero legata soprattutto a un punto di vista di giustizia sociale, adesso mi interessa di più il senso della vita di ogni singola persona, anche se vedo bene il disastro della vita sociale, economica, della politica. Questo non vuol dire che io soffra meno, però un cambiamento c'è stato. Per esempio, il primo anno, a contatto dei malati che mi venivano incasa, dei bambini che mi morivano sotto gli occhi, io mi disperavo, non accettavo, invece adesso sono più forte, più agguerrita. Perché non è solo la malattia, è la malattia unita alla povertà, e soprattutto alla solitudine, che è estrema. Pensa che ho avuto in casa bambini malati di cancro, accompagnati a Lima da parenti e poi abbandonati lì, soli, fino alla morte, senza un papà, una madre, nessuno. E io mi disperavo. Le ragazze indie che vivono con me mi guardavano meravigliate, perché loro hanno questa specie di fatalismo. Ideologicamente si dice che fanno così perché sono popoli che accettano con più naturalezza la morte, però io vivendo a stretto contatto con loro mi sono accorta che non è così: questo fatalismo vuole anche dire "non mi faccio carico, non soffro per nessuno". Non ne sono colpevoli, perché sono cresciute anche loro nella solitudine, senza quei rapporti profondi che creano anche la sofferenza. L'ultima volta ho avuto un bambino di nove anni, che è venuto dalla sierra con un cancro al fegato, una pancia così; è venuto accompagnato da uno zio, me l'ha lasciato lì. Con lui ho fatto la trafila all'Istituto del cancro, dove gli hanno bucato la pancia ambulatoriamente, e l'ho riportato a casa; poi tanto per dargli l'illusione che non era venuto a Lima solo per essere strapazzato negli ospedali di stato, l'ho trasferito in una clinica privata, dove almeno gli hanno messo due flebo. Allora lui mi sorrideva e diceva "sento che sto guarendo" ... con una di quelle faccine straordinarie, occhi neri, bellissimi ... Ecco, sono strazi che adesso sopporto, ma ali 'inizio mi facevano disperare per il senso di abbandono, di solitudine dell'uomo di fronte alla malattia, alla morte. Qui in Italia, in una situazione simile, una creatura ha attorno il padre e la madre, tutta la famiglia; là sono soli. In quei giorni stavo assistendo anche la nostra dottoressa, che era scesa dalla sierra in condizioni quasi disperate, e dentro di me facevo un confronto: lei aveva attorno il marito, lo zio, tutti gli amici, e nonostante questo c'era in lei un rifiuto della vita, era molto tesa; questo bambino invece continuava a ringraziarmi perché nella clinica gli stavano ridando la vita con due flebo ... era la prima volta che qualcuno si prendeva cura di lui ... Purtroppo non si possono spiegare le cose, non si può arrivare a una definizione. All'inizio mi aveva colpito la situazione sociale, la miseria di Lima mi era saltata addosso con una violenza tale che non riuscivo a tollerarla, poi in tutti questi anni ho sviluppato rapporti personali e può darsi che andando avanti si arrivi all'essenziale della condizione umana, l'uomo di fronte al dolore, alla morte. Del resto, tutta la missione lavora molto sul piano sociale, mi pare che la vera meta sia quella, e forse ci arriviamo con più immediatezza perché la situazione umana lì è allo stato puro, mentre qui c'è un sistema di istituzioni, di organizzazioni, di rapporti umani molto più complicato. La missione sta in un villaggio della sierra, a 3700 metri, lì lavora il grosso dei volontari, e c'è un ospedale. Attorno alla missione gravita una popolazione di 30 mila persone, però adesso si è sparsa la voce nelle vallate vicine che lì c'è un aiuto sanitario serio, quindi la gente aumenta. In questa posta sanitaria vengono date le prime cure, e vengono scelti i casi gravi da mandare a Lima. Io poi li porto negli ospedali di stato, ali' istituto del cancro, o nelle cliniche private. Anche questo all'inizio mi sconvolgeva, perché in un paese dove la gente muore perché non ha i soldi io mi dicevo: questi pochi che hanno la