per giorno sono un problema assolutamente secondario nei confronti di tutti gli altri. In primo luogo il freddo, in secondo luogo il pane che non c·è perché i forni pubblici funzionano col gas. C'è solo il pane che si trova dai fornai privati, quelli che hanno il forno a legna, che si arrangiano così, ma che naturalmente è molto poco rispetto al fabbisogno della città e poi costa, mentre quell'altro pane, di cui le famiglie normali si nutrono, lo si ritira coi buoni. Un pane dei privati costa un marco, cifra che sembra a noi irrisoria, ma che come sapete qui non lo è affatto. Questa è la situazione, la città è nel buio, nel gelo. Non c'è casa di Sarajevo in cui le persone non siano per così dire barricate nell'unica stanza in cui cercano di fare il fuoco con metodi inenarrabili. In una casa ho trovato una vecchia signora che stava segando l'ultima sedia di legno della sua stanza per infilarla nella stufa. La gran parte delle persone, dopo averla accesa coi cartoni che vanno raccogliendo per strada, brucia nella stufa pezzi di stoffa, di panno, feltro, che non ardono, non fanno fuoco e quindi tengono un po· più a lungo una specie di piccolo tepore, ma naturalmente non riscaldano e fanno un gran fumo. Tutte queste stanze sono piene del fumo delle sigarette che i sarajevesi fumano come fosse la realizzazione dell'ultimo desiderio di un'intera città condannata a morte e del fumo che viene fuori da congegni assolutamente commoventi Hai paragonato la persecuzione dei bosniaci aquella antisemita contro gli ebrei. Puoi parlarcene? I bosniaci si paragonano agli ebrei. E' il primo dato che dovrebbe impressionare. I mussulmani bosniaci -cosa strana per dei mussulmani, se lo stereotipo islamico funzionasse- si considerano, e si proclamano tra loro, l'equivalente contemporaneo degli ebrei, del loro destino, ivi comprese espressioni di puro sfogo, di speranza di rivalsa futura: "adesso soffriremo per chissà quanti anni, ma poi troveremo il momento del nostro riscatto, troveremo la nostra Israele". L'altro dato impressionante è che i bosniaci mussulmani vengono trattati dal mondo civile tutt'al più come un capitolo della questione islamica. Anche da questo punto di vista vengono trattati malissimo. Se si trattasse di questione islamica, che, si sa, è esplosiva e riguarda il destino dell'intero pianeta per le prossime due generazioni, bisognerebbe almeno trattarne bene il capitolo più prossimo e più esplosivo, se non altro geograficamente. Già così, i paesi occidentali che si proclamano civili, più con i quali cercano di riscaldarsi un poco. A questo punto i sarajevesi penseranno di contare solo su se stessi. Rimane tuttavia uno spazio per fare qualche cosa? Non è che rimane lo spazio, rimane la necessità estrema di fare qualunque cosa uno ritenga giusto provare a fare. Il pessimismo radicale, che in questa situazione non solo è autorizzato ma obbligatorio, non consente a nessuno poi di non fare personalmente e collettivamente tutte le cose che sono giuste da fare. Perlomeno per alzare il prezzo che devono pagare questi piccoli, mediocri, cinici titolari del potere mondiale nei confronti delle loro diserzioni, delle loro complicità, delle loro omissioni, quando non delle loro deliberate spartizioni del mondo altrui. Quindi credo che continuino ad esserci una gran quantità di cose da fare. Penso che il problema principale sarebbe riuscire ad avere per la prima volta un'opinione pubblica capace di farsi sentire nei confronti dei titolari del potere mondiale, di coloro che possono fare quelle cose che le persone, i gruppi, le associazioni, gli enti non possono fare da sé. Finora su un tema cruciale come la ex-Jugoslavia e la Bosnia-Erzegovina non c'è stata opinione pubblica. E in particolare non c'è stata in Italia, paradossalmente proprio per la stessa forza, superiore agli altri paesi, del volontariato. L'altra