Una città - anno VI - n. 49 - aprile 1996

Per Bookchin, anarchico ed ecologista, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, basato sull'eterna crescita e sul profitto, è alla base della distruzione della natura. Non necessariamente un'alta tecnologia deve essere distruttiva. Lademocrazia grande antidoto contro tribalismi ed etnicismi. Intervista a Karl-Ludwig Schibel. Karl-Ludwig Schibel, insegna Ecologia Sociale ali' Università di Francoforte. Autore di diversi saggi su questo argomento, è anche coordinatore della Fiera delle Utopie Concrete di Città di Castello. L'ecologia sociale si differenzia dalle altre tendenze ecologiste soprattutto perché, a partire dal suo iniziatore, Murray Bookchin, rovescia il paradigma interpretativo del rapporto uomo-natura ... Bookchin, cercando di capire da dove venga l'idea di poter dominare la natura, rovescia il classico paradigma interpretativo che vede il dominio dell'uomo sull'uomo derivare da quello dell'uomo sulla natura. In realtà è dal più antico dominio dell'upmo sull'uomo -sviluppatosi con la formazione delle gerarchie, poi delle classi, poi dello stato- che nasce l'idea sbagliata di poter dominare la natura. Un'idea che esiste da molti secoli, ma che oggi trova strumenti tecnici tali che dalla sua operatività proviene una qualità diversa nella possibilità di distruggere la base naturale dell'uomo. Per Bookchin, in sostanza, il pericolo non è che l'uomo stia distruggendo la "natura", che la metta in pericolo; la "natura" sta benissimo, mentre quello che l'uomo sta facendo è la distruzione della base naturale necessaria perle forme complesse di vita a cui l'uomo stesso appartiene. Bookchin, analizzando il modo in cui la società capitalista tratta l'ambiente e la capacità umana di intervenire in modo sempre più.,.-estesoe profondo sulla natura (intervento che trova nell'idea di "fattibilità" il suo perno, la coscienza criminale della mente tecnocratica), si chiede se tutto ciò veramente significhi che siamo in grado di dominare la natura. A questa domanda risponde che questo dominio non sarà mai possibile, non tanto per l'insufficienza delle conoscenze scientifiche, ma per ragioni sistematiche, visto che non saremo mai in grado di controllare tutti gli effetti dei nostri interventi. un razzista come Pat Buchanan, che vuole costruire un muro fra la California e il Messico. Nel suo ultimo libro, Reinchanting Humanity, Bookchin elabora ed approfondisce ulteriormente un tema che si trova in tutta la sua opera, quello della differenza fra l'uomo e il resto della vita cercando di spiegare che la vita ha una storia, che questa storia ha una sua direzione, senza per questo essere una storia teleologica, senza alternative. E l'uomo è il prodotto più evoluto, più sviluppato, di questa storia della vita, perché è in grado di riflettere su questo processo, perché ha coscienza di se stesso e di quello che sta facendo, perché può intervenire coscientemente sulla natura. Soprattutto negli ultimi anni, in cui la sua opposizione all '"ecologia profonda", alla romanticizzazione della wilderness, al neomalthusianesimo si è sempre più radicalizzata, Bookchin insiste molto sulla specificità dell'uomo e sulla responsabilità particolare che l'uomo ha nel suo rapporto con la natura, proprio perché non può non intervenire. Già nel' ecologia della libertà si metteva in guardia contro la romanticizzazione, l'idealizzazione, delle culture organiche dei cacciatori-raccoglitori (fatta da antropologi come Marshall Sahlins), sostenendo che, certo, erano culture che intervenivano poco sulla natura, in questo senso comportandosi in modo ecologico, però erano anche culture che avevano una vita incentrata sul mantenimento della propria esistenza e nessun rituale, nessuna pratica magica e nessun mito possono rimuovere la necessità di doversi concentrare continuamente sulla sopravvivenza. Da qui la scelta a favore della scienza e della tecnologia, anche di quella più avanzata, al fine di creare una società