Una città - anno IV - n. 33 - giugno 1994

un inese di un anno In questo numero. Di fronte al Rwanda che dire? Quando la tragedia assume simili proporzioni sembra calamità naturale contro cui nulla si può. E ci si rassicura. Ma i due giovani tutsi che abbiamo intervistato ci hanno detto che se ora non si può fare più nulla prima si poteva fare tutto. Che forse sarebbe bastato quel banale governo di transizione, già concordato da tutti, garantito dall'Onu e rimandato continuamente, perché gli eventi si incatenassero diversamente. Cosa è vero? Chissà se all'Onu dei rapporti sono passati di mano in mano con noncuranza, se delle riunioni si sono concluse con dei nulla di fatto. Chissà se è per non aver ascoltato l'allarme di un qualche africanista che la faccia della terra è cambiata per sempre. Il nuovo liberalismo che vede solo corruzione nello stato. La fine della mediazione e la distruzione, forse irreversibile, del parlamento ad opera dei vecchi partiti. Un Berlusconi extraparlamentare, la sterminata platea piccoloborghese e la piazza televisiva. Intervista a Carlo Galli. La storia si fa con i se. Più che mai oggi che sappiamo che non c'è alcuna strada maestra. E se l'idea rassicura meno, in compenso obbliga alla speranza. E alla responsabilità. Cesare Moreno che fa il maestro a Napoli ci ha raccontato di quanto sia delicato il momento in cui un ragazzino arriva a scuola dopo che gli hanno arrestato il padre, di quando, per mettere in difficoltà chi pesta i bambini, si è autodenunciato al tribunale dei minori per uno schiaffo dato a un bambino che si stava facendo del male. Ci ha raccontato della lotta perché i bambini restino a scuola. Di come, per questo, la sua scuola sia stata demolita e lui, coi suoi colleghi, minacciato. Cesare Moreno, che fu dirigente del 68 e ha 50 anni, sul problema dell'evasione scolastica avrebbe delle idee. Ora il ministro, dopo averlo s~n~ito a Milano Italia, l'ha assunto. Auguri a Moreno che vuol fare qualcosa per i bambini di Napoli e anche, sincf!ri, al ministro di un governo che detestiamo. Il fatto è che noi crediamo che in caso di vittoria i progressisti non l'avrebbero chiamato, Cesare Moreno. E chissà se almeno hanno capito che questa non è l'ultima, delle ragioni della sconfitta. Giuseppe Fattori, giovane primario di anestesia, dopo anni passati a discutere, con altri amici medici, "di filosofia, di politica, dei grandi principi" s'è stancato e ha deciso di far qualcosa. E anche se lenire senza poter guarire non può gratificare molto un medico, ha scelto di fare assistenza a malati terminali. E ora, chiamato dalla regione, sta tentando un 'esperienza di cura domiciliare all'avanguardia in Italia. Ci ha detto, fra l'altro, che l'uso delle tecniche più sofisticate dell'odierna tecnologia potrebbe invertire una delle tendenze più avanzate e odiose dei nostri tempi: l'ospedalizzazione del moribondo. Dipenderà anche dai fondi che un ministro penserà giusto concedere "al palliativo", purtroppo così poco prestigioso. Così chissà come si morirà col governo Berlusconi. Bisognerà poi che alla fine decidiamo se quello là ha vinto per la televisione o no, perché cambia un po'. Bonomi ci ha ripetuto di no, che con Berlusconi s'è schierata gente che pensa, che ragiona sui propri interessi, che vuol cambiare, che vuol contare, che semmai è il partito Publitalia che ha vinto, non quello Fininvest, che era la sinistra a starsene di fronte alla televisione a guardare le piazze di Santoro piene di "gente" a fare il karaoke della politica, che erano i progressisti ad aver perso ogni senso della realtà sociale ... E allora? Allora viva la politica. Carlo Galli i11seg11astoria delle dollrine politiche ali' Universilà di Bologna ed è redailo re delle riviste "Filosofia politica" e" li Mulino". I partiti che hanno vinto le elezioni sono veramente di destra? E di quale tipo? Sicuramente sono delle destre, al plurale, anche a prescindere dalla decisione sul significato del termine "destra''. lo credo che questo