Una città - anno IV - n. 32 - maggio 1994

termini attorno a cui ci sarebbeda fare uno studio linguistico divertente: nel Msi dire ··sociale" ha un significato tutto particolare equando un missino parla di socialità gli viene fuori tutta l'anima comunista. Questo imbroglio si è alimentato attraverso due parole chiave: "corporativismo" e"socializzazione". Il programma sociale del Msi era fondato su questi due imbrogli che fanno perno sul lavoro concepito come fonte di rappresentanza, quindi uno stato concepito come stato nazionale del lavoro, e sulla socializzazione, cioè sull' abolizione della proprietà privata a favore dell"'impresa proprietaria", in cui l'imprenditore è quello che mette la sua iniziativa, ma poi diventa uno "inter pares". Questi sono due punti cardine e il fascismo-regime non li ha realizzati perché erano irrealizzabili, perché comunque i conti col mercato, con la borsa,con la democrazia, e quindi con una forma di rappresentanzache non è quella corporativa, è un dato assolutamente non revocabile, che va assuntonella suapienezza. Questa è l'anima di sinistra dei missini che poi veniva spesain politica da Almirante. A fianco di quest'anima convivevano, e convivono tuttora, altre componenti chesi richiamano al fascismo: Tremaglia è un apologeta del fascismo ed è assolutamente filoamericano, filoccidentale. E mentre la sinistra missina privilegiava ipotetici rapporti col Psi, " ' . : ~:I'' . . .• se non addirittura col Pci, Tremaglia, e come lui Franchi, vedeva come unico interlocutore possibile la Dc. Ne "Il polo escluso", il libro di lgnazi, ci sono le tabelline che sottoponeva ai congressisti quando veniva ai congressi del Msi, quindi c'è anchela progressione di questo sentirsi di sinistra, motivato da una serie di scelte -l'antinuclearismo, la questione palestinese, l'antiliberismo in economia- chenon avevano più niente ache vederecol fascismo di sinistra: nel '79 quelli che si definivano di sinistra erano il 5%, nell'87 il 30% e nel congresso di Rimini eranoulteriormentecresciuti. C'è stato e in parte c'è ancora, chi vive per intero la propria esperienza nel Msi come una esperienza rivoluzionaria, anticapitalista ed in questo senso"di sinistra". Tutto questo, però, non affronta la questione della libertà dei singoli e delle associazioni, che il fascismo comunque negava ... Questa è una questione critica, ed infatti, se fossi nato durante il fascismo io probabilmente sarei stato antifascista perché la cosa che più di tutte mi ha fatto esseremissino era che, nella scuola e fuori di essa,sivoleva impedire il mio modo di essere in politica; senza questa pressione forseavrei smessodi fare politica tre mesi dopo che avevo cominciato. Io non ho appartenuto a movimenti anarchici, ma il mio modo di esserein poi itica è sempre stato sostanzialmente anarchico, una cosa che forse ho ereditato da mio padre. Per farti capire che tipo eramio padre dico questo: quando ho compiuto diciott'anni mi regalò l'edizione completa del "Capi tale" di Marx. Non l'ho mai letto, ma mi èsempresembratoungestodi grande libertà, di grande indipendenza. E come hai vissuto il terrorismo di destra? Innanzitutto il terrorismo di destra, che è un fenomeno essenzialmente legato a Roma, non era il terrorismo bombarolo, stragista. Sono convinto, anche per una serie di riscontri personali, che la destra non avesseniente a che fare con lo stragismo, neanchecome manovalanza, ed infatti neanche dai processi taleconnessioneèrisultata. Il terrorismo di destra era, e così era definito e propagandato anchedagli stessi protagonisti, uno spontaneismo armato. la difesa, ma cosmopolita, delle differenze Era cioè una risposta disperata, un ribellismo senzanessuntipo di strategia politica, contro il sistema, come veniva chiamato allora, e contro l'estrema sinistra che noi, in buona fede, vivevamo come supporter del sistema, e che, altrettanto in buona fede, ci combatteva per lo stessomotivo. Questo fenomeno spontaneistico praticava delle azioni simboliche contro