l'ora e tu, pur lavorando, magari facendo un lavoro che fa schifo, non riesci a campare. E' così che cresce, per esempio, il numero dei senzatetto che pure lavorano regolarmente. Rispetto a questa situazione Bookchin dice: "Ci sono mobilitazioni contro la vendita delle pellicce, in favore della legalizzazione di marijuana e delle coppie gay e lesbiche, su tante singole iniziative, però non esiste un movimento che veramente cerchi di cambiare la situazione, non esiste un movimento sociale rivoluzionario che veramente faccia opposizione al capitalismo. Ecco allora che, leggendo Karl Marx, trovo un analista brillante di questo modo di produzione, un pensiero che pone radicalmente la questione di come sia impossibile risolvere la crisi della natura senza una rivoluzione che cambi qualitativamente il modo di produzione". Da qui la polemica feroce con quasi tutti gli intellettuali di sinistra americani. Per lui quasi tutta la classe intellettuale americana o si è fatta comprare o è opportunista, perché si occupa di piccoli problemi, di questioni marginali, ma non affronta il vero problema che è come cambiare questa società. Bookchin dice che la sinistra americana fa la sua lotta nei dipartimenti d'inglese delle università, mentre la destra lotta sul palcoscenico politico e si impossessa di molti temi su cui la sinistra non apre più bocca. Ed infatti è Buchanan che parla dell'american working c/ass, mentre nessun politico a livello nazionale, di sinistra o di centro, ne parla mai; parlano tutti della classe media, mai della classe operaia che è sempre più disoccupata, sempre più prostrata, vittima di una grande campagna di distruzione delle proprie organizzazioni sindacali. Così Bookchin cerca almeno di individuare nuovi terreni d'azione. Quali caratteristiche dovrebbe avere un movimento rivoluzionario? Bookchin pensa che quella di un movimento rivoluzionario centrato sulla classe operaia sia una strada ormai finita. In diverse occasioni ha detto e scritto che, nelle società industriali avanzate, il punto di partenza per l'organizzazione di un movimento rivoluzionario non è più il luogo di produzione, o almeno non ne è più il luogo esclusivo, e sottolinea che si può anche partire dalla sfera della riproduzione, cioè dalle vicende che hanno a che fare col come le persone vivono, con le scuole che i figli frequentano. Non ècos1 megalomane da voler indicare, in una situazione come questa, dove e come un movimento rivoluzionario potrà nascere; prevalentemente s'indirizza verso quelli che, potenzialmente, potrebbero dare vita a un movimento radicale, quindi ai rimasti estranei al mondo progressista. Così il sostegno dato nel 1987 a Ratzinger sul terreno della bioetica, sull'affermazione dell'integrità della vita, che aveva suscitato così tante polemiche tra i verdi, doveva servire a porre l'attenzione su questa possibile alleanza tra cultura verde e valori della conservazione. E' stato uno dei pochi, anche in Europa, a porre questo problema. Un 'altra delle accuse che ci sono venute da sinistra è stata quella di voler ignorare il conflitto tra capitale e lavoro, tra ricchezza e povertà. E' un conflitto che certo esiste e che la sinistra ha sempre focalizzato all'interno del sistema produttivo, per cui la discussione si è concentrata sul decidere chi partecipa, e in che misura, alla spartizione del surplus o su chi ottiene qualcosa, denaro e potere, all'interno del sistema. A me sembra invece che i verdi, ma anche diversi movimenti sociali degli anni 70, abbiano sollevato delle questioni che spuntano non all'interno del sistema produttivo, ma nei suoi confini "sismici", e fra esse abbiano tematizzato soprattutto il rapporto tra sistema produttivo, sia capitalista che socialista, ed il suo ambiente. Questa tematizzazione si nutre di due fonti principali che sono fuori dal sistema produttivo in senso stretto: la comunità, cioè l'insieme di rapporti sociali, cultura, abitudini, economia morale della gente, e la natura. Se l'ambientalismo si è occupato soprattutto della critica al consumo della natura, è però stato principalmente il movimento femminista a interrogarsi maggiormente sulla comunità, mentre diversi movimenti sociali nel Sud del mondo, dove spesso il conflitto coinvolge contemporaneamente comunità e natura, hanno riflettuto parallelamente su ambedue. Rimane comunque che ciò che è emerso negli anni 70 e 80 è che la vera zona sismica è quella che sta ai confini del sistema produttivo e non al suo interno. Questi nuovi conflitti si sono sovrapposti alla "questione sociale", centrale nell'800, con la conseguenza di mettere in luce che il modo con cui è stata affrontata nel dopoguerra la tematica dello sviluppo è ormai esaurito. Oggi tutti sanno che i paesi poveri non riusciranno a soddisfare il loro bisogno di