Una città - anno IV - n. 33 - giugno 1994

di politica e altro La corrispondenza fra paese reale e paese rappresentato. La vittoria delle seconde schiere e la nuova centralità del lavoro autonomo. I campi retorici del federalismo di Bossi, del "fai da te" berlusconiano e dell'antifascismo della sinistra. Lo stereotipo del "grazie alla televisione". Fra localismo e cosmopolitismo un esodo attivo attraverso i grandi cambiamenti della modernizzazione. Intervista a Aldo Bonomi. Aldo Bonomi, ricercatore sociale, è responsabile dell'AAster. La precedente intervista, sulle elezioni, è stata pubblicata nel n. 30. C'eravamo visti prima delle elezioni, volevamo sentire le tue valutazioni ora, a un mese e mezzo da un risultato così sconvolgente, anche se prevedibile e, da alcuni, previsto. Il risultato elettorale credo che oltre a confermare tutte le perplessità su questo nuovismo dilagante, rivelatosi o pura demagogia o puro giustizialismo -e non si è mai visto che il giustizialismo desse risultati positivi a sinistra- ha confermato anche altre due valutazioni: l'incapacità della sinistra di leggere i mutamenti della composizione sociale avvenuti inquesta fase di transizione e la possibilità che esplodesse la crisi della Lega dentro la contraddizione degli interessi. Ragionando oggi che cosa devo dire? Se le elezioni sono andate malissimo per la mia visione del mondo, sono andate benissimo da un altro canto: perché per la prima volta abbiamo una corrispondenza tra paese reale e paese rappresentato. Intendo dire che le elezioni in maniera pesante ci costringono a interrogarci sulla composizione sociale degli italiani che è una composizione un po' strana. A sud, finito l'intervento straordinario -la logica, cioè, per cui gli interessi si regolavano attraverso il meccanismo della politica- abbiamo avuto uno spaesamento che per un po' ha retto sulla mobilitazione radicale della società civile producendo fenomeni come la primavera di Palermo, la Rete, ma siccome poi solo di denuncia non si campa, a un certo punto sono ritornati pesantemente in gioco gli interessi. E allora è chiaro che il linguaggio della protesta, del disappunto, a parte la Calabria, è stato in parte canalizzato dalla destra, dalla nuova destra. Secondo dato: queste elezioni hanno fatto emergere quella che chiamo una composizione del sociale selvaggia -il mio amico De Rita dice che siamo di fronte a una vittoria delle seconde schiere rispetto alle prime- fatta di lavoro autonomo, segnata dalla flessibilità, dalle dinamiche territoriali, fatta di cultura del fai da te, della competizione, del raggiungimento del massimo di opportunità possibili. anche a sinistra una seconda schiera E tutto questo fa emergere una grande dinamica di conflitto che non sarà il conflitto nei termini in cui noi lo abbiamo sempre pensato, il conflitto sociale dispiegato, ma quello tra capitalismo di prima schiera, delle grandi famiglie, dell'oligarchia, il capitalismo finanziario, e un capitalismo di seconda schiera, dei piccoli e medi imprenditori. E fra i Cuccia, da una parte, e il piccolo imprenditore veneto e lombardo, gli interessi deboli erano quelli della piccola e media impresa, ma non c'è dubbio che a difenderli non era certamente la sinistra. La sinistra ha proposto invece come alternativa il governo Ciampi che era il massimo dell'oligarchia possibile. Qui c'è una grande e profonda contraddizione: non si possono vincere le elezioni rappresentando solo ed esclusivamente un comparto oligarchico. Ma non solo, andrei oltre: queste elezioni hanno eviden- B ziato Ghe ancÌe nell'altro camp~ c'era una sinistra di prima schiera e una di seconda schiera. In embrione tutto quel mondo che sta asinistra e che si chiama associazionismo, volontariato, movimenti vari, è un mondo di seconda schiera che non è né rappresentato né visibile. Ma, da quel che mi risulta, nelle poche aree dove questi signori hanno avuto la possibilità di candidarsi, sono stati tutti eletti. E basta citare il presidente del Movi nazionale, Lumia, che è stato eletto nientemeno che a Corleone. Una sinistra dei diritti, legata al territorio che è tutt'altra cosa dalla sinistra degli apparati dei partiti. Anche lì, quindi, una prima e una seconda schiera ... Ci sono questioni come il federalismo che ormai, apparentemente, accomunano tutti ... Credo prioritario svelare tre campi retorici ormai dominanti. Il primo è appunto la retorica