Una città - anno IV - n. 37 - dicembre 1994

di città, federalismo e altro B La libertà come fatto sociale, non individuale, e la politica come esercizio comunitario basato su dialogo e colloquio a portata di mano. La piccola città, cuore del federalismo. Intervista a Pietro M. Toesca. Pietro M. Toesca, in passato docente di Filosofia nelle università di Roma e Parma, ha abbandonato L'insegnamento e si è trasferito a S. Gimignano dove ha contribuito a fondare La Rete delle piccole città dell'Italia centrale. Ha recentemente pubblicato il Libro Manuale per fondare una città ( ed. Elèuthera). Sempre di più si parla di federalismo, in un mondo, però, che è sempre più integrato ... Oggi siamo in uno scenario di tipo concentrazionistico, nel senso che i processi di formazione e di sviluppo del mondo moderno hanno dato come risultato una semplificazione straordinaria, basata su un modello economico capitalistico, e una straordinaria concentrazione di poteri. La stessa idea di unità mondiale, intesa come unità economica e culturale governata dall'alto, ha come presupposto necessario questa struttura di concentrazione.Una alternativa a tutto questo, perciò, non può che puntare direttamente sull'identificazione della politica col potere, sul fatto che la politica viene vista solo come gestione del potere. Questa identificazione è ciò che ha ucciso la politica, la quale, inveae, è il momento conclusivo, il climax, del passaggio dall'azione intesa come fatto individuale all'attività intesa come fatto sociale. Quella che è una struttura fondamentale dell'individuo, cioè la sua relazionalità, il suo essere in rapporto, e che fa sì che l'individuo naturalmente, necessariamente, sia un essere sociale (tale non perché ha fame e ha bisogno di essere aiutato, ma perché ha bisogno di stabilire un rapporto con identità simili a lui partendo dalla sua identità), fa sì che gli esseri umani si organizzino in quella che si chiama, più o meno propriamente, "società civile". L'attività politica è l'organizzazione di questa relazione comunitaria, specificamente rivolta al mantenimento di questa unità complessa, per cui la politica è necessariamente un'attività che parte dall'individuo, è un'attività di partecipazione. La politica, pertanto, non è una struttura, un'istituzione, quanto il culminedell' uomo in quanto è esercizio del confronto formativo. Da tutto ciò emerge come la libertà non sia un fatto individuale, ma sociale, perché individualmente il problema non si pone: ciascuno di noi è libero nel senso stesso in cui non lo è, quella della libertà è una questione che nasce quando noi siamo in rapporto con altri e la politica è l'esercizio comunitario di tutto questo. La politica moderna, in particolare la politica occidentale, però, ha praticamente distrutto la possibilità della politica come esercizio del rapporto comunitario. Ali" interno della civiltà occidentale, che è una civiltà molto ricca, molto complessa, non mancano gli esempi di politica intesa come esercizio comunitario (pensiamo alla città greca, alla città medioevale), ma si tratta, purtroppo, di percorsi interrotti, sostituiti da questo processo di organizzazione centralizzata. Quando, nella democrazia indiretta, parlamentare, in cui viviamo, parliamo di "politica" intendiamo che la partecipazione politica del popolo si consuma in un unico atto di libertà, il quale è contemporaneamente un atto di abdicazione: quando voti deleghi un altro al posto tuo e lo deleghi in modo indiscriminato. Certo, forse nella storia occidentale non c'è stata nessuna democrazia totalmente diretta, ci sono state delle deleghe, ma le deleghe, nelle società in cui prevaleva il concetto di politica come esercizio comunitario, erano mirate, erano a tempo, erano in funzione di precisi compiti, mentre la delega che noi diamo adesso è una delega indiscriminata, generale, di gestione del potere. Non c'è anche confusione fra il concetto di rappresentanza e quello di rappresentazione? Infatti. Nella nostra civiltà la rappresentazione tipica è il teatro, cioè la presentazione reciproca, l'essere uno davanti all'altro, e non a caso le città medioevali erano costruite in modo che il luogo della relazione sociale per eccellenza, la piazza, fosse un luogo teatrale, un luogo in cui ciascuno si presentava agli altri come una maschera nel senso positivo della parola, cioè nel senso che esibiva la propria personalità di commerciante, di uomo libero, di religioso, eccetera. più alto è il potere e più deve essere debole La rappresentazione è la struttura del rapporto politico e che essa si realizzi attraverso un rapporto diretto oppure attraverso forme controllata di delega è un altro paio di maniche. Rappresentanza, invece, vuol dire che chi è mio rappresentante è al posto mio, è come se fossi io, mi sostituisce. Questo significa abdicazione ed è per questo che