giustizia imitando o raggiungendo i paesi ricchi, tutti sanno che solo una minoranza degli abitanti del pianeta gode del benessegiovani e a quelli che si sono mossi nel movimento degli anni 60 e che oggi si trovano, oltre che nei gruppi ecologisti, in tanti gruppi diversi che si coagulano attorno alla meditazione, al buddismo o alla protezione degli animali. "Se tutti -mi diceva recentemente- quelli che si lamentano della mancanza di un movimento radicale si mettessero insieme, basterebbero per costruirne uno". Con un libro come Reinchanting Humanity -un libro che è attraversato dalla domanda "ma, attualmente, che cosa state facendo?" posta con la veemenza del vecchio agitatore politico- si indirizza soprattutto a questi gruppi che tradiscono o dimenticano una tradizione rivoluzionaria ancora viva, negli anni 20 e 30, con la vecchia sinistra, sia in America che in Europa, e rivificatasi col movimento degli anni 60. Ma hanno ascolto, nella società americana, queste riflessioni? Va tenuto presente che la figura di Bookchin è una figura particolare, fuori dagli schemi. Tre o quattro anni fa fu pubblicato un libro sugli intellettuali americani del Novecento, tipo Lewis Mumford, Paul Goodman, Paul Feyerabend, in cui l'autore cercava di individuare le poche figure che oggi, al di fuori del mondo accademico. hanno in vari modi cercato di fare un lavoro teorico sulla società in cui viviamo, e dato che Mumford, Goodman e Feyerabend sono morti, attualmente Bookchin è rimasto uno degli ultimi ad avere questo ruolo classico dell'intellettuale. E' anche per questo che spesso è, o si sente, chiamato in causa sulle più diverse questioni. Detto questo, comunque, va sottolineato che si impegna direttamente nella vita politica del luogo dove vive e non a caso è sua la proposta del "municipalismo libertario", che mira a fare dei municipi e delle realtà locali delle assemblee aperte a tutti e indipendenti dal potere centrale. Questa proposta del municipalismo libertario, elaborata nella sua forma più ampia nel libro From urbanization to cities, partedall 'esperienzadegli stati del New England -in cui, fino a quasi tutt'oggi, queste assemblee, i town meeting, sono funzionanti- ed attraverso questo esempio storico cerca di far capire che è pensabile e possibile una struttura politica dove tutti i soggetti partecipino alla formulazione della volontà politica. Attualmente sta facendo una ricerca sulla Comune di Parigi del 1871 per dimostrare che anche nelle grandi realtà urbane, stiamo parlando di una città che già allora aveva quasi due milioni di abitanti, i cittadini sono in grado di gestire direttamente i loro affari in una situazione di democrazia diretta. re, che abbiamo raggiunto i limiti biofisici della terra. E' la finitezza di questi limiti che si contrappone alla richiesta di maggiore giustizia. Questo è il dilemma fondamentale di oggi, in particolare nel rapporto Nord-Sud, ma anche in quello tra ricchi e poveri nella nostra società. Ma con quale impostazione si può affrontare questo conflitto? Certamente non con gli strumenti convenzionali della sinistra. Il socialismo pensava di raggiungere una maggiore giustizia attraverso un progresso continuo, come una torta che cresce senza limiti, ma nel momento in cui devi fare i conti con i limiti è necessario uscire dal dilemma tra giustizia e finitezza, è necessario riscoprire il valore della misura giusta, del benessere nella sobrietà, dell'autolimitazione di cui parlava spesso Alex. Solo attraverso la misura giusta si può immaginare che ce ne sia abbastanza per tutti. Con la misura giusta si può immaginare almeno di frenare la dinamica dell'esclusione che colpisce strati sempre più grandi di popolazione. In un recente studio del Wuppertal lnstitut, che si intitolaZukunftsfiihiges DeutschlandGermania sostenibile, si propone la tesi che, per parlare di una società sostenibile e giusta nei confronti dei paesi del terzo mondo, si deve pensare ad una riduzione, nell'arco dei prossimi 50 anni, nell'uso del1'energia e della natura, portandolo al I0%- 20% del livello attuale. li libro ha creato molta discussione, soprattutto nella stampa cattolica, perché è chiaro che un obiettivo così impegnativo non si può porre senza un chiaro perché, senza una motivazione etica. E non è un caso che questo studio sia stato commissionato congiuntamente dalla più grande associazione ambientalista tedesca (Bund) e dalla più grande associazione di solidarietà internazionale (Misereor). L'idea guida di questo studio è la ricerca di un nuovo rapporto con il tempo e con lo spazio, di nuovi consumi e comportamenti. Per tanti anni progresso ha voluto dire "più velocemente e più lontano", cioè la grande utopia della più grande mobilità nel tempo più breve possibile, per cui era dato per scontato che occorreva