Una città - anno IV - n. 37 - dicembre 1994

di un libro Perché dei poliziotti senza nessun addestramento e indottrinamento, riservisti di mezza età, non si tirano indietro, improvviso di uccidere donne, bambini e vecchi? L'impressionante esperimento di Milgram e il rischio di sottoval1 le vittime. Il problema morale della distanza tecnologica che evita il sudiciume dello sterminio "a mano" e pn di Primo Levi sulle zone grigie di un potere che ha bisogno di tanti gesti intermedi e la straordinaria novità t della vita quotidiana. Il mistero, che resta e su cui bisogna continuare a interrogarsi, del perché si ubbidi. Nell'intervista che ci concesse alcuni mesi fa, Vidal Naquet aveva accennato a questo libro, Ordinary men, di Cristopher Browning, come al testo più importante se si voleva affrontare il problema della "banalità del male". Disse anche che si sarebbe adoperato per tradurlo in francese e che tu l'avevi sicuramente letto e consigliato a qualche casa editrice per la traduzione italiana. Da qui l'idea di parlarne con te. Anche se non ho nessuna competenza per farlo perché questo è un campo di studi in cui non solo si affrontano problemi estremamente complessi di ordine morale, politico, scientifico, ma su cui c'.è an~he un'enorme bibliografia in molte lingue,_mi fa piacere parlare del libro di Christ'ophcr Browning (Ordinary Men. Reserve Police Battalion 101 and the Fina/ Solution in Poiane/, New York, Harper Perennial, 1992) il cui titolo in italiano potrebbe essere "gente comune" e il cui sottotitolo è // battaglione di riservisti 10I di polizia e la soluzione finale in Polonia, perché è un libro importante e perché mi auguro che esca presto in italiano. Ne avevo proposto la traduzione a Einaudi ma per ora non è successo niente. L'edizione francese ha già avuto una ristampa. Evidentemente il pubblico francese ha colto l'eccezionalità di questa ricerca e io spero di dare un minimo contributo anche ad una traduzione italiana. Nfi sono imbattuto in questo libro qualche anno fa all'Università di California, a Los Angeles, dove insegno, a un convegno organizzato da Saul Friedlander, una delle massime autorità internazionali sulla storia dello sterminio degli ebrei, di cui è uscita in italiano l'autobiografia, A poco a poco il ricordo, tradotta da mia madre, e che adesso sta scrivendo un'opera di grande respiro su questo tema. li convegno di Los Angeles non era esattamente sulla storia dello sterminio, ma sul rapporto fra la storia dello sterminio e il problema dei limiti della rappresentazione. L'idea era quella di stabilire un dialogo con le tendenze storiografiche, filosofiche e letterarie che si pongono il problema dei limiti della rappresentazione e che hanno sostenuto (in ambito storiografico ma non solo) che non è possibile tracciare un limite netto tra storiografia e finzione, sfidandole a misurarsi col tema dello sterminio. Fu in quella circostanza che sentii la comunicazione di Browning, che era un'anticipazione del libro. Mi fece un grande effetto e chiesi a Browning di poter leggere il libro dattiloscritto. Il libro esamina il comportamento di un battaglione di polizia, non soldati professionali, non SS, formato tutto da riservisti, cioè da persone richiamate, di mezza età quindi, che vengono all'improvviso coinvolte nello sterminio degli ebrei in Polonia, nel '42-'43. Il materiale su cui Browning ha lavorato è in gran parte giudiziario. i processi ad alcuni dei membri di questo battaglione. Il tema del libro è quello annunciato dal titolo. cioè come delle persone che non erano né soldati professionisti, né appartenenti a truppe speciali e nemmeno militanti particolarmente fanatici si trasformino in professionisti dello sterminio. In cifre, si tratta di circa 500 persone che in un periodo di poco più di un anno, oltre a deportare nel lager di Treblinka più di 45000 ebrei, ne ammazzano come minimo 38000: un eccidio spaventoso. E' possibile seguire in maniera molto minuta le tappe della strage. Le implicazioni di questa ricerca vanno molto al di là dell'ambito circoscritto, cioè l'analisi dell'azione di questo battaglione. Ma l'atteggiamento di Browning è molto sobrio, non c'è enfasi. Di fronte alle cose terribili che racconta egli ha scelto, e mi pare giustamente, di non indignarsi ad ogni riga, perché altrimenti, dopo la terza riga, non avrebbe avuto più parole e questo il lettore lo capisce