.. ( di un annivers • r,o la giustificazione del potere in vista della situazione ambigua, contraddittoria, della nostra realtà -per cui noi siamo capaci, ma anche incapaci-, è una giustificazione che si rovescia nel suo contrario. Secondo me il problema è proprio quello di riuscire a concepire una società fondata su un tipo di potere che non sia concentrato, ma diffuso, cioè un potere moltiplicato a livello di una serie di situazioni che vengono dal basso, che si autocontrollano. Situazioni che sono la possibilità che ognuno di noi ha di esprimere la sua personalità ed è una possibilità che non sta semplicemente nelle nostre attività individuali (ad esempio nell'attività economica individuale in funzione dell'arricchimento), ma sta nella possibilità di gestire un rapporto dialogante con gli altri. Ma il dialogo con gli altri oggi è mediato dalla tecnologia. Questa questione rimanda al discorso sull'homo sapiens cui accennavo prima. L'homo sapiens è quell'essere che affronta il problema della sua sopravvivenza in termini di allargamento delle proprie possibilità e quindi organizza, costruisce, inventa le tecnologie con cui ampliare la sua capacità inventiva, la sua capacità di provvedere ai beni di cui ha bisogno. Tutto questo vale fino a che non vengono toccati certi limiti, oltre i quali le tecniche inventate diventano predominanti, impongono la loro logica, e non sono più, come per il potere, funzionali e significative proprio per l'espansione delle nostre possibilità. Il momento in cui avviene questo cambiamento è, storicamente, quello in cui la tecnologia assume delle capacità non più a misura della espansione possibile delle capacità dei singoli uomini. Nell'Antologia di Spoon River c'è una bellissima poesia che parla di un ometto anziano che guarda dalla finestra i macchinari di tutti i tipi che aveva comprato e che aveva lasciato arrugginire perché per il suo piccolo podere erano dei macchinari spropositati. Il vecchio fa il parallelo fra quei macchinari e la sua esistenza ormai alla fine e quei macchinari gli appaiono come il segno del suo fallimento perché anche sulla sua vita aveva fatto dei progetti spropositati, in vista di capacità e di necessità che non aveva. La stessa cosa accade quando la tecnica assume delle capacità inventive sproporzionate, non riconducibili in alcun modo alla identificazione di ognuno, alla sua realtà. Perché gli uomini che vivono nelle metropoli (e quando parliamo di metropoli parliamo del luogo in cui si concentrano tutte le professioni possibili, tutti i divertimenti possibili, tutti gli incontri possibili) sono afflitti da nevrosi, scontenti, sempre di corsa? Perché hanno perduto iIsenso della complessità della vita, il senso dei colori, dei suoni, tutto è ingrigito proprio perché l'identificazione di sé viene posta nella grandedisponibilità di mezzi, nellagrande possibilità, nella grande offerta, nella grande prospettiva di mille identificazioni, ma questa grande disponibilità è generica, è data a tutti e a nessuno, non ha significati specifici. La civiltà tecnologica è quella in cui l'interpretazione della nostra materialità è attuata da una logica produttivistica, non legata ai nostri bisogni. In questo senso noi viviamo nell'epoca dell'homofaber, dell'uomo che si realizza soprattutto nel fare, ma è un fare che in qualche modo è ucciso dalla sproporzione degli strumenti che ha a disposizione. E' in questo senso che dobbiamo, senza false nostalgie, ritornare all 'identificazione dei limiti, dei termini, che non riguardano soltanto ilproblemadel1'esaurimento o meno del le risorse, o la sostenibilità dei nostri progetti sulla natura, ma riguardano soprattutto la sostenibilità dei nostri progetti rispetto a noi stessi. Cosa mi fa a me, come a miliardi di altre persone, che ci sia la possibilità di andare sulla luna, quando, evidentemente, sulla luna ci andrà uno al posto mio, in mia rappresentanza? Mi importa molto di più che tutti mangino, che tutti possano andare a vedere S. Gimignano, Faenza, Roma, che