di differenze e identità L'IMPOSSIBILE CORRETTEZZA· B Il concetto di razza ha sostituito quello di classe, il peccato di razzismo è originale: nel nome della differenza il politica/ correct con la sua intolleranza sta seminando incomunicabilità e sospetto. I primi segnali di una reazione speculare che metterà in discussione i diritti delle minoranze. Di Alessandro Carrera. Alessandro Carrera insegna letteratura italiana alla New York University. E' uscito di recente il suo romanzo La torre e la pianura, pubblicato da Campanotto (Udine). ne che officiano autodafé collettivi in cui "maschi di razza bianca" e "femmine di razza bianca" si accusano in pubblico di essere razzisti e oppressori e soprattutto accusano di razzismo qualunque altro "bianco" che non riconosca a sua volta di Circa due anni fa, in un corso introduttivo essere razzista e oppressore. E la terapia di letteratura inglese tenuto all'Università proposta da questa "cultura del piagnidi Ottawa, il professorDavid Jeffrey iniziò steo", come l'ha definita Robert Hughes la prima lezione spiegando a freshmen e nel suo saggio The Culture of Complaint sophomores (termini con cui si indicano recentemente tradotto da Adelphi, è squigli studenti universitari nordamericani del sitamente linguistica. Il problema cessa di primo e del secondo anno) che ciò che esistere non appena si è trovato il modo di distingue l'essere umano dagli animali è il non nominarlo. linguaggio. Una studentessa alzò la mano In Nordamerica l'insegnante è considerato e chiese di intervenire. Disse che non era al servizio dello studente, il quale paga, e vero, che anche gli animali parlano e che ha quindi il diritto di ritenersi soddisfatto o delfini e balene possiedono un linguaggio di contestare il servizio ricevuto. E' un estremamente elaborato. Il professor Jef- precetto che può suonare rudemente merfrey replicò che non poteva pronunciarsì · cantilistico, ma ha illustri precedenti storisu delfini e balene ma lui era cresciuto in · ci e non è privo di lati positivi. L'innesto una fattoria e non aveva mai visto le muc-- . dell'isteria della politica{ correctness sulche sporgersi sul pollaio e chiedersi di che l'etica della prestazione d'opera ha procosa stavano parlando le galline. dotto però dei mostri, come l'accusa seBisogna fare il piccolo sforzo di immagi- condo la quale dare un voto negativo a uno narsi il professor Jeffrey e di sentire nelle studente significa discriminarlo in base orecchie il tono di voce con cui avrà rispo- alla sua capacità di apprendere, ed essere sto. Personalmente me lo figuro barbuto, quindi colpevoli di "capacismo" (ableness). affabile, conscio che per parlare di letteratura a ragazzi che nei quattro anni delle scuole superiori avranno letto sì e no cinque libri bisogna partire da sottozero. E la sua replica ha tutto l'irresistibile tono di quella particolare degnazione accademica che nel mondo anglosassone passa per senso dell'umorismo. Così mi è più facile capire la reazione della studentessa, che a quanto sembra si alzò infuriata, sbattè i libri su quella specie di tavolozza pieghevole incorporata in un braccio della sedia che nelle scuole americane sostituisce il banco e chiese: "E che cosa ne sa lei di che cosa si dicono le galline?" Non si fermò lì. Accusò il professor Jeffrey di essere un arrogante "specista" (uno che crede nella superiorità di una specie sulle altre), uscì dall'aula sbattendo la porta e ritirò la sua iscrizione dal corso. L'incidente è ormai entrato nel corpus delle leggende della politica/ correctness, una raccolta di fioretti diabolici, di storie dell'orrore accademico, di atrocità quotidiane che professori increduli e spaventati si passano tra un consiglio di facoltà e un convegno specialistico, ognuno aggiungendo la sua variante, ognuno ricavando, dall'ultimo anello aggiunto alla catena, le sue conclusioni sulla prossima rovina del- !' istruzione o sul contraccolpo autoritario che seguirà a tanta follia. Il contraccolpo si comincia a vedere, ma più nella società che nella scuola. Cresce l'insofferenza verso una difesa dei diritti delle minoranze che spesso è solo una maschera demagogica indossata da politici opportunisti e da amministrazioni a corto di idee. Cresce l'insofferenza verso facilitazioni concesse ad alcuni gruppi etnici e che vengono avvertite dalle altre comunità come immotivati privilegi. Sarebbe ingeneroso, e anche sbagliato, far