ecologica. Se tecnologia e scienza sono state usate per obiettivi terribilmente oppressivi non significa che debbano sempre essere usate in tal modo. ln questo Bookchin è sempre stato coerente con se stesso, visto che i suoi primissimi articoli ecologisti, scritti quando ancora nessuno ne parlava, sono dedicati alle tecnologie alternative, al potenziale dell'energia solare e delle energie rinnovabili, alla coltivazione organica dei cibi. cietà dovrebbe prendere spunto dalla logica dello sviluppo della vita, con la consapevolezza che anche noi ne facciamo parte in quel modo specifico che è dato dalla mediazione dei processi sociali e politici. Bookchin ha cercato di ricostruire come una specie particolare, l'uomo, faccia parte della storia biologica dell'evoluzione, come rimanga profondamente legata a questa storia, per esempio tramite il rapporto tra una nuova generazione che ha bisogno per sei, dieci, dodici anni della generazione precedente per l'educazione, per imparare. Al tempo stesso questa specie particolare ha compiuto un salto qualitativo in questa storia grazie a quella specifica forma di evoluzione che è la cultura, un salto che nessun' altra specie ha fatto e che le ha permesso di passare da un 'evoluzione prettamente naturale a un'evoluzione culturale che segue logiche diverse da quella naturale. Una volta avvenuto questo passaggio, il problema è diventato quello del rapporto fra l'evoluzione naturale e l'evoluzione culturale. Molte delle prime culture umane avevano un rapporto distruttivo con la natura, mentre altre avevano un rapporto più armonioso, tutte però intervenivano nella natura per il loro vantaggio. Bookchin, soprattutto nei suoi ultimi scritti, cerca di distruggere il mito che vede nei popoli primitivi delle culture naturalmente ecologiche e porta l'esempio degli indiani d'America, che sono fra le popolazioni più romanticizzate, che, prima dell'avvento del cavallo, spingevano mandrie enormi giù dai burroni per poi prendere solo una parte minima degli animali uccisi. Questo gli serve per dire che \ non necessariamente una società ad alto sviluppo tecnologico deve necessariamente essere distruttiva della natura, mentre lo può essere una società a bassa tecnologia. In realtà il problema non sta nell'intervento sulla natura, nemmeno in quello con le metodologie più avanzate, ma nell'organizzazione sociale che questo intervento determina, determinandone anche il segno. Se l'intervento è fatto da una società basata sulla crescita e sul profitto è in quel senso che l'intervento andrà, mentre in una società libera, in una società razionale, si potrebbe anche discutere dell'uso della biogenetica e, forse, del nucleare. Queste ultime mi paiono tesi tutte da discutere, perché nell'attuale organizzazione sociale queste tecnologie non sono accettabili. Per Bookchin, e spero di non interpretare male il suo pensiero, la logica dello sviluppo tecnologico non sia di per sé antilibertaria, anzi mi sembra convinto che quello della logica intrinseca allo sviluppo tecnologico sia uno dei miti con i quali si nasconde lo sviluppo reale, che è quello della massimizzazione dei profitti. ln questo accento su un possibile approccio ecologista alla tecnologia sta la differenza profonda, oltre che con l'ecologia profonda, anche con la maggioranza delle posizioni ecologiste e ambientaliste, in quanto deboli, contradditorie, accomunate dalla sfiducia nelle capacità umane e nel loro potenziale, cioè da un antiumanesimo. All'opposto, Bookchin afferma, in ciò riavvicinandosi indubbiamente a Marx, che una società razionale ha la possibilità di riuscire a gestire coscientemente gli affari sociali. Ci sono degli sviluppi nel cammino dell'umanità da una vita strutturata intorno a rapporti di sangue (reali o immaginari) a una vita strutturata intorno a fatti civici, in cui l'uomo diventa progressivamente consapevole di tutti i processi che lo riguardano. Non è che alla base della nostra crisi ecologica e sociale sia il fatto che abbiamo