faccia del soccorso civile che si è esercitato nei confronti della Bosnia è ca, somatica, o di costumi, di lingua. Se io sono bianco e il mio prossimo è nero, io lo considero uno sporco negro e desidero buttarlo fuori.C'è un razzismo invece molto più profondo, molto meno controllabile e sradicabile, che tocca nervi molto più scoperti, che è il razzismo che fa odiare con tutto il proprio furore, con tutta la propria forza il prossimo sentito come simile, un altro di cui si avverte l'assoluta somiglianza con se stessi ma anche, al tempo stesso, un'eccezione, un'anomalia inafferrabile, incontrollabile, una differenza da sé che spesso si presenta come superiorità rispetto a sé. Il paradigma di questo secondo razzismo è l'antisemitismo. L'ebreo è come te, solo che spesso è più intelligente, con una vocazione artistica migliore, più capace di fare soldi, di fare affari, più cosmopolita, più mobile. quel cosmopolitismo così odiato dagli antisemiti attenti ai diritti dell'uomo, alla democra- Nei suoi confronti scatta un meccanismo zia, alle libertà, avrebbero seguito una li- sia di incapacità di distinguersi da lui sia di nea suicida, lasciando in balia delle ag- frustrazione, di impotenza, di desiderio di gressioni, della violenza bruta una specie rivalsa. E ciò spiega il particolare furore di ènclave mussulmana, di appendice isla- dell'antisemitismo. Dopodiché bisogna mica nel mondo contemporaneo europeo. inventare degli stereotipi che cerchino di La verità è che i mussulmani bosniaci non ricondurre la differenza a dati fisici, matesono un capitolo della questione islamica. rial i, connotabili, da manuale delle aberrala verità principale, secondo me, è che i zioni psichiatriche: si inventa l'ebreo dal bosniaci mussulmani, e in generale i bosni- naso adunco, si coltiva il sospetto, la paura, aci, che poi oggi sono costretti a dichiararsi l'insinuazione nei confronti del!' uso abmussulmani, spesso contro la loro stessa norme che l'ebreo fa delle sue sinagoghe, intenzione, hanno una storia, da quando delle sue letture segrete e separate, del l'impero turco se ne è andato da queste modo in cui usa il suo libro e la sua lingua terre, caratterizzata dal fatto di essere una cifrata, il suo Talmud e il suo ebraico come minoranza culturalmente, ma non ernica- territori segreti in cui si rifugia, in cui vive mente, connotata. Questo destino di mino- in esilio e trama contro gli altri. ranza incide moltissimo sulla storia delle Ma un altro paradigma meno noto, ma popolazioni, del loro modo di sentire se gravissimo, di questo tipo di razzismo è stesse e del modo altrui di sentirle al pro- l'avversione contro gli armeni, manifestaprio interno. Allora, in questa storia loro tasi nel loro genocidio ali' inizio di questo sono stati una minoranza, spesso persegui- secolo da parte dei turchi. Anche gli armetata e maltrattata. Vi segnalo un libro, ni sono una comunità che si distingue per intitolato Il genocidio contro i mussulmani la grande capacità negli affari, per la granin Bosnia-Erzegovina, scritto da Vladimir de mobilità, per un suo carattere cittadino, Dedjief, che è stato un compagno di Tito, colto, artistico, mercantile, intellettuale. un atleta formidabile, un partigiano, un Ora, con differenze evidenti e che do per comunistatendenzialmenteeterodosso,che scontate, penso che il destino della minoha scritto una biografia di Tito, che ha ranza bosniaca all'interno della situazione scritto un libro famoso sul I914, che era un jugoslava e slava sia paragonabile, non uomo notevole. Ebbene, questo volumone dico assimilabile, a quello delle altre minoè pieno di pagine di indici di nomi di ranze vittime di questo tipo di razzismo. I assassinati, di fotografie, esattamente come bosniaci sono slavi come gli altri slavi fra in altri di questi repertori tragici. Ma già il i quali vivono, addirittura parlano la stessa