Una città - anno V - n. 38 - gen.-feb. 1995

lotta politica e sociale che questo modo di intendere il socialismo non tematizza specificamente. Caffi, che era stato allievo di Georg Simmel, intende il socialismo, più che come alternativa, come una alterità irriducibile che vorrebbe impiantare nella società presente. Per Caffi il socialismo è innanzitutto una testimonianza di vita, una testimonianza che cresce susestessa,con una tradizione propria. Non nega qualcosa, afferma un modo di essere che investe tutta la vita, è una visione completa della vita umana, un altro modo di intenderla. E pur essendoCaffi una persona apertissima, sia umanamente che intellettualmente, non a caso fu sempre una "fronda" di tutte le formazioni politiche con cui collaborò, dai socialrivoluzionari russi a Giustizia e Libertà, non c'è dubbio che il suo pensiero, proprio per questa impostazione radicale, corra il pericolo di diventare un "integralismo" socialista. il mito della grand soirèe rivoluzionaria Un socialismo filosofico-religioso in cui un senso totale di "alterità" non permette una dimensione laica del vivere dell'individuo dentro la società, un'alterità esistenziale che perde il suo senso "quotidiano". A parte questo rischio, sottrarsi dai condizionamenti del proprio tempo va a legare l'idea del socialismo alla dimensione più profonda del- !' essereumano, alla sua apertura al possibile. Quindi nessun sistema riesce a spegnerla. Mi sembra però che questa impostazione sia radicalmente diversa da quella di Bruno Rizzi ... Certo. Il merito di Rizzi èsoprattutto quello di laicizzare la teoria po1 i tica del socialismo. Al di là delle sue trovate tecniche, come il "plus-prodotto", per Rizzi sono possibili fin d'ora delle forme di socialismo immettendo degli elementi autenticamente socialisti dentro un'esistente che non va necessariamente rovesciato. Non per questo era un riformista che pensassead un capitalismo riformato: pensava a trasformazioni possibili fin da subito ispirate a principi etici. Il cooperativismo, per esempio. Rizzi non abbandonò mai una impostazione autogestionaria, che sola poteva rendere possibile un mercato socialista, e l'inel~dibilità del1' abolizione delle gerarchie sociali all'interno delle unità produttive, mentre, d'altra parte, non si illuse che immettere degli elementi socialisti forti nella società attuale significasse arrivare immediatamente al socialismo perché questi elementi forti non avrebbero comunque avuto una continuità. Rizzi voleva rendere immediatamente operante il socialismo, renderlo vivo e non demandarlo sempre all'indomani dell'abbattimento del capitalismo, fame un elemento costitutivo della società e della socialità umana. In questo consiste la grandezza di Rizzi, unitamente alla sua analisi della società sovietica formulata nel '39, che rimane forse lo sforzo più grande compiuto dalla sinistra mondiale nel decifrare la natura dello stato nato dall'Ottobre. Le idee di Rizzi circa I' autogestione ed il mercato socialista, fra l'altro, furono abbastanzaconosciute nei primi anni '50 e dettero al socialismo riformista europeo la possibilità di cercare una via alternativa al capitalismo e al comunismo sovietico a partire da una riflessione autonoma. Ma purtroppo di esse non è stato fatto buon uso. Curiosamente, Merlino, Caffi, Rizzi sembrano dei rivoluzionari che negano la rivoluzione ... Rivoluzionari fra virgolette: non dimentichiamo che Merlino arriva a dire, nel 1920, che la storia progredisce nonostante e malgrado le rivoluzioni! Sarebbe come dire che la Francia è progredita nonostante la rivoluzione francese. Caffi, Merlino, Rizzi, erano esistenzialmentedei rivoluzionari, non si conformarono mai all'esistente, ma nessuno di loro credeva al grande rovesciamento. Quello del grande rovesciamento, della grand soi- B rèD ui 00 reaca CrG che un grande colpo, una grande trasformazione, metta in moto qualcosa di completamente nuovo è una forma di pensiero magico, non certo razionale, e tutti e tre avevano fatto propria la lezione di Hegel secondo cui non è possibile pensare di costruire ex novo una storia del mondo. Quello che Hegel criticava nella rivoluzione francese non era tanto la rivoluzione in sé,quanto che alcuni dei protagonisti credessero di costruire unastoria umana apartire da un nuovo inizio, dal I' "anno zero" di un nuovo calendario. La credenza fanciullesca nel nuovo inizio ha attraversato tutto il pensiero