Una città - anno IV - n. 37 - dicembre 1994

• storie B1 ATT ERSO LE IDEE Una ragazzina di destra nella Padova degli anni '70. Il romanticismo dello stare insieme da assediati. Gli stereotipi del sanbabilino e del machismo fascista. La diversità di sentirsi istriana. L'esperienza di apertura della Nuova destra e il bene della libertà intellettuale. Intervista a Madina Fabbretto. Madina Fabbretto, istriana, nata e vissuta a Padova,fa ora la giornalista a Roma. Allora ho sempre fatto quel che dovevo fare, volantinare, parlare in assemblea, ma avevo paura di essere picchiata. Il primo volantinaggio è stato abbastanza comico perché, avendo parlato a questa assemblea, mi avevano detto che sarei stato il loro baluardo nella succursale del liceo dove studiavo, mi affidarono un pacco di volantini. Dissi che era una cosa che non avevo mai fatto, mi risposero di non preoccuparmi: "ti mandiamo noi uno che ti protegge stando vicino a te". Ci siamo trovati alla fermata dell'autobus e questo era un ragazzino minuscolo, piccolissimo, e ricordo che pensai che se era quello a dovermi proteggere, eravamo finiti. Poi non successe niente e distribuii i miei volantini. Altre volte, invece, mentre stavo volantinando davanti alla mia succursale che stava vicino ad una scuola di sinistra, il volantinaggio non arrivava al quindicesimo volantino, tutto andava per aria e spesso finiva a botte. E quando c'è una scazzottata, beh succede, non era gran cosa, solo che trovarsi sola, circondata da quindici persone ... Ma personalmente non ho mai subito aggressioni gravi perché anche a sinistra non si picchiavano le donne, qualche calcione, ma volante ... Però, a ripensarci ora, si creavano situazioni molto brutte e infatti da lì poi si sarebbe passati ai coltelli, alle pistole. Ora penso che quello sia stato il banco di prova di un certo modo di fare: il fatto di prendersela con un fascista, il passo dopo potevi prendertela con un poliziotto, con un magistrato. E lo stesso a destra. Quel che mi ha spinto ad avvicinarmi ai gruppi di destra era il fatto che nella mia scuola, il liceo scientifico Nievo, come, del resto in tutta Padova, quelli di destra erano "quelli con cui non si doveva parlare", coi fascisti non si parla. E allora io volevo stare con quelli con cui non si parla, con gli appestati, gli intoccabili, e trovavo che questo fosse molto romantico. L'idea di sentirsi un po' assediati era un collante molto forte, essere guardati in un certo modo, essere considerati degli appestati, credo ci unisse molto. La prima volta che parlai in un'assemblea suscitai un grande scalpore perché non si era mai vista una ragazzina di destra, piccola e di prima, che parlasse ad un'assemblea generale. Erano tutti esterrefatti perché, fra l'altro, l'assemblea era stata indetta da quelli di sinistra. Era il '74, anni in cui Padova era una città molto calda anche perché, essendo una città piccola, ci si conosce tutti. Quando camminavo per strada pensavo sempre di vedere qualcuno che mi additasse ad altri, per anni quando passavo in certe zone mi guardavo alle spalle perché avevo paura. Sì, a Padova era pericoloso, era una città naturalmente violenta e questa violenza era nell'aria ed è esplosa poi in modo tragico, ma io ho sempre cercato di tenermi da parte da questo aspetto perché non amavo l'aspetto militaresco, non l'ho mai amato e forse non era affatto uno degli aspetti più importanti. La politica è stata la mia vita per anni, ma non ho mai fatto cose che avessero a che fare con la violenza. Certo, adesso si ricorda quel periodo solo per quello, per gli aspetti negativi, tutti quegli anni sono ormai solo "anni di piombo". E certo, a distanza di tempo, penso di aver rischiato più di quanto non mi fossi resa conto allora, nel senso che allora eravamo presi dal sacro fuoco ... Poi io sono istriana e questo mi ha innuenzato tantissimo, ma non tanto perché gli istriani fossero fascisti come recita il luogo comune, ma perché essere di una famiglia istriana è qualcosa di particolare. Ti senti orgogliosa della tua storia e c'è anche un po' l'orgoglio di essere diverso dagli altri. Ho sempre pensato di dover fare il contrario di quel che fanno tutti. Ce q, mio padre era fascis~a anticonformista, aveva fatto il partigiano e nelle discussioni vantava sempre la sua decorazione e fu dopo la guerra che divenne, come pure mia madre, un