Una città - anno IV - n. 30 - marzo 1994

linguaggio giusto perché, ahimè, quando si parla di cultura si chiamano gli uomini di cultura, gli uomini di cultura dipendono da questa dimensione puramente accademica e non sono capaci di parlare al grande pubblico. E non solo non sono capaci, ma non vogliono neanche confrontarsi, sostenendo che chi lo fa perde la sua dignità. La televisione, d'altra parte, tende ad essere un po' impermeabile nei confronti degli uomini di cultura, c'è veramente una incomprensione reciproca. Non si può prendere uno studioso di letteratura latina e portarlo a "Scommettiamo che", non serve, non va bene, d'altronde è anche perfettamente inutile cercare di infilare barlumi di cultura in uno spettacolo con le ballerine. La cosa importante, secondo me, è che il tessuto complessivo prodotto dalla televisione sia colto. La cosa grave è che, invece, questo tessuto è spesso molto incolto e si lascia, con l'alibi che così si ottiene più pubblico, che personaggi molto modesti, che parlano male l'italiano, che non argomentano in modo corretto, che non mettono alcun elemento problematico dentro la loro comunicazione, siano i leader della comunicazione. Ma perché ci deve essere un presentatore mediocre? Questa intersezione tra i due mondi, cioè quello della cultura "alta" e quello delle culture "basse", deve avvenire ... Non sarà avvenuto ancora a livello strutturale, ma forse si possono indicare dei cazione. L'idea che una persona di cultura si metta a presentare un programma alla televisione o a cercare di conquistare il pubblico con cose non banali, ma divertenti, è considerato degradante. Insomma, penso che una televisione possa essere colta senza essere "di cultura" come, secondo me, molto spesso lo sono i quotidiani; i quotidiani riescono a parlare anche di cose complicate senza annoiare i lettori. Perché la televisione non può fare lo stesso? E' una questione di forma mentis e temo che ci sia anche il timore di costruire un luogo intellettuale che sia non solo disponibile, ma interessato, accattivato, dal meccanismo. il vero problema non è cosa fa una Tv, ma che razza di Stato abbiamo Dietro questi timori c'è anche il terrore della tecnologia: la televisione è tecnica, sia ben chiaro, non è una cosa che si impara in un minuto, non si costruisce un presentatore in dieci minuti, e chi va davanti alla telecamera non è immediatamente disinvolto, accattivante e divertente. Secondo me è curioso che sia più facile trovare persone disinvolte davanti alla telecamera per la strada, tra coloro che vengono come ospiti occasionali delle trasmissioni, che non tra i docenti universitari. Questi di solito sono strazianti, non hanno i ritmi, luoghiincuiqualcosadiquestogeneresi quando gli si fa una domanda rispondono sta producendo o si è prodotto partendo da Adamo ed Eva, pretendono di RAI3 sicuramente è stata in qualche modo trovare i riferimenti culturali necessari, un laboratorio in questa direzione, non non saltano niente, non hanno quella cosolo perché ha fatto trasmissioni di un municazione ellittica che è necessaria per certo livello, ma perché anche le trasmis- riuscire a dare un senso immediato a quello sioni meno raffinate in qualche modo ave- che si fa. L'altra cosa è la capacità di vano dentro qualcosa di sperimentale, che interazione. La televisione deve anche inandava oltre il banale. Anche solo la "cor- teragire, ci sono le telefonate, le persone in nice": le annunciatrici in bianco e nero, il studio, mentre la nostra è una cultura che è fatto che tra un pezzo e l'altro ci fosse, che capace soltanto di asserire, non è capace di so, "Blob", "Cinico TV", che secondo me dialogare. sono un esempio di alta cultura ... Questo Per esempio, la cultura francese è molto sicuramente è stato stimolante, credo ab- più dialogica e certo "Apostrophe" ha avubia anche infettato qualcosina nel resto to successo in Francia perché c'era ancora della produzione, ma mi rimane il dubbio una situazione con