Una città - anno IV - n. 37 - dicembre 1994

anni '80, in seguito ad eventi disastrosi come l'erosione delle spiagge venetee ferraresi, il Posprofondato di 8 metri, la scomparsadello scambio con la falda freatica, perché in certi punti il Po scorre nelle argille che stanno sollo al materassoalluvionale, si deciseche le escavazioni di sabbia e ghiaia dovevano cessare. Ma da allora in poi il Magistrato del Po ha continuato a far scavare con la scusa dell'esigenza idraulica finalizzata alla canalizzazione e, inoltre, siccome la proibizione di scavare riguardava l'alveo, canalizzando e arginando il fiume, la parie che rimane al di fuori degli argini non è più alveo e allora lì posso vendermi la sabbiae la ghiaia. La cementificazione quindi è un disastro? La cementificazione toglie al fiume la possibilità di stockare, di laminare volumi d'acqua, dopodiché uno se li ritrova nella piena del fiume principale. Ora su questo l'autorità di bacino del Po aveva cominciato a funzionare. La regione Piemonte sta completando, solo che arriva troppo tardi, il progetto operativo di delimitazione delle aree di pertinenza fluviale del Po, cioè di quella fascia di aree che hanno una funzione geomorfologica, nel senso della divagazione dell'alveo, consentendo così la rialimentazione di trasporto solido, una funzione idraulica nel senso di consentire l'espansione della piena e, infine, una funzione di autodepurazione in quanto consentono lo scambio, la vita delle biocenosi chedepurano l'acqua del fiume. D'altra parte la legge per la difesa del suolo e le autorità di bacino esistono solo dalla fine dell'89, mentre la leggecheha resocogenti, cioè esecutive, in attesa del piano di bacino che si farà magari fra vent'anni, anchedelibere parziali e settoriali delle autorità di bacino, è del novembre '93, quindi ha solo un anno di vita. Ma non cementificando gli argini allora che tipo di argine si dovrebbe fare? Nella maggior parte dei casi non serve l'argine, non serve la difesa spondale. L'argine serveper la pietrovare un dirigente del Magistrato del Po intelligente e onesto. Ce n'è stato uno, Mario Gorelli, che nel '91, d'accordo con le autorità di bacino del Po, fece praticamentecessarequestepseudodifese spondali prismate. Adesso, purtroppo, c'è un decreto del governo sull'emergenza che sembra voglia dare via libera al magistrato del Po per riprendere addiri11ural'escavazione di ghiaia dagli alvei con lamotivazione, chiaramente assurda,che i fiumi straripano perché gli alvei sono pieni di ghiaia. Guarda caso, nel mese di 011obrela regione Piemonte aveva fallo un rilievo topografico e batimetrico, cioè soll'acqua, in tulio l'alveo del Po, trovando che non esisteun solo punto, in tulio l'alveo del Po piemontese, in cui il livello dei banchi di ghiaia sia oggi più alto di quanto sia stato rispe11ivamentenell'89, nel '79enel '69, che sono gli anni degli altri rilievi batimetrici e topografici. Storicamente come veniva affrontata la piena? Fino a 50 anni fa moltissimi fiumi italiani non erano arginati e nonostantequesto le areedi esondazione non erano molto più grandi di quanto siano adesso. Via via si è andati combattendo questa rispostasempre più drammatica del territorio all'evento di pioggia, aumentando le opere idrauliche di difesa passiva, cioè gli argini, le escavazioni dell'alveo, eccetera. Ormai siamo arrivati a un punto in cui il disastro territoriale è tale che queste opere idrauliche di difesa, questecanalizzazioni, questi innalzamenti degli argini, non sono più possibili. Al!' inizio parlavodell' alluvione del Polesine e dicevo che con la stessa pioggia i 13 mila metri cubi al secondo di portata del '51 oggi sarebbero 16 mila. Ecco, per far passarequei 16mila metri cubi con il sistema di difesa attuale, bisognerebbe rialzare gli argini del Po nel basso Polesine di due metri. i 13000 mc/ sec del Polesine oggi sarebbero 16000 na e la piena è un problema di E siccome quando si alza un argine altezza idrometrica, per cui, se io questo, per il pesoproprio