quando si parla di federalismo in fondo si parla di un processo difensivo, di un ordinamento politico che gradualmente sale dal basso verso l'alto, di un processo per cui ciascuna situazione reale, ciascuna situazione comunitaria, è il centro di tutto il resto. A loro volta, poi, i concetti di centro e di periferia sono molto dinamici: chi è il centro tra di noi? Per te sei tu, noi siamo intorno a te, per me, evidentemente, sono io. Ci sono delle attività, dei problemi, dei bisogni (come l'economia locale o l'uso di certi materiali), che possono essere autogestiti. senza ilono ~CRLZRTUci Tutkkl lscelkl chevuoi ,O bisogno di interventi eteronomi, di governo dall'esterno. Evidentemente ci sono anche dei problemi di confronto, di correlazione, che richiedono una visuale un po' più alta, senza la quale questa autogestione si trasfonnerebbe in una chiusura, ma questa visuale è un fatto culturale, vale a dire è l'apertura al mondo come entità colloquiabile, dialogabile, e in questa ottica possiamo parlare di una serie di livelli di relazione che comportano un minimo di istituzione di potere. Certamente ci sono dei problemi di gestione delle risorse economiche rare che riguardano tutto il mondo, ci sono dei problemi che riguardano la pace in generale, ma il modo di considerarli dipende dal modo di intendere l'organizzazione sociale. In questo senso io parlo di rarefazione del potere -più si va in alto, più il potere deve essere debole, delimitato, controllato, puntualementre invece stiamo andando proprio nella direzione opposta, perché quello che conta è l'unificazione del mercato, delle forze economiche. Quando Miglio era ancora il teorico della Lega scrisse in un articolo che in Italia ci sono due civiltà: una è la civiltà che coincide con la produttività (quella dell' Italia che fa parte dell'Europa fredda, cioè il centro-nord) ed è caratterizzata dalla capacità di autogestirsi le risorse, il reddito, eccetera; 1· altra è la civiltà ··mediterranea'", che è un po' pazzerellona. che non si concentra su niente e quindi non produce sufficientemente perché si disperde in una serie di valori. di attività, che hanno importanza per la qualità della vita, ma rappresentano anche un freno al progresso produttivo, del profitto ... lo dico "lasciateci il Mediterraneo··, mentre la Lega sostiene un tipo di federalismo che è moltiplicazione dei centri di potere. che non è il rovesciamento del processo attraverso il quale si organizza la società. Il federalismo della Lega è in funzione del potere, non in funzione del1' attività politica, invece il federalismo che a me sembra corretto è quello che porta a una riappropriazione dal basso dell'attività politica, che è un appannaggio che appartiene ali' individuo in quanto esso è strutturato con questa doppia faccia di rapporto con se stesso e di rapporto con gli altri, quindi il problema di gestire la comunità in cui vive gli appartiene direttamente, non può essere delegato. Ma questa comunità fortemente coesa non è scomparsa? L'uomo è fatto di una serie di limiti, il suo corpo ha una campata abbastanza limitata. Certo i mezzi di comunicazione di massa ci permettono di parlare con quelli che stanno a New York o di andare là in poche ore, ma è anche vero che un rapporto di questo genere è più virtuale che reale perché la risonanza della personalità di ciascuno di noi, cioè la possibilità di creare reciprocità, è limitata all"ambito del la nostra corporeità. E"vero che, grazie ai mezzi di comunicazione. ci sono persone conosciute da milioni di uomini. ma in questa conoscenza non c ·è nessuna reciprocità: Clinton. Bcrlusconi. mi conoscono? Che io li conosca perché ho visto la loro faccia alla televisione o perché ne ho sentito parlare non conta proprio nulla: il loro rapporto con mc è un rapporto di potere perché governano le cose di cui io posso avere bisogno. non è un rapporto di reciprocità. Per tutto questo il federalismo, l'ordinamento della società in termini di polis, di autogoverno, non può avere uno spazio più ampio di quello che ognuno può in qualche modo controllare. La polis greca e le città medioevali avevano una dimensione stazionaria -circa 10.000 abitanti- che non veniva superata perché quello è, grosso modo, il numero di persone con cui può esserci una dimensione di vicinanza e il rapporto sociale può passare attraverso un processo di auto-organizzazione. Noi della "Rete delle piccole città dell'Italia centrale" cerchiamo di partire da quelle situazioni che ancora esistono, che possono richiamarsi ad un'esperienza storica magari dismessa, ma ancora segnalata dalla struttura spaziale, in cui la comunità può essere una comunità vivente che può ritrovare i suoi scopi nei propri bisogni, nella propria esperienza, nei propri rapporti. l'urgenza di una prassi insofferente Queste possono essere comunità che tendono ad autogestirsi, almeno