fortuna di aver incontrato noi vengono ospitati, curati e riportati alla loro terra, ma tutti gli altri? Dopo ho capito che dovevo uscire da un 'ottica di soluzione dei problemi in generale perché in quest'ouica è chiaro che tu non stai facendo niente. Si vive la carità come mezzo di trasformazione personale nostra e loro: è l'unica prospettiva accettabile di fronte ali 'enormità del bisogno. All'inizio erano molto sospettosi. Hanno pensato: questi sono i gringo.i· di turno che vengono a sfruttare Bil nostr lavoro e fanno i sol~ gopolo povero ci segue perché è nel bisogno: la necessità è talmente forte che non puoi valutare se l'accettazione è sincera fin nel profondo. Oddio, la missione ha ridato vita a quelle vallate: si è organizzato il lavoro, costruito strade, acquedotti ... Lì c'è un'agricoltura di patate, mais, frumento, con l'aratro di legno, legata al ciclo delle stagioni: se non piove è la disperazione, per questo tutti andavano verso Lima, verso una disperazione ancora peggiore ... Tutti si pongono il problema di cosa succederebbe se dovesse venir meno la presenza dei volontari. E' in via di formazione la preparazione di giovani del posto che siano capaci di guidare le varie attività: I' insegnamento, l'artigianato del legno e tessile, la coltivazione e l'allevamento. Già oggi ci sono tre, quattro giovani che sono in grado di dirigere la cooperativa del legno. li problema è che di autonomia economica non ne hanno, perché siamo noi che dobbiamo procurargli il mercato in Italia, provvedere ai trasporti, quando rientra il denaro gestirlo per i servizi della comunità: per adesso queste cose sono in mano ancora agli italiani. Invece, e questo è bello, si stanno costitue~do dei gruppi per la coltivazione della patata e l'allevamento delle mucche: si comprano le sementi, si fa la raccolta, ognuno ha la sua parte, e la parte sovrabbondante viene distribuita ai membri invalidi e anziani della comunità: e questo lo gestiscono loro. C'è un problema fondamentale, che è quello della costanza: non sono in grado di reggere a lungo una vita così severa di lavoro, di impegno, di responsabilità. Lo sforzo più grande che si sta facendo è convincerli che non lavorano solo per sé ma per sviluppare una comunità intera dove tutti hanno il diritto di mangiare. Ma sono molto deboli e fragili, bisogna incoraggiarli continuamente perché non cedano. A tutti viene chiesto un tot di lavoro gratuito per la comunità: a me all'inizio questo pareva eccessivo, non lo facciamo noi che siamo ricchi, chiederlo a dei poveri mi sembrava ingiusto, invece mi sono convinta che è giusto: bisogna puntare alto, se si vuole tenere in vita un'impresa così. Certo ci sono quelli che non ce la fanno e se ne vanno, altri sembrano entusiasti. I ragazzi che entrano nelle scuole della missione hanno tutto gratuito, però devono sapere che lo scopo non è solo avere un vantaggio loro personale, ma anche servire le comunità più lontane, ce ne sono anche a 4000 metri. Sono lì che fanno scuola in capanne di paglia, però, avendo studiato con noi, sanno che devono fare l'orario completo, devono voler bene ai bambini e trattarli bene, gli devono insegnare, e questa è una conquista strabiliante, perché la classe insegnante statale è una vergogna: scrivono una frasetta alla lavagna e i bambini devono copiarla per quattro ore, intanto le donne stanno fuori a fare la calzetta e gli uomini vanno all'osteria più vicina e bevono tutta la mattina. E dopo sei anni di scuola i bambini non sanno parlare lo spagnolo, che è la lingua nazionale. Questi professori della sierra sono i grandi nemici della missione, sono tutti marxisti, di un marxismo molto grossolano. Quando c'erano i senderisti che scorrazzavano per la sierra, facendo razzie di bestiame nei villaggi poverissimi, i professori erano tutti con loro. E ora stanno dando battaglia contro igiovani insegnanti della missione, perché loro nei villaggi più lontani non ci vogliono andare, perché un gruppo di