il poliziotto, cioè un rappresentante dello stato, perché c'era l'intenzione (e qui forse ci sarebbe da fare un discorso psicanalitico) di mandarealla sinistra un messaggio esplicito: "Vedete il nostro obbiettivo è comune al vostro, noi siamo rivoluzionari e non spariamo a voi, o soltanto a voi, ma al simbolo dello stato, al rappresentante del comune nemico". C'erano in loro dei miti che si rifacevano a un certo patrimonio ideale del fascismo, come quello dell'eroe combattente, del gestoeroico, della responsabilità individuale e dell'esporsi fino in fondo, che li metteva nella logica di dire "Faccio questo atto estremo per affermare che, anche se sono disperato, non mi piego". Erano atti che, consapevolmente, non portavano a niente, non c'era un progetto di conquista del potere. In qualche casoci sono state delle connivenze, documentate, fra il terrorismo di destra e pezzi del l'apparato statale,come ci sono state con la malavita, ma soprattutto lo si è lasciato fare. Ci sono stati, soprattutto a Roma, dei casi documentabili in cui si sapeva da dove venivano certe cose, ma non sonostaterepresseali' inizio in quanto quel terrorismo è servito al potere. I Nar, per esempio, furono sconfitti dopo la strage di Bologna e furono arrestati per una cosa che non avevano fatto, ma nel momento in cui, politicamente, conveniva Bse01 i10{ 0 eicaueG I nOi. BI an CO E' significativo, comunque, che il fenomeno del terrorismo di destra e quello della Nuova Destra nascanocontemporaneamente:ambedue partivano dal non riconoscersi più nel modello politico che fino allora ci avevarappresentatoacriticamente, il Msi, e mentre noi abbiamo cominciato a sviluppare una nostra teoria della politica e una nostra pratica, con undichiarato e unilaterale rifiuto della violenza, altrepersone, che pure erano state nostri amici, che avevano vissuto in parte le nostre stesseesperienze, hanno imboccato quella strada.Tutto questo dipende da quel sensodi ribellione di cui parlavamo prima: tutto quello che era istituzione l'abbiamo vissuto come nemico. La mia generazione, quella immediatamente precedentee quelle successive, sono le peggiori generazioni uscite dalla scuola italiana: non abbiamo imparato niente. Ingrao, Rauti, Almirante, Pajetta, Andreotti, hanno avuto tutti una formazione di tipo idealista, quindi hanno un'idea dello statoe delle istituzioni che ha la stessamatrice, la matrice da cui poi sono nate le ideologie del nostro secolo, mentre tutti noi, di destra e di sinistra, siamo stati in gran parte immuni da questotipo di formazione culturale e non abbiamo saputo esprimere, almeno finché non abbiamo imparato certe cose, nessunaindicazione politica, ma solo l'estrema espressionedi un ribellismo. A questo proposito dicevi prima dei limiti della scelta metapolitica fatta dalla Nuova Destra ... Nell'84 io e altri sostenemmo la necessità che la Nuova Destra finisse la fasemetapolitica e cominciasse ad occuparsi di politica. In quegli anni ancora non esisteva in Italia il movimento verde -forse su quel terreno c'era soltanto Langer in Alto Adige- ed io spinsi moltissimo perché ci fosse una nostra partecipazione diretta alla faseprecostituente di tale movimento, ma ladivaricazione fu netta.Ci fu qualcuno che uscì dal Msi e dalla Nuova Destra e andò con i Verdi (fra questi alcuni che a Milano tuttora stanno nelle varie componenti del movimento verde: Alessandro Degliocchi, Gianluca Bertazzoli, ora segretario regionale degli Amici della Terra, ealtri) enacquero,al di là degli scambi culturali con persone come Cacciari o Marramao, anche dei rapporti con persone che facevano politica: Langer, Umberto Gai di Milano, oppure, a Roma, con il Partito Radicale. Con Rutelli, infatti, c'è un'amicizia e una collaborazione che durano da quegli anni, dall' 84-85. In questocontesto la Nuova Destra di Tarchi prese la sua strada, chiudendosi in una visione politologica secondo me poco efficace, e non riuscì a spendersi,a fare un passoulteriore. Inoltre la Nuova Destra non ha voluto