titolo di un libro del genere, scritto da un lingua che parlano serbi e croati. A un certo non-mussulmano, da un comunista, scritto punto della loro storia si convertono a una in anni non sospetti, negli anni '50 credo o religione diversa, ma lo fanno in un modo all'inizio degli anni '60, mi sembra un taledanonauLOrizzareun'effettivaseparacampanello d'allarme enorme. Nella sto- zione di costumi, di stili di vita. Alla fine, ria di questa minoranza, la furia dell'odio quindi, gli islamici bosniaci, quelli, cioè, che i loro vicini hanno messo in campo che hanno il nome islamico -al fondo un contro i mussulmani bosniaci è la stessa mussulmano bosniaco è uno che ha un con cui si è manifestato il razzismo più nomeislamico-hannounalingua,unacomprofondo e invincibile della storia, in par- posizione etnica, uno stile di vita e una ticolare della storia moderna. cultura moltodifficilmentedistinguibili da Schematicamente si può distinguere fra quelle degli altri, se non per una tendenziadue tipi di razzismi. Da una parte il razzi- le maggiore urbanità, spirito cittadino a smo che fa disprezzare, odiare e se possibi- fronte del carattere fortemente contadino e le cancellare, sopprimere, e violentare il rurale altrui, per una tendenziale vocazioproprio prossimo, in quanto radicalmente ne agli affari e alla laboriosità a fronte di differente da noi, un razzismo dettato da un una vocazione al burocratismo e militaririfiuto radicale della diversità, persino fisi- smo altrui, insomma, per "un cosmopoliti- B I l1otecaGino Banco stata un·assoluta rinuncia a qualunque interferenza, a qualunque influenza sulle decisioni governative, statali, interstatali, europee, della Nato, delle Nazioni Unite. Per ottenere questo naturalmente bisogna mettersi d'accordo su che cosa si ritiene giusto che avvenga. Da molto tempo so che cosa ritengo giusto che avvenga, posso solo ripeterlo: ritengo giusto che la comunità internazionale faccia pesare con la forza il suo compito di tutela della legalità internazionale e dei diritti umani in questa come in qualunque altra zona del mondo. Che quindi accetti di venire qui a misurarsi con quei banditi per disarmarli, per rispondere con una forza legale, con una forza di polizia internazionale alla loro violenza. Questo a me pare ancora un punto straordinariamente importante, dopodiché rimangono importanti una quantità di altri obiettivi minori, limitati. Tutti sanno ormai che Sarajevo vive attraverso questo tunnel incredibile, una galleria scavata nella terra attraverso cui vanno avanti e indietro le persone che devono scappare, le persone che tornano, i militari, le persone che portano il loro pacchetto al mercato, il nutrimento di un'intera città. Insomma, il polmone sotterraneo di un'intera città moribonda. Allora, le Nazioni Unite sono qui con uno spiegamento di forze, di uomini, di mezzi, una dilapidazione di denaro, uno spiegamento di macchinari, di ingegneria, di tecnologia che fa veramente un effetto smo di provincia". Sarajevo è diventata una grande città, si è gonfiata, ma è rimasta un paesone dove anche oggi si finisce per conoscere tutti, per sapere le storie di tutti. Non è una grande città moderna ma al tempo stesso questa provincia ravvicinata, domestica, confidente, per molti versi tradizionale, è attirata con una forza magnetica dal l'Occidente, dal le libertà, dal la cultura, dalle capitali europee. Ed è la combinazione di provincialismo e cosmopolitismo -non a caso questa parola stava sulla bocca degli antisemiti, era l'accusa gravissima rivolta agli ebrei, alla loro mobilità contraria ali 'umanità ariana- che spiega l'accanimento particolare di nazionalisti e razzisti serbi e croati nel voler cancellare questa specie di anomalia, d'irregolarità, di eccezione dentro la storia di questa parte del mondo. Un accanimento del tutto diverso dall'odio che contrappone fra loro