del federalismo. Oggi come oggi nessuna comunicazione politica avviene senza prendere in considerazione la problematica del federalismo. E questo è anche inevitabile se è vero che le due grandi parole chiave sulle quali si sta sviluppando il processo di modernizzazione sono da una parte territorio e dal1'altra competizione nel sistemamondo dell'economia. E bisogna dare atto alla Lega di avere posto questo problema come problema centrale. Ma dentro questo dibattito se vogliamo uscire dal campo retorico, dobbiamo decodificare a mio parere tre modelli: un federalismo di identità, un federalismo economico o di interessi e un federalismo sociale. Il federalismo di identità è quello che rimanda alla problematica del neo-etnico e quindi alla problematica delle appartenenze, dell'identità, quello che fa dire a Miglio che esistono i popoli italiani. Il secondo federalismo, economico o di interessi, è quello in base al quale emergono le regioni che sono in grado di competere nella geo-economia e le regioni che sono in deficit di competizione. Oggi come oggi in Italia emergono due grandi aree: un'area dove si produce per competere, l'area del nord ovest e del nord est -ma soprattutto del nord est del nostro paese- e un'area dove si compete per sopravvivere, che è l'area del sud. Le logiche del federalismo degli interessi ridisegnano la geografia e la geo-economia del paese, con l'ipotesi o delle tre macroregioni di Miglio che però è innanzitutto un federalismo di identità, o quella delle macroregioni della Fondazione Agnelli, che ridisegna il territorio in base ai parametri delle infrastrutturazioni e della competitività. Il terzo è il federalismo sociale. Un federalismo che conosciamo benissimo, perché significa problematiche antiche come la democrazia diretta, come i meccanismi di partecipazione e di solidarietà locale, inuna territorializzazione delle rappresentanze, dei bisogni e del1'agire territoriale. Facendovi una provocazione, anche voi siete un pezzo di federalismo sociale. Altrimenti che senso avrebbe un giornale che ruotando intorno a una città come Forlì, partendo da una rete micro in cui si ridisegnano forme di democrazia diretta, di partecipazione, di localismo ma di localismo intelligente, non di localismo economico, becero, si propone di comunicare col mondo? Avete riperimetrato una vostra dimensione di comunità e vi muovete nel mondo. Il secondo c o retorico di queQ sta grande fase di passaggio è quello, tipico del berlusconismo, del fai da te e del lavoro autonomo. E' indubbio che abbiamo assistito al passaggio dalla centralità del lavoro operaio, della grande fabbrica fordista, come forma che modellava la società e fondava le appartenenze, dal sindacato, dal partito che davano identità ideologica, alla centralità del lavoro autonomo che rimanda al territorio. Se i valori oggi si giocano sul territorio e sull'identità non è perché vincono la Lega o i fascisti o la destra, ma perché il territorio è la forma dove si dispiega la nuova forma del lavoro. Self emploiment, lavoro autonomo, piccola e media impresa, flessibilità, deindustrializzazione, fabbrica diffusa, hanno il territorio come loro oggetto, e anche le attività dei nuovi lavori hanno il loro luogo nel territorio. Ed ecco allora i nuovi problemi dell'appartenenza, dell'interrogarsi su qual è l'identità del soggetto, qual è l'identità dell'essere in comune, della comunità. E' su questo poi che il berlusconismo ha fatto leva. Quando ha detto "vi prometto un milione di posti di lavoro", il milione di posti di lavori li ha promessi dentro questo modello, dentro un passaggio che vede già il lavoro in affitto, la diffusione del lavoro autonomo, la riforma del mercato del lavoro, la centralità della piccola e media impresa, il fai da te, il self emploiment. Berlusconi si è candidato come quello che avrebbe governato queste cose. in televisione abbiamo cominciato noi Il problema è che mutano ànche le forme dell'alienazione, dello sfruttamento, del comando. Il lavoro autonomo non è solo autorealizzazione, non è solo business story, non è solo fai da te, far quattrini, dentro il lavoro autonomo c'è anche il meccanismo del governo, del comando e dello sfruttamento. Faccio un esempio: se noi pensiamo al progetto qualità totale della Fiat, ci rendiamo conto che non ha solo significato restringere il cuore del1'occupazione, a Mirafiori e a Melfi, ma anche costringere