del popolo, la legge comune e il costume che come mezzo per staccarsi da se stesso, per rvista a Franco Loi. le sue sensazioni ... ma per fare questo il poeta deve essere 1 ibero dentro. Solo allora non contribuisce all'ipocrisia, al falso del potere perché immediatamente porta l'ordine là dove c'è disordine, dove c'è l'ordine ft11izio,il falso ordine. Dante ha il senso di una tale bellezza, di una tale armonia del mondo che gli pare ingiusto l'amore di Paolo e Francesca. ma non può fare a meno di provar pietà, perché quella passione l'ha provata anche lui, sa cosa significa. Prova una grande commozione per questi due amanti cos1re11ia girare portati dal vento (allenzione, la metafora non è gratuita, perché quando tu guardi negli occhi una donna sei portato dal vento). Dante dice un'altra cosa importante, dice che la realtà è una, quella che afferriamo con i sensi e quella che non vediamo, non tocchiamo, quella che la mente non comprende (perché, come dice Shakespeare, "ci sono più co e tra il ciclo e la terra, Orazio, di quel che la tua filosofia possa comprendere"). porsi di fronte all'universo con modestia Dante concepisce questa unità del reale. che non deve però essere travestita ideologicamente perché diventa pericolosissimo. Ma è vero che il reale è uno: si chiama «uni-verso». Porsi di fronte ali' «uni-verso» con la stessa modestia con cui ti poni di fronte alle cose che credi di conoscere, ebbene questa è un'altra grande lezione di Dante. Un poeta che si ponga allora in queste condizioni è un poeta che serve il suo mondo, serve la sua società, diventa civilmente utile. Che rapporrto sussiste tra la parola poetica e la parola politica? E' molto più simbolica la parola «politica», convenzionale, della parola poetica. lo dico «pane» e con questo si immagina quella tal cosa, ma «pane» nella lingua quotidiana è una parola astraila: uno dice "mi dia un chilo di pane", un altro "ieri ho mangiato un pane", un altro ancora "ah, la guerra del pane" o "il pane è l'oppio dei popoli", e così via ... Nella pratica «pane» è sempre una parola astratta. In poesia invece è proprio «il pane», senti il suo odore, senti l'essenza del pane ... Questa di fferenza è importantissima: la politica tratta della parola convenzionale, invece la poesia aspira alla parola-verbo, alla parola-essenza. La parola convenzionale parla anche di sentimenti, di emozioni, di idee ma in modo convenzionale, muovendosi, cioè, in mezzo alle convenzioni dell'essere. Da bambino vai sempre in fondo, tocchi il fondo del bicchiere e ogni cosa la vivi toccando il fondo del bicchiere. Il bambino è talmente dentro a se stesso, al suo essere, che conquista a fatica il fuori, toccandolo, vedendolo, e quando crede di essere rassicurato dalle cose che gli sono attorno, tende di nuovo a rientrare in se stesso. Col tempo la mente comincia ad assimilare le convenzioni del guardare. E il padre gli dirà "non toccare il fuoco perché scotta", e lui non lo toccherà, anche senza provare se scotta. La maestra gli dirà "c'è l'America", e lui lo crederà e, poi, magari un po' più avanti, scriverà un tema sugli americani ... Tuili sanno che se nel 1945, in Italia, tu facevi vedere l'immagine picassiana, la gente non capiva niente ed era frastornata, adesso quelle immagini sono dappertutto, sono entrate nella pubblicità, nel costume, e 1u11ivedono a11raverso Picasso mentre prima vedevano per esempio a11ravcrso i pi11oridell'800. La politica traila proprio di questo: del modo di vedere e di sentire degli uomini auraverso le convenzioni. Queste convenzioni poi si nutrono di passione umana, perché l'uomo immeue la sua natura dentro le convenzioni. Accade allora che il politico ti dica "il rosso è giustizia.è bene.