rivoluzionario dell'800 e del '900, dagli anarchici ai socialisti, ma anche la tradizione rivoluzionaria di destra: anche Mussolini rifarà la datazione degli anni. In realtà non ci si può liberare del passato: quel che ognuno di noi è, è passato, tutta la nostra realtà è passato. L'idea di dare un taglio col passato è un pensiero ridicolo: si può pensare a un grande slancio che potenzi quanto ci viene dal passato, ma non si può pensare di liberarsi di esso.Questo, Caffi, Rizzi e Merlino lo sanno bene. Inoltre non credono più alla rivoluzione perché sono tutti e tre convinti che, pur essendo necessario cambiare le strutture economicosociali e le condizioni oggettive della vita umana, la vera rivoluzione sia di tipo culturale. Il che non significa una forma di spiritualismo, o di educazionismo, ma sta a significare che il mutamento radicale del modo di essere e di stare assieme degli uomini ha dei tempi diversi dal mutamento socioeconomico: una trasformazione socioeconomica si può attuare anche in tempi rapidissimi, ma i tempi della trasformazione culturale sono diversi e sono questi che alla fine decidono. Come ho detto fu soprattutto Caffi a tematizzare questaquestione: tu cambi le cose se le vedi in un modo diverso ... In questo senso gli eretici del socialismo dovrebbero essere riscoperti: tutti e tre hanno avuto grandi intuizioni sul cambiamento culturale ... Malgrado il primato della rivoluzione culturale, hai accennato al rifiuto di ogni pedagogismo. Come si poneva per loro il ruolo della avanguardia, dell'intellettuale, della "elite" militante? Merlino, e in parte anche Rizzi, sono convinti, anche in questo senso da buoni non rivoluzionari, che la distanza fra le masse e le élites sia destinata a rimanere per tantissimo tempo e che, proprio per questo, sia necessario abbassare il tasso di guida delle élites verso le masse. Questo per loro significava abbassare il tasso di rivoluzionarietà del socialismo, perché in genere sono molto più rivoluzionarie le élites delle masse, per compensarlo con un aumento del tasso di eticità. la valenza totalitaria di ogni pedagogismo Ma non cadevano nell'errore, tipico degli educazionisti dell' 800-900, di pensare che le masse potessero essere educate. Pensavano a una forma di testimonianza del socialismo. Pensareche le massedebbano essere educate ad una dottrina porta sulla stessa strada del gramscianesimo, dell'egemonismo, mentre Merlino, Rizzi, Caffi, volevano togliere ogni dimensione pedagogica dal socialismo. Perché, al fondo, nella concezione pedagogica c'è una valenza totalitaria: io posso togliere gli ostacoli alla tua liberazione, ma non posso dirti di andare per quella strada, altrimenti la distanza ci sarà sempre, ci sarà sempre la guida delle masse e saranno le élites che daranno senso alla storia e alla società. Si rischia sempre il fascismo etico. Mentre, come diceva Tolstoj, che Merlino cita proprio a questo proposito in Pro e contro il socialismo, la salvezza sta in noi, in ognuno di noi. lo non ti devo insegnarequellochedevi fare: ti mostro come faccio io. - Nelle foto: a sinistra, Francesco Saverio Merlino; a destra Andrea Caffi. no Bianco 1A CONDIZIONE OPERAIA AL DEPURATORE Ml-NORD Come dalla lettura di Simone Weil possano venire delle idee sucome riorganizzare il lavoro e la gestione di un depuratore pubblico. Operai che facevano i guardiani che, senza incentivi economici, si trasformano in manutentori ognuno con un suo ruolo. Ma ora, la domenica, portano le famiglie a visitare il posto di lavoro. La necessità di colmare il vuoto culturale nella società. Intervista a Lele Galbiati. Le/e Galbiati è responsabile tecnico del Depuratore della zona Nord di Milano. Da tre anni, qui al depuratore, avete fatto un'esperienza particolare. Puoi raccontarcela? Intanto bisogna dire che il "Consorzio provinciale depurazione acque del nord di Milano" gestisce direttamente con personale proprio i suoi depuratori. E' una linea piuttosto rara negli enti pubblici, perché ormai la tendenza generale è quella dell'appalto: la ditta che vince la gara fa funzionare il depuratore. La nostra è una linea di indirizzo - voluta da un presidente che abbiamo da 17 anni, si chiama Gelindo Giannoni, ex Pci oggi Pds-, controcorrente e coraggiosa; bisogna dargliene atto, perché ha rischiato moltissimo. Con l'entrata in funzione di un nuovo depuratore le cose si complicavano. Ci siamo trovati nella necessità di usare