termine abbia un significato, che ci siano ancora delle linee di frallura che separano la destra dal la sinistra anche se, probabilmente, sono diverse da quelle tradizionali. In Italia, oggi, c'è una pluralità di destre, così come c'è una pluralità di "non destre", ed il discorso va necessariamente scomposto perché, ad esempio, c'è la Lega che nega di essere di destra e che possiamo definire tale soltanto in un'ottica piullosto vecchia. Credo tullavia che la questione intorno alla quale si sono divisi gli italiani sia quella dello Stato: su questo si sono formati due schieramenti, uno dei quali comprende tulli coloro che hanno un rapporto positivo con lo Stato democratico e con le istituzioni, mentre nell'altro ci sono coloro che hanno un rapporto di contestazione del lo stato democratico e del le istituzioni democratiche. Ma qui bisogna chiarire, perché non sto dicendo che sono illegittimi quelli che stanno a destra, sto dicendo che sono portatori di una legittimità parzialmente diversa. Mi spiego: questa curiosa sinistra statualistaistituzionale in che cosa è "sinistra"? Lo è sia nel difendere l'idea astratta, generale, che la convivenza politica sia inevitabilmente mediata da istituzioni pubbliche, sia nel la consapevolezza storica che le istituzioni pubbliche sono queste istituzioni. E' da qui che nasce I' insistenza sull'antifascismo (e non credo che sia nata come un'insistenza faziosa e settaria, perché se fosse stata concepita così sarebbe stata una catastrofe) come invito a riconoscere che ciò che vi è di comune è ciò che nasce da un conflitto, che la vera pacificazione è il riconoscere che l'origine delle nostre istituzioni politiche è un conflitto, perché non solo la politica passa attraverso istituzioni pubbliche, ma queste nascono da un conflitto e sono legittime in quanto di quel conflitto sono il superamento ma non l'oblio. Questa consapevolezza, come anche la consapevolezza che in ogni caso la politica si dà solo allraverso le istituzioni, è una cosa che nella sinistra non era molto di casa, perché la sinistra era spesso una sinistra sociale, dunque -almeno storicamente, penso agli anarchici- nemica delle istituzioni. Ecco, questa acquisita consapevolezza era il motivo per cui questa volta le sinistre si presentavano con Spaventa, con Visentini, cioè con i grandi borghesi consapevoli del fallo che le istituzioni concrete, storiche, sono le istituzioni borghesi nel senso del la borghesia come classe universale. Quei pochi borghesi che sono stati capaci di pensare alla borghesia come classe universale sono stati con la sinistra e la sinistra è stata con questi, scegliendo come terreno minimo di determinazione e di autodefinizione la lealtà verso le istituzioni. Tutto questo è stato elettoralmente catastrofico, perché l'ha falla percepire come pedagogica e come vecchia, cioè legata alle istituzioni corrolle, mentre immagino che la sinistra volesse invece far passare un messaggio di riqualificazione democratica delle istituzioni. Dall'altra parte c'erano i portatori di un pensiero politico complesso e variegato. Alleanza Nazionale certamente è statualista, come lo è la gran parte delle culture della destra tradizionale (anche se vi sono delle culture politiche di destra non statualiste, ma sono quelle estremiste, eredi di una tradizione di critica alla politica moderna e alla sua forma, cioè allo Stato) che hanno sempre fatto un discorso di Stato autoritario, ed il punto è che questo è uno statualismo che non riconosce legittimità allo Stato democratico. Delle due condizioni che devono coesistere (la politica passa attraverso le istituzioni pubbliche e queste sono quelle storicamente date) la prima era accettata, ma non era accettata la seconda. Nel cartello elettorale vincente c'è poi un'altra destra, quella di Berlusconi, che è erede di un pensiero politico che dà un'interpretazione del liberalismo in senso non statualistico. Noi siamo abituati a pensare al liberalismo come alla cultura politica grazie alla quale la