Una città - anno VI - n. 49 - aprile 1996

ro: tra trenta giorni vacciniamo con l'antipolio 700 mila bambini, tutti risero perché non avevano le strutture, non avevano le strade, non avevano niente. Dopo un mese, riuscirono a vaccinare 700 mila bambini in una mattina. Se noi assumiamo un'equazione molto rozza, sanitaria, che dice: le risorse messe in campo, più le competenze tecniche fanno la qualità di un servizio sanitario, allora siamo costretti a chiederci come mai, avendo poche risorse, e competenze piuttosto modeste, la qualità di quel servizio fu altissima. Perché furono messe in campo altre risorse. Per esempio la credibilità dello stato che dice alla radio: "Domenica vaccineremo i bambini, teneteli pronti". Per esempio la credibilità di una rete comunitaria popolare che, con un meccanismo a cascata, si trasmette il piccolo know howdi come si vaccina un bambino, per cui il giorno x stabilito, anche l'ultima vecchietta dell'ultimo paesino in Nicaragua è capace di vaccinare il bambino che ha di fianco. Tutto questo significa che il concetto di risorsa è un concetto estremamente elastico. Allora gli studi dell 'Oms che mostrano che la prognosi della schizofrenia è migliore nei paesi poveri rispetto ai paesi ricchi, ci fanno vedere non già chissà quali psichiatrie meravigliose ci sono in questi paesi, ma che semplicemente vengono messe in campo altre risorse, che alla fine sono molto più decisive sulla prognosi della malattia rispetto alle risorse tradizionali. Sicuramente la capacità di alcuni paesi o di alcune situazioni rurali, più che urbane, di creare contesti comunitari forti è una risorsa. Io poi personalmente non credo, come dice I 'Oms, che la differenza vada cercata tra paesi poveri e paesi ricchi -come se essere poveri fosse un vantaggio- ma vada piuttosto cercata tra contesti urbani e contesti rurali. Sono convinto che probabilmente l'esito della schizofrenia a Rio de Janeiro, che è una grande conurbazione di 15 milioni di abitanti, sia uguale a quello di Los Angeles, anche se uno è un paese in via di sviluppo e l'altro no. Certo che. comunque, parole come sviluppo e progresso andrebbero ridefinite un attimo. Se il progresso si misura sul numero di automobili pro capite, allora non abbiamo dubbi, ma se parliamo di salute mentale, dove io dico che la misura la danno le forti risorse comunitarie e non la quantità di acciaio prodotto, allora forse l'India diventa meglio di Cincinnati. Se io fossi uno schizofrenico, preferirei essere uno schizofrenico in India che non a Cincinnati. In questo senso l'epidemiologia può rappresentare un meccanismo tecnico che ci consente di vedere che i determinanti che fanno sì che un servizio abbia esiti positivi non sono legati a quello che ci aspetteremmo, ovvero che ci siano tanti psichiatri molto preparati, ma magari ad altre variabili. Può darsi che se noi dobbiamo andare a fare un week-end in tenda con cinque psicotici, non è che il nostro week-end funzioni meglio se abbiamo tanti infermieri e tante tende, ma se abbiamo "quegli" infermieri. Noi abbiamo fatto uno studio per vedere qual i erano le variabili che determinavano la ricaduta dei pazienti sei mesi dopo la dimissione da un Diagnosi e Cura e abbiamo osservato, su 34 servizi, che ciò che determinava la ricaduta non era la diagnosi, vale a dire il tipo di malattia, e neanche il trattamento, ma era il grado di cooperazione tra ospedale e servizi territoriali: laddove il grado di cooperazione era alto, il grado di ricadute era basso. Quindi una variabile di organizzazione si mangiava tutte le variabili clinico-psichiatriche. Qual è la sua opinione sul DSM III, lo strumento psichiatrico internazionale per fare diagnosi standardizzate? Cassano per esem1>io ne è un fautore. lo non ci spenderei nemmeno tante parole, non credo che il grande dibattito sul fatto se la diagnosi serva o non serva sia molto fertile. Sicuramente, una diagnosi che permetta di capire se uno è schizofrenico o meno ha un senso, ma il DSM lii o l'esempio di Cassano, cioè un approccio psichiatrico dove il grado di raffinazione della diagnosi è decisivo, determinante, alla fine non serve. L'epidemiologia ci fa vedere che i pazienti vanno a finire male o bene non in forza del fatto che abbiano ricevuto una diagnosi particolarmente infausta. In sostanza, la diagnosi a cosa serve? E' un modo per categorizzare un gruppo confuso di persone