sprofonsposto l'argine un po' più lontano da nel terreno, soprattutto in quello dall'alveo di magra, ecco che pos- tulio sommato abbastanzacostipaso farlo più basso, sia perché in bile del basso Polesine, vuol dire quel punto il terreno è già più alto che bisognerebbe alzarlo probabilsia perché, allontanando l'argine, mente di 4 metri, che è una cosa si lascia una capacità volumetrica vicino all'impossibile. di scorrimento alla piena, una ca- Il problema è che si è ricorsi all'arpacità volumetrica di laminazione ginatura perché non si è mai voluto talmente più alta che il livello di intervenire sull'uso del suolo, non piena risulta molto più basso di si è mai voluto fare una riforestaquanto sia adesso. zione seria. L'unica riforestazione Che lei sappia la cementificazio- seria, importantissima, -definitiva, ne si sta bloccando o continua? fu falla nel '23, con la legge del s', ori otteocbà aG I vinco idrf3olao chcOÒ a bosco il 40% del territorio italiano. Ma questa legge, questo real decreto, purtroppo, èstataprogressivamente depenalizzata fino ad essereportata ali' inefficienza dal1'ordinamento regionale. Ma l'arginatura andava a vantaggio della città o dei contadini? Ali' inizio andavaavantaggio del le ci11à,poi, a poco a poco, si è finiti per difendere anche interessi localistici e privatistici, arginando anche terreni la cui inondazione non significava niente. Quello che avrebbe dovuto essere economia oggi è diventata rendita di posizione. La lobby delle imprese di costruzione, la lobby della ghiaia, è più potente di qualsiasi considerazione, non dico ambientalista-dell'ambiente nonparlo mai perché so che è una ba11agliaperduta in partenza-ma di puraeconomicità. Per esempio, una diga da I00.000.000 di metri cubi oggi costa 1.100, 1.200 miliardi. Ancora fino a pochissimi anni fa si è continuato a costruire dighe da irrigazione quando il costo finale dell'irrigazione era nell'ordine di 150 milioni all'ellaro, quindi nell'assoluta impossibilità di ripagare l'investimento. L' antieconomicità era sbalorditiva eppuresi sonocontinuate a fare dighe perchéentravano nel giro della lobby del lecostruzioni. lo sono di sinistra, lo sanno tutti, però devo riconoscere una cosa: da quando, negli anni '70, le imprese della Lega delle Coopera1 , n.:~._.·,·, . . . tive, vicine alla sinistra, sono entrate nel mercato del lacostruzione, in Italia non c'è stata più opposizione alle opere pubbliche. E le opere più indecenti, assurde,antieconomiche, sono passatetutte, perché gli amministratori, anchequelli di sinistra, avevano un interesse assolutamentedistorto, magari giustificato dalla creazione di posti di lavoro, a fare lavorare le imprese. Poi le imprese della Lega delle Cooperative, prendevano dal piatto solo le lenticchie, mediamente il 10%del grosso degli appalti delle costruzioni, ma bastavaquesto per cancellare ogni opposizione alla lobby della costruzione in Italia. Nella storia dell'economia italiana questo è stato l'elemento determinante di una distorsione unica al mondo: in Italia si consumano 800 chili di cemento procapile all'anno, cioè il consumo di gran lunga più elevato del mondo. Una distorsione di questo tipo non si sarebbepolllta avere se l'opposizione, i partili democratici, i governi regionali di sinistra, non fossero stati condizionati da questa lobby delle costruzioni alla quale partecipavano anche le imprese cooperative. Fra le dighe più scandalose c'è quella di Veno, che è stata approvata dal fondo Fio, come diga per favorire la produzione di foraggi da laue. Equestoavveniva nello stessoanno in cui l'Italia veniva multata, con 5.000 miliardi, dall'Unione Europea per aver superato la sua quota di lane. Quando la produzione di foraggi è diventata così scandalosa da far rabbrividire anchele persone meno sensibili, il consorzio di bonifica Reggiane Bentivoglio e la Regione Emilia Romagna hanno fatto un giro di valzer incredibile, dicendo che la diga serviva per l'idropotabile. Compiendo.così, un falso ideologico nel