E' una flessibilità innanzitutto dovuta alla tradizione culturale, ma nondico niente di nuovo. Galbraith ci sta dicendo già da unadecina di anni che noi italiani non ci rendiamo conto di essereattrezzati per il postindustriale, perché abbiamo la scuola a cielo aperto in ogni città, con le chiese, con gli affreschi, eccetera. !azione di un rischio di un golpe in Italia, la Comunità Europea ci facesse un processo in tedesco a Firenze. Ora, è chiaro che dal momento in cui, partendo da cause di tipo economico e istituzionale, interviene la variabile etnica, questa diventa scatenante, va sui media, i media spettacolarizzano, tanto più quanto più accadono episodi di crudeltà e di lì in poi non c'è più posto per le spiegazioni, perché tutto si spiega da sé anche se non capiamo più come ci si sia arrivati. I due problemi della Russia sono l'orgoglio ferito e il malessere sociale. L'importanza di un'Europa centrale, pragmatica ed europeista, frontiera fra est e ovest. li modello del nord-est italiano, flessibile ed esportabile. Debito estero altissimo e marasma istituzionale all'origine della catastrofe nella exJugoslavia. Il rischio secessionistico. Intervista a Darko Bratina A proposito della tragedia della exJugoslavia, tu sostieni che la virulenza etnica è venuta dopo, che aveva origini di altro tipo ... Secondo me l'origine della crisi jugoslava dipende da due grandi questioni: la prima, il progressivo indebitamento estero, che era arrivato acifre altissime cui la Jugoslavia non erapiù in grado di far fronte e il conflitto tra le repubbliche sulla distribuzione di questo debito era fortissimo. Nota bene che erano tensioni dentro la Lega dei comunisti, che era poi la classedirigente di tutta la Jugoslavia anche se differenziata per repubbliche. Hai parlato di debito e crisi istituzionale. Vedi pericoli di tensioni secessionistiche anche in l'Italia? Stiamo vivendo, ormai da qualche anno, una difficilissima transizione. Anche noi abbiamo un problema di debito pubblico, che non è la stessacosa, va detto, di un debito internazionale. Anche noi stiamo vivendo unacrisi istituzionale, che, anchequi, non significa passaggio da un sistema all'altro, ma significa modificare il sistema esistente. Quel che forse colpisce di più sono le differenziazioni socio-economiche. Oggi non è più la questione nord-sud, direi che è quasi più importante laquestioneovest-est.Fino a non molti anni fa tu avevi, tutto sommato, una certa omogeneità al nord, quantitativamente decrescente da Torino a Trieste. Oggi questa continuità non c'è più, c'è una frattura in mezzo, per cui da un lato hai l'area post-fordista e dall'altro lato hai l'area del cosiddetto nordest che è una rigenerazione economica, così come resta ovviamente il problema del Sud e probabilmente si ripropone in termini nuovi tutta laquestionedell 'Italia Centrale,che è l'Italia poi più ricca di sedimentazione artistico-culturale e quindi con potenzialità di uso postindustriale incredibili. Ci troviamo in un paese variegato e che lo sarà ancora di più, per cui, al di là degli slogan leghisti, è evidente che noi dobbiamo imboccare la via federalista. Non ci sono altre strade. Ecco, il pericolo qui lo vedo: il rischio di forzare un paesesimile in una specie di camicia di forza istituzionale che non sarà in grado di dare delle risposte regionali, per esempio al nordest. Darko Bratina, docente di sociologia a Trieste, senatore da due legislature, eletto nelle file del Pds, è l'unico sloveno ne/Parlamento italiano, ma direi che ilfatto di essere vissuto lungo il confine, Puoi raccontare di questa tua visita in Unione Sovietica in veste ufficiale per seguire le ultime elezioni. Dicevi che hai trovato l'Unione Sovietica in una situazione di grande vivacità. Ci sono andato come osservatore per l'Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione economica in Europa, un organismo che ormai racchiude 50 paesicompresi Stati Uniti e Canada), che ultimamente ha fatto diversi monitoraggi non solo elettorali ma anchein zone di conflitto: in genere quando ci