Una città - anno IV - n. 33 - giugno 1994

di filosofia e altro Bi Quando si inérina il presupposto non scritto di ogni fiducia nella storia. Il venir meno del rapporto stabile tra natura e cultura. Il suicidio dell'~uropa nel 1914. La post-democrazia. Intervista a Fulvio Papi. Fulvio Papi insegna filosofia teoretica all'Università di Pavia. Come vede il futuro alla soglia del passaggio del secolo? Credo sia una domanda quasi televisiva, ma per lei, che ha appena pubblicato un libro dal titolo Philosophia imago mundi, è una domanda quasi obbligatoria. L'immagine invisibile, mi scusi il bisticcio, del mondo che si riesce a disegnare dipende completamente dal luogo in cui ci si trova, dalle parole di cui si dispone, e certamente dai fini che, in un modo più o meno consapevole, nascono dalle proprie relazioni con il mondo. Se io fossi un nomade del deserto arabico o uno Zulu o un agricoltore del Nord della Cina non so proprio che cosa le potrei rispondere. Anzi sono convinto che a un personaggio di questo tipo lei non farebbe nemmeno questa domanda. La domanda che mi fa appartiene già ali' orizzonte di senso nel quale lei e io ci troviamo ad essere. Lei sottintende una mia disponibilità a rispondere, una disponibilità non psicologica ma intellettuale. Lei suppone che io disponga di parole che possano sorvolare al di là di un circoscritto limite di spazio e di tel)lpO. Non sono un "saggio", ma un filosofo occidentale che può emendarsi filosoficamente dai rischi peggiori della propria tradizione valorizzandone invece le possibilità. Ho un pensiero astratto, una capacità di narrazione teorica. Il disegno che le farò non è una previsione che dovrebbe cimentarsi con una serie di variabili che non credo nessuno possa dominare. Ma c'è un desiderio di interrogare il destino: "una immagine verosimigliante del mondo che possa essere riconosciuta come immagine del proprio essere nel mondo". E' qui che comincia il mio disegno. Ascolti: la popolazione mondiale è in una crescita molto sensibile, gli otto miliardi di abitanti sono un risultato che è a portata della vita di persone di mezza età. Il modo in cui finora sono stati prodotti i beni necessari alla vita non mi pare stia cambiando. Mi pare che i seicento milioni di persone già oggi a rischio della vita per fame provano invece che, se il problema fosse solubile con una relativa facilità, esso sarebbe già in via di soluzione. Non ho dati perfetti, ma le monocolture intensive hanno desertificato spazi immensi, l'agricoltura intensiva a medio-lungo termine provoca la inutilizzabilità delle terre e la riduzione degli spazi colti vabili. I sistemi attuali di pesca stanno "desertificando" gli oceani ... E ogni soluzione è impossibile? Impossibile è una di quelle parole che rischiano di abolire la temporalità. Non voglio parlare come se le mie proposizioni appartenessero alla fisica della reversibilità. Le mie parole sono segnate nel modo più profondo dalla temporalità. Chiediamoci: come si produce oggi? Il mercato mondiale mostra tensioni e scompensi come è ovvio, ma come Gestel 1(apparato di natura impositiva) o come struttura, funziona con tutte le rigidità che sono e devono essere proprie di un mercato, sia dal punto di vista della circolazione dei capitali, della crescita tecnologica, dell'organizzazione razionale del lavoro. "Razionale" vuol dire soltanto capacità di calcolo, massimizzazione. L'esperienza di questi anni ha mostrato che interventi correttivi su aspetti di crisi sono possibili solo su aree circoscritte e con interventi che attivino al meglio il funzionamento del mercato, per esempio con il risanamento dei debiti pubblici o con ammortizzatori socia Ii che contengano il rischio di conflittualità troppo intense. Sulla distribuzione di risorse o di tecnologie su scala mondiale che non avvengano attraverso un indebitamento disastroso dei paesi poveri (produco per pagare) non mi pare sia accaduto niente di rilevante. Non sto dicendo che non se n'è occupato nessuno. Anzi, moltissimi. Quello che non si vede è l'inizio di un processo che vada in senso contrario al peggio. Dov'è la mente razionale e potente che sia in grado di prendere decisioni di portata planetaria? Questo è il fal1imento del cosmopolitismo non solo dal punto di vista dei suoi ideali ma anche dal punto di vista del calcolo delle sue utilità. Non c'è nessun "soggetto" comunque chiamato, ci sono solo le cose che vanno come vanno entro le quali ci sono orizzonti di soggettività. Che magari parlano ma il cui linguaggio non ha nessuna forza. Questo lasciare che le cose vadano come vanno non è una scelta, è un fatto. Ha toccato un tema centrale, la razionalità. E' d'accordo con la tradizione heideggeriana che associa a questa fòrma di razionalità una volontà di volere, di assoggettamento del mondo? Vuole parlare