serbi e croati, un odio che li rende molto simili, un odio fra concorrenti, fra rivali, fra gente che si ammazza per sopraffarsi a vicenda, ma considerandosi reciprocamente "fatti della stessa pasta", della stessa tempra. Ma quel misto di paura, di insofferenza, di rigetto e di brutalità particolare che gli uni e gli altri rivolgono contro i bosniaci ha una radice psicologica e culturale molto più profonda: l'insofferenza nei confronti di quello che è come te e che rischia di essere migliore di te o più fortunato, più capace di cavarsela con la modernità. Allora, se questa specie di schematizzazione che sto facendo ha un qualche fondamento, se la questione bosniaca non è un capitolo della questione islamica, tutto quello che sta succedendo riporta ali' incapacità assoluta della nostra cultura, -della nostra classe dirigente, delle nostre persone colte, dei nostri maestri di pensiero, dei nostri dirigenti politici- a capire cosa succede qua, a sapere cos'è la Bosnia, cos'è Sarajevo, a conoscere almeno l'abc della sua storia. Su Sarajevo i maestri del pensiero sono silenziosi in maniera atroce e, prima ancora, totalmente ignoranti di qualunque cosa riguardi la tragedia che si va consumando così distillatamente sotto i loro occhi mentre loro si voltano da un'altra parte. Considero questa cosa veramente un'aberrazione. Bisognerà prendere atto dell'assoluta incapacità di fare i conti con l'esistenza, nel cuore dell'Europa, di un' eccezione storica, culturale come questa, di affrontare, cioè, una diversità che è una similitudine, una somiglianza che è al tempo stesso una distinzione. l'orrore che si voleva superato ora è sotto i nostri occhi Tutto ciò apre una quantità di problemi enormi. Se queste cose che sto dicendo sono vere, ne deriva una specie di bancarotta, fraudolenta perché costa lacrime e sangue al le vittime, della sistemazione della storia compiuta nella seconda metà di questo secolo da parte della nostra cultura. La nostra cultura ha ritenuto di superare r orrore della metà di questo secolo, dei campi di sterminio, dello stalinismo, dei gulag, pensando di reincontrarlo sulla sua strada solo nella periferia del suo impero -in Cambogia, nelle fosse comuni del Centrogrottesco e surreale. Nelle strade di Sarajevo si vedono continuamente passare non solo carri armati, ma grandi camion. gru, trattori, il cui uso è semplicemente interno, autofago. Così come le Nazioni Unite consumano per il proprio mantenimento pressoché per intero tutto l'investimento mondiale nella Bosnia Erzegovina, consumano anche per intero tutto il proprio macchinario tecnologico per la ricostruzione quotidiana della propria presenza qui. Ora, aprire una strada come è stata la strada blu per un breve periododell"estate, scavare una galleria che, a differenza di un tunnel scavato con le mani, con la pala e con il piccone, possa essere attraversata da un normale traffico automobilistico, di camion, sarebbe il minimo. Qual è la ragione per cui non lo fanno? Perché Karadzic si oppone a che lo facciano! Capisci? C'è una galera e la possibilità che un'autorità legalmente costituita sul piano internazionale assicuri che in questa galera illegale, dove le persone sono sequestrate da banditi, sia assicurato perlomeno il vitto per i prigionieri e la comunità internazionale non fa nemmeno questo. La comunità internazionale fa molto di meno ancora. In quel punto in cui vedete, o che non vedete più perché non fa più notizia, gli snipers colpire almeno una persona al giorno, in quel punto da cui passano i tiri che ammazzano bambini nelle case, passanti, il conducente o i passeggeri del tram con quotidiana frequenza america, nel Terzo Mondo-, di superarlo e in qualche modo sistemarlo razionalmente, esorcizzandolo e sottraendolo dal proprio orizzonte possibile. La nostra cultura è vissuta, nella varietà apparente, su una uniformità di fondo