tutti possano viaggiare. La storia, poco conosciuta, del picnic che contribuì a cambiare la faccia dell'Europa e certamente evitò una Tien An Men europea. Una volta aggirato, il muro cadde da solo. Intervista a Walburga von Absburg. Il primo pezzo del muro di Berlino cadde a Sopron, una piccola città ungherese al confine con l 'Ausrria, il 19 agosto di cinque anni fa: 82 giorni prima del 9 novembre 1989. A vibrare il colpo d'ariete -la circostanza è poco nota-fu la giovane granduchessa Walburga von Absburg, discendente della Casa d'Austria. L'occasione fu un picnic sul confine austro-ungherese, organizzato dall'Unione Paneuropea di Otto von Absburg, per festeggiare una ritrovata amicizia: nella primavera di quell'anno il governo ungherese, insieme alla complera libertà di viaggiare concessa a tutti i cilfadini, aveva deciso la revoca di un antico decreto che dichiarava "persona non grata" nella Repubblica Magiara ogni membro della famiglia imperialregia degli Asburgo. Il pic-nic doveva essere un incontro tra amici austriaci e ungheresi, ma all'appunramenro si presenrarono anche 661 cilfadini della Deursche Demokrarische Republik che si trovavano a passare di lì. Walburga e i suoi amici non ne furono sorpresi. Fu la prima fuga di massa di tedesco-orientali in Occidente da dopo la costruzione del muro. L 'aff7usso di "turisti" tedesco-orientali in Ungheria era cominciato diverse ser- (imane prima. La spinta l'aveva dara 1'8 giugno il delfino di Honecker, Egon Krenz, con un messaggio di solidarietà ai dirigenti cinesi per "il ripristino della sicurezza e del l'ordine mediante l'impiego delle Forze Armare". Era un affronto aperto allapolitica di Gorbaciov, e insieme una chiara promessa ai cilfadini della Ddrdifaredi Alexanderplarz una nuova TienAn Men. A questo scopo fu mandato a Pechino il generale Horsr Brunner per conferire col suo collega Yang Bai Bing, che aveva guidato le operazioni sulla Piazza del Celeste impero. Come le venne l'idea? L· idea del pic-nic è nata una sera di giugno del 1989 in un ristorante di Debrecen. C'erano state le elezioni europee e subito dopo mio padre è partito con meper l'Ungheria, dove non eravamo più "persone non gradite". Lo scopo era quello di raccontare agli ungheresi cosa potevano significare per loro quelle elezioni. quali deputati del nuovo Parlamento Europeo potevano adoperarsi per l'Ungheria, e così via. Questo, suo padre voleva farlo nella sua qualità di deputato europeo? Sì, ma anche come ispiratore del1' Unione Paneuropea, perché le manifestazioni alle quali era stato invitato erano organizzate dall'Unione Paneuropea di Ungheria e dal Forum Democratico. Così è stato anche per la manifestazione all'Università di Debrecen, nell'Ungheria Orientale. Mio padre ha parlato di Europa agli studenti e agli altri convenuti, poi siamo andati a cena in un locale di Debrecen. Si è discusso di cosa fosse possibile fare per rendere manifesto il desiderio dell'Ungheria di entrare in Europa, ed è venuta fuori l'idea di un pic-nic sul confine austro-ungherese, che è sembrata a tutti una buona idea. I partecipanti sarebbero stati soprattutto gli aderenti all'Unione Paneuropea del1' Austria e dell'Ungheria, e quelli del Forum Democratico di Sopron, dove si sarebbe tenuto il pic-nic, e di Debrecen, dove l'idea era nata. E lei sarebbe stata la madrina? lo mi sarei fermata per qualche mese a Budapest per fare un corso di lingua, potevo quindi seguire da vicino i preparativi. Chi altri venne informato? Prima di tutto fu informato il governo ungherese, che allora era ancora comunista, ed in particolare il Ministro senza portafoglio lmre Pozsgay, ilquale si dichiarò senz' altro pronto ad assumere il patrocinio del picnic, ma disse subito che non avrebbe potuto partecipare di persona il 19agosto ... La data era già stata fissata fin dall'inizio? Fin dal primo momento, perché il 19è la vigilia della Festa Nazionale ungherese, quindi era più facile organizzare la partecipazione, ma soprattutto era una data di