tener conto che un segno viene comunque letto nel contesto in cui si esprime. Come esempio si può prendere la questione dell'immigrazione. In un convegno, un anno e mezzo fa, è stataelaborata la posizione di Tarchi e degli altri, quella del cosiddetto differenzialismo. E' una posizione nobilissima il cui punto di partenza è un atteggiamento di solidarietà verso i popoli extraeuropei e il rifiuto di qualsiasi forma di razzismo, di xenofobia, di valutazione gerarchica o semplicemente negativa delle differenze; c'è anzi un grande rispetto delle differenze che arriva a concepire una società di comunità differenti in qualche modo organizzate fra loro. Ma questo discorso -fatto da qualcuno che si definisce, o viene definito, "Nuova Destra" e che deriva biograficamente daquegli ambienti- si presta, se lasciato a se stesso, ad essere letto come un atteggiamento in qualche modo riconducibile non dico al razzismo, ma certo adun "non-universalismo" chepuò essere interpretato in maniera negativa dal giornalista del Manifestoche viene aseguire il convegno. Quello stesso discorso viene poi letto specularmente dall'estremistadi destra, che trova unagiustificazione colta alla propria posizione che è "Io non sono razzista e nemmeno xenofobo, anzi, viva la differenza e ognuno a casa sua". Questo significa che non si può pensare di essereneutri rispetto a questecose,che la politica diventa una necessità. Marco Revelli ha fatto, qualche mese fa, un articolo sul Manifesto in cui dice che la Nuova Destra si trova di fronte ad una eterogenesi dei fini perché il superamento che Tarchi ha creato dieci anni fa -capendo, in anticipo su tutti, quello che stavaper succedere in Italia e cioè che le rotture antropologiche erano più forti delle divisioni politiche e che la fine degli universi simbolici di destrae di sinistra avrebbero avuto una ricaduta in politica- ha creato uno spazioche adessol'incolto Fini sta riempiendo. Questa è la responsabilità politica cui, secondo me, è sfuggita la Nuova Destra. E come vivi il tuo essere oggi, anche politicamente, a sinistra? Per me l'impegnarmi a sinistra è stato un atto di liberazione. E' stata una scelta che è avvenuta conservando, quasi sempre, anche dei buoni rapporti: non sono stato accusatodi tradimento perchéal punto in cui ero arrivato, avendo dato tutto quello che potevo dare, potevo soltanto prenderee quindi, seci fossestato da partemia un interesse carrieristico, opportunistico, l'opportunismo stavanel rimanere nel Msi, non nell'andarmene. Nella sinistra sto vivendo una serie di esperienzeinteressanti,anchese non tutte di segnopositivo. A Palestrina collaboro splendidamente con le persone con cui mi sono scontrato quotidianamente per quindici anni, cioè con gli esponenti dei vari frammenti della sinistra. Paradossalmentesonounodei pochi che riesce ad avere un dialogo con tutti. Ciò che, invece, nel rapporto con la sinistra mi fa soffrire, è il vivere su questo versante le incomprensioni di cui sono stato vittima quando eronel Msi, incomprensioni che poi portano a non poter recuperarequanto di positivo c'è nella destra.Senegli anni in cui subivo l'ostracismo, in cui ero costretto ad avere uno scontro, sia pure verbale, con la sinistra avessi invece avuto l'opportunità di uno scambio, forse la sceltacheho fatto tre anni fa l'avrei fatta prima, ma questa scelta, invece di essere favorita, mi veniva ogni volta negata. le contraddizioni di quel mondo devono interessarci Ecco, oggi avverto questadifficoltà; unadifficoltà per cui, per esempio nello scontro Rutelli/Fini, penso che l'inasprimento degli ultimi giorni di campagna elettorale abbia portato a fare la campagnacontro Fini in nome dell'antifascismo -attribuendogli cose casomai vere, su cui lui magari bluffava- invece che fondarla sui dati politici, sui veri problemi, sulle vere contraddizioni del Msi: l'alleanza conSbardella e coi palazzinari, il recupero dell'apparato di potere democristiano aRoma. Pensoche tutto questo abbia favorito elettoralmente