tutto il ciclo della fabbrica diffusa dei fornitori Fiat a stare sui cicli della ristrutturazione. Questo ha voluto dire pagamenti nei tempi e nei modi stabiliti dall'unità di centro, tutta una serie di piccoli e medi imprenditori che sono pagati a 90 o a 160 giorni, e poi ritmi, qualità del prodotto e qualità del processo imposti. Lo sfruttamento e l'alienazione, dalla fabbrica centrale, si sono diffusi sul territorio. Il lavoro autonomo, poi, molto spesso è storia di autosfruttamento, di tensione, di tempo di lavoro sempre più esteso. Il lavoro autonomo non è solo autorealizzazione del fai da te, come dice il cavalier Berlusconi. Ma dopo tutto ciò arriviamo, terzo campo retorico, alla grande risposta che la sinistra ha dato: I' antifascismo. Se mi è permesso, è una retorica piuttosto debole a fronte di questi cambiamenti. Lungi da me l'idea di dire che il fascismo vada sottovalutato, bisogna stare molto attenti, però ritengo insufficiente come risposta la retorica dell'antifascismo. Lasciamo poi perdere se diventa retorica dell'antifascismo militante, abbiamo già dato da questo punto di vista ... Non vedi un rischio di regime? Io parlo malvolentieri di queste cose, non perché non le pensi, ho dei dubbi in questa direzione, ma non voglio alimentare oggi la retorica dell'antifascismo. Intendo dire che non è che io non sia preoccupato, sono molto preoccupato, molto amareggiato, ho l'impressione di essere nella merda, però comunque mi sforzo di fare un ragionamento freddo, perché la cosa peggiore che potremmo fare in questo momento è un ragionamento caldo che ci conduce a degli stereotipi, come infatti sta avvenendo. Ne circolano essenzialmente quattro. Primo stereotipo: siamo stati battuti dalla televisione ... No, non siamo stati battuti dalla televisione, siamo stati battuti da un mutamento della composizione sociale che non abbiamo capito, che non abbiamo interpretato, né accompagnato. C'è una corsa a dire che siamo stati battuti perché Berlusconi aveva questo e quell'altro. Ma noi che cosa avevamo? In realtà abbiamo cominciato noi, di questo sono assolutamente certo, perché il modello della demagogia televisiva l'ha inventato Santoro. E finché la televisione andava per noi, il linciaggio lo facevamo noi, andava bene, eccome, e tutti quanti dicevano "abbiamo vinto". Secondo stereotipo: siamo di fronte a un partito, quello di Berlusconi, massmediato. No, siamo di fronte a un partito-impresa, che probabilmente è la forma adeguata al cambiamento che dicevo prima. Un partito-impresa che non è la Fiat, ma un partito che sta dentro il tessuto del fai da te, dentro il tessuto della pubblicità, il partito del prosciutto. Quando dico il partito del prosciutto è perché è il partito dei tanti piccoli Rovagnati che stanno dentro questo tessuto ... E' la seconda schiera che si rende visibile, prima erano dei parvenu e oggi danno interviste a Sette, come quella di Luigino De Rossi, calzaturiere, di questa mattina. Sta a fianco a quella di Cacciari e con tutto il rispetto si .capisce più dalla sua cosa è successo in questo paese. Ma noi continuiamo a dire: "come parlano male, come sono ignoranti, imbecilli", ecc. ecc .. Fatto sta che i loro interessi li capiscono e li sanno fare. E' il tessuto del fai da te, del lavoro autonomo che ha innervato Forza Italia. Terzo stereotipo: siamo di fronte a movimenti che non hanno strategie ~ ' tfì . ~~ 0KJl!0.w61t Erboristeria - Prodotti naturali - Shiatzu FABBRI Dr. Enrico Forlì - via Albicini, 30 (ang. via S. Anna, 2) Tel. 0543/35236 e futuro, Berlusconi è nato sul momento, si impianterà e finirà fra due giorni. Ma tutte le forme del moderno sono forme destinate a vivere lo spazio di un sabato sera, oppure, come dice Rodotà, sono movimenti a un colpo solo: raggiunto l'obiettivo possono anche scomparire per poi, casomai, ricrearsi per raggiungere un altro obiettivo. Quarto stereotipo: oggi come oggi siamo di fronte a un movimento autoritario e di destra. Siamo di fronte, per la prima volta, al fatto che vengono quotati al mercato della politica non solo quelli che per la nostra retorica erano i buoni sentimenti, ma anche i cattivi sentimenti. Non ce ne siamo resi conto ma questa era una società rancorosa, cattiva, incazzata. Allora noi pensavamo che fosse cattiva, incazzata, e che volesse la rivoluzione, aiutare i neri, aiutare i bambini, essere progressista, essere femminista ... il comitato buono