convinto anticomunista perché l'esperienza coi titini era stata allucinante. Già mio zio, però, è rimasto sempre socialista e ancora oggi si batte per la causa istriana. Se gli istriani se ne sono andati non è perché fossero fascisti ma perché erano italiani ed avevano paura di essere uccisi, nelle foibe non ci sono finiti i fascisti, ci sono finiti gli italiani. Mia madre è scappata che aveva 12 anni e non poteva certo essere fascista, mio nonno non era mai stato fascista, e l'Istria prima della guerra non era una regione particolarmente fascista, anzi. Questa diversità segna anche la vita quotidiana di una famiglia perché non hai radici in una città. Anch'io, che sono nata e cresciuta a Padova, non mi sento padovana e non lo sono. E allora, fra l'altro, quando dicevi che eri istriana ti chiedevano "croata?". E tu dovevi dire: "no, italiana". Per tanti anni nessuno sapeva quello che era successo in Istria dopo la guerra, le foibe sono successe a guerra finita, '46, '47, ma nessuno sapeva nemmeno cosa fossero. E questa diversità te la senti in occasione delle nascite, delle morti, dei matrimoni, perché si mette in moto una rete di contatti che vanno da Bolzano a Salerno, è un' intera famiglia dispersa che risale sempre alla sua origine e si parla dialetto istriano sovrapposto agli accenti nuovi acquisiti. Per mio padre il fatto di dover vivere lontano da Rovigno è sempre stato un tormento, lui non si è mai rassegnato, ha sempre tenuto contatti, scritto sui giornali degli istriani, ci ritornava spesso, ha cercato di mantenere viva la cultura e la lingua. Per gli esuli il fatto di tenere i contatti con la comunità italiana in Istria è fondamentale perché se no ci chiudiamo nel nostro microcosmo, continuiamo a dire "che dolore l'esodo", ma perdiamo il contatto con la terra. Rovigno per me bambina era il mondo delle fiabe perché sentivo sempre parlare di questo posto bellissimo, dei personaggi che lo popolavano, della vita che c'era prima, mi ero fatta un'idea, nella mia fantasia, come se fosse il castello di Biancaneve e quando, a sei anni, ci sono andata per me era come essere caduta dentro una fiaba. Fra l'altro non c'era niente, non c'era un albergo e questo lo rendeva più magico. Adesso è turisticizzato al massimo, pieno di tedeschi e vedevo che a mio padre gli si spezzava il cuore ad andarci, si arrabbiava e veniva via dicendo regolarmente "basta, non ci torno più". Ma noi sapevamo che ci saremmo tornati. E se anch'io dovessi dire di dove sono, direi che sono di Rovigno perché è il posto che sento più mio anche se non so parlare croato. E poi là è rimasta una forte comunità italiana, c'è ancora tanta gente che ha conosciuto mio nonno, che era direttore d'orchestra e maestro di violino, e quando dico che sono la nipote del maestro Fabbretto mi offrono da bere perché era una città molto piccola e si conoscevano tutti. Poi làè rimasto il fratello di mia madre,che senza mai essere stato comunista è sempre rimasto di sinistra e impegnato politicamente e che continua a battersi per l'istrianità, non per l'italianità dell'Istria che è una cosa diversa. Adesso si sta battendo con la Dieta democratica istriana che vorrebbe fare del l'Istria una regione autonoma delle tre etnie autoctone. Ma questo con Tudjman è difficile perché è un nazionalista sfegatato, è uno che è riuscito a dire che Marco Polo era un croato. Credo che i giornali croati abbiano pochissima libertà e che il regime di Tudjiman sia una specie di regime totalitario. Ma questo in Italia non viene detto perché l'Europa ha un rapporto privilegiato con Zagabria. Tornando alla mia militanza di destra. lo ricordo malvolentieri il periodo più san- Q,'oso, perché in un modo o nell'altro ci ha coinvolto ed è stato per tutti, per le vittime prima, ma anche per i carnefici, un periodo orribile, un bagno di sangue che non si può ignorare. Non credo sia stato un periodo della storia patria di cui andare troppo orgogliosi, nemmeno come nazione.Quest'esperienza ha coinvolto in modo brutale molte persone, ci sono persone che sono andate in prigione, e di quelle esperienze c'è chi ne ha fatto tesoro e chi ne è rimasto segnato. Ad un certo punto bisognava scegliere e le distanze bisognava prenderle in modo molto deciso e determinato se volevi farti capire. Quando qualcuno prendeva una strada equivoca, che non era chiaramente contraria a