aumentare la velocità e rendere lo spazio più permeabile. Il perseguimento cliquesta utopia ci ha portaB I bI 10 eca Gino Bianco Esiste una riflessione di Bookchin o dell'ecologia sociale che tematizzi il significato della politica come spazio dotato di una sua specificità? In una parte consistente della sua opera Bookchin cerca di formulare una nuova politica, più specificamente una politica confederale, municipale, distinta dalle forme di governo centralizzate, nazionaliste. \ ,, ,. r . Come rafforzare il potere locale, civico, come indebolire e eventualmente distruggere lo stato nazionale e l'economia capitalista? Per Bookchin, come per la sinistra "classica", il problema è quello della rivoluzione ed è su questo che sta lavorando. Bookchin sostiene che la società in cui viviamo oggi ha pochi decenni, che, nella forma in cui l'abbiamo sotto gli occhi oggi, è sostanzialmente nata dopo la seconda guerra mondiale. Il libro a cui sta lavorando dovrebbe chiamarsi La seconda rivoluzione ed è una ricostruzione della storia delle rivoluzioni nell'età moderna che parte dalla guerra dei contadini in Germania, nel 1525, per arrivare, attraverso la Comune di Parigi, le rivoluzioni russe del 1905 e del 1917, fino alla guerra civile in Spagna nel 193639. Con la guerra di Spagna per lui si conclude l'ultimo vero tentativo di rivoluzione nella storia moderna, ma i problemi fondamentali sono rimasti gli stessi e la storia degli ultimi cinquant'anni non ha creato una situazione in cui si debbano inventare soluzioni qualitativamente diverse da quelle cercate nelle rivoluzioni del passato. Bookchin si sente da molti anni legato alla tradizione anarchica e cerca di dare di essa una formulazione che serva veramente per un movimento rivoluzionario nella società capitalista avanzata. E' partendo dal tentativo di capire la specificità della crisi ecologica e sociale in cui viviamo, che vanno considerate le sue critiche verso i "padri dell'anarchismo" come Bakunin, le sue riflessioni su forme libertarie di municipalismo e di democrazia, le sue critiche al sistema delle decisioni prese applicando il principio del consenso. Il problema su cui insiste sempre più spesso è che non si tratta di ricreare una uguaglianza originaria, ma di creare l'uguaglianza fra noi che di fatto siamo ineguali. In una delle ultime discussioni che abbiamo avuto diceva: "Rispetto alla vecchia contrapposizione fra disuguaglianza degli ugual i o uguagl ianza dei diseguali, anziché mirare ad un'uguaglianza formale che nasconde la disuguaglianza reale, come accade col politically correct, occorrerebbe chiedersi quali siano i processi e le situazioni che possono renderci uguali nella nostra disuguaglianza". - to alla società dell'affanno, alla società inquieta, e si è scoperto che l'accelerazione in quanto tale, oltre una certa soglia, ha delle tendenze controproduttive; per esempio, ci spostiamo sempre più rapidamente per restare sempre di meno nei luoghi dove arriviamo. Spendiamo un sacco di energie per l'arrivo e per la partenza, però dimentichiamo la presenza. Molti ora cercano una presenza più piena, sviluppano la sensibilità verso una certa lentezza, per fare le cose in modo più preciso, con meno affanno. Cresce dal sottosuolo dell'accelerazione una nuova sensibilità e nuovi desideri. Per di più ci si chiede perché manteniamo delle automobili con le attuali prestazioni di velocità, visto che dal punto di vista fisico è chiaro che il consumo di energia e di natura cresce in modo geometrico con la velocità. In questo studio sulla Germania sostenibile proponiamo di abbassare iI tetto della velocità consentita, perché così si favorirebbe la nascita di una nuova generazione di automobili che non vadano oltre i 100 km all'ora, con molto meno consumo di benzina, meno emissioni nocive, meno morti, meno materiali perché la sicurezza non sarebbe più così importante, nuove possibilità di disegno non legate all 'aereodinamica. Un'argomentazione simile l'abbiamo dedicata anche al treno, pensando alla spinta verso l'alta velocità che c'è in Germania, Francia, Italia. Già oggi un treno che superi i 200 km all'ora non è più concorrenziale, dal punto di vista ciel consumo energetico, con l'automobile, un treno a 300 km orari è una follia ... Quindi il nocciolo di un nuovo modo di pensare e di agire starebbe nella "misura giusta"? li triangolo giustizia, finitezza della natura, misura giusta mi sembra essenziale ed in questo discorso si riscoprono consonanze con la cultura cattolica, con le religioni, tra conservatorismo e cultura verde. Molte religioni. in fondo, sono concezioni antieconomicistiche e credo che oggi siano da riscoprire. come sono eiavalorizzare i modi in cui la gente spende la sua immaginazione, la sua fantasia, la sua energia, al di là della ricerca