in categorie precise perché ad ognuna di esse verrà fatto un trattamento diverso. Ha senso distinguere se uno ha mal di pancia perché ha mangiato il gelato o perché ha l'infarto, perché le cure che vengono fatte sono di verse e diversi sono gli esiti. Quindi, la funzione della diagnosi è di identificare delle sottocategorie di pazienti a cui si dà una sottospecie cli trattamento ad hoc. Ma se si vanno a vedere le cartelle cliniche di un servizio psichiatrico, i pazienti ricevono tre o quattro tipologie di trattamento. Invece le diagnosi, secondo il DSM III, sono 170. Ad ognuna cli esse corrisponde una diversità di trattamento? No. Ma allora a che cosa serve? Quindi non è che sono contro la diagnosi, sono contro una sofisticazione diagnostica che nulla aggiunge al destino del paziente. Sono sicuramente convinto che è importante sapere se uno è schizofrenico o meno, ma se io ho la schizofrenia A, l'altro ha la schizofrenia B, I 'altro ancora quella Ce un altro la De poi tutti e quattro prendiamo un po' di Serenase, stiamo sette giorni al Diagnosi e Cura e poi ci mandano a casa, allora questa distinzione che valore euristico ha? L'uso degli psicofarmaci, per esempio, è fortemente irrazionale. Gli psicofarmaci attivi ed efficaci, che, se razionalmente impiegati, hanno un senso sono pochi, sì e no due o tre, però poi, a fronte di questa pochezza dell'armamentario farmacologico, si è costruita una falsa complessità per cui fondamentalmente esistono due benzodiazepine, ma sul mercato ce ne sono migliaia che sono una la copia dell'altra. Si inventano false differenze, false risposte, per i motivi più vari, anche per la pressione delle case farmaceutiche. L'industria farmaceutica vive alimentando il mercato di farmaci me too drugs, "farmaci anch'io·•, ovvero anch'io mi ritaglio una fetta di mercato, sono uguale all'altro, ma magari costo cinque volte di più. Insomma, l'uso razionale degli psicofarmaci dovrebbe rientrare in una revisione delle strategie dei servizi. Lei attribuisce molta importanza al contesto dove il paziente è inserito e dove di solito la riabilitazione avviene. Perché? Non credo che esistano delle tecniche psichiatriche asettiche. Troppo spesso invece in psichiatria si tende a pensare che il farmaco, la psicoterapia, il modellino riabilitativo abbiano un impatto sul paziente indipendentemente dallo scenario dove questi è collocato. Probabilmente, è vero in medicina: un CASSARURALEDARTIGIAN-AFORLI' NEL CUORE DELLA CITTA' •J\&F<;,p; if ,, , . 'f, .; '.i ... . li ili\( I'/' ...... T :/,/.:·:.: ·l· •·' S::; t~t~~~~r;.=~ farmaco antitumorale può essere efficace indipendentemente dal contesto nel quale viene utilizzato. In psichiatria, invece, non esiste questa possibilità di prescindere dai luoghi, dagli scenari, dai contesti dei servizi. Facciamo un esempio classico: i malati che dipingono. Dipingere dentro un atelier di un manicomio, dove resi i mezz'ora e poi per 23 ore e mezza stai in reparto è molto diverso dal dipingere in uno studio in città. Sempre di pittura si tratta, ma il contesto è decisivo. Se andiamo a visitare l'atelier di pittura del manicomio di Agrigento, probabilmente non ce ne importa niente che i pazienti facciano la pittura, ma diciamo: "Ragazzi, questo è un contesto infame". Invece gli psichiatri tendono a scotomizzare il contesto. In tutta la letteratura sui trattamenti non c'è scritto dove sono stati osservati. Ora, senza bisogno di ricorrere a nozioni di psichiatria innovativa, gli etologi, agli inizi del Novecento, hanno messo in crisi tutte le osservazioni fatte in precedenza sugli animali chiusi negli zoo, affennando che le osservazioni fatte sugli animali in cattività non fanno capire assolutamente niente, perché il comportamento sessuale o alimentare o di sonno di un leone che sta dentro una gabbia è assolutamente irrilevante rispetto alla verità di un leone nella savana. E la cosa è vera anche per gli psicotici: il contesto di cattività nel quale lo psicotico viene osservato -il manicomio o un certo tipo di psichiatria- modifica l'osservazione, modifica le conclusioni, modifica tutto. L'assenza del contesto nella cultura dei trattamenti rende questa letteratura estremamente opinabile. In altre parole, credo che il laboratorio di osservazione scientifica non possa che essere lo scenario naturale dove si evolvono le malattie, le guarigioni o i peggioramenti. E questo