discendere la svolta reazionaria delle recenti elezioni americane, come ad esempio in California, dagli eccessi di zelo della politica i correctness e della affirmative action. Ma è vero che gli eccessi di zelo non sembrano trovare requie, e che spesso le forze democratiche, come dominate da un desiderio di autodistruzione, reagiscono al malcontento calcando ancora di più la mano. L'università, in particolar modo, è diventata il terreno preferito per veri e propri esperimenti orwelliani di riscrittura storica e redenzione dei comportamenti umani. Siamo testimoni della prima elaborazione dottrinale di un fondamentalismo laico prossimo venturo, e che ha forse lo scopo di costituire una versione "borghese", per non dire "bianca", dei fondamentalismi reali che stanno proliferando nel mondo. E' una strana religione, che ha sostituito il Peccato Originale con il Razzismo Originale, e in cui, invece di febbrili pastori evangelici che ipnotizzano i fedeli con la prospettiva delle lubriche tentazioni che li attendono fuori dalle porte della chiesa, abbiamo studenti, professori, amministratori di università e ministri dell'educazioPaisà denunciato per la scena del soldato nero Il comandamento secondo il quale non si deve offendere la sensibilità di nessuno finisce così per rassomigliare alla pretesa di un paziente che, siccome paga, pretende che il dottore si rifiuti di dichararlo malato. Ma, senza dubbio, la vigorosa difesa del genere gallinaceo da parte della studentessa di Ottawa segna un progresso del multiculturalismo. Considerato che altrove si perde ancora tempo a discutere dei diritti delle minoranze etniche umane, il passo avanti è indiscutibile. Non solo. Se le università dell'Ontario avessero accettato una sorta di codice di regole di condotta elaborato ali' inizio del 1994 dal governo provinciale (attualmente retto da un partito di sinistra), il professor Jeffrey avrebbe potuto, in teoria, essere condotto davanti a una commissione d'inchiesta. Fatto circolare fin dall'autunno del 1993, il codice di condotta accademica elaborato dagli esperti del governo stabiliva infatti una politica di "tolleranza zero" nei confronti di ogni violazione dei diritti di qualunque razza e genere. Da allora, dibattiti furiosi si sono sollevati nelle università del Canada, di solito tranquille, e hanno infine portato la maggioranza degli insegnanti a rifiutare la proposta. Le regole di condotta erano talmente rigide che, applicate alla lettera, avrebbero impedito l'insegnamento di qualunque argomento che potesse anche vagamente irritare chiunque, uomo, donna o gallina. Se uno studente considerava "offensivo" un libro scelto per un corso, anche se si trattava di un corso che lo studente non frequentava, poteva denunciare l'insegnante all'Ufficio Abusi e Diritti Umani. Così, in teoria, se uno studente di religione musulmana riteneva insultante per i musulmani che nei corsi di italiano si studiasse la Divina Commedia (che mette Maometto all'inferno) poteva chiedere che Dante venisse abolito dai programmi dell'università. Non ho scelto l'esempio a caso, perché è noto che in alcuni paesi arabi, come in Siria, Dante non si può studiare. Naturalmente, se uno studente cristiano avesse trovato blasfemo che si studiasse il Corano in un corso sulla civiltà araba, si sarebbe qualificato da solo come razzista e imperialista e la sua protesta si sarebbe ritorta contro di lui. Può sembrare che io stia esagerando, ma se finora nessuno ha chiesto di togliere la Divina commedia dai programmi è solo perché gli zelanti della politica! correctness non sono grandi conoscitori di Dante. Una studentessa di dottorato italiana che insegnava corsi di cinema italiano ali' Università di Berkeley ha avuto la spiacevole esperienza di trovarsi denunciata al Decano della Facoltà dopo aver mostrato Paisà alla sua classe. Alcuni studenti neri non avevano gradito la scena in cui il soldato nero americano si ubriaca e si fa rubare gli stivali da uno scugnizzo napoletano. Invece di porre il problema in classe (il che sarebbe stata una buona occasione per far osservare che effettivamente nel 1946 gli italiani non sapevano come rappresentare altre razze, essendo sempre stati un paese monorazziale), gli studenti andarono direttamente dal!' autorità costituita ad accusare la loro insegnante di razzismo. La cosa che più colpisce in questo aneddoto è la somiglianza con un'episodio