Una città - anno IV - n. 36 - novembre 1994

professionali, è segnata da un processo di privazione. Sono persone, cioè, che sapevano fare più cose quando hanno iniziato a lavorare di oggi, nel senso che alcuni di loro avevano fatto i muratori, tanti altri lavori e nel lavoro di serie della grande industria hanno perso queste capacità. Ora, molti di essi sanno che è difficile iniziare all'età di 45-47 anni una strada di riqualificazione. E se uno pensa che queste persone possano tornare a studiare è un demagogo. E quindi gli elementi selettivi sono esasperati da questa situazione. Noi da tempo stiamo dicendo una cosa che poi è difficilissima da fare: proviamo a costruire una politica di pari opportunità realistica. Offrire una possibilità di riqualificazione a chi ha la possibilità di farlo -e nessuno di noi può decidere chi sì e chi no, devono essere loro a scegliere- ma tenendo presente che il problema, per moltissime altre persone, è concludere una vita lavorativa segnata in modo irreversibile. E noi abbiamo il dovere di garantire questa conclusione, rispettando le strategie persone propria di ogni impresa in quanto anche comunità. E questo è un bel problema della cultura Fiat: pretendere che una persona sia critica e fedele allo stesso tempo. Teniamo presente che come la cultura di una città non si legge attraverso le dichiarazioni del sindaco, quella Fiat non va letta nelle dichiarazioni del presidente della Fiato del dottor Magnabosco, ma nei comportamenti delle gerarchie concrete. E questo vale nel rapporto coi lavoratori e nel rapporto col sindacato. Ecco, qui va deuoche la Fiat distingue tra lavoratori e sindacato, ma su questo ha ragione. Anch'io penso che il sindacato non sia i lavoratori, ma che sia un'organizzazione che cerca di rappresentarli, a volte riuscendoci a volte meno, perché poi, in quanto organizzazione autonoma è inevitabilmente anche autoreferenziale e perciò avara. un'assistenza cattiva che crea dipendenza nali che hanno elaborato nella loro Continuo anche a pensare che sia vita: che sono la pensione, il ritorno uno dei posti più interessanti in cui al paese per alcuni, un certo tipo di lavorare. Ma la Fiat ha due politiintegrazione familiare qua. che: una per il personale che è Contemporaneamente, si deve apri- molto differenziata a seconda delle re una possibilità diversa per quelli figure gerarchiche cui si rivolge, a che sono dentro e pensano di aver- volte molto complessa, a volte ne le condizioni e per i giovani che molto semplice, sul modello della entreranno se queste fabbriche ri- sagra paesana. Con il sindacato il marranno. L'anno scorso vi sono rapporto è come segnato dalla esistate vertenze molto aspre in Fiat genza di gestire l'esaurimento lensull' occupazione e il lavoro. E uno to di un ciclo, per cui gli riconosce dei problemi sul tavolo era il desti- una rappresentanza sempre più rino di Torino. lo nutro ancora una stretta, ad esempio non si sogna certa preoccupazione che Torino, nemmeno di discutere con il sindapur restando la capitale della Fiat cato i problemi dei lavori più quaresti anche un centro di produzione lificati sia tecnici che operai. Forse di massa. La Fiat assicura che re- la Fiat riconosce al sindacato quclsterà produttivamentea Torino, ma lo che prima delineavo anch'io in questo caso sarà costretta, prima come un nostro compito: accompao poi, ad assumere. vista l'età mc- gnare alla conclusione della sua dia degli operai, e allora sarà im- cspericnzaunagencrazioncchecon portante vedere come saranno re- il sindacato ha avuto un rapporto, clutati i nuovi assunti e come ver- tutto sommato, con tutte le connitranno formati. tualità, solido. E questo ~i vede Qual è l'atteggiamento attuale nelle radicali differenze di gestione della Fiat verso il sindacato? delle fasi di crisi e delle fasi di La Fiat