insegnanti che lavora seriamente è una denuncia esplicita per quelli che preferiscono stare ali' osteria. Il fatto è che tra Lima e la sierra ci sono delle cittadine ad altezza intermedia, di circa diecimila abitanti, che avendo l'università, hanno sfornato tutti questi professori che non sopportano i gringos. Infatti c'è una grossa differenza tra il districto, che è il paese più grosso dotato di un sindaco, e una quantità di piccole frazioni, di 60-70 anime. Nel districto vivono idiscendenti degli spagnoli colonizzatori, (incrociati naturalmente con gli inclios), che siccome discendono da proprietari, fanno gli insegnanti o i piccoli commercianti, conoscono lo spagnolo, hanno un livello culturale superiore rispetto ai campesinos, gli indios puri, che vivono nelle loro capanne insieme agli animali, che parlano solo il quechua, e che loro chiamano con disprezzo cholos. In questo la missione ha fatto un 'ottima cosa: i suoi studenti li ha scelti tutti fra i cholos. Con la lingua è un disastro, anche i primi che sono diventati maestri lo spagnolo lo sanno così, pressappoco. Però la cosa importante è che si avvicinano ai bambini con spirito diverso. Loro non considerano che il bambino è un'individualità. Io ho assistito alle loro prime lezioni, li trattavano come un gregge, facevano i versi per radunarli come si fa con gli animali. Bisogna insegnargli che ognuno è una creatura a se stante, che ha un nome suo e non si può chiamarlo con un verso. Adesso hanno capito che è giusto che sia così. lo gli ho fatto dei corsi su come insegnare la lingua e la matematica. Per loro è stata una sorpresa, perché la lingua la imparano ripetendo in coro venti volte una parola, e nessuno di loro sapeva che il nostro sistema di conto è a base dieci. L'idea di far parlare un bambino, farlo raccontare, o addirittura scrivere le sue idee, questo non esiste in tutto il Perù. Io ho fatto dei temini insieme a loro; gli ho raccontato le fiabe dei Grimm, erano incantati: a 30 anni, alla vigilia del matrimonio, mi chiedevano "un cuen10, senorita, un cuento, porfavor". Ma ci vorranno anni per consolidare tutto questo. Certo, noi siamo partiti dalla nostra formazione, fatta clidisciplina, di orari. Se c'era un sistema alternativo avrebbero dovuto trovarlo loro. Lì dicono che finché funzionava l'unità campesina sulla montagna, senza interferenze straniere, aveva una sua forma di aggregazione positiva. Posso riferirti quello che dice la mia amica Armida, il cui padre si è suicidato dopo la riforma agraria del '68, perché gli hanno tolto tutte le terre e il bestiame. Lei sostiene che I' hazendado era quello che dava l'organizzazione a tutto il villaggio, era la figura di riferimento, anche autoritaria, però dava lavoro e sicurezza, c'erano delle forme di scambio tra le famiglie. Tutto questo è stato spazzato via dalla riforma, che ha lasciato una miriade di piccoli proprietari privi climezzi e di una legislazione che li sostenesse. Ti voglio dire che comunque I'infiltrazione nordamericana, occidentale, è arrivata. Agli inizi della missione, tutti portavano il poncho, i sandali fatti con i copertoni, e i pantaloni neri, belli, tessuti da loro. Adesso tutti i ragazzi hanno ijeans, le scarpe da tennis e gli auricolari; fanno i pastori a 4000 metri di altezza con la radio e la musica rock. Certo ogni tanto mi viene il dubbio di essere lì a portare una civiltà estranea, ma è anche vero che conviene essere realisti: visto che il modello occidentale comunque arriva, è meglio difenderli, dargli qualche strumento in più, o no? Lima poi è uno spavento, è la spazzatura dell'occidente, arriva di tutto, nella maniera più superficiale. E' arrivato perfino il metodo globale: in tutte le scuole del Perù c'è un libro pieno di errori madornali, per cui i bambini si confondono. Non ti dico poi la psicoanalisi. Le mie ragazze per diventare maestre hanno dovuto studiare filosofia, di tutto un po', perfino Schleiermacher, poi in una sera abbiamo riassunto l'Edipo