in quegli spazi che ancora ci sono, e partendo da questo possono accettare il confronto con la realtà vigente proprio sul terreno della politica, piantandola una buona volta di confrontarsi sul terreno dell'avversario. Qual è stata la sorte di tutti i movimenti degli ultimi decenni -da quello dei diritti civili, a quello delle donne, a quello ecologista-, nati da bisogni, da percezioni vitali?Tutti si sono presentati come extraparlamentari, nel senso che hanno detto "dislochiamo la politica al di fuori dei luoghi istituiti, quelli della grande cultura ufficiale, del padrone", ma poi si sono trasformati in partiti o in movimenti interni al parlamento, pensando che la politica sia solo quella che si fa lì. lo invece identifico questo nostro incontro come un momento del fare politica più significativo del mio andare a votare, magari vado anche a votare, però non è quello il mio vero momento politico. Ecco, io penso che si possano fare una serie di operazioni e di percorsi attraverso cui questa società alternativa, che esiste però non ha coscienza di sé come società reale, che pensa di essere totalmente sommersa, possa riacquistare una capacità di colloquiare, di organizzarsi, di valere. Noi tentiamo di fare in modo che questa società sommersa riconosca nel suo agire una potenzialità politica e attraverso questo costituisca una unità che ponga al suo centro il riconoscimentodella diversità, della molteplicità. La rete delle piccole città ha appunto lo scopo di far prendere coscienza ai cittadini di queste stesse città del la possibilità di costruire una grande città costituita da molte piccole città. Una grande città reticolare in cui il rapporto dialettico tra il grande e il piccolo, tra l'uno e i molti. sia un rapporto che passi continuamente attraverso questo filtro di una coscienza educata. Il problema. insomma. è quello di un'impostazione culturale generale. mentre oggi siamo in una ~ituazione in cui il valore dominante è quellodcll'unitàopcrativa. La cosa ritenuta più importante è la prassi come risultato di unadcci:,ionc. ma la prassi ha una sua urgenza: quando Otello sta per strozzare Desdemona, lei dice "Aspetta! Devo chiarire il malinteso" e Otello risponde "L'azione non conosce indugi'', la strozza e poi si accorge di aver sbagliato. La prassi ha questa urgenza e non può stare a guardare alla teoria, alla cultura. E' evidente che, in una prospettiva in cui prevale il problema della prassi, cioè il mettere d'accordo tutti anche a livello mondiale, la diversificazione culturale, la molteplicità, venga giudicata come un ostacolo. Se invece il nostro problema non è quellodi mettere d'accordo tutto il mondo, ma quello di dare spazio alla molteplicità, all'inventività, l'unità non è più un concetto rigido, ma diventa un coordinamento della diversità. Nel l'Italia centrale, ad esempio, ci sono città che nei confronti del territorio hanno avuto, e possono ancora avere, un valore dinamico perché hanno un valore simbolico, sono luogo di concentrazione di significati. La città infatti, rispetto alla campagna, non è il luogo della produzione, ma è il luogo in cui la produzione diventa un fatto umano, cioè diventa consapevole, viene regolata, assume una serie di significati rituali. Nella città la ritualità stagionale della natura viene integrata nella ritualità dei rapporti umani. Pensiamo, per esempio, alla ritualità che riguarda il cibo: noi non mangiamo in modo estremamente semplice quello di cui abbiamo bisogno, ma attribuiamo al mangiare quasi un aspetto di "invenzione" proprio perché il mangiare è un fatto conviviale, sociale, è un rapporto equesta capacità-necessità di essere in rapporto è tipica degli esseri umani e lavorare sul costituirsi dei rapporti può far scoprire dei livelli di inventività universali o universalizzabili. La cultura delle città medievali, la cultura del mondo greco, le culture mediterranee, da questo punto di vista sono state una sorta di miracolo: in esse c'è stata una capacità esplosiva di scoprire dei rapporti, di inventarli, che, da una parte, ha loro permesso di essere autonome, mentre dall'altra non le ha chiuse in se stesse. Tutto questo si fonda principalmente sull'uomo non comefaber, ma come sapiens, quindi come uomo che fa ma in funzione della creazione culturale, della coscienza di ciò che è, della rappresentazione che ha di sé, ed è all'opposto della concezione per cui l'uguaglianza tra gli uomini la si raggiunge attraverso il porre a disposizione di tutti la medesima quantità di beni di consumo. Noi abbiamo maturato una cultura in cui tutto ciò che è possibile diventa necessario, ma questa cultura della pura possibilità non ci permette di distinguere fra i bisogni, fra i significati, quindi non ci permette di distinguere ciò che si riferisce alla nostra identificazione personale, alla nostra crescita, al nostro