significato simbolico. A lmre Pozsgay chiedemmo anche consiglio circa il nostro proposito di tagliare un pezzo della cortina di ferro con delle cesoie, e lui ci disse sì, tagliatene pure un po', però non troppo ... del resto questa idea non era poi così inaudita, perché proprio inquei giorni Alois Mock e Gyula Horn, ministri degli esteri austriaco e ungherese dell'epoca, avevano tagliato simbolicamente la cortina di ferro, anche se in un altro punto del confine. Così noi pensammo di ripetere il loro gesto, e fu scelto per questo un punto dove in passato c'era stato un normale passaggio di frontiera, chiuso ormai da molti anni. L'idea, che fu discussa con alcuni funzionari della polizia di frontiera, era che in quel punto noi avremmo tagliato la rete e loro sarebbero stati presenti per porgere agli austriaci dei visti già preparati... allora infatti noi pensavamo che molti austriaci sarebbero entrati a piedi per prendere parte al picnic che si teneva in territorio ungherese ...Questo era il programma del mese di giugno. Poi la situazione è cambiata. Completamente cambiata, perché già in luglio è cominciato I' afflusso di turisti della Rdt verso l'Ungheria e laCecoslovacchia, e allora ci siamo detti che forse loro potevano essere interessati a partecipare al nostro pic-nic e abbiamo cominciato a distribuire inviti in forma di piccoli volantini e autoadesivi (Picnic a Sopro11, 19 agosto, ecc.) soprattutto a Budapest, dove io mi ero fermata per il corso di lingua. Abbiamo attaccato gli adesivi su tulli i ponti, ma anche a Zugliget, nella zona dell' ambasciata tedesco-occidentale dove unprete cattolico aveva organizzato unaspecie di campo profughi, e nei campeggi sul Plattensee. Nei punti dove si concentravano i tedesco-orientali poi abbiamo distribuito anche delle carte della zona di Sopron, perché la gente sapesse esattamentedove andare. Esiamo andati avanti fino a fine luglio-inizio agosto. Ma a quel punto si poteva parlare ancora di azione simbolica? Nonha temutoche il vostro picnic potesse finire in un bagno di sangue? Quando ci siamo resi conto della dimensione che la cosa stava prendendo, ci siamo detti mio Dio, possiamo assumerci un rischio simile? E quattro o cinque giorni prima del pic-nic abbiamo detto no. dobbiamo annullare l'appuntamento, non possiamo rischiare di mettere a repentaglio la gente ... Ma ormai era troppo tardi, perché non avremmo potuto in alcun modo raggiungere tutti quelli che nel fra11empoerano venuti a sapere della cosa, e alla fine abbiamo deciso: lo facciamo lo stesso! A quel punto naturalmente sapevamo che tagliare il reticolato e aprire il confine non sarebbe più stato un gesto simbolico. Per fortuna due giorni prima della data fissata gli ufficiali dcli' Armata Rossa e la truppa sovietica che stazionava al confine furono ritirati da tutta la frontiera occidentale, che quindi era rimasta affidata ai soli ungheresi. Questa era una notizia incoraggiante. Pensa che si sia trattato di una coincidenza? Non credo, i sovietici erano certo al corrente del picnic, ed è probabile che abbiano voluto sottrarsi a una posizione imbarazzante. Così la mattina del I 9 prima dell'alba sono partita da Budapest verso Sopron, dove c'è stata una conferenza stampa, con pochissimi giornalisti presenti, e poi da lì siamo andati al confine. Siamo arrivati in macchi- :~~ .i . ,r / ~·--1' --~ /' . · .. _ .. ,. i r~ </, 'i") ,. t na fino a un centinaio di metri, poi sono scesa e mi sono messa a correre seguita da tutti gli altri, a quel punto non ho più pensato assolutamente a niente, non avevo un'idea neanche di quanta gente mi seguisse. Sono arrivata al reticolato e lì insieme al capo del Forum Democratico di Debrecen abbiamo tagliato la rete a destra della cancellata, dove una volta era il punto di controllo. Da quel varco sono passati i primi, che poi hanno aperto la cancellata dal l'interno, nella fascia di terra di nessuno, che è ancora in territorio ungherese, e oltre al quale c'è un altro reticolato e un'altra cancellata. La polizia