lo stesso personale, perché la legge ci vietava le assunzioni. Noi avevamo gli operai sui 3 impianti, si facevano i turni notturni e, di fatto, non era un lavoro, ma una guardianìa, si controllava il processo depurativo e se c'erano problemi si chiamava una ditta. Loro sulla carta sono operai specializzati, ma nella realtà erano dei guardiani, non avevano specialità specifiche. L'unica possibilità era eliminare il turno notturno, cioè automatizzare, mettere una chiamata notturna con certe persone, sostituendo la guardianìa con un meccanismo semiautomatico e redistribuire su tre depuratori il personale. Ovviamente il lavoro cambiava, si eliminava il turno notturno, ma aumentava molto la responsabilità manutentiva diretta dei nostri operai. Loro non avevano mai fatto certe cose. Da più di 1O anni lavoravo in questo settore come tecnico e sono stato incaricato di occuparmi della questione gestionale, manutentiva e anche della conduzione del personale e degli operai che devono fare una serie di lavori quotidiani sui macchinari. Come fare? Si trattava di mettere in moto una nuova realtà. Nuovo ambiente di lavoro, partenza da zero, però con personale già dipendente da questo ente, cioè dipendenti pubblici assunti con concorsi pubblici, con un meccanismo non ottimale dal punto di vista della selezione. Anch'io ho fatto parte di commissioni. Tu chiacchieri con delle persone, poi ne assumi qualcuna e vai un po' a fortuna, non si ha la possibilità di prendere uno e vedere magari cosa sa fare. Avevo quindi del personale in realtà non specializzato, da prendere e inserirlo in una nuova realtà e rimotivarlo. E tieni anche presente che il nostro contratto non ti permette di dire: "a te dò 100 lire in più, se dai di più". lo posso dire che Tizio dà tanto, Caio dà poco, però a fine mese a tutti e due noi diamo 100 lire. E' spiacevole dirlo, ma nell'ente pubblico se i lavoratori lavorano o non lavorano non cambia niente. Quando tu hai vinto un concorso e hai superato i 6 mesi di prova, sei di ruolo e devi ammazzare qualcuno per essere licenziato. Dico una banalità, ma se tu dici a uno: "cambia quella lampadina", quello può risponderti: "non sono capace, non è compito mio, meglio chiamare una ditta". lo, poi, sul lavoro, mi trovavo per la prima volta ad avere a che fare con altri, così mi sono un po' documentato. Ho usato La condizione operaia di Simone Weil, che, oltre ad essere stata una lettura interessante, mi è servita moltissimo per rapportarmi con le altre persone ed avere delle idee. Puoi farci un esempio? Vi leggo un brano che mi è stato utilissimo: "ogni operaio deve conoscere il funzionamento dell'insieme della fabbrica, un 'organizzazione che consenta una certa autonomia dei reparti rispetto all'insieme, e di ogni operaio rispetto al proprio reparto; conoscere il programma del lavoro futuro per poter intervenire propositivamente nel modo in cui deve essere svolto il lavoro, in questo modo egli proverà quel senso di proprietà, quell'appropriazione, del quale ha sete il cuore dell'uomo e che abolisce il disgusto". E' una nuova dimensione del lavoro: non dobbiamo lavorare solo per lo stipendio o perché siamo obbligati, ma perché il lavoro è espressione umana. Per giungere a questo è necessario che ogni lavoratore faccia una parte che sente sua, che le cose che ha fatto siano sue, le riconosca, che gli diano un senso di proprietà nel mondo del lavoro. Noi tecnici siamo in una situazione di alta responsabilità e spetta innanzitutto a noi provare questa scommessa. lo mi sono sentito di farlo e come prima cosa ho cancellato da me ogni pregiudizio nei confronti di quegli operai che erano privi di ogni cognizione necessaria a mettere in moto una nuova esperienza. Partivo sfavorito, perché offrire del lavoro a parità di condizioni senza aumento di salario, sotto il profilo sindacale è una condizione sfavorevole. L'estremizzazione sindacale di questi anni ha prodotto un blocco di ricezione da parte dei lavoratori, una scarsa disponibilità in assenza di una controparte economica o di una promozione. lo avevo da offrire solo un'opportunità di qualità della vita, di essere se stessi e di acquistare una certa autonomia nel lavoro che si sa fare. E sono cose che non vengono comprese subito. nell'ente pubblico non cambia che si lavori o no Infatti all'inizio hanno subito le mie proposte, le ho imposte, poi, passo passo, le diffidenze iniziali sono cominciate a