della «età della tecnica», mi pare. Su queste questioni quello che io credo di pensare è questo: vi è un fondamentale rapporto tra razionalità, potere e riproduzione sociale. In questa prospettiva vi è una razionalità calcolatoria, ripetitiva e a breve termine che non esaurisce affatto ogni forma di razionalità, per esempio l' autoproduttività matematica, ma che appartiene a forme e poteri sociali molto rilevanti che dominano la riproduzione materiale della vita. Non c'è «bene», in parole povere, che non sia «merce». E non c'è merce che, in qualche modo, non costruisca un senso, un modo in cui una collettività seleziona i suoi comportamenti dominanti. A volerla vedere da vicino, piuttosto che proiettarla in prospettive troppo generali, questa scena altro non è che la regola immanente dell'incontro delle varie unità produttive sul mercato. E questa connessione tra valorizzazione del capitale equesta forma di razionai ità che, nel suo sistema di calcolo, impone una direzione e una selezione anche alla tecnologia, è del tutto ovvia. Il momento più inquietante di questa forma di razionalità è dato dal suo contemplarsi ideologico quando ritiene di essere la forma di razionalità capace di risolvere ogni problema, cioè di essere la mano di Dio. Purtroppo i problemi del mondo sono tali che non possono essere messi tutti in forma di valorizzazione del capitale. E una situazione del genere si vede bene teoricamente, ma nel concreto, per riprendere una eco heideggeriana, non si può non prendere la forma dell' essere. Anche se... Prima di parlare del suo "anche se", mi dica in due parole dove, secondo lei, questo intreccio di valorizzazione del capitale e di razionalità immanente a questo processo, ci condurrà. Sono convinto che la vita planetaria subirà modificazioni profonde: -----------------------altrecittà Ul'UVAR Quando mi resi conto che avevamo attraversato il mare la notte era finita. Stavamo cercando ilponte per entrare a Utuvar e procedevamo a tentoni, ritornando spesso sui nostri passi. Un bulldozer lavorava sulla collina, andava avanti e indietro, spostava la terra, pareggiava. Ilterreno era un quadrato, in pendìo, segnato agli angoli da quattro pali di castagno o forse non era segnato affatto, ma i confini erano di per sé evidenti perché fuori era ingombro di macerie, coperto di rovi, e dentro era pulito. La macchina, dopo il lavoro, s'arrestò sotto il margine inferiore del quadrato accanto a un'enorme massa di terra riportata da sopra e, dopo qualche minuto di sosta, cominciò a spingerla in basso e a spargerla per colmare le buche e appianare un altro quadrato, confinante con ilprecedente ma più in piano, appena separato da uno stretto corridoio fangoso. Capii allora che stava spostando terra dal cimitero degli uni al cimitero degli altri. In quel momento il bulldozer s'impennò davanti a un mucchio di sassi, rinculò e scivolando all'indietro sui cingoli investi e piegò uno dei pali di confine. Lì stavano ammucchiati diecine e diecine di paletti corti, ciascuno di essi con una piccola tavoletta di legno inchiodata in cima con su scritto: "O noi o loro". I paletti dovevano servire a segnare le tombe di entrambi i cimiteri e la scritta "O noi o loro" era il nome di tutti i morti. Michele Calafato i ghiacci che si sciolgono, il buco dell'ozono che si allarga, le foreste che spariscono, l'inquinamento progressivo del ciclo delle acque, insomma l'insieme combinato degli attuali elementi antropici che intervengono nel processo di evoluzione della natura. Non è I' orgoglio dissennato dall'uomo che ci ha condotto in questo mare burrascoso, è il combinarsi di elementi fondamentali della storia moderna, quelli stessi che costituiscono la "carne" del nostro stesso parlare, anche se vi è, come lei sa, una trascendenza del linguaggio ... Non deve però immaginare che sia in atto una sola causa: il processo di valorizzazione del capitale si combina in concreto con le identità culturali delle popolazioni, con le decisioni economiche e sociali del popoli più poveri e con tante altre cose che tuttavia hanno tra loro qualche relazione reperibile. Non che io immagini una prossima distruzione del pianeta. Sto solo affermando che a parità di condizioni esistenti e con modifiche, com'è avvenuto sinora, più dimostrative che reali, è immaginabile un nuovo assetto del rapporto, per dire semplicemente, tra natura e cultura, rispetto a quello che noi consideriamo come un ambiente ovvio e durevole. Se muterà l'ambiente della vita nella sua qualità e nelle sue relazioni geografiche, dovranno mutare anche le condizioni della vita culturale, nel senso antropologico. A fianco del mio Dipartimento vi è un asilo. Le confesso che quando dalla finestra guardo, e sento, soprattutto sento, quei bambini, provo un senso di disagio e quasi di vergogna