di confine ungherese era in questa zona di nessuno tra idue reticolati;gli agenti si sono voltati dall'altra parte. Appena passato il grosso che di corsa si è lanciato nella terra di nessuno, una massa impressionante che non sapevo valutare, io sono andata dal le guardie per ringraziare e complimentarmi. Uno di loro, il comandante, mi ha detto: «guardi, avevamo tre possibilità. La prima era sparare sulla folla e questo non lo volevamo. La seconda era cercare di fermarli, ma noi siamo in sei e loro più di cento. La terza possibilità era voltarsi dall'altra parte, ed è quello che abbiamo fatto». Poi mi ha chiesto un autografo per ricordare quella giornata storica, e io ho dato il mio autografo a tutti e sei con tanto di luogo e data sui formulari che loro avevano preparato per i visti. Così si è conclusa la giornata ... No, non ancora. Passati i tedescoorientai i, sono tornata indietro con gli altri organizzatori fino al luogo stabilito, nel punto dov'è una torretta di avvistamento, e abbiamo cominciato i preparativi per il picnic, con le tovaglie, i cestini, le salsicce, la birra, il vino, la musica, coi motociclisti che facevano la staffetta, gli austriaci con un gruppo di cavalieri che sono arrivati al confine a cavallo, la banda degli ottoni, insomma tutto quello ·ctie era stato previsto. Ancora noh si aveva un'idea di quanta gente fosse passata. Solo alla sera, tornata a Budapest, ho ricevuto una telefonata dall'Ambasciata tedesco-occidentale e ho appreso che erano 66 I i tedesco-orientali arrivati in Austria. L'indomani, giorno di Santo Stefano e festa nazionale in Ungheria, sono andata con mio cugino alla messa solenne celebrata dal Primate di Ungheria nel Duomo di Santo Stefano. La prima fila era interamente occupata dal Governo comunista al gran completo. Dopo la messa c'è stato un pranzo e mi sono incontrata col Presidente della Repubblica, Bruno Straub, con lmre Pozsgay e con altri ministri, compreso Gyula Horn. Invece del gelo che mi aspettavo, ho ricevuto i complimenti di tutti per la magnifica riuscita del picnic. • La fuga di Sopron innescò una reazione a carena. Il numero dei redesco-orienrali continuò ad aumentare di giorno in giorno. Di rientro dalle ferie in Romania, Bulgaria, Cecoslovacchia, anziché versocasa si dirigevano in Ungheria. Allpfine di agosto erano più di 10 mila. La reazione di Berlino Est agli avvenimenti di Sopron fu in linea col messaggio dei cinesi. "li popolo tedesco non viperdonerà ciò che è accaduto" dichiarò l'ambasciatore Gerd Vehres al Ministro degli esteri ungherese Gyula Horn presentandogli una nota di protesta. In essa si denunciava il mancato rispelfo di un accordo bilaterale del 1969, che vincolava i due governi a far transitare i cittadini dell'altro staro solo verso i paesi che stavano scrilfi sul loro passaporto. A titolo di riparazione, la Ddrprerendeva il rimpatrio forzato dei tedesco-orientali che soggiornavano in Ungheria e minacc- . iava la rolfura dei rapporti diplomatici. Gyula Horn, che riferisce di questo colloquio, respinse seccamente l'ultimatum. "Né tu, né il tuo governo siete in condizione di profferire minacce" rispose a Gerd Vehres.ll31 agosto Gyula Horn si recò personalmente a Berlino Est, per comunicare la decisione del suo governo: "l'accordo bilaterale sarà dichiarato decaduto inforza dei deliberati della Csce sui diritti umani, dalla mezzanotte del IO se/fembre ogni cilfadino della Ddr in territorio ungherese sarà libero di varcare il confine che vuole". Il 9 se/fembre il governo ungherese informò ufficialmente anche le autorità sovietiche. Fra l' I 1 e il 14 settembre, 15 mila tedesco-orientali arrivarono inAusrria dal 'Ungheria. Clemente Manenti SOFTWARE - SYSTEM HOUSE CENTRO ELABORAZIONE DATI CONSULENZE INFORMATICHE CONSULENZE DI ORGANIZZAZIONE CEDV CORSI DI FORMAZIONE Soc. Coop. a r.l. Via A. Meucci, 17 - 47100 FORLI' Tel. (0543) 727011 Fax (0543) 727401 Partita IVA 00353560402 s·o110 eca 1no anco UNA CITTA' 13
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