Fini, ma soprattutto abbia rialzato un muro laddove dei canali di comunicazione si eranoaperti edavano la possibilità di mettere in crisi profonda la parte più sanadel Msi. Come me ce ne sono tanti altri che in questi anni sono andati via, in maniera più o menoclamorosa, ma ce ne sono tanti che restanodentro ed è la parte più sana, quella che non ha mai preso niente dalla politica, quella che, usandoquestostereotipo, ha sempre vissuto la propria esperienzacome un'esperienzadi sinistra echeoggi vive male la strada che Fini ha intrapreso con Alleanza nazionale. Quello che i politologi attenti di sinistra -Piero lgnazi, Giorgio Galli, Carlo Galli, Giovanni Tassani, Revelli- hanno capito in questi anni sul conto della destra italiana non è mai stato spesopoliticamente dalla sinistra politica. lo non chiedo al mio amico di sinistra, col quale oggi condivido esperienze, battaglie, e vita politica quotidiana, di accettare pezzi di unacultura che lui ha sentito estranea fino ad ora, ma ci sono delle contraddizioni da far scoppiare ali' interno di quel mondo e che questo non avvenga è una cosa che mi fa soffrire. - -----di problemi di scuola 1 'INFORMAZIONE E 1'1NFORMAl'ICA Avete sicuramente presente lagiustamente celebre e popolare poesia di Carducci intitolata Pianto antico. Forse qualcuno di voi la sa anche a mente (ritornasse, specialmente nei gradi inferiori dell'istruzione, questa pratica di tesaurizzare nella memoria le parole di buoni poeti e in questo modo anche plasmare lo spirito in formazione). In ogni caso, soprattutto per chi è ormai lontano dall'età scolare, non farà male riprodurla. L'albero a cui tendevi I La pargoletta mano, I Il verde melograno I Da' bei vermigli fior, Il Nel muto orto solingo I Rinverdì tutto or ora I E giugno lo ristora I Di luce e di ca/or. Il Tu fior de la mia pianta I Percossa e inaridita, I Tu de l'inutil vita I Estremo unico fior, Il Sei ne la terra fredda, I Sei ne la terra negra; I Né il sol più ti rallegra I Né ti risveglia amor. Fermate la vostra attenzione su "la pargoletta mano". E' un modo felice, sintetico, in coerenza con un testo delicato e semplice, per indicare la mano bambina, e cioè la mano di bambino. E' l'unica espressione in tutta la poesia che, indirettamente, alluda al piccino che non c'è più. Ma questo felice binomio di aggettivo e sostantivo, così essenziale al testo, che pare non altrimenti pensabile, non è così insospettabile come può apparire. Come vedrete, non l'ha inventato il Carducci; faceva parte del suo deposito culturale: l'aveva in testa, da grande studioso qual era di poeti italiani e da professore -anche in questo grande- e gli è emerso bell'e pronto eappropriato durante l'elaborazione della poesia, così come, per intenderci, a un adolescente dei nostri tempi scrivendo una lettera d'amore o scrivendo sul diario i suoi pensieri e cercando di dare forma alle proprie esperienze inevitabilmente gli vengono spontanei, o anche richiama consapevolmente, espressioni parole immagini dei cantautori più amati (ascoltati e riascoltati infinite volte). La cosa per i letterati di una volta era ancor più determinata, data la consuetudine sistematica (a memoria; frasi; riassunti; imitazioni. ..), fin da tenera età, senza disturbo di altre emissioni, coi testi canonici selezionati nell'eredità del passato, dentro un assetto culturale unitario e più stabile. Per cui la personalità nella formazione si strutturava -come pensiero, sensibilità, immaginazione, gusto, strumenti espressivi. ..