re, e in un'altra sera la Divina Commedia. Io penso che siano molto intelligenti, perché qualcosa hanno assimilato, nonostante la mancanza di un linguaggio adeguato.All'inizio dovevo spiegargli tutte le parole astratte, non solo quelle come "essenza", ma anche certe che davo per scontate e poi mi sono accorta che loro gli davano tutt'altro significato. Un giorno una mi ha lasciato un biglietto dove c'era scritto: "Senorita por cierto tiene nostalgia de mi": voleva dire che ero scontenta di lei! Probabilmente vivono una scissione interna, però hanno questo miraggio della cultura occidentale, per cui arrivare anche solo a questi residui è il loro anelito. Della loro cultura hanno vergogna. Io di proposito, appena ho avuto qualche soldo in più, le ho portate a Cuzco, a Machu Pichiu, perché volevo levare questa vergogna. Sai come si sono presentate ali' inizio? "La nostra è una pseudocultura, la vostra è quella vera," mi han detto proprio così. Ma chi ve l'ha detto? ho chiesto io, I nostri professori. Poi ho chiesto che cosa intendevano per cultura vera, la cultura greca, mi hanno risposto, "la cultura griega es lo maximo" Dopo il viaggio a Cuzco si sono un po' tirate su, hanno visto che cosa sapevano fare i loro antenati nell'architettura e nell'astronomia, allora erano fiere. Però continuavano a dire che i loro antenati non hanno inventato la scrittura, che per questo loro non hanno letteratura, non hanno storia, non hanno passato. In un certo senso è vero: hanno muri bellissimi, ma sono solo muri. Se è possibile entrare in un rapporto vero con chi è così diverso da noi? Credo di sì. Nella mia esperienza con questa decina di ragazze che vivono con me, credo di poter dire di sì, con molta sofferenza da entrambe le parti. All'inizio c'è sospetto e sfiducia reciproca. E' un lavoro di grande delicatezza conoscersi fino ad arrivare a stimarsi. Lo dico con convinzione perché oggi ho una grande stima di queste ragazze. E' dura, è dura, perché anch'io mi dicevo continuamente "non sarà mai possibile che abbiano fiducia in me, e io in loro". Non poche volte mi è venuta la tentazione di far valere ... -questa cosa mi ha resa odiosa a me stessa ...- di far sentire che inqualche modo siamo superiori, non con le parole ma con certi atteggiamenti. Quando sei all'inizio, al primo impatto, ti difendi così. Dopo ho recuperato, perché affettivamente le ho prese dentro come una chioccia, ma chissà che umiliazione è stata per loro. Certo che loro ti scrutano, ti studiano, ti mettono alla prova, per vedere se è vero che sei disposta a lasciare per loro tutti gli agi dell'occidente. Quando riesci a dimostrare che è proprio così, che non stai bluffando su niente, che non hai nessun altro interesse, allora cade il diaframma. Credo che sia stato un vantaggio per me esserci andata nell'età matura, per cui nella vita hai già sperimentato la relazione con gli altri, la morte; invece vedo che i giovani volontari fanno una fatica tremenda; si mettono sullo stesso piano, questo vuol dire entrare in competizione, e gli altri soffrono immediatamente il complesso di inferiorità che già si portano addosso. I giovani italiani sono bravi, lavorano tanto, però io vedo che si cercano tra di loro, magari vivono in villaggi distanti sette otto ore, però appena possono si raggruppano, probabilmente per aiutarsi a sostenere il peso. Per adesso, le quattro che hanno finito gli studi sono già su, comunque sono libere, nessuno le trattiene. Una cosa mi ha fatto piacere: mi ha scritto la ragazza che in questi mesi è rimasta a dirigere la casa al posto mio. Dice: "ho sofferto in modo indicibile nel vedere come vengono trattati i poveri negli ospedali, Non avrei mai pensato, quando 'tu ·venivi a casa e ti sfogavi!". Sta vivendo quello che ho vissuto io il primo anno: lepesa molto, ma è contenta perché sta capendo. Forse sì, il progresso consiste nel conquistare un diverso modo di soffrire ... -
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