immediatamente. C'è un atteggiamento distaccato, non freddo, ma sobrio, e, tranne che nell'introduzione e nell'ultimo capitolo, non c'è neanche un tentativo di trarre le implicazioni più generali. Una delle cose che colpiscono è che in realtà qualcuno, all'inizio, dice che non se la sente di partecipare ali' eccidio, materialmente. Non è che si rifiuti di essere coinvolto in qualche modo. ma evidentemente c'è una differenza, sul piano della resistenza psicologica, tra partecipare direttamente alla strage e guidare il camion. la grande difficoltà di uccidere chi si conosce Qualcuno si rifiuta e in realtà non succede niente e questo colpisce, perché dimostra che una qualche forma di resistenza in teoria sarebbe stata possibile. Forse, se la cosa avesse preso piede, li avrebbero massacrati tutti, ma qualche tentativo di tirarsi indietro c'è stato. Ci sono altri che si tirano indietro dopo la prima strage, altri che vorrebbero una strage più pulita. Questa è una delle cose più terribili delle testimonianze: gli aspetti fisici della strage ripugnano, anche il sadismo eccessivo ripugna. Ma poi è proprio la strage come routine che a poco a poco passa. Un'altra anomalia all'interno di questo processo di educazione allo sterminio è il fatto che qualcuno incontra degli ebrei tedeschi che per qualche ragione aveva conosciuto in passato e lì scatta una resistenza, non è facile ammazzarli. L'anonimato e la distanza facilitano sicuramente la strage. Questo mi pare un punto che avrebbe potuto essere approfondito. Un punto particolarmente importante. su cui Browning insiste nell'ultimo capitolo, è una rincssionc che riprende quella di Primo Levi sulla ·'zona grigia". La pertinenza è chiara: in quel saggio. una delle ultime cose che ha scritto prima di darsi la morte e che è incluso nella raccolta/ so111111ersei i salvati. uscita da Einaudi, Primo Levi parlava della necessità di uscire da una visione dicotomica della stessa realtà dei campi di concentramento. E' una rincssionc dolorosissima, come nota Browning, perché in tutti noi c ·è una tendenza a vedere le cose in termini dicotomici. ma Primo Levi dice: bisogna andare oltre. anche nel guardare la realtà dei campi di concentramento bisogna uscire da unasemplificazione che può essere eccessiva. Il che non significa affatto, dice sempre Primo Levi, cadere in quell'atteggiamento torbido ed estetistico che parla in maniera superficiale di complicità fra il persecutore e la vittima. Quello che lui vuole descrivere è una realtà in cui la dicotomia fondamentale fra aguzzini e vittime è però articolata attraverso una serie di anelli intermedi e di zone grigie. Credo che questo sia un tema molto importante, perché pone una domanda su come certi comandi possano essereeseguiti e. in fondo, su come un determinato sistema possa funzionare. Non è solo la complicità: ci sono scale diverse, gradini diversi e gli ·'uomini comuni" di cui parla Browning, hanno varcato il passo. sono diventati degli assassini, ma avrebbero potuto essere dei complici, avrebbero potuto forse anche es ere solo dei complici potenziali e quindi il grigio è come se sfumasse via via verso qualcosa che avrebbe potuto essere qualcos'altro. Anche le dittature più efferate hanno bisogno di queste zone grigie per poter funzionare e mi pare che la rinessione di Browning vada in questa direzione. Poi. nel capitolo finale, che forse Browning ha scritto con una certa riluttanza perché la sua formazione è veramente di tipo empirista e l'idea di ri nettere su questo materiale da un punto di vista più teorico non gli era molto congeniale, si parla delle implicazioni più generali degli eventi studiati. E la rinessione verte fondamentalmente sulla normalità di queste persone. sul fatto, cioè, che non fossero dei predestinati a diventare assassini, che non ci fosse nessun fanatismo particolare da parte loro: è la situazione che ne fa degli assassini professionali. E tentando di trovare dei paralleli, o perlomeno di trovare degli strumenti di rinessione nell'ambito delle scienze sociali Browning si sofferma, soprattutto, sull'esperimento di Milgram, un sociologo dell'Università di Chicago. un esperimento molto noto anche in Italia, che, penso, risalga al tempo della guerra nel Vietnam. Milgram aveva radunato due gruppi di persone in due stanze separate da un muro e, motivando il tutto come esperimento scientifico, aveva dato ai due gruppi