è il tuo futuro, il futuro dei tuoi figli ...", e che tu, vedendo sventolare la bandiera rossa, ti mella in marcia e ti muova con la pa sione, dentro quella passione, ma poi la convenzione ha il sopravvento sulla vita e tu perdi te stesso, ti riduci a uno schema. Anche i falsi poeti hanno usato la parola convenzionale. Quante poesie negli anni '60 erano piene della parola «socializzazione» oppure della parola «operaio»? L'operaio era quasi un angelo, una persona che assommava tulle le perfezioni. Mi è stato raccontato che Mario Spinella portò a Elio Yittorini, ormai immobilizzato nel le110,il giornale che facevano. Lui lo guardò e esclamò: "ma chi l'ha fallo, questo è veramente un giornale da parrocchia", e poi: '·ma questo è un articolo idiota, chi l'ha scri110?". Allora Mario rispose, abbassando gli occhi, "sono stato io, Elio". Lui, che fra l'altro era una persona gentilissima, ci rimase male. "Ma Mario -chiese-, come hai fatto?" "Me l'ha detto un operaio" ... A Yittorini caddero le braccia. Questo era il clima di allora. La politica si muove entro questi termini, ma l'uomo è un'altra cosa, la politica è amministrazione delle convenzioni e delle passioni umane, per cui la politica, in un certo senso, sarà sempre in contrasto con la poesia. Certamente ci sono stati poeti che hanno servito il potere, ma Metastasio non sarà mai Dante. li poeta, infatti, come nella favola del re nudo, è uno che dice: "guarda quello lì, ha un bitorzolo sul naso" anche se non si potrebbe dire ... li poeta dice la cosa anche se non rientra nella convenzione delle cose. Il che significa che se come uomo potrà anche servire iIpotere, in quanto poeta no. risulterà sempre il dolore dell'uomo, la fatica Nella poesia sarà sempre contenuto qualcosa di non integrabile, perché nella poesia risulterà sempre il dolore dell'uomo, la fatica, e questo manderà a monte tutti i tentativi di conciliazione, tulli i discorsi ollimisti, ogni tentativo di costruire una finta realtà positiva, soddisfacente ... Ma c'è ancora spazio per il poeta? Può, lui solo, godere del privilegio, come tu hai benissimo detto, di «lasciar andar le mani»? E se togliamo la poesia e l'arte, cosa rimane? L'arte e la poesia tengono viva per Lutti la possibilità. La possibilità di un certo modo di fare e di essere e questo è molto importante. Gli uomini altrimenti vengono sollerrati nel la barbarie perché quando I' uomo lavora senza senso, senza partecipazione, allora è nella barbarie. lo mi ricordo che gli operai che hanno fatto il socialismo, che hanno pensato di costruirlo, erano grandi uomini, di grande sensibilità, di grande intelligenza. Erano in grado di capire qualsiasi discorso tu gli facessi. Mio zio che faceva il maestro calderaio a bordo di una nave scriveva poesie; semplici, però le scriveva. Un bel libro è quello del Burke, che parla della scomparsa della cultura popolare. a quel punto,. senza la mente, le Erinni entrano dentro Pensa alla grande musica. Non c'è grande musicista che non abbia orecchiato dalla musica popolare i suoi temi. L'operaio, il contadino, la gente del popolo che esercitava le proprie facoltà creative, facevano musica. poesia. E se non erano dei Leopardi, le villotte, le barcarole le hanno fatte loro. Il patrimonio che va perduto è dunque proprio un patrimonio umano. In questione non è tanto la scomparsa della poesia, quanto la impossibilità che ci sia la poesia dentro all'uomo. Questa sarebbe la cosa peggiore. E quando mi obiettano che a Sarajevo sparano, e che questo rende insensato scrivere poesie, io rispondo dicendo che a Sarajevo scrivono poesie. Ho vissuto dentro la guerra, e so che in tempo di guerra ciascuno vive le proprie emozioni vivificate al massimo. In più hai allorno a te lo spettacolo delle cose e lì le cose non ti ingannano: perché lì vedi chi è con te e chi è contro di te. Quello che hai dentro senti il bisogno di esprimerlo: è una forma di vitalità. Bisognerebbe insegnare agli uomini che la poesia è anche un mezzo per conoscere, per conoscersi. lo attraverso la poesia sono venuto a conoscere una parte di me che senza la poesia non avrei mai conosciuto. L'esercizio della poesia favorisce poi dentro di te una crescita. Cresci senza accorgertene. Riesci poi a capire e pensare cose che prima non riuscivi a comprendere. Questo esercizio della parola sul le cose, su