sono elezioni in un paese importante ci va anche la nostra delegazione. Il nostro gruppo ha fatto un giro la domenica in cui si è votato; siamo partiti da un seggio elettorale nel centro di Mosca. Abbiamo visto le operazioni formali, il presidentedel seggio era vestito con il vestito da festa, in genere era un ingegnere, probabilmente uno con una lunga esperienza del quartiere o del caseggiato. Quello che animava le cose, di sicuro era un funzionario ex comunista o comunista. Era una cosa anche commovente, perché ti trasmetteva l'approccio alla democrazia come un rito importante. Nei seggi c'era ancheun rappresentante di lista. E mentre per le formazioni nuove, in alcuni seggi non c'era nessuno,almeno uno dei partito comunista c'era sempre. In genere una vecchia pensionata, una personaaffabile che ti intratteneva e magari ti faceva anche un po' di pedagogia storica. Con alcunedi loro abbiamo discussosu come vivono la democrazia, i cambiamenti. La signora diceva: "Tutto bene, certamente la democrazia ha un valore, però bisogna stare attenti a non esagerare, perché il mercato spinto vorrebbe dire che l'edificio nel quale adesso ci troviamo potrebbe esserevenduto, e secondo me non è giusto perché questo edificio anch'io ho contribuito a farlo con le mie mani. Perché qui abbiamo po11atocon le mani i mattoni, abbiamo fatto la malta". Poi nei comportamenti concreti, nell'espressione del voto, c'erano delle cose curiose, che a prima vista ci hanno scandalizzato: vedevi frotte di famiglie che arrivavano e in gruppo esaminavano quel grande lenzuolo, una cosa veramente complicata, che era la schedaelet- ·toralé. Si mettevano lì a discutere, a ~re paragoni ed erano discussioni V6re,probabilmente la replica di discussioni fatte prima in casa.Ma la cosapiù buffa per noi occidentali erache, una volta discussa la cosa, spessosi infilavano insieme nella cabina. Incuriosito da una cosache certamente non corrisponde alle nostremodalità formali, ho avvicinato le personedisponibili a parlare, e mi hanno detto che loro erano abituati a fare così, a fare le cose in famiglia, anche se poi non erano tutti d'accordo: infatti in cabina uno aveva votato in un modo e uno nell'altro. La nostra impressione è statache l'espressione individuale sia statasostanzialmente garantita, abbiamo comunque segnalato il problema perché in futuro si faccia meglio. Questo avveniva dentro la città. Poi siamo andati avederealtri seggi più in periferia e devo dire che la cosa più sbalorditiva è stata che man mano ci addentravamo nella periferia di Mosca, che poi vuol dire nuovi agglomerati, città satelliti, abbiamo trovato un tenore di vita migliore, una maggiore attenzione per il vestiario, scuole tenutedecisamentemeglio, istituzioni più vivaci. E lì anche i controlli formali erano più rigorosi. Abbiamo trovato una presidente di seggio donna che era la preside della scuola, laquale stavacontinuamente attenta che le cabine avessero tendinea trequarti pervederequante gambeci fossero,quindi andava, interveniva, spostava.Questoèstato un po' il clima. Poi la serasiamo tornati al seggio di origine e abbiamo assistito allo spoglio finale e anche lì l'impegno eranon indifferente, perché lo spoglio di quelle schedeera unacosamaterialmente complicata. Volendo sintetizzare, l' impressione che ho avuto è questa: uno è una specie di ferita nell'orgoglio nazionale che va gestita, altrimenti si dà spazio ad avventure alla Zirinovsky, e che quindi c'è la consapevolezza che si è nell'occhio del ciclone e si è guardati con grande attenzione dalla scena internazionale. L'altra questione è quella sociale, perché il cambiamento ha comunque infranto il patto storico, di welfare, che c'era dentro la formula del comunismo. Per quanto fosse un welfare per poveri, dava comunque sicurezze. Ora sta aumentando la divaricazione tra i nuovi ricchi che riescono a lucrare molto bene in un sistema che per molti aspetti è fortemente disordinato, e le nuove povertà. Detto questo, abbiamo avuto modo di incontrare politici di tutte le formazioni politiche e la