istruzioni diverse e non comunicanti. Un gruppo, pigiando un bottone, avrebbe dovuto inniggcrc delle scariche di corrente elettrica sempre più forti alle persone dcli' altra stanza che dovevano simulare grida di dolore -simulare. perché. ali· insaputa del primo gruppo. le scariche erano inesistenti. Il primo gruppo. con pochissime defezioni, ha continuato a impartire scariche sempre più forti. arrivando anche a varcare la soglia segnalata di massima pericolosità. perché così richiedeva r esperimento. L ·esperimento è certo impressionante e capisco perché Browning l'abbia addotto: si di mostra che probabi Imente c ·è una disposizione all'obbedienza. latente, che può forzare i limiti della compassione. Il problema che si pone. però. è quello di capire quanto contino le varianti legate ad una determinata cultura o a una determinata situazione. In una conferenza tenuta da Browning. per esporre questo libro. ali' UCLA. circa un anno fa. alla fincc· è stata una discussione perché una cosa che colpiUN BEL MAl'l'INO A JOSEFOW La città polacca di Biloraj, all'alba del 13 luglio del 1942. Gli uomini del 101 ° battaglione di riserva della polizia lasciano la grande costruzione di mattoni della scuola che serve loro da caserma. Sono amburghesi di origine operaia e piccolo borghese, uomini di età matura, che hanno lasciato moglie e figli. Troppo anziani per servire nell'esercito tedesco, sono stati mobilitati nella polizia. La più parte sono novellini, senza nessuna esperienza dei territori occupati, tutti si trovano in Polonia da meno di tre settimane. E' ancora buio quando gli uomini si arrampicano sui camion. Ogni poliziotto ha ricevuto delle munizioni supplementari oltre alle casse che sono state caricate sui ca- B m"on. Puartoltr~;:}o Rlm importante, ma non è stato ancora detto loro ciò che li aspetta. Il convoglio si muove nell'oscurità, dirigendosi piano verso est, su una cattiva strada dissestata. Ci vuole un'ora e mezzo, forse due, per superare i trenta chilometri che separano Biloraj dalla destinazione, il villaggio di Josefow. E' un tipico villaggio polacco, con le sue piccole case bianche dal tetto di paglia, tra i suoi abitanti vivono 1800 Ebrei. Il villaggio è silenzioso. I coscritti del 101 ° battaglione di riserva saltano a terra e si dispongono a semicerchio intorno al loro capo, il comandante Wilhelm Trapp, un poliziotto di carriera di 53 anni, soprannominato affettuosamente dagli uomini "Papa Trapp". E' tempo per lui di informare l'unità deHissione chr.otata affidata. Pallido, nervoso, la voce strozzata e gli occhi pieni di lacrime, fa manifestamente fatica a dominarsi. Il battaglione, spiega con un tono lamentoso, deve compiere un dovere terribilmente spiacevole. Questa missione non gli piace, gli appare persino come molto incresciosa, ma gli ordini provengono dalle più alte autorità. Se questo potesse facilitare loro le cose gli uomini dovrebbero ricordare che in Germania le bombe stanno cadendo su donne e bambini. Poi arriva al dunque. Un poliziotto si ricorderà che Trapp ha accusato gli Ebrei di essere stati gli istigatori del boicottaggio che nuoce tanto alla Germania. Secondo altri due testimoni, ha spiegato che gli Ebrei di Josefow sostenevano i partigiani. Adesso, dice, il battaglione ha l'ordine di radunava me, e non solo me, era che Browning stranamente tendeva a generalizzare troppo, a sfumare un po' l'elemento specificamente legato alla Germania nazista, come se quello che lui aveva esplorato fosse un fenomeno che si potrebbe riprodurre dovunque. Questo è naturalmente contestabile, nel senso che lui stesso nel libro mostra che c'erano degli elementi di disumanizzazione preventiva della vittima che agevolavano la strage e che il peso dell'ideologia antisemita in quanto elemento di disumanizzazione e quindi di deresponsabilizzazionc favoriva la trasformazione di uomini comuni in professionisti dello sterminio. la disumanizzazione della vittima agevola l'assassino Detto ciò, però, non c'è dubbio che questo libro, oltre ad essere un case-s111dy, lo studio, cioè, di un caso che illumina una serie di fenomeni più ampi che hanno reso possibile lo sterminio degli ebrei, pone anche una domanda che va al di là dello sterminio stesso, una domanda effettivamente più generale, a cui, però, non mi pare che questo studio possa dare una risposta: che cosa avviene in altre culture, quanto contano i condizionamenti