tre soli canali nazionali che ci sia ancora questo sussiego della e pochissima varietà di programmi, ma cultura nei confronti della comunicazione anche perché l'intellettuale francese è più di massa, per cui riuscire a parlare alle capace di dialogare, è più polemista ... masse sia in qualche modo considerato un Da noi la polemica non arriva mai in telearoarl 'outledcaaoprGìun oisiBe.san cosa alla Sgarbi o alla Ferrara, in cui ci si scambiano insulti gratuiti senza mettere in luce le cose, mentre ci sono problemi molto semplici, ma anche molto profondi, che si possono discutere senza per questo diventare noiosi. Sicuramente questo è un grave difetto della nostra televisione, ma, insisto, credo che questo difetto nasca dalla qualità della nostra classe intellettuale; una classe intellettuale che, lo vediamo bene, è mal rappresentata anche dentro le università. La televisione sta faticosamente cambiando pelle. Come vedi questo processo? Ci sarebbe molto da dire, ma in questo caso faccio un salto indietro e dico: la televisione è lo specchio di una società, non è un corpo estraneo, un apparato che vive da solo. Quando si dice che i politici erano tutti corrotti e il povero paese subiva passivamente gli orrori di Tangentopoli si dice una emerita bugia: il paese era altrettanto corrotto dei suoi politici e i cittadini, chi più e chi meno, naturalmente in misura molto diversa, in qualche modo erano parte consapevole della struttura di corruzionecollettiva. Dietro quella televisione c'era quel paese; oggi, se Dio vuole, il paese è cambiato, è cambiata la politica, ed è per questo che oggi può accadere qualcosa che cambi anche la televisione. Questi due anni di grandi cambiamenti hanno visto sparire le forze politiche storiche, tutta la struttura capillare che avevano costruito a loro sostegno ali 'interno del paese gli si è rivoltata contro e questo, probabilmente, sta accadendo anche per quel che riguarda la televisione. Ecco perché, tutto sommato, io non sono pessimista, anche se ho un po' paura perché già nel 1975 c'era stata una prima riforma della Rai, sicuramente imperfetta e che aveva alle spalle un apparato già lottizzatorio, ma che aveva come base uno strumento giuridico fondamentale: I' allontanamento del l'esecutivo, del governo, dal controllo della televisione, e la sua attribuzione al Parlamento, dove tutti, in qualche modo, potevano trovare una possibilità di controllo e di rappresentatività. Purtroppo la riforma del '75 non ha funzionato perché, nel momento in cui si sono visti i risultati (si pensi al processo di Catanzaro, ai telegiornali di Barbato, allo "Studio aperto", a una serie di grandi novità che avevano cambiato di segno la televisione tra il '76 e il '79), quell'esperimento è stato interrotto brutalmente, cacciando i dirigenti che avevano prodotto quel mutamento, i partiti si sono riappropriati della televisione e, saltando il controllo del Parlamento, sono riusciti ad imporre ali 'interno delle reti televisive i loro fiduciari che hanno disinnescato questa bomba. Nessuno mi toglierà dalla testa che questo è avvenuto non perché qualcuno stesse pensandoci, ma per una sorta di necessità storica. E infatti quando sono nate le televisioni private erano vicine al potere governativo, non erano certo alternative alla RAI, non rappresentavano in nessun modo maggiore pluralismo, anzi. E non a caso sono finite tutte nelle mani di un unico imprenditore che ha detto apertamente di richiamarsi al famoso C.A.F. e a quello che questo rappresentava, cioè la parte più rigida della cultura della clientela. lo straordinario intreccio fra telenovelas e telegiornale Il timore allora è che, come dimostra appunto l'ira della Fumagalli Carulli, anche adesso, di fronte a un cambiamento sostanziale -di fronte al fatto che ancora una volta si sia cercato di sottrarre allo strapotere dei partiti il controllo sulla televisione, al fatto che, pur con tanti difetti, i nuovi dirigenti nominati nel Consiglio