troppa civilizzazione ma, al contrario, che non siamo abbastanza civilizzati. Da qui la polemica col nichilismo "post-moderno", cioè con chi, ispirandosi soprattutto a Foucault e Derrida, sostiene che nella storia non c'è e non ci può essere alcun progresso, che essa è sostanzialmente un affastellarsi di eventi che vanno al di là dell'azione e della volontà degli esseri umani e ne determinano la vita. A questo proposito, a me viene in mente anche un po' del modo di pensare di Herbert Marcuse, che diceva che le società industriali avanzate hanno il potenziale per arrivare ad una società libera. Un potenziale che sarebbe pochi centimetri sotto quello che noi vediamo e che dovrebbe far perno proprio su tutto quello che è stato creato dall'uomo, non solo nel campo tecnologico, ma anche nel campo sociale: la democrazia e le istituzioni democratiche sono il risultato di un processo storico, sono un grande progresso e sono la pre-condizione per liberarci dalle forme primitive di organizzazione sociale come la tribù o il clan. Sul progresso rappresentato dalla democrazia Bookchin spinge molto, soprattutto dopo il ritorno di ideologie atavistiche come il nazionalismo nell'ex Jugoslavia, un ritorno che non ci saremmo mai immaginati pochi anni fa. Colpisce che una riflessione come quella bookchiniana, che ha le sue radici nel pensiero anarchico e in un ambito indubbiamente libertario come la controcultura, stia recuperando dei temi marxiani, o addirittura hegeliani... Presumi biImente questo vedere nell 'ecol ogia sociale anche un recupero del marxismo e dell'hegelismo farebbe piacere a Bookchin, che è sempre più preoccupato degli sviluppi del capitalismo ... Durante una recente conversazione mi diceva: "Il capitalismo si è sempre comportato in modo feroce, ma negli ultimi tempi è sicuramente più crudele e spietato che negli scorsi decenni. Oggi siamo di fronte ad un impoverimento graduale della grande maggioranza della società americana con un arricchimento dei pochi, alla perdita di potere della grande massa di dipendenti sul posto di lavoro, allo sviluppo di una crescente ineguaglianza". E' un'analisi verissima, che chiunque può verificare, come è capitato a me proprio nelle passate settimane. Gli Stati Uniti sono sempre la potenza più importante a livello mondiale, ma sono anche un paese che sta diventando più povero di quanto non lo fosse dieci anni fa, e dieci anni fa era già più povero di vent'anni fa, anche se a quel tempo non si vedeva così chiaramente. In America c'è un capitalismo che nel nome del profitto licenzia tranquillamente centinaia di migliaia di persone e non a caso una delle ultime copertine di Newsweek riportava, sotto il titolo Corporate killers, cioè i killers delle grandi corporazioni, le foto dei presidenti di alcune grandi società americane e sotto ad ogni foto c'era il numero delle persone recentemente licenziate: ventisettemila uno, sedicimila l'altro, novemilaottocento l'altro ancora e così via. E' un capitalismo scatenato che crea miseria su grande scala: il fenomeno dei working poors è sempre più esteso. Per working poors si intende il fatto che se anche trovi lavoro, e il lavoro si trova perché il lavoro in America c'è, è un lavoro pagato cinque dollari Ma, contrariamente ai teorici dell "'ecologia profonda" che vorrebbero che l'uomo si astenesse il più possibile dall'intervento sui processi naturali e per questa via arrivano ad accettare, ad esempio, le carestie o I'Aids come forme di autoregolazione dei processi naturali, Bookchin sostiene che non abbiamo scelta: per vivere l'uomo deve necessariamente intervenire nei processi naturali. Anzi, la capacità di modellare il proprio ambiente è un attributo specifico dell'uomo. Solo che tale interv.ento deve avvenire in un rapporto co-produttivo con la natura. Rispetto ali '"ecologia profonda", che negli Stati Uniti è molto diffusa, Bookchin, oltre a mettere in luce il disprezzo per l'uomo che ne è alla base, sottolinea anche la vicinanza dei deep ecologists