scenario naturale non può essere l'ospedale. Questa semplice osservazione, che il contesto determina i comportamenti, gli psichiatri stentano a capirla. In tanta letteratura, anche internazionale, prestigiosa, sulle storie dei malati, mai ho trovato scritto dove il paziente era stato osservato, se in manicomio o a casa sua o altrove. Ma questa non è una dimenticanza, è proprio un modo culturale di concepire il trattamento come qualche cosa di così potente da prescindere dallo scenario, come fosse una rivoltellata. Ricevere una rivoltellata a casa mia o in ospedale, fa poca differenza. si muore. li non tenere conto del contesto è quello che rende molte osservazioni, anche di tipo farmacologico, molto discutibili. Si parla spesso del teatro come strumento terapeutico, sia per i pazienti che per gli operatori, come supporto allo stress ... Per quanto riguarda gli operatori, non capisco perché bisogna dare tutta questa enfasi alle loro anime belle: lo stress, il bum out. C'è chi fa dei lavori molto più bestiali, come l'impiegato di banca, l'operaio, il camionista. Che gli Q) e o .,, Q) :: ~ operatori reggano o no la frustrazione non mi interessa. Voglio dire: la gente regge la frustrazione di andare in cassa integrazione, se una persona che lavora con i pazienti non è in grado di sostenere gli insulti è meglio che cambi mestiere. La psichiatria è un mestiere come un altro, su cui invece c'è tutta una letteratura dell'accompagnamento psicologico degli operatori che secondo me è anche autoriproduzione. Certo, è bene avere uno staff in cui discutere le cose. "Sono dieci giorni che un paziente mi dà del coglione, è molto aggressivo, io sono un po' angosciato", discutiamone per carità, ma senza menarcela tanto. Non dimentichiamo che i manicomi sono stati chiusi -dove sono stati chiusi- negli anni 70 senza che tutto questo esistesse, perché semplicemente c'era del la gente che voleva cambiare le cose. Per quanto riguarda i pazienti, credo che sul teatro ci sia un'enfasi eccessiva. Ritengo infatti che essere messo in una situazione teatrale rechi giovamento o nocumento non diversamente che a noi. Se stare dentro un'esperienza teatrale aumenta la cittadinanza dei pazienti, ben vengano le esperienze teatrali, altrimenti non mi interessano. Non abbiamo bisogno di schizofrenici attori, pittori, ballerini, ma di schizofrenici cittadini. Ora, che ci sia una percentuale tra gli schizofrenici dell' I, I% di gente a cui piace occuparsi di teatro, è tanto quanto tra la gente normale. Ma non credo che > o ~--- --~~ e ~ ~--- Murray BOOKCHIN Bruno LATOUR in sé il teatro serva nelle psicosi. Il problema è capire se serve 0 no a cambiare qualcosa nella vita socialedei pazienti che ne vengono coinvolti. Se non serve a cambiare niente, se questi pazienti continuano a stare nel l'ospedale psichiatrico, fare teatro semplicemente è come dipingere o fare le barchette. Mi interessa capire che cosa si fa per aiutare i pazienti a trovare la casa. Raramente ho visto esperienze teatrali che davvero determinassero una promozione del paziente. Quindi ho sempre guardato con un certo sospetto queste esperienze, anche se può darsi che ce ne siano alcune che hanno un senso all'interno di un processo di evoluzione di un luogo, di un ospedale che, nel darsi degli strumenti di cambiamento, usa appunto il teatro o la pittura. Però ho i miei dubbi e le mie riserve. Ha senso imparare a denudarsi, toccarsi, parlare? Credo che ciò di cui hanno bisogno i pazienti è il contesto della banalità della vita quotidiana. Io vorrei dei norn1ali cittadini che vanno al caffè, leggono il giornale, vedono i loro amici, vanno a dormire e magari un po' lavorano. La gente è così. Io sono così. La sera vado a casa mia, da mia moglie, mangio la minestra, guardo la televisione. E' tutta roba vecchia, il teatro, l'espressività ... Il paziente in autobus! E' molto più difficile avere un paziente che prende l'autobus, che va in giro, lavora, ha dei rapporti; comporta un lavoro, una messa in gioco dell'operatore, molto più grosso. elèuthera libri per una cultura libertaria richiedi il catalogo a elèuthera cas.post. 17025 20170 Milano - Paul GOODMAN Individuo e comunità 256 pp./ 26.000 lire L'ecologia della libertà 548 pp./ 30.000 lire Nonsiamomaistatimoderni 192 pp./ 26.000 lire tel. 02-2614.3950 fax 02-2846.923 UNA CITTA' 1

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