tutto quel che poteva essere lotta annata, non poteva essere più un interlocutore. Quando ci fu il processo del 7 aprile fummo chiamati da Calogero come testimoni, ma non abbiamo voluto sottoporci e prestarci a diventare lo strumento di una logica che stavamo combattendo e allora abbiamo scelto un'altra strada. Cosa è successo? Una cosa un po' strana. Se noi avessimo testimoniato -e se ti chiama il pm non puoi non testimoniare, devi andarenon avremmo avuto diritto di parola, avremmo dovuto solo rispondere alle domande e basta, senza avere parte attiva. Se ci fossimo costituiti parte civile, come ci avevano chiesto, saremmo stati soggetti attivi potendo dire la nostra. Allora ci siamo, seppur di malavoglia, costituiti parte civile perché era l'unico modo per non diventare puri strumenti del pubblico ministero. E abbiamo deciso di chiedere un risarcimento simbolico di una lira, delegando il nostro avvocato a dire qual era la nostra posizione. Poi esclusero le parti civili dal processo e noi diffondemmo un comunicato stampa per illustrare la nostra posizione e tutto finì lì. Io penso che alla base di queste simpatie non ci fosse un'analisi storica approfondita, certamente noi non eravamo dei naziskin o delle persone che odiavano gli ebrei. Potevano colpire la nostra fantasia certi aspetti, ma non eravamo dei nazisti. Io il Mein kampfnon l'ho mai letto, né mai lo leggerò; io ho letto Nietzsche e mi sono appassionata; quando ho cominciato a fare una riflessione su quel tipo di esperienza mi sono più appassionata agli autori della rivoluzione conservatrice, che con l'esperienza storica nazista hanno avuto dei pessimi rapporti, e adesso mi ci sento ancora più vicina, visto che con l'attuale sistema politico italiano non abbiamo nulla a che spartire. Sinceramente credo che non ci colpisse nulla del nazismo. Del fascismo ci piacevano le ong101 come movimento, questo tentativo di realizzare qualcosa che non fosse né socialista né capitalista, il sindacai ismo rivoluzionario, l'origine movimentista, non certo il regime. Ma poi non eravamo molto ideologizzati, nella fase della politica militante era pura passione. Non eravamo inquadrati politicamente, né eravamo fanatici del nazismo. Certo, c'erano anche quelli, ma credo che neanche per loro si trattasse di una condivisione ideologica profonda, ma di infatuazione estetica. E certo non ci riconoscevamo neanche nel l'immagine del sanbabilino, perché non eravamo ricchi, belli, potenti, noi eravamo sfigati, poveri, e ci prendevamo un mucchio di botte. Non avevamo le macchine grosse, noi andavamo a volantinare facendoci prestare la 500 del cognato di non so chi ... Queste persone non avrebbero mai potuto mescolarsi con noi perché la nostra vita quotidiana era diversa: mi ricordo che mia madre mi diceva "quando ti compri un tailleurino?". Allora l'idea di fare come le mie coetanee, che a 16 anni cercavano di essere un po' squinziette, per me era un cedimento alla mentalità neocapitalista: maglione a V e camicia sotto e basta, tutto il resto era immorale. Poi scarpe da ginnastica e jeans erano anche molto pratici perché se dovevi scappare ... coi tacchetti era finita. Ma devo dire che non mi pento affatto di aver considerato ripugnante vivere per trovarsi di fronte allo stesso bar o per fare l'ochetta per attirare un maschio più appetibile. Non lo facevo allora perché avevo queste convinzioni radicali, non l'ho fatto dopo perché ho visto che avevo ragione. Quando mi sono iscritta all'Università ho poi preso un'altra strada, facevo ancora politica, ma non politica attiva in un partito, seguivoquellachechiamavamo laNuova Destra, anche se ora è un termine che genera confusione perché uno pensa a Marcello Veneziani. Il primo convegno della Nuova Destra è stato nell'8 I e lì per noi il Msi non aveva già più nulla da offrirci a livello politico. L'esperienza della Nuova Destra è stata bella perché ha raccolto da tante città d' Italia persone che individualmente avevano sentito l'esigenza di affacciarsi a qualcosa di diverso, che dicevano: "ora di questa esperienza, di questa voglia di fare che cosa ne facciamo?". E quell'esperienza per molti di noi non è stata vana perché adesso ciascuno risponde alla sua coscienza e questo potrà anche essere considerato un ritorno al privato, ma scoprire l'altro da sé è stata la svolta della nostra formazione politica. Recuperare