delle sistemazioni della storia dell'orrore perpetrato negli anni '30-'40 in particolare. Ora, alla fine del secolo, la nostra cultura si trova di fronte a un fenomeno minacciosamente simile a quelli degli anni '30-'40 in Europa senza saperlo trattare, e quindi, nella migliore delle ipotesi, l'abbandona a se stesso, alla ferocia e alla brutalità dei rapporti di forza. Questo ha come conseguenza una rimessa in discussione radicale del problema del nostro senso del la storia del l'Europa, della cultura occidentale e liberale. Pensiamo a quante volte si è discusso, anche accanitamente, per tanti anni, in merito alla conoscenza o meno di quello che avveniva nei campi di concentramento e di sterminio degli ebrei. Ora, nella circostanza di Vukovar, Mostar, Sarajevo, Goradze, arriviamo a scoprire che sapere perfettamente, in tempo reale, in qualunque punto del pianeta, che cosa succede a Vukovar, Mostar, Sarajevo, Gorazde non impedisce in alcun modo che succeda, anzi lo trasforma in una specie di spettacolo planetario. Siamo di fronte al fallimento dell'impalcatura razionale costruita in questo mezzo secolo. L'altra faccia di questo fallimento che mi preme segnalare con grande allarme è che le persone di qui, i sarajevesi, quelli che frequento, e non gli intellettuali o gli artisti, ma soprattutto una quantità di persone comuni, stanno elaborando, di necessità, una specie di radicale cancellazione della storia ereditata in questo dopoguerra. Quello che loro stanno subendo da tre anni non è compatibile con quella storia. Tutte le loro identità sono state cancellate, un bosniaco mussulmano che sia stato partigiano, prigioniero, ferito, combattente, decorato, comunista si è visto sottrarre nel giro di pochi giorni tutte queste identità, l'intero senso della propria vita e a volte questo gli è successo quando la propria vita era vicina alla fine. E a 70 anni era difficile che pensasse di dover ricostruire non un'esistenza, ma un'anima, un rapporto con se stesso. Le persone che hanno ripetuto parole in cui credevano, in cui gli era stato insegnato di credere, sull'Europa, sui valori, hanno sperimentato da tre anni il fallimento beffardo di tutto questo. Persone che pensavano che non si sarebbe potuta ripetere l'ignominia del razzismo, dei nazionalismi sfrenati, delle persecuzioni di popolazioni per ragioni etniche e religiose, perché se ne era conosciuta l'enormità, la crudeltà, si sono accorte che invece questo avviene. E a differenza dei serbi, che, abbandonato nel giro di una notte il comunismo che era stato la loro bandiera, il loro medagliere, per tanto tempo, l'hanno rimpiazzato col nazionalismo grande-serbo tramutato in un nazional-comunismo che funziona benissimo e permette loro di continuare a detenere il potere e a rappresentare se stessi e la propria identità in maniera addirittura vittimistica, paranoica, per i bosniaci c'è una specie di tabula rasa di tutti i valori, di tutte le sistemazioni, di tutti i possibili manuali aggiornati della storia del mondo contemporaneo. Per la prima volta nei bosniaci ho avvertito venir avanti molto fortemente una tendenza a presentae puntualità da impiegati modello, durante l'estate sono stati rimossi, dalle stesse Nazioni Unite ma anche dalla gente di Sarajevoche pensava che ormai se ne potesse fare a meno, i container e le altre barriere protettive. Ebbene, in quel punto non è stato messo più niente. La tecnologia di un mondo che va sulla luna e che fa per l'appunto i tunnel sotto la Manica, non ha più fatto mettere neanche uno di quei patetici lenzuoli con cui nella periferia di Sarajevo la povera gente difende la propria casa perlomeno dalla vista dei cannocchiali dei tiratori scelti. Sapete cosa c'è che a Sarajevo segnala l'altezza della tecnologia contemporanea? Ci sono le telecamere delle televisioni internazionali che hanno messo delle postazioni