statuto esistenziale come momento in cui ciascuno di noi raggiunge la sua realtà. tutto il possibile per noi diventa necessario Nella nostra società non c'è dialogo, non c'è colloquio, sia a livello locale che mondiale. proprio perché il colloquio passa attraverso i tanti filtri della rappresentanza e non passa attraverso la rappresentazione. E' evidente che il colloquio è sempre ambivalente e quindi è sempre possibile che il rapporto col diverso si trasformi in contrasto. ma in una società in cui non c·è questa reciprocità il contrasto nasce in qualche modo da solo. Se invece questo ordinamento partisse dal basso come un ordinamento che mano a mano filtra alcuni percorsi. alcuni concetti. anche quando noi avessimo bisogno di delegare qualcuno che prende una decisione dal 1·alto.lo delegheremmo con un mandato che sarebbe controllato dalla nostra cultura. dal nostro modo di concepire la realtù. dal nostro modo di autogovernarci. Ma questo non è nostalgico, in antitesi con la materialità contemporanea dettata dall'economia? Piuttosto che di nostalgia e di ritorno indietro io parlo di trasformazione della memoria in progetto. Se noi pensiamo che tutta la storia che abbiamo vissuto fosse necessariamente indirizzata in un'unica direzione, concentrandosi in un concetto di progresso per cui quello che viene dopo è, per il semplice fatto che viene dopo, sempre meglio di quello che c'era prima, ci troviamo di fronte ad una rappresentazione del la storia che penalizza una serie di percorsi, di fili, che sono stati interrotti. Riprendere questi fili non è nostalgia, ma è riconoscere che ad un dato momento una certa prevalenza di strumenti ha raggiunto un limite, un climax, in cui costruttività e distruttività si sono identificate. Riguardo al rapporto tra la nostra materialità e la comunità, mi pare che l'esempio degli Stati Uniti sia abbastanza significa tivo, perché gli Stati Uniti sono quella realtà in cui due elementi estremamente contrastanti, agli antipodi, in qualche modo hanno convissuto. Uno di questi elementi è la straordinaria capacità degli Stati Uniti di mettere insieme, di mixare, tutta una serie di situazioni etniche, politiche, sociali, culturali, in funzione di un' articolatissima tradizione auto organizzativa: in America basta che insorga un picco Iissi mo problema che si organizza un'associazione per affrontarlo e quando è risolto l'associazione si scioglie. Contemporaneamente gli americani sono degli imperialisti, dei capitalisti, e questo capitalismo è un tipo di interpretazione della nostra materialità che non va accettata tranquillamente, ma contro cui dobbiamo combattere. Contrapporre a questa interpretazione della materialità la logica comunitaria non significa non tenere conto dello sviluppo storico e dei benefici della tecnica o della capacità produttiva dell'uomo, significa invece denunciarla come un'interpretazione distorta della materialità, e quindi di tutti questi strumenti, che fonda tutto sulla quantità e non sul significato. un fare che non sia sopraffatto dai propri strumenti Non sono certamente disposto a rinunciare al telefono, al fax, al computer. sono invenzioni importanti, ma devono esserlo in funzione di una serie di scopi, di propositi, di significati, di valori, che ognuno riesca a controllare, non in vista di un progetto di espansione puramente quantitativa. Tuttavia il potere contemporaneo tende a qualificarsi sempre più come pura gestionalità. I teorici del potere, da Machiavelli a Hobbes, a Rousseau, sostengono che la funzione del potere, il motivo per cui è stato istituito dagli uomini, è quella di aiutare gli uomini stessi, che non possono organizzare da soli la vita sociale e quindi, perché tale organizzazione ci sia, hanno bisogno di affidare a qualcuno questo potere di organizzare. A differenza di Machiavelli e Hobbes, Rousseau dice che questo affidamento non è definitivo perché c ·è sempre la sovranità popolare che controlla, però alla fine la questione rimane la stessa ... Ma qual è la contraddizione di questo processo? E' che il potere, che viene giustificato dalla funzione di incrementare la tua capacità di affrontare l'esistenza, che dovrebbe mettere a tua disposizione degli strumenti che da solo tu non hai e non puoi avere. all'opposto non solo ti toglie questi strumenti. ma ti ingabbia all'interno di una serie di operazioni la cui giustificazione, il cui significato. non è certamente quello dell'incremento della capacità degli uomini. Chi arriva al potere viene preso dalla logica di questo e dimentica il motivo per cui al potere è stato mandato. anzi all'interno cli esso tende a costruire una ~ocictà ristretta cd è per questo che. in una organizzazione sociale basata sul potere. non ci sarà mai 1· incremento del l'organizzazione comunitaria degli uomini. Quindi ...

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