simile avvenuto alla Baylor University del Texas. Simile, perché riguarda ancora Rossellini, ma di colore politico opposto. Dopo una proiezione di Roma città aperta il professore di italiano venne convocato dal Decano il quale gli comunicò che in seguito alle proteste di alcuni studenti scandalizzati la Facoltà aveva deciso di sospendere la proiezione di ogni film italiano nel campus dell'università. Scandalizzati per Roma città aperta? Sì, perché c'è una scena incui si può capire che tra due donne (la nazista e la ragazza del partigiano) ci sia una relazione lesbica. A Berkeley o a Stanford, che in Roma città aperta ci fosse una prurigine lesbica avrebbe costituito un bonus (anche se non completamente: il fatto che la relazione venga presentata come "morbosa" dimostrerebbe la mentalità fallocentrica con cui il film è stato girato). Ma alla Baylor University, che è fondata, pagata e frequentata da integerrimi battisti, il Peccato Originale è ancora il Sesso. Si dirà: la Baylorèa Waco, la città dove David Koresh è bruciato (o è stato bruciato) con i suoi seguaci nell'aprile del 1993. Là sono tutti matti. Può darsi. Sono stato a Waco prima dell'ecatombe dei Davidiani e la mia impressione è che David Koresh, di cui allora non sapevo niente, fosse solo un po' più pazzo dei suoi concittadini. Ma ciò che collega le due censure, quella di Berkeley e quella di Waco, è che mostrano lo stesso grado di perbenismo piccolo-borghese. E' piccolo-borghese scandalizzarsi per una relazione lesbica, ma è altrettanto piccoloborghese scandalizzarsi perché un soldato, a guerra finita e che crede di aver trovato un amico, si permette di ubriacarsi. Ma è vero che solo una cultura forte può accettare i suoi stereotipi, riderci sopra e tirare avanti. E la cultura e l'autostima di uno studente nero in America sono oggi tutt'altro che forti. In un paese dove una donna incinta che ordina una birra in un ristorante rischia di venire considerata con disprezzo dal cameriere, ben pochi studenti neri che sono riusciti a entrare a Berkeley, oppressi come sono dagli stereotipi che pesano su di loro, avrebbero il coraggio di ammettere che ad ubriacarsi una volta tanto non c'è niente di male. più nessuno ha diritto di parlare con nessuno E siccome questo è un problema che non si risolve finché non si affronta la matrice religiosa e puritana (multipuritana, ormai) dell'intero dibattito americano e canadese sul multiculturalismo, è più facile e più demagogico, per le autorità accademiche e per le sinistre in crisi (come quella dell'Ontario, che probabilmente non sopravviverà alle prossime elezioni), gridare al razzista ogni volta che ci si trova davanti ad un problema di convivenza culturale. Le regole di condotta proposte alle università canadesi stabiIivano anche che se qualcuno, passando casualmente per un corridoio, udiva brani di una conversazione che riteneva offensiva, aveva il diritto di riferirlo al citato Ufficio Abusi. Lo scopo era quello di creare luoghi di lavoro liberi da molestie e da ogni forma di "ambiente negativo" (negative environment), il che spinge a chiedere quale sia l'ambiente positivo di un'istituzione in cui l"intolleranza e la delazione sono apertamente incoraggiate. Ogni società che crede nel mito della "tolleranza zero", sia essa rivolta verso le droghe, il sesso o le barzellette a contenuto razziale, è potenzialmente paranoica, e le un iversi tà nordamericane, per iI loro carattere di istituzione totale, dove si vive ventiquattr'ore al giorno, sono naturalmente soggette a crisi paranoidi, di durata e guarigione più o meno lunghe. Ma come si è arrivati a questo punto? E come mai ci preoccupa così tanto di non offendere le galline? Una storia della politica! correctness è ancora da fare, ma è certo che negli ultimi dieci anni si è formata una classe di insegnanti che si sono nutriti di una singolare combinazione di marxismo immaginario, religioni evangeliche e determinismo sociale, basata su una lettura sociologico-religiosa (per nulla filosofica) della microfisica del potere di Foucault, del concetto di differenza in Derrida e della teoria dell'egemonia in Gramsci. li risultato è un edificio teorico assolutamente contraddittorio, e che oltretutto ha sostituito il concetto di classe con quello di razza: l'essere umano è completamente determinato dalla sua razza e dal suo genere sessuale; le sue credenze e le sue azioni (la sua