bilancio idrologico del sollobacino dell'Enza, perché hanno sommato tra loro i consumi irrigui equelli idropotabili quando 1u11siannoche i consumi irrigui sono consumati, mentre l'idropotabile unavolta usatotorna in alveo. si vuol smaltire l'acqua il più rapidamente Come ciliegina sulla torta, l'analisi dei costi e dei benefici della diga è stata falla su un costo previsto di 100miliardi, mentre, per esempio, la diga del Bilancino, nel bacino dell'Arno -io sono membro del comitato di bacino dell'Arno- che più o meno ha le stessedimensioni, è costata 1.100 miliardi. E adesso come si sta affrontando il dopo alluvione? L'emergenza era partita malissimo, cioè dando licenza di uccidere alla magistratura del Po per le escavazioni in alveo e altre assurdità che ora sembranorientrate. Poi alla conferenza delle Regioni col ministro Maroni dove si è deciso che le opere di ricostruzione immediata siano lasciate ai Comuni, sembra che il principio del coordinamento regionale, e quindi dell'autorità di bacino, per gli interventi strutturali e di lungo periodo, sia passato. Sarebbe stato assurdo affidare anche questi ai comuni, senzanessun coordinamento. L'autorità di bacino del Po sembra avere delle idee abbastanzachiare ed era già estremamente interessante il documento che pubblicò a seguito dell'alluvione del settembre'93, in cui molte delle cause e dei fenomeni che dicevo prima erano chiaramente individuabili. D'altra parte, seuno fa della scienza seria, della tecnica seria, non può non individuarli. Quindi qualche speranza c'è. Quali provvedimenti concreti sono praticabili? Si può aumentare quella frazione d'acqua che serve a bagnare, si chiama intercettazione, a traspirare oppure a riempire le cosiddette cavità superficiali, il termine idrologico è depression storage. Anche sui terreni già urbanizzati si potrebbe reintervenire vantaggiosamente e ci sarebbero almeno tre cose da fare. La prima è quello che in Inghilterra chiamano soakways, spugna, che significa provocare infiltrazioni artificiali o piccole zonedi espansioneartificiale dove l'acqua possa stagnare per mezz'ora o un'ora, quando c'è lo scroscio violento, prima di defluire. E' un'opera che si può fare ovunque, nei parcheggi, nelle strade, nei marciapiedi, nei giardini pubblici, nelle stessefogne. Adesso le fogne sono progettate per smaltire il più rapidamente possibile. La secondacosache si può fare è la separazione del reticolo idrografico bianco da quello nero, in modo che quello bianco possauscire dalle fogne e tornare nei rigagnoli. La terzacosa da fare sono le pavimentazioni filtranti. Tutto questo ècerto un fallo di cultura. Ricordo un fallo per me estremamente istrultivo: la città di Arezzo è insidiata dall'Arno, che gli scorre vicino, e da un reticolo di fossi e torrenti che alla fine finiscono nel- !' Arno. Il direllore del Genio Civile di Arezzo, qualtro o cinque anni fa, nella relazione falla per la revisione del piano regolatore, diceva: "Arezzo è stata messa in sicurezza dai fossi edai torrenti che sonostati tutti canalizzati, quello che invece destagrandepreoccupazioneè l' Arno". E non gli passavaneancheper la fantasia che l'aumento di portata dei fossi dovuta alla canalizzazione era staia la causa della crisi del!' Arno. - LIMBO OPACO Nella situazione italiana sempre più prevale la spettacolarizzazione dell'evento e il racconto dello scontro tra poteri frammentati: il capitalismo finanziario e delle regole per la competizione globale contro il capitalismo di seconda schiera, dell'economia reale del produrre per competere; la magistratura, con i suoi "santi", contro i "feudatari" della comunicazione della commercializzazione, sino a giungere a processi di competizione tra la dimensione territoriale. Le dinamiche del territorio, infatti, ci mostrano il Nord Est competitivo e in crescita, il Nord Ovest in transizione e ristrutturazione -da una centralità della grande fabbrica ad un modello di accumulazione flessibile-, il Centro, ove ancora tengono, ma in profonda crisi