mia impressione è stata che la svolta, anche con i comunisti di Ziuganov, sia ormai un punto di non ritorno. Anche un loro eventuale successoalle prossime presidenziali non credo possaincrinare il processodi cambiamento in atto. Nessunomette in discussione il mercato, però è chiaro che questo mercato va gestito, va temperato, va pilotato. Adesso spostiamoci dall'osservatorio Russia e facciamo un ragionamento su tutta la questione dell'Est, partendo dal tuo ruolo di segretario dell'lnce. Sono presidente della delegazione parlamentare italiana, formata da tre senatori e quattro deputati. lnce significa Iniziativa Centro Europea. E' nata anchesulla scorta dell'esperienza di Alpe Adria che era un'associazione di regioni contermini, cominciata con Friuli. Carinzia, Slovenia, allargatasi poi aLombardia, Austria, Ungheria. E' giusto dare atto al ministro De Michelis di avere inventato questa iniziativa prima pentagonale e poi esagonale, un'intuizione forte edi forte interesse per l'Italia perché significa quantomeno un 'attenzione politica, anchein termini operativi, da parte dell'Italia verso l'Europa centro orientale, un'area che, dopo la caduta dei regimi comunisti, è fortemente animata da spirito europeista. Si tratta di quell'Europa che andando dal Baltico fino ali' Adriatico, fa dacerniera fra Europa occidentale e orientale, una falda centrale, un'Europa di frontiera dalla forte rilevanza anchegeopolitica, perchéoltre gli Urali sei nel1 'Asia ma, per tanti aspetti, sei ancora in Europa. Oggi l'lnce comprende una quindicina di paesi e in termini numerici è quasi equivalente all'Europa "fortezza", quella occidentale. Fra l'altro l'Italia e l'Austria che fanno parte dell'Unione Europea a distanzadi non tanti decenni dal grande conflitto si trovano ad essere fo1temente alleati proprio nel fare questo lavoro di "socializzazione" dei paesidel Centro Europa in vista dell'allargamento. In questo quadro credo che ci sia tanto da fare perché tra l'altro I' Iniziativa Centro Europea è una formazione molto pragmatica, per cui si fannomolti accordi, molti gruppi di lavoro per quanto riguarda le infrastrutture, i collegamenti stradali, le ferrovie, i rapporti fra camere di commercio. Una praticità, amio avviso, caratteristica proprio del! 'Europa Centrale che ha un sottofondo, un sostratodella cultura ebraica. Questo lo dico ancheda goriziano, perché Gorizia rappresenta un po' il punto di sutura delle tre grandi civilizzazioni europee, l'area latina, quella slava, quella germanica, maèstataunacittà con unarilevante presenzaebraica la cui cancellazione è stata una perdita gravissima per la città. Direi che merita ancora segnalare che avremo un segretariato permanenteaTrieste, in unacittà, quindi, simbolica, in cui si congiungono gli interessi italiani e il nostro ruolo nell'iniziati va centroeuropea. Se noi non siamo sic~ramente in grado di fare grandi investimenti come li fa la Germania, su una cosa possiamo competere, ed èquel modello economico di cui abbiamo ormai ampie esperienze, in particolare proprio nel Nordest. Quello tedesco è un modello rigido, potente ma rigido, la nostra flessibilità può diventare un esempio prezioso per questi paesi. Il secondo problema è che dopo la morte di Tito si è diffusa unanimemente l'impressione che il sistema autogestionario, fino allora gestito più o meno dall'alto, non reggesse più, che bisognasse modificarlo e mettere in campo, quindi, delle riforme istituzionali che al momento di prender corpo si sono arenate in giochi parlamentari classici. Questo dura nella prima metàdegli anni '80, quando già comincia a serpeggiare la questione nazionale sui programmi culturali nelle scuole, sull'uso della storia, e così via, perché la Serbia, sempreper un' antica tentazione, tende ad omogeneizzare i programmi sul territorio jugoslavo, il che però non ha ancora conseguenze visibili in termini di conflitto etnico, fino a quando l'Accademia delle Scienze di Serbia fa il suo famoso documento in cui vi sono tutte le lamentele e tutte le penalizzazioni che secondo loro la