solo se contro la discarica Io vi inviterei a riflettere sui comitati dei cittadini che abbiamo visto spuntare come funghi e che noi, nella nostra imbecillità, abbiamo catalogato con il vecchio linguaggio dell'appartenenza: allora, se eri un comitato di cittadini contro la discarica, eri ambientalista e buono, se eri contro i gay e contro le puttane, eri fascista e di destra. Non ci siamo resi conto che queste erano le nuove forme di rappresentanza e di riperimetrazione del proprio territorio. Tutte queste nuove forme sono andate a finire a dare un consenso a questa nuova forma della politica. Allora io dico: prima di tutto disveliamo gli stereotipi, perché lavorare sugli stereotipi significa capire anche quelli che sono gli obiettivi su cui noi dobbiamo lavorare. Quindi, punto primo: se non ci ha fottuto la televisione ma se ci ha fottuto non aver capito una nuova composizione sociale, bisognerà cominciare a lavorare su una nuova composizione sociale, il discorso dei giovani, il lavoro, ecc ... Secondo punto, secondo stereotipo, secondo modello: se non era un partito massmediato, ma un partito sviluppatosi sulla forma del lavoro autonomo, anche noi dobbiamo capire come si fa a organizzare nuove forme di associazione e di organizzazione adatte alla politica e che stiano sul territorio. Così come Berlusconi ha usato la sua rete d' impresa, bisognerà capire qual è la nostra. Io credo che dentro la sinistra di seconda schiera, in modelli come la costituente della strada, ci sia in nuce un segnale di questo genere. Terzo stereotipo, movimenti che durano lo spazio di un sabato sera. Bisogna abituarsi al fatto che le rappresentanze dei bisogni non esprimono più automaticamente continuità. Quarta ed ultima cosa: bisognerà incominciare a parlare anche ai rancori e alle paure che stanno dentro a questa società, non solo ai grandi desideri dispiegati di futuro. Questi sono quattro programmi minimi su cui, a mio parere, bisogna incominciare a lavorare. Quindi ti lasciano perplesso anche le preoccupazioni europee? Certo, perché stigmatizzano quello che sta succedendo in Italia in base alla vecchia retorica. Ho l'impressione, invece, che l'Italia sia un laboratorio, che quello che sta succedendo in Italia anticipagli scenari a cui dovremo abituarci in Europa. E qui non sto dicendo che avremo cinque Berlusconi, ma che questo modello della flessibilità e della nuova composizione sociale sarà un modello che attraverserà tutta l'Europa. E anche qui, anche da questo punto di vista sono preoccupato, ovviamente, perché se poi le risposte sono solo quelle dell'antifascismo non vedo come si possa recuperare un'idea di futuro e un'idea di progresso, di cambiamento, di attenzione agli ultimi, perché le dinamiche del cambiamento vengono lasciate solo ed esclusivamente al liberismo e alla nuova destra, che significa esclusione di quelli che non hanno diritti. Questo è il vero problema aperto, il quadro è questo. Tu insisti molto sulla necessità di concentrarsi sulla questione del lavoro e su quella del welfare, ma anche sui rischi di una posizione di pura difesa dell'esistente che non raccolga le novità. La questione del lavoro è centrale senza dubbio, soprattutto la questione del lavoro per i giovani, per coloro che si affacciano al mondo del lavoro per la prima volta. Credo che anche qui ci sia un grande spaesamento perché non ci sono più certezze. dalla cultura del posto a quella dei lavori Stiamo passando da una cultura del posto di lavoro a una cultura dei lavori ed è un grande mutamento epocale, antropologico per le famiglie italiane che hanno sempre sperato per il proprio figlio un impiego pubblico, che significava l'impiego a vita, o un impiego alla Sip, o in banca, o all'Enel, perché assomigliava all'impiego pubblico. Ormai tutti quanti cominciano a capire che è finita l'epoca del posto e è iniziata quella delle opportunità rispetto alle quali si deve cogliere l'attimo. E quindi cambiare professione, aggiornarsi ecc. Si sta parlando di terziario, di alta qualificazione, di televisione, di giornali. A mio avviso, la grande questione del lavoro che si pone è quella di introdurre in questa cultura della corsa che produce l'infarto, una cammi- (« CoffdaeRi ifparmdiFi orlì s.pA. F D CONTO, ldfl, da O a 10 anni da 11 a 19 anni Perloroil rnigtiofruturopossibile Aut. Min. n. 6/1758 del 2/10/93 •l

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