culturali e politici nell'opporre resistenza a comandi efferati? Questo problema è certamente aperto. Tu vedi quindi un rischio di sottovalutare l'ideologia e il contesto? Sì, mi sembra che ci sia il rischio di una sottovalutazione della propaganda antisemita. D'altra parte Browning è un tipo di storico molto attento al la ricostruzione dei fatti e solo alla fine prova a generalizzare. Certo. se uno generalizzasse a partire da questo caso trascurando la componente specifica nazista sarebbe sbagliato. E ricordo che nella discussione che seguì la conferenza di Browning all'UCLA, proprioa proposito del l'impressione che Browning sottovalutasse i condizionamenti specifici. nazisti. citai il caso di un comportamento diverso nei confronti degli ebrei: quello dell'esercito italiano in Croazia. E' uscito un libro notevole di uno storico inglese, Stcinbcrg, dove si vede da un lato come gli alti comandi italiani fossero perfettamente informati del lo sterminio in atto (cosa che è stata talvolta negata) e dal!' altro come ci siano stati dei tentativi da parte di militari italiani. anche a livelli elevati. di proteggere gli ebrei. E feci questa osservazione non perché pensassiche gli italiani in quanto popolo sono stati estranei all'antisemitismo o che gli italiani siano più buoni. ma per notare questa differenza di atteggiamento -studiata del resto tanti anni fa anche da Poliakov per quanto riguardava la Francia meridionale- e per sostenere la necessità di esplorarne i motivi. C'erano anche naturalmente italiani che collaboravano allo sterminio. ma in molti casi l'esercito italiano tendeva a proteggere gli ebrei. Browning mi rispose citando l'uso di gas asfissianti in Etiopia. che è un fatto verissimo naturalmente. ma non rispondeva alla mia obiezione. che non voleva affatto conre questi Ebrei. Gli uomini in età di lavorare saranno selezionati e portati in un campo di lavoro. Gli altri, donne bambini e vecchi dovranno essere fucilati sul posto dagli uomini del battaglione. Poi, avendo esposto agli uomini la natura della loro missione, Trapp fa loro una proposta straordinaria: se fra i più anziani alcuni non si sentono la forza per prendere parte a questa missione ne saranno esentati. E' il primo capitolo, intitolato "Un bel mattino a Josefow" del libro Ordinary Men. (Traduzione nostra dall'edizione francese: Les Hommes ordinaires. edito da Les Bel/es Le//res, con prefazione di Pierre Vidal Naquet). Nella foto: Lukow, probabilmente nell'autunno del 1942, mentre l'Ordnungspolizei liquida il ghello perincipale. trapporre gli italiani in quanto tali ai tedeschi, ma rilevare come il razzismo sia differenziato, sia molto attento alle sfumature contrariamente a quello che uno sarebbe portato a pensare. In realtà il razzismo non è indiscriminato, al contrario, si fanno discriminazioni che, agli occhi di uno che sta al di fuori di questo codice culturale, sono pazzesche e incomprensibili. Quindi mi immagino benissimo che qualcuno che pur era pronto ad usare i gas asfissianti in Etiopia, potesse poi salvare gli ebrei in Croazia. Credo che bisognerebbe cercare di capire di più, ammettendo la possibilità di incoerenze; di quelle che a noi, da fuori, sembrano incoerenze. Del resto, non credo alle coerenze assolute. Quindi il fatto che questi riservisti non fossero militanti fanatici, non esclude che fossero esposti alla propaganda, tutt'altro. Mi sembra, d'altra parte, molto interessante l'osservazione che Browning fa, ali' inizio del libro, sulla corrente storiografica tedesca che studia la storia della vita quotidiana. Browning dice, e mi pare assolutamente giusto, che questa corrente che è stata vista da qualcuno come un tentativo di banalizzare, di depoliticizzare lo studio del regime nazista, in realtà può portare ad un approfondimento. Si tratta infatti non di un tentativo di contrapporre politica e vita quotidiana, ma di far vedere come la vita quotidiana fosse impregnata invece di politica. L'uso di fonti che diano accesso alla vita di uomini comuni come questi è importante non per depoliticizzare la storiografia, ma per dare alla politica un senso più pieno: la visione della politica che è stata proposta dagli storici è troppo spesso una visione astratta, in cui le ingiunzioni operano nel vuoto, anziché in un tessuto che rende possibile la loro trasmissione e che le con-

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