- assorbendo, facendo diventare carne della propria carne, quelle parole, quei testi. Come awiene d'altra parte più in generale per tutti col crescere dentro e mediante la propria lingua materna. In quel caso si tratta di una "lingua" particolare. Poi, c'era anche, in varia misura e modo secondo la stagione cùlturale, l'uso voluto, cercato, consapevole, di ciò che la tradizior:ie . offriva di materiali già elaborati, il cui riutilizzo nobilitava e amplificava la risonanza, moltiplicava gli echi del testo nuovo. E la novità e l'originalità nasceva di solito a partire dall'assimilazione e dominio del patrimonio dell'arte (non solo quella poetica) entro la cui storia ci s'inseriva. Pensate che le poesie del Leopardi più nuove, più semplici, che parlano con più immediatezza alla condizione umana, per esempio Il sabato del villaggio, sono un centone di pezzetti di altri poeti, dai più grandi ai più modesti ai più peregrini, che però anche solo per un'immagine avevano lasciato un segno nella memoria del poeta. Naturalmente c'è anche il prodigio vero epropriodella memoria, come nel caso di un poeta modernissimo, Montale, in cui si trovano debiti nelle direzioni più impensate. Del resto, pare proprio che la memoria, come pensavano i Greci e in genere i popoli "primitivi", sia la dote stupefacente dei poeti (e artisti in generale). Ma -direte- dove va a parare questa tirata professorale, questa lezioncina? Mira a portaNi all'indignazione contro un ennesimo episodio in cui mi sono imbattuto di abuso dell'informazione contro la cultura e la scuola. Si può dire che non si tratta di faccende importanti, che sia un cercare le farfalle sotto l'arco di Tito ... Ma intanto abbiamo riletto insieme una bella poesia. Dunque, il 20 febbraio 1994 al centro della pagina culturale di un quotidiano (informazioni di massa) compare un riquadro col titolo "Se Giosuè scippa Torquato", e, sotto, i ritratti del Carducci e del Tasso. L'idea dello scippo torna nell'articolo con uno "scippò" tra virgolette. Dopo quanto ho tentato di spiegare nella lunga premessa, non starò a dire quanto sia fuori luogo e fuoNiante questa idea sia pur in metafora (ma il titolo è perentorio) del furto veloce, destro e furbastro. L'articolo punta però alla meraviglia per i prodigi del computer, grazie al quale è stato svelato che "Il poeta toscano sarebbe infatti ricorso ad una locuzione già utilizzata 300 anni prima dall'autore della Gerusalemme Liberata'. Due studiosi hanno scoperto, appunto grazie al calcolatore, che l'espressione "la pargoletta mano" si trova già nelle Rime del Tasso. Dove sta l'abuso al quale ho accennato? Lasciamo stare l'assurdità dello scippo. Quella peggiore è un'altra. Non intendo mettere in discussione l'utilità del computer per lavori lessicali, ricerche letterarie ecc... Ma questa di cui si parla non è una scoperta. Non so se la responsabilità sia dei due studiosi (in tal caso bisognerebbe mettere la parola tra virgolétte), che sarebbero così sproweduti di memoria e deposito personale e autonomia da sapere solo ciò che ottengono attraverso le macchine (che in questo modo incorporano marxianamente non solo lavoro morto ma anche memoria morta) o del giornalista (colui che produce informazione). La cosa è risaputa da sempre. La sa un professore liceale di normale cultura, che sicuramente anche solo insegnando prima o poi è incappato nei passi del Tasso dove c'è l'espressione. I passi: perché non si tratta solo delle Rime, ma anche dell' Aminta e della Gerusalemme Liberata (Aminta I. 309, Gerusalemme Xli. 12-13). Ma ammettiamo che quel professore di normale cultura sia un po' smemorato o distratto o che so altro. E' probabile che quando fa leggere Carducci, come si fa nell'ultimo anno delle medie superiori, e commenta Pianto antico trovi nelle note del libro di testo quei rimandi che non sa mettere inmoto da solo. Certo, spesso i professori adottano libri di testo un po' meschini. In ogni caso la cosa era arcinota. Per tutte vi cito un'opera: Giosue Carducci, Rime nuove, a cura di P.P. Trompeo e G. Salinari, Zanichelli 1961. Vincenzo Bugliani Coop. Cento Fiori LAB. ART. fITOPREPARAZIONI Via Dragoni. 39 - Forlì ' Tel. 0543/401248 - Estratti idroalcolici in diluizione 1: 10 da pianta fresca spontanea o coltivata senza l'utilizzo di prodotti di sintesi. - Macerati di gemme. - Opercoli di piante singole e formulazioni con materia prima biologica o selezionata. - Produzioni su ordinazione UNA CITTA' 13 ..

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