borghesia come classe universale ha costruito lo Stato -Cavour era un liberale e ha fatto lo stato italiano, Croce si definiva liberale ed era un pensatore dello stato-, ma nel secondo dopoguerra è emersa una tradizione di liberalismo non statualista, il liberalismo anglosassone, che fonda la politica come male minore, come swto minimo, cioè come coesistenza che non passa allraven,o le istituzioni pubbliche, ma attraverso la libera interpretazione dei singoli. In questa concezione le istituzioni pubbliche sono qualche cosa di residuale e la convivenza passa attraverso la intrinseca, quasi organica, capacità di produrre configurazioni ordinative che starebbe nel livello individuale e sociale della produzione, della acquisizione. Per questa corrente politica, cioè, esiste la possibilità di produrre ordine per adattamento storico. In fondo è una traduzione moderna delle concezioni di Hume o Adam Smith, se vogliamo è la fede in un ordine spontaneo ed evolutivo, non in un ordine razionalisticamente imposto alla società. Questa concezione è frutto della storia dei paesi anglosassoni, del loro maturarsi attraverso rivoluzioni che non hanno prodotto la forma della rappresentanza assoluta, come invece è accaduto in continente. Questa concezione liberale ha, di fatto, una debole valutazione del momento pubblico statuale ed una sopravalutazione dell'iniziativa privata, la sua critica non è soltanto "il pubblico è corrotto", ma si tende a dire che il pubblico non può non corrompersi, che non esiste un pubblico non corrotto se non quando viene drasticamente ridotto nella sua capacità di intervento. L'ultima componente significativa dell'alleanza governati va è la Lega, che per definizione è nemica dello Stato. Non a caso si affidava a un pensatore politico come Miglio, che ha interpretato Schmitt proprio come superatore dello Stato e che lo ha criticato in quanto non abbastanza radicale. In questo contesto è stato fondamentale anche il fatto che la sinistra non abbia più una cultura politica precisa. Di sicuro non ha più una cultura politica marxista -anzi, l'unica cosa di cui siamo certi è che il marxismo, in ogni sua variante, non fa parte né degli strumenti analitici dei singoli intellettuali della sinistra, né di un piano, di un progetto, di un programma di sinistra- •ma l'abbandono di uno strumento così potente ha certamente dei costi, anche se era uno strumento pregiudicato dall'inefficienza sposata alla dittatura. Di fatto, comunque, l'assenza di una cultura politica determinata, specifica, qualificata, si è sentita e nella sua formulazione migliore la sinistra ha prodotto un progetto di austerità liberal, ma con una componente di liberalismo non anglosassone, perché almeno da questo punto di vista la sinistra è interna alla tradizione italiana. Quello della sinistra è un liberalismo allento ai diritti finché si vuole, ma questi diritti li traduce in istituzioni o, come dicono loro, in servizi, anche se la sinistra più volentieri che dirilli dice solidarietà. Detto tutto questo non abbiamo detto niente, cioè non abbiamo detto perché le destre hanno vinto. Perché hanno vinto? Hanno vinto per merito di Berlusconi. Lui ha realizzato la condizione topologica della vittoria, cioè ha consentito che non si ripetesse quello che per lui è stato il disastro di novembre, è riuscito a far stare insieme Lega e Anche, prima, insieme non sarebbero mai stati e ci è riuscito non perché se li è comprati, ma perché ha allinto a un livello di legittimità diverso da quello delle istituzioni. Prima di tutto Berlusconi ha visto che oggi il vero livello della legittimità non è quello delle ideologie -cioè ha visto che la politica non passa più attraverso Je istituzioni, che le istituzioni non spiegano più niente- e poi ha avuto un'intuizione geniale capendo che oggi la politica funziona in un altro modo - cioè funziona attraverso la televisione, che a sua volta vuole dire che la politica è oggi, per la prima volta, veramente ridotta ad immaginee su questo