a una politica autoritaria, elitaria, antidemocratica. Per I'"ecologia profonda" americana quella autoritaria è una deriva certamente possibile. Argomenti come quello di non dare aiuti ai paesi poveri -perché se oggi sfamiamo i bambini di otto-nove anni, fra altri trequattro anni anche loro avranno dei bambini che sicuramente moriranno, per cui è meglio lasciarli morire e così si ristabilisce l'equilibrio naturale- o come vedere con favore la chiusura della frontiera con il Messico, perché la capacità di sostenimento della California non permetterebbe un'ulteriore emigrazione da parte dei messicani, sono evidentemente molto vicini alle tesi di La vita ha avuto uno sviluppo che, a partire da una grande semplicità, è via via andato nel senso di una complessità e una diversità crescente con grandi elementi di spontaneità. I "peccati mortali" delle società industrializzate non sono tanto quelli che normalmente definiamo "disastri ecologici" - gli incidenti alle petroliere che provocano la perdita in mare di migliaia di tonnellate di petrolio, o addirittura catastrofi come Cernobyl-, ma la logica che porta a una continua riduzione della complessità in favore della omogeneità, di cui i disastri ecologici sono solo i sintomi. Il problema vero è lo smantellamento della complessità biotica raggiunta in lunghe ere di evoluzione organica, il capovolgimento del processo evolutivo. Le monocolture del!' agrobusi ness, I' allevamento di massa, la cementificazione della terra, la riduzione della biodiversità e il riscaldamento dell'atmosfera terrestre sono tutti fenomeni di una inversione del- ! 'evoluzione biologica da parte dell'uomo. Il parcheggio asfaltato è un "peccato mortale", come lo è la monocoltura nell'agricoltura: sono riduzioni della complessità che non lasciano nessuno spazio alla spontaneità, mentre una gestione ecologica della soCon Alexander Langer una comune avversione per la politica istituzionalizzata e l'attenzione alle aspirazioni sociali. La ridiscussione della parola "conservazione" e la necessità della lentezza. Una politica pensata con le regole della biologia e non più con quelle della fisica. Intervista a Wolfgang Sachs. B La testata UNA CITTA' è di proprietà della cooperativa UNA GITTA'. Presidente: Massimo Tesei. Consiglieri: Rosanna Ambrogetti. Paolo Bertozzi, Rodolfo Galeotti, Franco Melandri, Gianni Saporetti. Sulamit Schneider. Redazione: Rosanna Ambrogetti, Marco Bellini. Patrizia Betti. Fausto Fabbri, Silvana Masselli, Massimo Tesei, Gianni Saporetti (coordinatore). Collaboratori: Loretta Amadori, Antonella Anedda, Giovanna Anceschi. Giorgio Bacchin, Paolo Bertozzi, Aldo Bonomi. Barbara Bovelacci, Massimo Casadei, MicheleColafato, Dolores David, Camillode Piaz. Mirella Fanti. lisa Foa, Kanita Fociak. Hubert Gasser, liana Gavelli, Marzio Malpezzi, Franca Marchetto. Franco Melandri, Carla Melazzini. Maria Assunta Mini, Morena Mordenti, Lejla Music, Simonetta Nardin. Alessandra Papa, linda Prati, Carlo Potetti, Edi Rabini, Stefano Ricci, Flavio Ronchi, don Sergio Sala. Sergio Sinigaglia, Sulamit Schneider, Senka Trolic. Interviste; A Fiorenza Tedeschi: Gianni Saporetti. A Monika Brugger Tutzer. Hannelore Bottegai e Annerose De Zordo: Franca Marchetto e Alessandra Papa. A Valeria e Vanni Jimi: Dolores David. A Luca e ad Anna e Susy: Carla Melazzini. A Karol Modzelewski: Lisa Foa. A Oarko Bratina: Aldo Bonomi. A Marcello Gallo: Gianni Saporetti. A Benedetto Saraceno: Patrizia Betti. A Kart Ludwig Schibel: Rosanna Ambrogetti e Franco Melandri. A Wollgang Sachs: Hubert Gasser, Edi Rabini e Massimo Tesei. A Luisa Melazzini: Carla Melazzini. Foto di Fausto Fabbri. Pag. 4 e pag. 7 di Flavio Ronchi. Pag. 9 tratta da L 'i/lustrazione italiana. Pag. 16 di Luisa Melazzini. La foto di copertina del numero scorso è di Mirella Fanti. Grafica: "Casa Walden·. Fotoliti: Scriba. Piegatura a cura di legatoria Editoriale. Questo numero è stato chiuso il 2 aprile '96. Wolfgang Sachs, nato a Monaco nel 1946, si occupa del