fisse, al riparo del palazzo del!' ex-Parlamento, nella piazza vicino ali' albergo Holiday lnn, quella, appunto, in cui ogni giorno c'è il tiro a segno contro gli inermi, di preferenza bambini, bambine e donne. E queste telecamere sono continuamente aperte in maniera che quando uno viene ferito o ammazzato, la telecamera lo ha ripreso e lo manda nei telegiornali di tutto il mondo. Lo trovo straordinario. Trovo veramente straordinario che un passante di Sarajevo si trovi tra questi due fuochi: da una parte gli snipers che esercitano la loro professione competitiva sportiva, dall'altra parte le telecamere. Ogni giorno c'è un fortunato sorteggiato che passerà sui telegiornali del pianeta. - D re una versione, involontariamente o deliberatamente confusa fino alla provocazione estrema, della storia di questo secolo. Ma tanto più significativa perché non concordata, spontanea, perché espressa in manifestazioni superficiali, modi di dire e battute. Le stesse persone che ti dicono che il più grande uomo di questo secolo è stato Tito, cosa che in Bosnia è molto diffusa, aggiungono che bisogna ripensare al ruolo che ha avuto Hitler nella storia dell'Europa, ti dicono che se Hitler non avesse avuto la maniacale volontà di sterminare gli ebrei non avrebbe avuto tutti i torti. Persone ti salutano scherzando per strada dicendo "Heil, Hitler". Sto dicendo cose molto pesanti che sicuramente i farabutti equivocheranno a loro vantaggio, ma sto dicendo cose che mi sembra capitino. E' in corso una specie di revisionismo storico che non consiste nell'equiparare nazismo e stalinismo, che sarebbe un'acqua di rose, che consiste in qualcosa di più profondo, deliberato e confuso, nella volontà di sfregiare qualunque sistemazione di questo passato. Perché nella realtà qui quel passato è stato sfregiato e violentato interamente. lo dico che l'atteggiamento di chi è responsabile della vita di questa popolazione, e in fondo del destino del mondo, ma anche della propria popolazione e di se stesso, sta covando negli scampati della Bosnia una radicale destituzione di senso della cultura ereditata da questa fine di secolo. un luogo dove • r1mangono solo le storie Queste cose sono confuse nella mia testa, sono ~olo l'oggetto di questa mia esperienza senza importanza, ma ho trovato in persone molto brave, con un passato glorioso, una gran quantità di sintomi di una voglia, per così dire, di far morire Sansone con tutti i filistei. C'è una battuta su Sarajevo, da me deplorata pubblicamente in una riunione, sia pure con buona educazione, che circola ormai da tanto tempo: "sai qual è la differenza fra Auschwitz e Sarajevo? Che a Sarajevo manca il gas". Ma col tempo che passa per i sarajevesi quella freddura diventa sempre più vera. Il loro assedio, la loro prigionia, la loro umiliazione durano da 1000 giorni. Il 27 gennaio sono i 1.000 giorni dell'assedio e ci si prepara a rappresentare simbolicamente e spettacolarmente i record della situazione sarajevese. Si preparano già i manifesti, i poster, le assemblee, gli spettacoli, le canzoni. Ma l'espressione "i 1.000 giorni dell'assedio di Sarajevo" è un'espressione veramente innocua, sembra un qualunque giubileo. In realtà quei 1.000 giorni sono 1.000 notti. E se uno sa cos'è una notte di Sarajevo, quanta fatica costa cercare di accendere un fuoco, quanta fatica costa cercare di procurarsi una candela, allora ti vien da pensare che fra poco saranno le mille e una notte di Sarajevo. Di un luogo, cioè, in cui la storia sembra aver fatto bancarotta totale e le storie sembrano rivatersi di essere state considerate una cosa minore. Di un luogo dove le storie la vincono di gran lunga su una storia totalmente squalificata. Di un luogo dove rimangono solo le storie. Poi l'Unprofor andrà via, tutto andrà via e rimarrà solo Shahrazad. UNA ClffA' 3
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