ha questa contraddizione: sviluppo: il ~indacatoè indi~pcnsada un lato, con i discor~i ~ulla qua- bile per gc~tire le prime ed è comlità, sollecita una partecipazione pletamcnte e~clu~o nella dbcu~- critica delle per~one sul processo sionc dei problemi di innovazione produttivo, che bisogna avere un e sviluppo. Poi ci sono eccezioni, atteggiamento attivo, dire le cose ma le linee di ma~sima ~ono quelle. che non vanno, eccetera, e dall'al- lrn,omma: quello che vorrei è un tro esprime ossessivamente una sindacato che non ~ia nemico deldomanda di conformi~mo, di fe- l'azienda in partcr11.a e che però deità che è un qualcosa di più della non sia neanche un ~ervo, che \ia Bfo'e fote·cacac, I unoonizBODaanccr dei sì e dei no, a seconda delle sue convinzioni, degli interessi che deve rappresentare, eccetera. Questo alla Fiat è quasi impossibile, perché nella cultura Fiato prometti un'identificazione a priori o sei nemico, un rapporto più normale, più equilibrato è quasi impossibile. E d'altra parte questo è anche dimostrato dal l'alternarsi, nell' atteggiamento sindacale, di fasi di rivolta e fasi di subalternità. Gli ammortizzatori sociali, la cassa integrazione e più in generale i problemi dell'assistenza e dello stato sociale. C'è qualcosa che si deve cambiare? Alla Fiat l'ultima fase della cassa integrazione è cominciata nell'autunno del '90 e si può dire che continui ancora adesso, anche se ora si sta riducendo, e quindi quattro anni abbondanti in cui migliaia di persone sono state fuori e tutti o quasi tutti per molti anni ogni mese hanno fallo almeno una settimana di cassa integrazione. E' mai possibile che nessuno, proprio nessuno, a Torino e in Italia abbia proposto un modo meno passivo di gestire questa esperienza della cassa integrazione? Di usarla per qualcosa? In fondo risorse immense sono state usate e sprecate. E' mai possibile che non si possa fare alcun tentativo per farne uno strumento che colleghi il presente al futuro? La caratteristica di un· assistenza buona, di uno stato sociale buono è quella di rendersi inutile. mentre un'assistenza cattiva tende a rendersi necessaria sempre più, fino a quando le persone non possono più farne a meno, e porta dipendenza. La questione non riguarda solo il rapporto fra l'uso di ammortizzatori sociali e il resto. ma riguarda la qualità dell'intervento sociale nel suo complesso, paradossalmente riguarda anche il modo in cui si affrontano i problemi delle persone non autosufficienti, della sanità. Bisognerebbe introdurre un orientamento generale che valuta I' efficacia di un servizio sociale introducendo un nuovo parametro determinante: l'autonomia che è in grado d'introdurre nei soggetti assi!>liti. A!>sumcndo questo nuovo metro, forse si può vedere il rapporto col futuro in modo diverso. Ma di quc!-,IOqui non c'è nulla cd è una responsabilitù anche nostra. Alla fine che modello proponiamo a chi sta in ca~sa intcgra7.ionc? Star- ~cnc davanti alla tve fermo, perché se va a ccrcar~i un lavoro lo colpevolizziamo e quindi alla fine noi stessi diventiamo il canale di un· interpretazione degli ammortizzatori sociali come una grande forma di passività. Il fatto che l'attività delle persone dentro gli ammortizzatori sia così stigmatizzata socialmente, la depotenzia anche nelle sue possibi Iità. non è una cosa senza conseguenze. perché le forme "clandestine .. di attività sono poi le meno costruttive. Ma anche per lo stato sociale non si pone un problema di combinare qualità e uguaglianza? Infatti. Ti faccio l'esempio della scuola. Quando, con il calo della popolazione scolastica. è finito r obbligo di portare i figli alla scuola di quartiere, a Torino si è aperta la concorrenza fra le scuole e si è riaperto il discorso sulla qualità del l'insegnamento: diversi ficazione, seconda lingua straniera ed era un