di accumulare beni. D'altra parte storicamente si è ben visto che la marcia vittoriosa del capitalismo ha dovuto superare tutti gli ostacoli che opponevano le cui ture ant ieconomicistiche del le rei igioni, dei contadini. Non credo tuttavia sia possibile tornare indietro, ma credo sarebbe un bene per noi se ritrovassimo almeno la memoria di questi strati del nostro passato, perché tutte le nostre azioni sono determinate da ciò che siamo e siamo stati. E come comportarsi con la tecnologia? Lo scetticismo verso le soluzioni tecnologiche è chiaramente cresciuto negli ultimi 1520 anni, oggi mi sembra molto difficile parlare del progresso tecnologico come di un fatto lineare. Ci sono molti progressi tecnologici e la tecnologia si va diversificando. Schumacher 20 anni fa scrisse Piccolo è bello e oggi non c'è niente di più piccolo dell'elettronica. "Miniaturizzazione" è oggi una delle parole chiave. A differenza di quanto pensavo in passato, oggi penso che una svolta ecologia richieda anche un nuovo progresso tecnologico, per esempio per produrre strumenti che usino molta meno energia e natura. Una trasformazione ecologica sarà anche una trasformazione tecnologica. Anche il ritorno ali' agricoltura biologica avrà bisogno sia della riacquisizione di tecniche antiche che di tecniche nuove. Anche l'uso delle biomasse o del solare hanno bisogno di tecnologia, solo che è una tecnologia diversa da quella attuale. Una volta ero anch'io caduto nella trappola della tecnologia esistente, ero diffidente verso quella che sembrava l'unica tecnologia possibile, per cui sostenevo una distinzione tra "ecologia dei mezzi" ed "ecologia dei fini". E' una distinzione che penso ancora valida, perché anche i mezzi più intelligenti non risolvono la dinamica della crescita, del sempre di più, e quindi ci vuole sempre anche la moderazione dei fini. Ma la stessa moderazione dei fini può essere anche un disegno ispiratore della tecnologia, come nell'esempio dell'automobile che ho fatto o nell'idea che si svilupperà qui a Wuppertal di sostituire il frigorifero con un locale-dispensa che non ha bisogno cli essere raffredato. Ma cosa farà cambiare rotta al Titanic? Un aumento del ruolo degli individui? Non penso che la politica possa aiutare più cli tanto questo processo. La consapevolezza ecologica in senso lato si è diffusa, è diventata parte della cultura generale e delle culture professionali. La speranza, più che dalla politica, viene da nuove esperienze, da nuove visioni, da nuove sensibilità. Negli Stati Uniti stanno diventando rilevanti gli accordi diretti stipulati tra imprese o gruppi di imprese e lavoratori e associazioni di consumatori. Le cose cambiano perché gli imprenditori cercano un nuovo mercato, vengono spinti da certi consumatori, ricevono suggerimenti dagli scienziati. Oggi un inventore, un progettista di tecnologie ha un impatto direttamente politico e imprenditori, consumatori, scienziati vorrebbero tutti essere all'altezza dei tempi, così sorgono esperienze di nuove coopeq1zioni, accordi parziali. Rimane certamente il ruolo dello Stato, ma i cambiamenti vengono prima dall'interno della società civile, ben oltre l'influenza degli stessi movimenti organizzati. Sono il segno del tramonto di un'epoca: diventa più importante il simbolico, si sgretolano i conflitti di massa, c'è più ricerca di cooperazione puntuale, di accordi particolari. Ci sono ancora gli operai -se si vuole c'è ancora "la classe operaia"-, come ci sono ancora i cattolici, ma non contano più come portatori di una forza compatta o di posizioni univoche e influenti. E' una concezione ottocentesca che la società sia una sorta di meccanismo in cui valgono le regole della fisica, per cui prevarrà naturalmente chi mette in campo la forza maggiore. Nell '800 il linguaggio della politica era tutto permeato di questi concetti meccanicistici. Ma oggi, più che alla fisica mi ispirerei alla biologia, ai cambiamenti come osmosi o come infezione. Mi sembra una metafora più adatta a spiegare una società in cui la forza simbolica è più importante di quella fisica. E più che un aumento di peso degli individui vedo tanti attori diversi; non è più possibile massificare gli attori, non c'è più l'operaio, come non c'è più lo sposato, o il cattolico. Ci sono situazioni di vita tra di loro molto diverse, come ci sono diversi campi di interesse e di impegno. C'è ancora la collettività, ma non è più la collettività di massa. Non credo però che sia diminuito l'impegno politico, semmai è calato l'impegnopoliticototalee permanente, ma I'impegno specifico e transitorio c'è ancora. La gente non sente più il bisogno di legarsi per tutta la vita ad una cultura particolare, è una cosa più transitoria, più fluttuante. - UNA CITTA' 1 5
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