di Amministrazione e a dirigere le reti siano sostanzialmente lontani dalle logiche politiche che hanno manovrato la televisione fino ad ora- si cerchi di frenare questo capovolgimento e di riaffern1are le logiche di sempre. E' anche vero che non c'è più la possibilità di gestire con la stessa arroganza le cose pubbliche, perché tutti si sono resi conto che quel modello andava superato. Io spero che, tempo permettendo, si riesca a costruire un'ottima televisione; una televisione che riesca veramente a trasmettere informazione e cultura, che maturi la consapevolezza che questo è uno strumento di tutti, e non una cosa in mano ai singoli su cui bisogna vigilare con grande attenzione. C'è un modello televisivo straniero che potrebbe funzionare come punto di riferimento? Siccome l'Italia è un paese mo! to peculi are è giusto che abbia una televisione peculiare, non oserei proporre nessuno dei modelli esistenti, anche se ci sono dei modelli meno orribili di altri. Francia e Inghilterra hanno aperto lo spazio alle emittenti private, però mantenendo un controllo rigidissimo sui proprietari e sulla programmazione. Anche gli Stati Uniti, che sono la culla del liberismo, sono estremamente rigorosi sul piano del controllo del la produzione della comunicazione di massa. La Federai Comunication Commission è di una rigidità straordinaria: se uno vuole aprire una televisione deve non soltanto chiedere l'autorizzazione, e fin qui ci siamo. vale per tutti i paesi del mondo (non per l'Italia dove, fino a ieri, tutti trasmettevano come pazzi), ma deve dire esattamente cosa trasmetterà, in che termini, con che tipo di palinsesti. Se uno chiede l'autorizzazione per aprire una televisione in cui parlerà di sport e poi parla di politica, gliela chiudono il giorno dopo, non può permetterselo. Lo stesso vale per una modesta radio di quartiere: deve dire cosa farà. In Inghilterra esiste una rete televisiva privata, divisa per regioni, che ha la maggioranza dell'audience nazionale. peggio che da noi. La BBC -che è un mastodonte molto costoso: gli inglesi pagano un canone che si avvicina al mezzo milione l'annoha un'audience che adesso si avvicina al 30-35%. Vi sono anche reti via cavo o via satellite che stanno rubando audience. Anche quello inglese è un modello molto rigoroso, molto controllato. Lo stesso vale per la Francia. Qui le televisioni private non possono avere meno di quattro proprietari, cioè nessuno può detenere da solo una rete televisiva e ogni soggetto può avere al massimo il 25% di ogni singola rete. Questo vuol dire che la cosa fondamentale non è cosa si trasmette, quando si trasmette, eccetera, ma che tipo di stato c'è dietro. Il vero problema è quello. Anche negli Stati Uniti, dove lo stato ha la struttura più labile e la libertà di impresa è garantita come principio fondamentale della collettività, l'intervento della collettività sulla conoscenza è rigidissimo ed è giusto che sia così. Tu sostieni che la televisione italiana, quanto alla qualità, resta una delle migliori, se non la migliore in assoluto. C'è qualcosa che non è stata capace di fare? Non siamo riusciti a fare il grande serial, che si fa soltanto negli Stati Uniti e in Sud America. Questo è un altro di quei paradossi tipici della televisione. Il Brasile, che è uno dei paesi più ricchi del Sud America, ma che socialmente è arretratissimo con contraddizioni sociali strazianti ed in cui la gente vive in condizioni pessime, ha una delle produzioni televisive più originali del mondo. Produzioni di basso livello, molto popolari, è vero, però la cosa straordinaria è che le telenovelas brasiliane sono costruite giorno per giorno, legando la vita dei protagonisti alla realtà quotidiana per cui quello che hai letto la mattina sul giornale lo ritrovi il pomeriggio dentro la telenovela, e giorno per giorno si riorganizza la trama sulla realtà. Una TV colta può anche passare attraverso i modelli più beceri, quelli che noi consideriamo come lo zero della