cadere. Nella prima fase, ho definito le necessità operative della gestione di un grande deputatore. Poi ho cercato di vedere quale persona fosse più predisposta a questo o quel lavoro, fornendogli io l'addestramento tecnico. E poi, giorno dopo giorno, è cresciuta la risposta e anche l'interesse da parte loro con un conseguente miglioramento del rapporto anche fra di noi. Ho dovuto individuare nuove qualifiche professionali non previste dall'attuale contratto di lavoro. Noi siamo un ente pubblico e abbiamo una grande burocrazia che ci frena, non possiamo creare dalla sera alla mattina delle nuove figure professionali, perché vuol dire fare una delibera, mandarla al comitato regionale di controllo, poi a Roma: una cosa impossibile. Ciò ha significato individuare qualifiche professionali personalizzate: veniva individuato come elettricista uno che più o meno poteva farcela, mentre sulla pianta organica tutti restavano inquadrati genericamente come operai specializzati. Questa, dello "specializzato", sembra una qualifica, ma porta a un appiattimento mostruoso, perché non si capisce, poi, in che cosa: "specializzati in gestione di impianti di depurazione". Grandi parole che non riescono mai a darti l'opportunità di raccontare quello che fai tu, piccolo tassello indispensabile in una dimensione di gestione globale. Così siamo riusciti a personalizzare il lavoro, a dare concretezza al lavoro che ognuno fa ogni giorno, una concretezza, fra l'altro, comunicabile anche all'esterno. Se il lavoro uno lo sente suo lo può raccontare. In questo senso credo di avere appreso il "senso di proprietà" della Weil. lo traduco "appropriazione": di quello che fai tramite il miglioramento della qualità del lavoro e la conseguente abolizione del disgusto. Vuol dire non svegliarsi tutte le mattine di malavoglia per andare a fare una cosa che desidereresti non fare. Così, con l'andare del tempo, è venuto a crearsi sempre più una situazione di interscambio dell'informazione prima tra me e gli operai, successivamente tra di loro, fra operai con diverse mansioni, per poter raggiungere un obiettivo che può essere riparare una macchina. Si è presentata una situazione del tutto nuova per loro e interessante: chiedere ad altri di fare ciò che non si è capaci di fare, senza frustrazione, ma, al contrario, con una tensione all'arricchimento: si chiede il contributo di un altro per giungere insieme ad un risultato. E ora, dopo due anni di esperienza, cominciamo a vedere una nuova condizione di relazione tra operai, fondata sullo scambio, un maggiore riconoscimento innanzitutto delle proprie qualità professionali e quindi anche di quelle di altri, e c'è un naturale riconoscimento anche del ruolo del tecnico superiore da cui si va a ricevere informazioni maggiori. L'interlocuzione col tecnico è motivata da un vuoto di preparazione ed è sempre costruttiva: se uno non ce la fa più, va a chiedere un supporto e non solo va avanti, ma nello stesso momento ha imparato una cosa, la sua specializzazione è ulteriormente amplificata. Nello stesso momento anche il tecnico viene a conoscere aspetti che non potrebbe vedere stando solo in ufficio. L'esperienza è sempre l'elemento di comunicazione. Pertanto bisogna essere tecnici capaci di osservare, conoscere, stare qui un po' e capire questo clima, perché non c'è l'operaio modello con cui tu puoi scambiare l'esperienza. Sembrano risultati straordinari in un ente pubblico... Si dice che i lavoratori degli enti pubblici vanno al bar piuttosto che lavorare, però, quando uno è chiamato in un posto più o meno a tirar sera, capisci che non è tutta colpa sua, se poi si lascia andare. In parte lo è; però, ci sono anche tante altre responsabilità che vanno di gradino in gradino, perché negli enti pubblici succede spesso che c'è loscarico delle responsabilità. C'è l'operaio fannullone, ma c'è il capo che ti dice "io potrei fare, però c'è il dirigente che mi ha detto di non toccare niente". Alla fine l'operaio con le braccia incrociate è colpevole? In parte. Però, io vedo che tutti i nostri operai all'inizio eranq normali. Non c'è differenza fra lavoratore pubblico e privato, però ·se· dopo un anno tu sei lì a tirar sera ... lo l'ho fatto un anno di militare, quando passi un anno così. .. svegliarsi tutte le mattine di malavoglia Tutto questo va combattuto ridando delle motivazioni al lavoro. Credendoci. E' importante anche la motivazione simbolica al