problema interessante. Ma per chi? Per gente come me, per quelle persone che avevano un grado sufficiente di informazione per sapersi muovere e distinguere. Come si fa a mettere altre persone in grado di muoversi e di scegliere ed avere elementi di valu1azionc su come la scuola funzioni? Quando arrivai a Torino, nel '74, il tempo pieno a scuola era finalizzato al recupero dei più deboli. quando mia figlia nell'89 è andata alla scuola media il tempo pomeridiano era fondamentalmente destinato a conquistare la partecipazione dei più ricchi. cioè a offrire servizi. E allora facendo un po' un bilancio della mia situazione dicevo "mia figlia va a questa scuola dove le danno la seconda lingua straniera gratuitamente, mio figlio fa I' istituto tecnico. gratuitamente o quasi, sono abbonato alla stagione dei concerti del l'orchestra sinfonica di Torino che dall'autunno alla primavera mi passa due buoni concerti al mese e quanto pago io di questo? Forse il 20-25% del costo di ogni concerto, e il resto mi viene offerto ...". E allora ho pensato questo, cioè che il sistema di welfare nato con un'idea di solidarietà dall'alto verso il basso è diventato un grande meccanismo cli solidarietà dal bw,sovcr!-,oil medio-medio alto. E questo vale per tutti i settori, per la sanità come per gli altri. Cose nate con un certo fine hanno poi modificato i loro referenti sociali. Se si mettono sul piatto della bilancia reddito, cultura, formazione, una pcr!-,ona come mc. rispetto a un normale operaio della Fiat, riceve clipiù dallo stato in servizi di quanto non paghi di tasse. Il baricentro sociale del welfare è nel livello medio-alto. Uno può anche dire che l'uguaglianza sia una cosa discutibile, però sostenere che i più poveri debbano pagare per i più ricchi questo mi pare un po' esagerato. E questo non esclude affatto, anche se sembra paradossale, che l'università sia pagata di più, perché tutti sanno che non è affatto vero che la gratuità dello studio universitario abbia favorito l'accesso da parte degli strati più deboli della popolazione. Tutti i dati ci dicono che la composizione sociale dei laureati è oggi la stessa della metà degli anni '50. Non credo a una sinistra che non affronti il problema di rimettere con i piedi per terra la questione del welfare. E anche se si può dire che dal punto di vista della grandezze iquattrini che vanno in questa direzione forse non sono tantissimi, è una questione di coerenza, di potere, attraverso cui le persone capiscono il senso delle cose che fanno: chi paga e che tipo di relazioni si stabiliscono. Gli operai fra l'altro sanno benissimo che non camperebbero senza servizi pubblici, che sono ormai una parte integrante del salario, che una paga come quella che si prende in un'azienda italiana si giustifica solo se accanto vi è una paga in natura. Ma non c'è un problema nella burocratizzazione dello stato sociale, che porta alla deresponsabilizzazione del cittadino? La rottura della burocrazia, certo. La contraddizione è nell' espressione stessa ·'stato sociale ... Solo che io penso che la lotta alla burocratizzazione non possa avvenire fuori dello stato. Sempre restando nell'esempio della scuola: quando nei quartieri di Torino si hanno tassi di evasione dell'obbligo più alti della norma, a me viene in mente di mandarci gli insegnanti migliori in circolazione, pagandoli più che in altre sedi. Ma questo vorrebbe dire far saltare la mentalità che il posto dipende dal punteggio. ottenuto secondo una logica burocratica e casuale e affrontando spesso delusioni enormi. Stato, non Stato riforma dello Stato Al Iora, fino a quando su questi grandi temi di organizzazione pubblica si continuerà a non riconoscere la legittimità di un'autorità, finché rimarrà l'idea che in fondo dello stato non ci si può fidare, alla fine rimarrà sempre una grande