ideologia) ne dipendono completamente. E d'altro canto la razza, il genere sessuale e l'ideologia sono pure costruzioni sociali (socia!constructs), ideologie a loro volta elaborate dalla razza bianca dominante e dal suo genere maschile. Da qui un perfetto argomento circolare: un maschio bianco è per essenza razzista, perché l'essere "maschio" e l'essere "bianco" che lo definiscono sono costrutti sociali elaborati appunto dai maschi bianchi. Il maschio bianco non ha dunque speranza di redimersi dal suo essere razzista, che è congenito; nondimeno ne è responsabile, perché il razzismo è la sua ideologia. E' una situazione che una volta, in psichiatria, veniva definita come "doppio legame", e che nel linguaggio quotidiano si riassume in: "Qualunque cosa fai, sbagli". E' una delle vie maestre della schizofrenia, e anche la porta aperta su una regressione all'infinito, perché se il soggetto è chiuso a chiave nella sua razza e nel suo genere, è pur vero che le distinzioni tra le razze e i generi sessuali sono tutt'altro che sicure. Tempo fa, a Montréal, nel corso di un convegno di filosofia, sono stato coinvolto in una discussione tra due professoresse di Women 's studi es che cercavano di venire a capo di un concetto di identità femminile che gli sfuggiva dalle mani. Il nemico istituzionale (il maschio bianco eterosessuale) è relativamente omogeneo. Non così il soggetto alternativo, che è plurimo e frammentato, e che pure ha nostalgia di un'unità da cui si sente defraudato. Le due studiose mi spiegarono che ai convegni dell'associazione di Women's Studies le partecipanti si ritrovano in gruppi definiti per razza, condizione fisica e preferenza sessuale. Si istituiscono così comitati di donne di origine ebraica, donne lesbiche di origine ebraica, donne asiatico-americane, donne afro-americane, donne anziane, donne con handicap fisici, donne obese, donne la cui sessualità è in transizione e che non si ritrovano a loro agio né tra le eterosessuali né tra le lesbiche. Mi sembrava un panorama abbastanza completo ma non era così. Le mie interlocutrici mi spiegarono che alcuni gruppi di donne non si riconoscevano in nessuna delle determinazioni citate. Una lesbica ispanoamericana non ha gli stessi problemi di una lesbica ebrea. D'altra parte anche le lesbiche ispano-americane si dividono in lesbiche che dichiarano pubblicamente la loro scelta sessuale (pochissime) e lesbiche che si sono sposate per non rischiare l'ostracismo sociale nella loro comunità (la maggioranza). Non sto cercando di fare dell'ironia, perché il problema è serio. Una società complessa ha bisogno di un codice di comportamento multiculturale, e la politica/ correctness è in fondo il primo tentativo di rispondere ad una globalizzazione della società e della cultura. Ma rischia di essere strangolato dalla rigidità delle sue premesse, perché si basa sul precetto negativo secondo il quale ciò che per me è la mia identità per l'altro è solo differenza, e ciò che è identità per l'altro è solo differenza per me. Di conseguenza l'altro non può parlare di me, perché direbbe come differenza ciò che per me è la mia identità. Ma nemmeno io posso parlare dell'altro, perché finirei per trattare come differenza ciò che l'altro percepisce come sua identità. Ne discende che nessuno ha il diritto di parlare di nessuno. Con che diritto insegno Pasolini se non sono omosessuale? Come posso dire la sua identità dal punto di vista della mia differenza da lui e della sua differenza da me? Come posso dire la sua differenza senza discriminarlo? Oppure: con che diritto insegno Virginia Woolf o Vita Sackville-West se non sono lesbica? Ma anche: con che diritto insegno Shakespeare se sono nero, a meno che non sia per dimostrare l'unica cosa che dal punto di vista della mia differenza posso dire, e cioè che Shakespeare ha trattato Otello secondo stereotipi razziali. Praticamente insuperabile, nel suo zelo antidiscriminatorio. è stata una professoressa di scuola media in Inghilterra che intendeva proibire ai suoi scolari di andare a vedere una rappresentazione di Romeo e Giulietta. Essendo una storia d'amore totalmente eterosessuale discriminava oggettivamente gli omosessuali e non forniva un quadro obiettivo della sessualità umana. Serve a qualcosa rimarcare che nessuno scrive un dramma per fornire un quadro obiettivo della sessualità umana, e che una tale interpretazione del criterio di responsabilità