faticosamente e fortunatamente il valore della tolleranza, che non era nei nostri cromosomi, ci ha dato molto perché ci ha fatto scoprire l'altra parte. Così ciascuno è riuscito a andare avanti, a dare un senso anche a quell'entusiasmo giovanile. Quello che noi abbiamo abbandonato, altri no, è la convinzione di essere i migliori. Quando facevo politica ero convinta che fossimo migliori degli altri. Questa è stata la svolta che ha segnato l'allontanamento da quel mondo. abbiamo un gruppo, una struttura cui dobbiamo rispondere per dire "io ho fatto questo", ma penso che ognuno continui a suo modo a far politica. Il mio obiettivo non è il potere, il seggio in parlamento, quanto creare una situazione nella quale riuscire ad agire nella società civile. Non mi sento una sconfitta perché non faccio parte di alcun partito, tutt'altro, questo per me non è una rinuncia. Certo è una strada più difficile. Quindi quell'esperienza è per me completamente finita, ma non mi sento di aver cambiato bandiera, ho avuto un'evoluzione e sono diventata una cosa molto diversa, ma quel che ho fatto allora, l'ho fatto con tutto il cuore, l'ho trovato appassionante. Credo di aver sentito per un certo tempo questo famoso senso di comunità su cui si è ragionato molto anche a sinistra. Penso che ci sia stato anche perché eravamo molto diversi da come eravamo dipinti: non andavamo in giro a spaccare le teste, noi donne non eravamo modello Lilì Marlène e gli uomini non erano affatto dei machi, ma tutto il contrario, ci piaceva leggere libri. E a questo proposito devo direcheneancheall'internodel Msi ho mai avvertito nessuna ombra di maschilismo. Il maschilismo e la misoginia li ho incontrati dopo, nel mio lavoro, anche da parte di colleghi che si reputano di sinistra e me ne sono stupita. Ma allora, nella politica, ci dividevamo i compiti in modo paritario e potevo dire a uno di andare lì a fare una cosa senza che ci fosse un problema perché ero una donna. Questo non c'è mai stato. Penso che i rapporti fra noi fossero quelli di un gruppo di persone che avevano un motivo di più per stare insieme che non fosse semplicemente quello di trovarsi per andare a ballare, come normalmente si fa a 1617 anni. Pensavamo di avere un grande ideale, una grande missione da svolgere, e questo ci legava molto·. Il fatto poi che questo slancio e questa passione siano stati per certi versi sfruttati politicamente in un modo molto discutibile e che per altri la storia sia finita veramente male, è dipeso da qualcosa che ci sovrastava e di cui ali' epoca non ci siamo resi conto. E la cosa curiosa è che dopo essere passati, come generazione, attraverso una guerra che, certamente, non è stata la seconda guerra mondiale, che forse ci avrebbe stroncato, la vera differenza sta fra chi quella guerra, in qualche maniera, in buona fede, l'ha combattuta e chi se n'è rimasto ad aspettare per vedere come sarebbe andata a finire, non fra chi l'ha combattuta da una parte e chi l'ha combattuta dall'altra. Fra questi ultimi c'è quasi un idem sentire. lo ho sposato uno di sinistra, su tante cose siamo d'accordo, su tante altre no e su altre ancora litighiamo, ma mai avrei potuto sposare uno che dicesse "a me che me ne frega, vado in palestra e voto Berlusconi", perché non avrei saputo cosa dirgli. Poi, certo, è stato anche un fatto generazionale perché ad un certo punto non puoi continuare a distribuire volantini ed attaccare manifesti: o cominci a fare politica seriamente o cerchi delle altre strade. E poi l'ondata degli anni di piombo aveva reso più scottanti certi interrogativi, sia per il Msi, che secondo me li ha ignorati, sia per noi. Ma nessuno di noi si è arreso, ognuno cerca di dire quello che ha da dire però ora ognuno risponde alla sua coscienza. Non Ma all'epoca io mi sentivo la città in mano, l'aria era frizzante intorno a me ed ero felice di quel che facevo. Me ne sono accorta dopo, di essere parte di uno scacchiere più grande, e quando ci si accorge di cominciare a dire qualcosa che ormai non si pensa più ti devi fermare un attimo prima. E ora io intellettualmente voglio essere nomade, come diceva Breton, voglio attraversare le idee come si attraversano paesi e città. Adesso io posso farlo e credo che questa sia un'esigenza sentita da più parti, sia a sinistra che a destra. -

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