comunicazione, cioè il fumettone, il teleromanzo più modesto fatto di situazioni semplificate e di dialoghi strazianti. Ma queste novelas sono scritte di solito da grandi sceneggiatori, che sanno come si coglie l'attenzione, che sanno come rivolgersi a masse di diseredati e su cosa fare leva. Sanno anche che la novela è tanto più efficace quanto più si inserisce nel flusso televisivo, in cui ci sono anche i telegiornali, ed ogni volta la telenovela è la continuazione del telegiornale o addirittura lo sostituisce. Da essa si può apprendere che cosa sta accadendo e ritrovarvi i propri quotidianissimi proble- " mi. La telenovela diventa così critica sociale, dibattito sugli avvenimenti, una cosa che può veramente essere permeabile a tutto. Questo per dire che anche un paese del Sud America, per certi versi molto arretrato, può avere un modello televisivo più avanzato del nostro. La televisione è dunque anche una grande occasione di conoscenza collettiva. Cosa ne pensi di chi sostiene la sua naturale tendenza a favorire passività e comportamenti deviati? Nella visione demonizzante che gli intellettuali tradizionali hanno della televisione c'è quel sospetto conservatore che accompagna sempre la nascita di ogni nuovo mezzo di espressione. Ora, non c'è dubbio che il romanzo cavalleresco sia stato uno dei grandi filoni di cultura collettiva che hanno attraversato il periodo che va dal Medio Evo al '600. un tempo era "deviante" leggere • romanz:1 Don Chisciotte era impazzito perché leggeva troppi romanzi cavallereschi, cosa che a quei tempi era considerata molto riprovevole, tant'è che il romanzo comincia coi rimproveri che vengono ,fatti al povero Don Chisciotte, e sicuramente ali' epoca è stato considerato tanto deteriore quanto qualcuno sostiene essere oggi la televisione. Ma questo giudizio viene dopo che sono stati via via considerati deteriori i grandi romanzi ottocenteschi, i romanzi d'appendice, i giornali, e non parliamo dei fumetti. Anche il cinema per un certo periodo è stato considerato una cosa deteriore. Se oggi uno sta leggendo un romanzo si dice "Meno male, finalmente uno che legge!", ma qualche secolo fa ti avrebbero detto che era una cosa del demonio. E così quando oggi si dice "Si guarda troppo la televisione, la televisione è uno strumento del de- .monio, rincretinisce la gente, produce violenza e rincoglionisce i vecchietti ...", non · è'vero, perché non c'è nulla che l'abbia mai · dimostrato. Anche quando viene detto che queste cose sono dimostrate da delle ricerche non è vero, non c'è una sola ricerca scientifica che sia mai riuscita a dimostrare che la televisione abbia effetti negativi su chicchessia. La ricerca più raffinata, più straordinaria, è stata fatta, a questo proposito, negli Stati Uniti da un importantissimo gruppo di sociologi e psicologi dell'Università di Filadelfia ed ha verificato la non incidenza della televisione nelle devianze sociali. Questo non per dire che non esiste, ad esempio, nessuna relazione fra televisione e violenza, ma la realtà è che nessuno è mai riuscito a dimostrare che esista un rapporto tra quello che uno guarda alla televisione e quello che è. Io sono convinto che il più delle volte la grande maggioranza degli ascoltatori abbia tutti gli strumenti analitici, magari inconsci, per capire se quello che gli viene dato è verità o falsità. Non viene coinvolto se non quanto verrebbe coinvolto dalla lettura di un romanzo, ma chi può dire oggi, coscientemente, che essere coinvolti nella lettura di un romanzo è una cosa che ti inquina la mente? Oggi siamo felici se un ragazzo legge un romanzo e quindi non si può dire a priori che bisogna essere tristi perché uno guarda la televisione ... Certo, sarebbe meglio se leggesse un romanzo, ma tanto si sa che non tutti sono destinati a leggere i romanzi, quindi è meglio che guardi la televisione piuttosto che butti pietre sull'autostrada ... • UNA CITTA' 1 5 ---

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