Serbia hasubito. Quello è il vero e proprio Mein Kampf di tipo nazionalistico. In mezzoa tutto ciò non va sottovalutata ladifferenziazione economica della Slovenia che riesce a mettersi in sintonia con gli standard internazionali dei mercati. Infatti diventa l'area più fortementeesportatrice di tutta la Jugoslavia: un quarto delle esportazioni del territorio jugoslavo sono esportazioni slovene. Questo si accompagna a una riproposizione identitaria, con un recupero anche linguistico. Ebbene, nell'88 avviene un incidentesignificativo: quando un paio di giornalisti e un militare, denunciati per avere rivelato dei segreti militari dopo che avevano denunciato un tentativo di golpe, reale in effetti, nei confronti della dirigenza slovena, vengono processati a Lubiana, la lingua usataal processo è il serbo. Questo ovviamente scatena anche delle manifestazioni, per altro molto composte, senza alcun scontro di piazza, contro l'usurpazione linguistica. Percapire, prova a immaginare che tipo di reazione avremmo avuto noi senel quadro del sistema europeo a un certo punto, per una riveQuesti invece,sospinti dai fatti stessi della vita quotidiana, comunque delle risposte dovranno crecame penaun'implosioneeconomicache sarebbe un disastro per tutti e che potrebbe spingere a prendere altre strade.Hoascoltato beneBossi, non è che lui porti avanti la bandiera secessionista, lui dice: "State attenti chequello vi arriva senon fate determinate cose". Io credo che il futuro nostro dipenderà dal fatto se le classi dirigenti saranno in grado di dare una rispostadifferenziata, federalista al paese perché, se dovesse succedere qualcos'altro, cioè volere imbragare l'Italia in un sistema neo-autoritario o cose del genere, il "rischio jugoslavo" potrebbe prendere consistenza e la mina vagante non sarebbe il Sud, ma il Nordest. - -------------------------------lettera da Sarajevo Abbiamo avuto delle bellissime giornate di sole, ultimamente. Oggi piove forte, non so ancora se mi piove in casa, lo vedrò domani mattina. Ho avuto molti problemi con la ristrutturazione della mia casa, che è molto vecchia, circa 300 anni, infatti è stata costruita durante il periodo della dominazione turca, ed è sotto la tutela dei Beni Culturali, come monumento storico, così non posso piantare neanche un chiodo nel muro senza chiedere un permesso speciale. Durante la guerra ha subìto parecchi danni, ed io ho cercato di ripararla come potevo e con i materiali che riuscivo a trovare. Ora che è arrivata la pace, anche i vari uffici hanno ricominciato a funzionare, come quelli che si occupano di questi vecchi edifici. Siccome non hanno avuto entrate di nessun tipo durante la guerra, adesso hanno trovato il modo di guadagnare qualcosa facendo pagare forti tasse a chi ha cercato di riparare la propria abitazione durante la guerra, senza aspettare permessi speciali. Chi non paga rischia da uno a tre anni di carcere! Ho pianto, perché ho rischiato la vita per cercare di salvare questa vecchia casa, e adesso devo pagare. Sono andata in diversi uffici, anche in tribunale. Il giudice, quando mi ha visto, mi ha detto: "Signora Kanita, ma cosa ha commesso di così grave da presentarsi in questo ufficio?" Per fortuna è passato e in qualche modo ho risolto il problema. Ci sono molte tasse da pagare, soprattutto per chi ha negozi, o attività come bar e ristoranti. Comun- B h la sens zion~lla pafè molto forte, e anche gli amici che erano a Sarajevo dieci giorni fa, e in questi giorni sono tornati, dicono che si sente sempre di più questa atmosfera di pace. Si rinnovano i negozi, parlo di questa parte della città che è sempre stata nostra, mentre altre parti, come llidza, Vogosca, Grbavica sono distrutte, bruciate e tristi. Son andata in tutti questi quartieri per vedere, ho parlato anche con la gente che vive là, che viveva là prima della guerra, e adesso è tornata nelle proprie case. Queste persone dicono che gli appartamenti non solo sono vuoti, ma mancano di porte, finestre, fili della luce, di tutti gli impianti. Sono stati strappati i tubi, i