rapporto tra scienza, tecnologia e società, intrecciando le sue ricerche con quelle di Ivan lllich. In Italia ha pubblicato diversi saggi.fra cui Archeologia dello sviluppo, edizioni Macro. Attualmente è ricercatore presso il Wuppertal Institut in Germania. Le tue ricerche, oltre che con Ivan lllich, si sono spesso intrecciate anche con quelle di Alexander Langer ... Ricordo con piacere il momento in cui. credo nel 1983, mi giunse la prima telefonata di Alex, che mi invitava a Trento per tenere una relazione sui costi sociali del- !'automobile e sulla crisi della società automobilistica. Accettai perché mi piaceva l'idea di venire in Italia, così come mi piaceva partecipare ad un incontro che era in sintonia con la mia visione della ricerca, che deve essere abbastanza disciplinata e sistematica, ma che non si rivolge primariamente ad un pubblico accademico, di specialisti universitari. La mia ricerca si vuole confrontare soprattutto con la società civile. con le iniziative e le associazioni che sono impegnate nel campo ecologico. della pace,dellademocrazia. Alex era un politico che si poneva nella stessa prospettiva. che intendeva la politica come un 'impresa volta a cambiare e a ·•colorare" man mano l'immaginario della gente, il "sentire" di chi stava cercando qualcosa di diverso. Cercava di fare politica oltre la politica e non aveva nel mirino gli equilibri convenzionali della politica istituzionalizzata, ma piuttosto puntava a confrontarsi con le aspirazioni presenti nella società. E' su questo terreno che mi sono sempre incontrato con Alex: lui il politico che guardava oltre la politica, io l'intellettuale che guardava oltre l'università. Ad accomunarci c'era poi anche la matrice cristiana, che ci legava anche all'amico comune Ivan Illich. La prima volta che vidi Alex fu a metà degli anni '60, nel periodo post-conciliare, in una sala dell'università di Monaco, dove parlava del rapporto Ira la sinistra e la chiesa cattolica in Italia e di lui avevo mantenuto un ricordo vago, fino a che non lo rividi a quell 'incontro di Trento. Il suo impegno ecologico, come quello per la pace. aveva alla base questa forte motivazione morale che gli veniva dalla matrice cristiana e non era né di tipo utilitaristico, né puramente rivolto a suscitare allarme nell'opinione pubblica. Con Alex ci trovavamo in sintonia anche nel coltivare la vecchia idea. etica ed estetica. che ci sia il giusto e il non giusto, il bene e il non bene. Insomma. non ci siamo mai sentiti troppo vicini agli apocalittici e ai pianificatori ambientali. Partendo da questi presupposti qual è stato il vostro rapporto con la sinistra? In un certo senso eravamo considerati tutti e due degli eretici, fuori dalla sinistra. Per Marx e per la sinistra, infatti, la società non deve essere solo interpretata, ma anche trasformata, mentre un ambientalista direbbe che la società non va principalmente trasformata, ma conservata. L'idea che la sfida principale sia oggi quella di conservare qualcosa è un sentimento profondo che ci ha spesso separato dalla sinistra e parlo di "sentimento" perché a livello intellettuale si possono certo trovare argomenti per sostenere che non c'è una netta contrapposizione tra il bisogno di trasformazione e quello di conservazione. Già ildefinirsi "sinistra progressista" dà per scontato che il progresso va considerato desiderabile, ma per Alex era molto chiaro che quelli che politicamente si chiamano "conservatori" sono da tempo impegnati nella modernizzazione sfrenata in tutti i campi. nel la concorrenza sul mercato mondiale, nella frontiera delle nuove tecnologie. Visto il mostruoso matrimonio tra conservatorismo e tecnocrazia. consumato già nel primo dopoguerra. era necessario riscoprire i valori conservatori, che vivono nella gente, per dar loro un'espressione diversa sul piano politico e Alex era sempre stato assai consapevole che i verdi dovevano avere la forza clinutrirsi di questi sentimenti

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