di egemonia, le appartenenze di ideologie e di territorio, ed infine il Sud che non è più grande questione collettiva, ma dimensione dove si compete per sopravvivere. In questa situazione -ove il potere, i poteri, tendono ad essere in nessun luogo e dovunque: non più nello stato centrale, ma nella dimensione europea e globale, nella singola Procura della Repubblica, nel governo delle singole città sino a giungere ai poteri diffusi dei comitati dei cittadini che presidiano e perimetrano la loro dimensione territoriale- l'unica interconnessione vincolante che fa tessuto sembra essere la logica selettiva del raggiungimento del massimo benessere possibile attraverso la competizione nel lavoro, nell'abitare, nel produrre, nel comunicare. Correre per arrivare primo sembra essere l'imperativo categorico. Ma primo dove? Questa è la grande questione. Più che tifare per i singoli poteri in competizione, più che radicarsi nelle singole dimensioni di territorio per competere ed abbassare la soglia di spaesamento e sradicamento, più che tendere alla ricerca di un ambiente, mi pare che rimanga da affrontare la "questione del mondo", pena condannare il soggetto ad uno spaesamento irreversibile rispetto alle forme di convivenza. Osservata dal basso questa società sembra essere sempre più caratterizzata da un tentativo frenetico dei soggetti di ambientarsi. E' quanto accade nei centri sociali, dove migliaia di giovani selezionati rispetto al lavoro e alla socialità cercano di darsi un ambiente per autoprodurre il bene scarso della società e della convivenza. E' quanto accade nel lavoro autonomo orientato alla ricerca e alla progettazione, dove intelligenze diffuse, selezionate dal passaggio verso un capitalismo da accumulazione flessibile, cercano di darsi un ambiente attraverso la forma-impresa, l'istituto di ricerca, la casa editrice, la rivista, per ricercare e progettare forme di convivenza altre dal puro codice competitivo. Lo stesso avviene nel comitato di quartiere, nella metropoli, dove la nuova residenzialità urbana, fatta di terziario e servizi, perimetra il suo abitare rispetto ai city users, siano questi i giovani immigrati o gli abitanti delle pieghe della città, i devianti. Nel consorzio export si danno l'ambiente per competere nel mercato globale i lavoratori autonomi dell'Italia del fai-date, approfittando delle opportunità dei cambi per esportare. Così come nel fare patto territoriale per lo sviluppo si danno ambiente le rappresentanze degli interessi che, venuta meno la filiera delle appartenenze, scoprono che l'uguaglianza sta all'inizio e non alla fine e danno origine a quelle associazioni imprenditoriali locali che fanno progettazione del proprio territorio per competere in una dimensione di risorse scarse, muovendosi nella logica del marketing territoriale. Ma la fenomenologia di questo processo potrebbe allungarsi ancora, sino a giungere alla patologia del ghetto, ove ci si dà ambiente attraverso la banda di quartiere che perimetra il territorio, nell'associarsi per etnia dell'immigrato indeficit di risorse rispetto al competere per interessi o nella produzione di identità dei modelli di controllo del territorio dell'economia criminale. Il deficit di mondo produce il proliferare di modelli ambientali nei comportamenti collettivi. La fine delle utopie fa emergere le eterotopie e alle utopie del mondo senza spazio e piene di fini si sostituiscono le utopie dei luoghi piene di spazio e prive di fini. Per questo occorre oggi osservare i processi di ambientazione della composizione sociale in divenire:" Ma la questione centrale è che se per il ricercatore sociale è abbastanza facile seguire i processi di ambientazione e darne conto, non così semplice è delineare un passaggio possibile dagli ambienti al mondo. Qui ci si trova immersi in un limbo opaco dell'interpretazione sociale ove è difficile azzardare un giudizio sistemico sul laboratorio italiano. I luoghi, gli spazi pieni di composizione sociale e comportamenti sociali, per