rubinetti, i sanitari. Tutto, proprio tutto, è stato distrutto. Una mia vicina, una dottoressa che prima della guerra era davvero molto ricca, è tornata a Grbavica dopo quattro anni. Prima della guerra aveva un bell'appartamento, e anche i suoi parenti avevano una bella casa. Ha incontrato i suoi amici serbi, vicini di casa, che sono rimasti a Grbavica nei loro appartamenti in questi quattro anni; le hanno fatto molta festa, ma a lei è dispiaciuto molto che loro non abbiano pensato di salvare dal suo appartamento che ora è completamente vuoto e distrutto, almeno una fotografia, un ricordo, una memoria per i suoi bambini che durante la guerra hanno perso il padre. E così la nostra gente, i profughi della nostra città, non hanno perso solo i mobili, i vestiti e altro, hanno perso anche i ricordi di famiglia, e questo è triste. Il primo giorno in cui hanno riaperto Grbavica ho rivisto una vecchia zia di mio marito; ero molto felice, ma anche triste, t"'Q perché lei, alla domanda di un giornalista su come avesse passato tutto questo tempo, ha detto solo "Questo non si può spiegare, questo non si può spiegare". Il suo viso è triste, ed è diventato molto vecchio, più della sua età. Tutta la gente di Grbavica sopravvissuta alla guerra dice che questi ultimi sette giorni sono stati i peggiori di tutta la guerra. Adesso, in città, sono stati rimossi tutti i containers e tutte le protezioni contro i cecchini, le strade sono di nuovo aperte, pulite. Sono stata molto felice di vedere di nuovo Skenderia pulita. Anche le primule cominciano a fiorire, è arrivata la primavera. In giro per Sarajevo, quando le giornate sono belle, c'è tanta gente. Cammina per le strade, anche di sera, come mai si vedeva prima. Sono aperti anche nuovi negozi, i vecchi vengono rinnovati, si cominciano a rimettere i vetri alle finestre, al posto della plastica che abbiamo avuto in tutti questi anni. Anche questo significa speranza e fiducia che la pace continui, perché chi rimette i vetri alle finestre crede che non ci saranno più bombardamenti. Tanta gente che era via, anche intellettuali, adesso sta tornando. Però ho avuto anche notizie tristi, di miei amici che, dopo aver passato tutta la guerra, dopo essere sopravvissuti alle granate e alla fame, adesso che la guerra è finita, perché io voglio credere che è finita per sempre, muoiono di tumore o di attacchi di cuore. E' successo ad un mio amico, un medico, che ha perso la moglie all'inizio della guerra, è sopravvissuto al primo massacro vicino al mercato, nel maggio '92, ai massacri delle file per il pane e per l'acqua, ed è riuscito a mandare le figlie in America. Finita la guerra, le figlie, ormai sistemate, l'hanno chiamato. Lui è andato, era felicissimo, ma è morto per un tumore. Quelli che adesso tornano cercano il lavoro, noi siamo felici di vedere i vecchi amici, queste amicizie non mi sembrano compromesse, però ci disturba sentir dire che loro hanno sofferto molto, quando erano fuori. Dopo questa guerra, come dopo ogni guerra, c'è il problema dei soldati, che prima erano impegnati a combattere e che ora sono liberi, arrabbiati perché si trovano senza lavoro e con i nervi provati da quello che hanno passato. Non so come si potrà risolvere questo problema; all'inizio riceveranno un po' di soldi dal governo e forse un po' di titoli azionari o qualcosa del genere. Adesso l'economia è morta, anche se non completamente: ho sentito che alcune fabbriche richiamano gli ex dipendenti a riprendere il lavoro. Credo che ci vorrà pazienza, i problemi non si risolveranno tutti insieme e subito. Ogni giorno si sente qui a Sarajevo come l'atmosfera sta cambiando, anche dal punto di vista culturale: ci sono tante mostre, concerti, spettacoli teatrali, rassegne cinematografiche, succedono tante cose. L'anno scorso, ad esempio, vedemmo la rassegna di film del Festival di Edimburgo in una cantina, quest'anno la stessa rassegna è stata organizzata in un vero cinema. Sono piccole cose, ma per noi importanti. Kanita Fociak
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==