giustificazione ideologica alla più totale auto-referenzialità, al fatto che si discute dei servizi, della scuola, della sanità, pensando alle pei:sone che ci stanno dentro. Non vedo, cioè, un· altra soluzione che non parta dal riconoscimento di un'au-· torità legittima. So che per quelli che hanno una storia simile alla mia riconoscere la legittimità dell'autorità apre discussioni a non finire, però il primo problema è quello. Perché altrimenti come afNEGOZIO AFFILIATO fronti un problema di risorse, di forze? Se tu guardi la situazione politica italiana è paradossale perché nella destra ci sono due grandi forze: una al nord che pensa che si possa fare a meno dello stato, e un'altra al sud che pensa che lo Stato debba restare esattamente come è sempre stato. Ora, perché, usando una parola un po' logora, non ci può essere spazio per una posizione di riforma dello stato? La questione dell'orario legata al problema dell'occupazione? lo sono di quelli che pensa che la questione dell'orario e del tempo di lavoro sia una delle più importanti, ma credo che non c'entri quasi nulla con il problema dcli' occupazione. Questa è veramente la vecchia visione di chi considera l'orario puramente come una grandezza quantitativa e non sa quello che tutti quelli che non hanno i paraocchi già vedono, e cioè che il tempo scelto è, nella grande maggioranza dei casi oggi, un tempo più lungo, non un tempo più breve e non solo per esigenze di reddito, ma soprattutto se il lavoro è interessante e impegnativo. Credo che contrapporre tempo di lavoro e tempo di non lavoro e non capire che la differenza fra tempo proprio e tempo altrui attraversa sia l'uno che l'altro, che c'è del tempo di merda anche nel cosiddetto tempo Iibero e c'è del tempo ricco di relazione anche dentro il lavoro sia veramente catastrofico. Quando ci si mette a trattare il tempo di lavoro come se fosse una grandezza puramente quantitativa la dimensione del tempo è di nuovo completamente cancellata. In realtà creare occupazione dipende solamente dal grado di civiltà del paese, cioè dalla capacità che un paese ha di organizzare il lavoro che serve a soddisfare i bisogni vecchi e nuovi, trovandovi una razionalità. E può capitare quello che molti dicono, cioè che questo diventi un settore di competizione internazionale, per cui la ricerca di soluzioni organizzative, di cultura e di sapere, sia una delle cose su cui ci si misurerà. Si sente dire: i giovani operai sono individualisti e non c'è più una cultura operaia ... Non mi scandalizzerebbe affatto. E neanche che non vogliano fare più gli operai. Ma qual era la prima cosa da cui si riconosceva Lamoralità dell'operaio degli anni '20, '30? Era il fatto che voleva fare studiare suo figlio e che tutti gli operai del mondo hanno sempre sperato che i loro figli potessero fare qualcosa di più e di diverso da quello che avevano fatto loro. Far studiare i figli è sempre stata l'ambizione della famiglia operaia classica ed era l'idea, influenzata dalla cultura positivista dell'800 e che prima non c'era mai stata, che nelle generazioni ci potesse essere un progresso. Chi inventa un'etica del lavoro fatta da operai che vogliono continuare a fare gli operai e che i loro figli continuino a fare gli operai, è gente che straparla e non sa cosa dice. Sono veramente stereotipi. - ALIMENTI NATURALI di PATRIZIA FERRARA viale II GIUGNO, 62 tel 53063 Prodotti freschi {pane, biscotteria, torte, pizze, eccetera) e confezionati frutta e verdura biologica alimenti macrobiotici integratori alimentari DIFFUSIONE SPECIALISTARTICOLIDABAMBINO CENTROCOMMERCIAL«EILGIGANTE» BABYCROSS · GIGANTE ViaCampodei Fiori 47100 ForlìTel. 0543n21023 Fax 0543n24797 BABYCROSS · RIMINI ViaNuovaCirconvallazione, 21 47037 Rimin(iFO) Tel. 0543/777552 UNA ClffA'

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