altro modo lui è portatore di una potenza decisiva. Ma se la percezione della legittimità della politica non passa più né attraverso la semplice esistenza delle istituzioni, né attraverso una specifica qualificazione storico-politica di quelle istituzioni, penso si possa dire che quello che i cittadini italiani hanno voluto, anche senza saperlo bene, è stato il superamento della politica. E l'hanno voluto perché la prima repubblica ci ha lasciato, fra gli altri regali, anche il disgusto per la mediazione politica. "Mediazione" è stato sempre adoperato come il far stare insieme a tutti i costi quello che non può stare insieme e questo ha fatto passare alla gente la voglia di essere mediati dall'alto. La gente, in sostanza, ha detto: "Se mediazione deve esserci, almeno avvenga con minor spesa, non c •è bisogno che ci paghiamo un ceto politico per fare questo". La società che si vuole autogestire politicamente, contro la vecchia politica ... è questo che ha capito Berlusconi. Tutto questo è la fine della politica intesa sia come rappresentanIN RWANDA ALIBI ETNICO? vano come il presidente venivano chiamati "tutsi", ma molti confondono e pensano che la guerriglia sia solo dei tutsi. Non è solo dei tutsi, anche se i tutsi erano già contro il presidente. I giornali devono dire che sono hutu e tutsi insieme, che insieme vogliono il Rwanda vivibile, migliore. Come è possibile che fra due etnie che parlano la stessa lingua, professano la stessa religione, vestono e mangiano allo stesso modo, si arrivi al genocidio? Scontro etnico o anche, e soprattutto, politico? Intervista a Françoise Kalinke e Shadrac Musoni, tutsi. " Ci si chiede cosa stia succedendo realmente in Rwanda, da dove venga una cosa del genere ... Shadrac. Il fatto di non sapere autorizza spesso a fare delle semplificazioni, liquidando la situazione con la spiegazione che fatti spaventosi come quelli del Rwanda succedono perché ci sono due etnie che si scannano, per cui, quando avranno finito, si penserà ad aiutare chi avrà preso il sopravvento. Ci si chiede cosa è successo, come mai sia avvenuta una cosa del genere, ma quel che succede non è troppo sorprendente: quando un insieme di fattori che possono determinare una situazione esplosi va si trovano tutti assieme una situazione del genere può scoppiare dovunque, la Jugoslavia è qui vicino, basta semplicemente che qualcuno che vuole pescare nel torbido accenda la miccia: è quello che è accaduto da noi. II problema ruandese non è nato il 6 aprile, quando è stato ucciso, in un attentato, il presidente in carica: il grosso problema di quasi due milioni di fuoriusciti, per esempio, c'era già: erano cittadini ruandesi cui si impediva di accedere al proprio territorio perché una fazione si era appropriata del paese. E' una cosa inaccettabile, inconcepibile, eppure è accaduta per trent'anni. Françoise. II presidente, adagio adagio, aveva messo tutto il paese sotto il controllo della sua famiglia, della sua gente, e chiunque poteva vedere questa ingiustizia. Nella scuola, poi, uno non riusciva a studiare perché era intelligente, ma perché veniva dalla famiglia o dalla regione del presidente. All'interno e all'esterno, quindi, B1bl" A . c'era una situazione esplosiva, che spingeva a reagire. La reazione è stata che i ruandesi di fuori si sono organizzati e hanno chiesto, passando dall'Onu, di rientrare, ma il presidente ha rifiutato, mentre all'interno ammazzava o metteva in galera chi si rivoltava. Allora quelli fuori dal Rwanda si sono organizzati e quelli dell'interno sono riusciti a scappare per raggiungerli: i "ribelli" sono solo persone che vogliono giustizia. E' così che la guerra, nel 90, è scoppiata e per reagire a questa guerra il presidente ha cominciato una politica molto dura, finendo per confondere il paese con il suo bene, col potere che non voleva dividere. S. Capisci che quando, dall'alto della sua potenza, un individuo si comporta in questo modo e trova udienza ovunque -andava in giro a fare discorsi del genere: "Il paese è piccolo, non c'è posto per tutti, voi che siete fuori cercate di trovarvi una sistemazione così risolviamo il problema" e nessuno gli diceva nulla, anzi, gli è stato dato un aiuto consistente pensando che ormai il paese fosse di sua proprietà- è difficile non reagire. Il disastro che è stato fatto è una responsabilità ruandese, nessuno lo mette in dubbio. ma ci sono stati degli aiuti, delle agevolazioni, degli atteggiamenti che non sono certo meno condannabili. E' certo un aspetto del razzismo che si pensi che certi atteggiamenti "da quelle parti". in quei paesi incivili, si possano tollerare, che non succeda nulla. F. Sulla carta d"identità ruandese c'era scritto il nome dell'etnia -hutu, tutsi o twa- e sono stati questi nomi quelli che hanno permesso alla gente di ammazzare subito. Il fatto che ci fosse scritta l'etnia sulla carta d'identità -anche se nel passato ci sono stati matrimoni misti e talvolta non potevi nemmeno distinguere uno dall'altro- in Sud Africa sottolineava l'apartheid, mentre in Rwanda succedeva la stessa cosa e nessuno diceva niente. S. La pazienza ha un limite, la gente si è organizzata e, dopo aver tentato un ribaltamento politico della situazione, è stata costretta a ricorrere alla forza. E' così che l'opposizione, da politica, è diventata una opposizione armata che ha invaso il paese e, come nella maggior parte dei casi quando una guerriglia armata è ben preparata e motivata, ha preso il sopravvento. Il governo, infatti, è stato costretto a venire a patti e ad intavolare delle trattative serie per risolvere il problema. F. Volevo sottolineare una cosa: quando è cominciata questa guerra il presidente ha cominciato a dire che i guerriglieri erano ugandesi, ma alla fine ha dovuto accettare il fatto che chi lo attaccava era ruandese. Ha dovuto rendersi conto che in Rwanda aveva creato una situazione invivibile, in cui i giovani non avevano un avvenire. Mio fratello, per esempio. ha 17 anni e doveva studiare. ma la scuola non gli permetteva di studiare ed è dovuto andare nella guerriglia. Dicono che i guerriglieri sono tutti tutsi: no, non sono solo tutsi, sono di tutte e due le etnie. Anche gli hutu moderati. come l'ex primo ministro. andavano con i tutsi. Tutti quelli che non la pensaMa quanto, storicamente e attualmente, è rilevante la questione etnica? S. La questione etnica viene strumentalizzata, anche storicamente. Le differenze esistono, questo è vero, ma è anche vero che, quando sulle differenze si vuole imbastire qualcosa, le differenze si trovano sempre. Ultimamente il presidente, che promuoveva questa politica etnocentrica, aveva trovato una ulteriore divisione: visto che le risorse non erano più sufficienti neanche a coprire le esigenze di tutta la base hutu, è accaduto che in seno al raggruppamento degli hutu si è creata una nuova suddivisione fra quelli del sud e quelli del nord (il presidente era del nord) e quelli del sud sono stati emarginati. Mano a mano che si assottigliavano le risorse, poi, la cerchia si è ristretta alla collina, alla famiglia, del presidente, tant'è vero che anche molti hutu del nord sono fuoriusciti, sono diventati profughi e ora fanno parte del fronte patriottico. dei cosiddetti ribelli. Tutto questo dimostra che quello in atto in Rwanda non è uno scontro etnico: anche gli hutu sono vittime dei massacri. F. Il fatto etnico, poi, è stato sottolineato in modo sbagliato. C'è un grosso disequilibrio numerico -i tutsi sono il 15-20%, gli hutu 1'80-85%- e questo fa sì che un politico, invece di proporre un programma democratico. vada a fare la sua campagna sull'etnia, così è sicuro di aver subito una maggioranza del 90% . Se tutsi e hutu fossero 50 e 50 queste cose non accadrebbero perché questa questione della razza non funzionerebbe più; anche se le differenze esistono, si vedono, ma al mondo le differenze esistono. La nostra storia ci parla di una convivenza pacifica, non è mai successo prima quello

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==