FEDERICO FELLINI Ho tentato più volte, in questi giorni, di scrivere il mio consueto intervento per la rubrica; ma un incontenibile sgomento mi ha impedito di concentrarmi sul tema che mi ero prefissato, riempendomi di inaspettata commozione. Si tratta della scomparsa di Federico Fellini. Gli omaggi, gli attestati di simpatia, lo sappiamo, andrebbero resi in vita; postumi, hanno sempre, loro malgrado, qualcosa di sfacciato, di inopportuno, di invadente. Eppure per chi, come me, ha atteso trepidante l'uscita di ogni suo nuovo film, sembra naturale sostare, almeno un poco, in compagnia di amici, nella sua ultima ombra. Con la sua morte, in effetti, è stato come se improvvisamente fosse venuta a mancare la legna per alimentare il fuoco, per quell'unico fuoco che, come disse Michelangelo, "m'arde e m'innamora". Per quanto i miei ricordi non siano molto diversi da quelli di un comune spettatore, e dunque piuttosto insignificanti, non posso dimenticare il ruolo che sin dalla mia adolescenza, quando, cioè, per usare una felice espressione del poeta Philippe Jaccottet, l'arte mi parve miracolosamente "rispondere, corrispondere in un certo modo al senza-misura della vita", ebbe quest'autore per la mia formazione poetica e spirituale. Un incontro solitario nei cinema di quartiere o nei cinec/ubs, mentre i miei compagni erano impegnati in tornei di calcio o a prendere parte a festicciole, dalle quali, per le BioliotecaGino Bianco prime volte, mi ero sottratto. Attraverso i suoi films cominciò, infatti, a farsi strada inme, in un'età che unpo' tutti, coetanei e adulti, ritenevano spensierata o rivolta alla costruzione del proprio avvenire, la voce suadente del ricordo, de/l'ispirazione (quale emozione mi suscitò, ad esempio, la visione di Satyricon, di quel mondo che sembrava partorito dalla stessa voce che, anni addietro, introducendo la riduzione televisiva a puntate de/l'Odissea, mi aveva iniziato al mistero, Ungaretti!). Un dialetto familiare, un insieme di racconti narratimi da mio nonno alla finestra (come il famoso anno del nevone), di piccole avventure estive (le indimenticabili gite con il "moscone" per vedere da vicino le navi militari te stesso, sui sentimenti, sul corpo, sui quando eserciti un mestiere liberamente, pensieri, questo esercizio attraverso la pa- ad esempio, lavori il legno, che comunque rola in qualche modo contribuisce a for- è qualcosa di vivo. Ho conosciuto un artimarti: ti rende libero, sgombra il campo da giano che fa i canestri e che lavora ancora impedimenti, aiuta a capire. sullo stesso legno dove hanno lavorato in Nello stesso tempo quando tu arrivi qui precedenza suo nonno e suo padre. Mi fino in fondo, attorno a te si forma ed è in disse che parlava con le piante. Mi disse movimento continuo la vita. La poesia non che quando la pianta si muove, il pezzo va incide soltanto attraverso il contenuto del- lavorato con delicatezza; che ogni pianta le parole, ma già attraverso il suo farsi, accetta di essere lavorata solo per un deteragisce sull'uomo che la fa. In realtà non è minato tempo e che allora anche lui aspetche fai qualcosa di astratto, ma agisci con- tava; mi fece vedere le cose messe da parte cretamente su te stesso e sulla realtà in ad aspettare. Mi disse ancora che bisognamodo da modificarla.... va stare attentissimi poi a lavorarli quei La attività poetica, come tu la presenti, pezzi, che non si dovevano forzare i nodi ha il senso quasi di una durata naturale, perché se si forza il nodo «si fa male» alla di una crescita ordinata ma non prede- pianta. Quella persona aveva un rapporto terminata. con la pianta e infatti quando mi ha dato il Una volta, in una discussione, dissi, a pro- cestino, lo ha accarezzato. E' un rapporto posito dell'atteggiamento del poeta dinan- di simbiosi con la materia. E' un rapporto zi al mondo, che l'uomo si presenta davan- poetico. Quell'uomo era un uomo coscienti al mondo come se la mente non ci fosse. te, sviluppato e quando stavamo andando In realtà c'è, ma il poeta, nel momento in via