lavoro. Noi qui, a differenza di tanti altri enti pubblici, abbiamo la fortuna di averlo: qui ogni secondo entrano 1000 litri di acqua di fognatura di una zona di 300.000 abitanti per essere depurati. Alla fine, dall'operaio al dirigente, vale per tutti che l'acqua esca pulita da questo depuratore. Egli operai, ora sono più contenti? Ti cito un altro passo che mi aveva colpito: l'operaio deve sentire talmente suo il posto di lavoro che al sabato e alla domenica ci deve portare la sua famiglia per far vedere le sue cose. Beh, qui ora succede. Abusivamente, detto fra di noi, perché per entrare qui ci vorrebbe il permesso, bisognerebbe fare una richiesta, perché tu sei responsabile, il consorzio non risponde per te -di nuovo la burocrazia degli enti. Se si può, la si schiva. Siccome qui tutti hanno le chiavi per entrare, perché di notte o il sabato e la domenica ci possono essere le chiamate, allora sono venuti con degli amici, con i familiari, certo, perché il depuratore è anche una curiosità, però uno lo fa se ha il piacere di sentire che questo è il suo posto di lavoro. Penso che succeda in tutte le famiglie che uno torna a casa la sera e racconta alla moglie: è una cosa molto naturale. Credo che una maggior passione nel proprio lavoro porti a una comunicativa maggiore dentro la propria famiglia. Forse sarebbe necessario oggi andare più in là, mettere in campo una fase di presa di coscienza maggiore di questa esperienza. In questi anni ho tentato qualche esperimento, ma senza successo. Il primo, il più facile, è stato di regalare questo testo ad un paio di persone che mi sembrava potessero quanto meno leggerlo per poi parlarne insieme, ma non ha funzionato. li testo non è semplice, io nel mio passato ho lavorato in fabbrica, ho fatto il sindacalista, quindi tutto sommato non partivo da zero. Adesso mi è venuto in mente di fare dei corsi di qualificazione teorici per spiegare la teoria del funzionamento di certe macchine. Molto spesso gli operai sanno fare degli interventi per mettere in esercizio delle macchine, ma non conoscono tutti gli aspetti tecnologici, fanno esperienza per capacità, ma non conoscono. la voragine lasciata dalla sinistra· Ho tentato qualche corso, non posso dire con successo,'però forse su questo si potrebbe fare di più. C'è una grande resistenza all'approfondimento: un operaio specializzato già si sente realizzato e capace, e nello stesso tempo non legge più, c'è troppa televisione in giro. Non è facile trovare disponibilità. Poi sarebbe necessario creare delle opportunità culturali, di sapere, fuori di qua, nella società. C'è un grande vuoto, la sinistra ha lasciato una voragine in tutto questo. Sarebbe interessante che nella società si muovesse qualcosa di più. A Seveso, dove abito, siamo un gruppo di Verdi e abbiamo un circolo della Lega Ambiente dove cerchiamo di fare delle cose. Adesso pensavo anche a letture collettive di racconti, o qualche cosa di Pasolini, e pensavo di invitare anche qualche operaio. Bisogna ridefinire una ragione per cui le cose che si fanno ogni giorno col lavoro non siano solo sfruttamento e disgusto ma anche partecipazione attiva alla qualità della vita e della società. Succedeva in Italia negli anni '50, al momento della ricostruzione. Un lavoratore lavorava anche per ricostruire questo paese, non era solo sfruttato dal padrone. Oltre ai problemi, sicuramente c'era anche la spinta a ricostruire un paese che usciva dal fascismo, dalla resistenza e che voleva ricominciare. C'era uno spirito di sacrificio dei lavoratori. lo l'ho sentito nei miei genitori, in mio padre che oggi non c'è più. Ora, senza predicare il sacrificio, bisognerebbe ritrovare una ragione, un motivo per cui tu fai delle cose e fuori dovrebbe esserci una società che, in modo anche piccolo, le riconosca. Altrimenti diventiamo numeri senza senso. Tornando al depuratore, I rlsultati economici? Sono buoni. Questo ente è in attivo, ha un utile di bilancio che è stato investito per realizzare il quarto depuratore per coprire gli ultimi 15 comuni che mancano sulla zona nord di Milano. E questo in un momento di scarso finanziamento centralizzato: dalla cassa depositi e prestiti non arriva più niente, né dalla regione, né dalla Cee. Riusciremo a realizzare questo grosso depuratore utilizzando gli utili delle tariffe dei cittadini, senza spendere una lira di più. - UNA CITTA' 7

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