oggettiva sembra confezionato su misura per una purga staliniana? E' più utile far notare che ciò che frena il dibattito e rende impossibile la conversazione non è l'enfasi posta sulla differenza, ma proprio l'insistenza su una nozione ancora tutta ottocentesca di identità, proprio quella che la migliore letteratura e il migliore pensiero del Novecento hanno messo abbondantemente in questione. Discriminare tra Esseri Umani La Cui Sessualità E' InTransizione ed Esseri Umani La Cui Sessualità E' In Transizione Ma Che Sono Ancora Sposati Perché La Loro Cultura Non Gli Permette Di Denunciare Pubblicamente La Loro Sessualità In Transizione può avere la sua misteriosa utilità, ma è insensato che su determinazioni così deboli e transitorie si voglia edificare un concetto così "forte" e "oggettivo" come quello di identità. Ma tutto il dibattito multiculturale, con la sua insistenza sulle nozioni di razza e col suo determinismo, ha risonanze fortemente ottocentesche. E si può capire: perché può mettere in crisi la propria identità solo chi l'ha già raggiunta, come potè fare la borghesia europea dopo la consumazione del nazionalismo ottocentesco. l'idea assurda di un linguaggio corretto a priori Ma le comunità etniche minoritarie (e in un certo senso anche quelle sessuali) sono in una situazione ancora "nazionalistica" e contemporaneamente neo-tribale, in una fase di non-contemporaneità storica, passata e insieme futura, rispetto alla corrente maggioritaria delle società in cui vivono. Stanno lottando, a tutti gli effetti, per ottenere l'indipendenza. A tal fine devono essere riconoscibili come soggetto collettivo, e poiché non possono essere una classe cercano di essere una "nazione", o perlomeno una tribù. La politica{ correctness ha avuto il merito di rimarcare una volta per tutte che nessuna cultura, o per meglio dire nessuna differenza, tantomeno quella del "maschio bianco eterosessuale", può ormai porsi come universale, ma non ha avuto il coraggio di accettare la necessaria conseguenza. Con la scomparsa dell'universalità, infatti, scompare anche l'identità, e ciò che rimane è un soggetto puramente differenziale, uno spazio di differenze mutevoli e sempre in transizione. La filosofia europea, con tutti i suoi limiti etnocentrici, ha già accettato da tempo che non c'è più un linguaggio dell'identità piena, e che il soggetto è costantemente dislocato da se stesso. Ma la cultura americana è fondamentalmente empirista e realista, convinta che la verità sorga naturalmente da un uso "corretto" del linguaggio, sia esso scientifico, religioso o politico. Nonostante le decine di libri che si pubblicano ogni anno in America su Nietzsche, Foucault e Derrida, ben pochi accademici americani (per non parlare dell'uomo della strada) sarebbero dispòsti ad ammettere che non c'è un uso del linguaggio che sia a priori "corretto" e che siamo inevitabilmente affidati al mare delle interpretazioni. Ed è così che si sogna di delimitare spazi di differenza tanto netti e definiti da poter essere vissuti come identità, così come si sogna un linguaggio che dica nello stesso tempo la differenza e l'appartenenza, l'essere diversi da tutti e l'essere assolutamente identici alla propria tribù. E la debolezza verso tale contraddizione non è solo dei politicamente ultracorretti. C'è una forte resistenza da parte del senso comune americano ad accettare il fatto che le cose sono davvero più complicate di come sembrano, e che purtroppo non è colpa di nessuno. Quel professor Jeffrey, invece di uscire con affermazioni degne di un manuale positivista, avrebbe fatto meglio a spiegare che, per quanto articolato sia, nessun linguaggio animale conosciuto fa uso di connettivi o negazioni (un cane può abbaiare per dire "ho fame", non per dire "non ho fame"); che il linguaggio animale non conosce l'articolazione sillabica; che può esprimere relazioni ("Sei il mio nemico") ma non il contenuto delle relazioni ("Dico che sei il mio nemico"); e che comunque il concetto di linguaggio è un '·costrutto sociale" puramente umano, per cui tra la nostra esperienza e I' esperienza animale non vi è tanto una "differenza" assoluta quanto una variazione di gradi infinitamente sfumata di cui noi sappiamo in realtà molto poco. La sua studentessa non avrebbe avuto modo di lasciare la classe infuriata, e avrebbe anche imparato qualcosa. -
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