ora ci segnalano alcune grandi questioni che li attraversano e su cui occorre orientare l'analisi. In questo senso il Nord del paese appare sempre più "luogo eterotopico" ove si dispiega il postfordismo caratterizzato da un passaggio di centralità dalla fabbrica, dalle appartenenze, dalle ideologie, ad una centralità del territorio, dell'identità, mentre il lavoro autonomo si pone sempre più come modello culturalmente egemone sia nella versione del "fai-da-te o della "business history", sia come modello alternativo per cogliere le opportunità extrasistemiche nel produrre socialità radicalmente altra. E' inquesto contesto che si rivela pienamente il deficit della politica, ridotta a retorica della nostalgia (e non potrebbe essere altrimenti essendo problema il mondo) a fronte .dello spaesamento della modernizzazione che avanza e al processo di costituzionalizzazione della destra, ridotta a retorica del fai-da-te, unica merce dei cantori di Forza Italia, e a retorica del federalismo, che coglie la voglia di ambiente e di territorio ma che si ferma alla soglia del bisogno di mondo del soggetto. Questo è il quadro di chi ha vinto, ma mi sembra che la situazione non cambi se guardiamo alla alternativa possibile. Pare che l'unica soluzione sia ipotizzare un sistema delle regole per controllare le interconnessioni vincolanti del mercato. Non si coglie che il quesito vero, la risposta all'anomia e allo spaesamento diffuso, consiste nel ragionare e nell'ipotizzare forme possibili di interconnessione di ambienti che tendano a delineare un mondo. Necessita delineare un mondo adeguato ai tempi, non tendere solo a mettere i pantaloni al presente. Infine, la questione antropologica dello spaesamento del soggetto che, a fronte del venir meno delle appartenenze, del radicamento sociale dato dal lavoro e dall'abitare i luoghi, si ritrova di fronte come unico modello l'egologia dispiegata del competere per arrivare primo. Dalla certezza dei luoghi e delle appartenenze si è passati ai non luoghi e agli idoli simulacri delle ideologie ed è questa fase di individualismo collettivo che pone come questione l'essere in comune, cioè il ragionare tutti sulle interconnessioni sociali tendenti alle forme di convivenza. Aldo Bonomi La testata UNA CITTA' è di proprietà della cooperativa UNA CITTA'. Presidente: Massimo Tesei. Consiglieri: Rosanna Ambrogetti, Paolo Bertozzi, Rodolfo Galeotti, Franco Melandri, Gianni Saporetti, Sulamit Schneider.Redaz/one: Rosanna Ambrogetti, Marco Bellini, Fausto Fabbri, Silvana Masselli, Franco Melandri, Morena Mordenti, Massimo Tesei, Gianni Saporetti (coordinatore). COLLABORA TORI: RitaAgnello, Edoardo Albinati, Loretta Amadori, Antonella Anedda, Giulia Apollonio, Giorgio Bacchin, Paolo Bertozzi, Patrizia Betti, Aldo Bonomi, Barbara Bovelacci, Vincenzo Bugliani, Paolo Cesari, Michele Colafato, Dolores David, Liana Gavelli, Marzio Malpezzi, Clemente Manenti, Gianluca Manzi, Gaby Milic, Linda Prati, Carlo Poletti, Rocco Ronchi, don Sergio Sala. Grafica: "Casa Walden". Fotoliti: SCRIBA. Questo numero è stato chiuso il 12 dicembre '94. INTERVISTE: A Adriano Sofri: Massimo Tesei. A Giuliano Cannata: Marco Bellini. A Alexander Langer: Massimo Tesei e Gianni Saporetti. A John Moore: Marco Bellini. A Carlo Ginzburg: Massimo Tesei e Gianni Saporetti. A Ruba Salih: Gianni Saporetti. A Pietro M. Toesca: Marco Bellini e Franco Melandri. A Walburga von Absburg: Clemente Manenti. A Salvatore Buzzi: Marco Bellini. A Madina Fabbretto: Marco Bellini e Gianni Saporetti. FOTO: di Fausto Fabbri. A pag.11: di Liana Gavelli. A pag. 13: di Lothar M. Peter. In copertina: foto di Paolo Ricci Bitti. Abbonamento annuale a 10 numeri: 30000 lire. Sostenitore: 50000 lire. C.c. postale n.12405478 intestato a Coop. Una Città a r.l. - Forll Redazione: p.za Dante 21, 47100 Forlì. Tel: 0543/21422. Fax: 0543/30421 Si possono richiedere copie saggio. UNA CITTA' è alle librerie Feltrinelli. UNA ClffA' 5

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