per questi miei pensieri e vorrei trovare delle ragioni per essere in grado di pensare, come quando ero giovane, a un mondo diverso a portata di progetto, di volontà e di impegno ... Le dicevo, non catastrofe del pianeta, ma modificazioni rilevanti del rapporto tra natura e cultura. Per avere un'immagine precisa di quello che voglio dire forse questa riflessione può essere utile. Guardi che tutta la modernità, tutta la sua ontologia -della quale l'economia politica è parte fondamentale, spesso non vista-, sta in piedi su un presupposto fondamentale e non detto. Il presupposto è che nel tempo vi sia un rapporto costante tra cultura e natura. Se lei va a vedere i filosofi del progresso talora trova una spia che dice "se non avverranno catastrofi". Questa è un'eredità testuale aristotelica. Ma certamente fa emergere il presupposto di una continuità stabile del rapporto tra natura e cultura. Ora è questo rapporto che io considero in crisi, in dissoluzione. La sua posizione appare "ragionevolmente" catastrofica ... Guardi che "io" non desidero essere niente su cose del genere, cerco solo che le cose prendano forma di pensiero. Che non si rappresenta e non si vende. C'è solo come pensiero, che tuttavia se non è delirante, ha dei limiti precisi, non soltanto il nostro pensiero è temporalmente circoscritto ma è anche limitato. Naturalmente pensare vuol dire tentare, con successo o meno è un'altra questione, di andare al limite. E da questo punto di vista come vede il quadro internazionale dopo il famoso abbattimento del muro di Berlino? Credo sia molto corretto sostenere che il muro è caduto quasi "da solo", nel senso che è stata una rivoluzione pacifica e inarrestabile. Anche se da parte dei dirigenti della Germania occidentale doveva esserci meno enfasi e una maggiore chiarezza sul quadro economico e sociale che ne sarebbe derivato. e si aggiunge: se non verranno catastrofi ... La caduta del muro ha un valore simbolico più ampio, è la fine di equilibri internazionali che duravano dalla fine della guerra. Ricordo che quando Kissinger sosteneva che un equilibrio mondiale basato sul terrore reciproco è meglio di squilibri che conducono all'incertezza e alla insicurezza, gli davo torto. preso com'ero dal terrore di una catastrofe nucleare. Aveva veramente torto? Mi trovo molto a disagio nel dare una risposta semplice, come forse dovrei. Il fatto è che oggi le conflittualità locali sono potenzialmente esplosive. Manca, percosl dire, un qualsiasi controllo della conflittualità, per il quale, in ogni caso, c'è sempre un prezzo da pagare. L'Onu può funzionare bene solo se vi è intesa tra le grandi potenze militari che sono solo gli Usa e la Russia. Almeno sino a quando non vi sarà una espansione della potenza nucleare. Il che significa che inevitabilmente qualche vantaggio politico devono ricavarlo. Bisogna essere realisti. L'Europa è una grande potenza economica, ma non è una forza militare. Questo deriva dalla sua storia atroce della prima metà del secolo e poi dal fatto che la spesa pubblica europea è andata solo in minima parte agli armamenti. Siamo stati esportatori di armamenti. Questo è, stato un vantaggio dal punto di vista della distribuzione delle risorse. Andrà anche calcolato quanto l'esclusione per decenni dei paesi dell'Est europeo, Russia compresa, abbia pesato sul tipo di svi Iuppo economico dell'Europa occidentale. Che cosa sarebbe accaduto se il capitale industriale avesse avuto un'area più grande di impiego, un mercato del lavoro molto più ampio? Sull'Europa, sul suo destino spirituale e materiale, recentemente sono intervenuti diversi filosofi e pensatori, da Pomian a Morin a Derrida. Cosa ne pensa? Non potrò discutere le tesi di questi autori in due parole. Le dirò invece non quanto "penso", ma quanto da tempo mi tormenta come un' ossessione latente. Per me è un'immagine forte quella di un suicidio del!' Europa nel I914. Senza la guerra -che non mi pare necessariamente la "guerra del materialismo storico" come diceva Croce- forse il processo di modernizzazione capitalistica avrebbe potuto avere il suo possibile regolatore sociale, la sua intelligenza sociale, il suo senso e il suo limite da una politica che derivava dalla progressiva affermazione dei partiti socialisti. So bene che quello che le ho detto significa immaginare la storia e non spiegarla. La spiegazione si riferisce sempre a uno stato di cose. Ma perché deve essere ritenuto insensato immaginare possibilità che li processo storico ha distrutto? Qual è la relazione tra il possibile e 1· impossibile, è sempre sicuro che il confine tra i due sia ritrovabile in fenomeni macroscopici? E dopo il 1914? Dopo la prima guerra mondiale lo scenario fu capovolto dalla comparsa della prima forma di civiltà di

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