è andato a raccogliere l'uva,perché cui fa poesia, si presenta come se non ci avessimo un buon ricordo di lui. Allora gli fosse la mente. E' a questo punto che le ho domandato se credeva in dio. E lui ha Erinni entrano dentro. Non ci sono più detto no ... Quindi, l'uomo che guarda, che difese che funzionano, tutto quello che è osserva, quest'uomo cresce, ma se l'uomo inaspettato del reale entra improvvisamen- non ha una sua autonomia, allora è schiavo te dentro. Questo è importantissimo per- della convenzione. La poesia è importante ché ti abitua a non considerare il mondo in appunto per quello che fa crescere nell'uomodo moralistico. La realtà entra per quel- mo. Chi la legge si misura con le cose del lo che è, anche tremenda. A volte, dentro di mondo. E se legge e rilegge comincia a me, sento delle cose mo! to crudeli, che non comprendere. lo l'ho detto tante volte, per devo rifiutare. esempio quando leggo il verso di Leopardi E' molto importante fare in modo che lo "dolce e chiara è la notte ...". Quel verso lì specchio della coscienza rimanga aperto al se lo leggi e stai attento, ne intuisci tutto il di là delle sistemazioni che la mente impo- reale significato. La notte è dolce e chiara ne al mondo e alla vita. E' fondamentale e senza vento. C'è un senso di sgomento tenere pulito lo specchio. Quando guardo del poeta che ha paura della notte. E' ferma la mia faccia nello specchio non mi ricono- · · la notte e la notte ferma fa pensare e dà sco e allora dico: chi è quello lì? Perché. sgomento. Questo lo impari man mano che «quellolì»èciòchesièaccumulatoditutte. leggi. Se la leggi solo una volta ti sfugge le mie manchevolezze, paure, incertezze, ·via. Con la parola "chiara" è come se ciò che lascio passare e le vigliaccherie avesse un momento di elevazione, di alledell'uomo si disegnano nella mia faccia. grezza; poi con la parola notte viene fuori La coscienza però, siccome lo specchio è tutto quello che è il Leopardi. "E senza pulito, è di più. è sempre di più. vento ..." Quel "e" è importante, vuol dire La coscienza è dunque un distacco, un che la notte l'ha bloccato. sovrastare il proprio ego? La lettura della poesia ti dice tante cose che Sì, ti stacchi da te stesso. Questo non avvie- non sai ma che poi, lentamente, impari .... ne solo attraverso la poesia, ma anche • americane che facevano rotta verso il porto di Venezia o di Trieste, grandi come palazzi) si animarono come per incanto, invogliandomi a ritornare, a riscoprire, a scegliere comepatria adottiva dei miei sogni incompresi la terra di mio padre, la Romagna. Un cammino, certamente, inverso al suo, ma popolato di personaggi, situazioni, apparizioni in qualche modo analoghe. La via della crisi, dell'assunzione delle proprie responsabilità artistiche e personali, 8 e mezzo, era appena aperta. Ma la lezione che mi preme oggi ricordare sta forse altrove. Nel corso della nostra vita, noi per lo più entriamo in contatto con autorità che ci intimidiscono, che scherniscono il nostro entusiasmo, che hanno sviluppato, più omeno consapevolmente, sul risentimento e sulla discordia le proprie conoscenze; raramente ne incontriamo in grado di • • staz1on1 liberarci, di emanciparci veramente, di esortarci alla solidarietà e alla modestia. Senza dubbio, l'opera di Fellini appartiene ad una di queste. Simile ad un sacerdote o piuttosto ad uno sciamano che, rinunciando a giudicare, a catechizzare, a salvare, avesse abbandonato il proprio confessionale, la propria capanna, Fellini, con la sua ironia bonaria, nel suo vagabondaggio ha preferito mettersi silenziosamente in ascolto del mondo, ricominciare dal basso, rendendo le persone più emarginate partecipi del suo sogno, per offrirci, ancora prima che gli venisse richiesto, un rimprovero affettuoso (non per questo meno incisivo o perentorio), una comune assoluzione in vista di una speranza segreta e squisitamente umana. Di questo amore, vigile ed eccitante, lo ringraziamo. Gianluca Manzi UNA CITTA' 9
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