Una città - anno III - n. 27 - novembre 1993

messo. in Croazia, la salita al potere di Tudjiman, un potere che aumentava man mano che la guerra cresceva. C'era un'altra possibilità? li fatto certo è che a Sarajevo si viveva insieme fino aqualche mesefa.Ora credo che non lo si potrà più per molti decenni, perché la storia è andata così, perché ci sono state forze politiche che volevano che la gentesi sgozzassee noi non abbiamo avuto nessunacapacità di impedirlo. lo credo cheoggi si possano dire meno cose rispetto a quando laguerraeraancoraal l'apice esi potevano fare tante cose per fermarla, perché stiamo parlando dal punto di vista di sconfitti e quello che è successonella ex Jugoslavia è la sconfitta dell'idea democratica in Europa. Finché non riusciremo ad elaborare questa sconfitta non potremo dire niente di intelligente o di serio... E' una sconfitta non solo dei politici, ma anche nostra personale. Abbiamo fatto lo sciopero della fame ed è miseramente fallito e non per colpa dei giornali, ma perché evidentemente non eravamo in grado di trasmettere un'idea alternati va... Su questo bisognerebbecominciareadiscutere, è unadomandachesi può rivolgere aSofri, aRossanda,a Bobbio ... il richiamo idiota allà unità nazionale Quando si è andati a Sarajevo con Mir Sadaera tardi. Non si capisce perché non siamo riusciti ad organizzare 10.000 personea giugno o a maggio... Evidentemente nessuno di noi ci credeva, ne aveva voglia. Credo che dobbiamo discutere su questo più che sui grandi sistemi. Gli errori li pagheremo? Stiamo già pagando: quando Bossi parla delle pallottole che valgono 300 lire, percui la vita di ungiudice vale 300 lire, la sua forza deriva dalla nostra sconfitta. Anche qui in Italia succedevache molti dicevano di sentirsi sacrificati, però il conflitto veniva ricomposto: si può dire che non avveniva in modi democratici, ma attraverso il consociativismo - il clientelismo democristiano più tutta la trita ideologia comunista e schifezze simili- però i conflitti venivano ricomposti e nessunpolitico serio osavadire che la vita di ungiudice valeva 300 lire! Neanche le Brigate Rosse lo dicevano! La vicenda di Moro è stato un dramma che ha coinvolto un intero paesee la nostra generazione. E adessouno stronzo, che domani può diventare presidente del Consiglio, parla in questomodo. E il coro giustamente è flebile, perché sea 300 km. da casatua violentano impunemente le donne allora anche lui dice "perché mi devo sacrificare io?". E' la stessacosa, Bossi è la stessastrumentalizzazione politica di un movimento totalitario ... ed è un insegnamento che viene direttamente da lì. Non c'è un parallelo diretto fra Jugoslavia e Italia, ma la disintegrazione è possibile. Direi così, con una tesi un po' acrobatica: sedalla disintegrazione della crisi jugoslava non si è riusciti ad uscire per vie democratiche, lo stessopericolo esisteoggi in llalia, nel sensoche non esiste la crisi dell'unità nazionale,ma lacrisi della DC, del PSI, del PDS, del sistema politico, che è la stessa crisi della caduta del comunismo, che ancheda noi porta a unacrisi di identità forte. Da questacrisi anche in Italia c'è il pericolo che non si esca, perché o c'è un richiamo all'unità nazionale, che è un richiamo abbastanza idiota, che non è sentito granché, oppure c'è un richiamo solo ai valori di democrazia, ma quanto valgono oggi i valori di democrazia in Europa? Ora si dirà che sono farneticazioni, che non c'è rapporto diretto, ma non è vero: secerte regole non valgono a 300 Km da qui, non si capisce perché debbano valere qui. In Italia la speranza è ormai un'altra: che la secessionedi Bossi,-quandoci sarà, se ci sarà- non sia così feroce perché da noi, adifferenza della Jugoslavia, non c'è una tradizione di B151loteca prob/e,ni di scuola 11 MODULO MAESTRO nella riforma della media superiore, non si riesce ad accettare che i giovani diventino al più presto responsabili della loro vita. Una scuola che prolunga sempre più l'adolescenza e disprezza la manualità. Le umiliazioni a cui si sottopongono i ragazzi e le attese salvifiche del "pezzo di carta". La scomparsa della figura della maestra. Intervento di Giannozzo Pucci. Da quando in Italia il "modulo" è diventato obbligatorio per tutti, l'imposizione burocratica mette insieme spesso persone con forti divergenze sulla conduzione delle classi. I bambini sonocosì ridotti in uno stato di incertezza, mentre gli insegnanti che si trovano in minoranza devono rinunciare alla libertà d'insegnamento. Per il rotto della cuffia e per merito del senatore Striklevers, è stata tolta dal testo della riforma l'estensione rigida del "modulo" anchealle scuole private conun'imposizione pedagogicache nemmeno il fascismo si era sognato di fare. La riforma della scuola elementare ha permesso il "miracolo" di un'espansione degli organici a fronte di una continua diminuzionedel numerodi bambini senza rispondere a nessunadelle domande più importanti del momento a parte quella dell'occupazione, a cui si sarebberisposto con molto profitto e sensodi utilità per insegnanti e famiglie semplicemente mantenendo l'insegnante unico, mantenendo aperto il maggior numero di scuole con ruolo sociale forte e abbassando il numero dei bambini necessari per aprire una scuola. In questi ultimi anni dal crollo del muro di Berlino stannoavvenendo cambiamenti epocali. La dissoluzione dell'est ha posto fine all'egemonia culturale del marxismo, crolla il regime dei partiti, la sinistra storica, alla ricerca di una nuova identità, si è fatta paladina del privato, del profitto, della democrazia occidentale. Tutto cambia. Nella scuola invece l'orologio è fermo a progetti e criteri nati decenni fa e perseguiti ancora oggi nonostanteche molto si sia capito e visto nel fallimento. E' stato appena approvato dal Senatoil più cheventennaleproge110di riforma della scuolamedia superiore incentrato sull'idea di rendereobbligatorio e in gran parte "unico" il biennio formando una scuola media unica di 5 anni. Progetto riproposto in tutte le legislature dai primi anni '70 e che non era mai andato in porto. La volontà di elevare l'obbligo scolastico nasce da un orientamento secondo cui più frequenzascolasticasignificherebbe automaticamente più autonomia, · più libertà, più salute culturale e morale dei cittadini. E' l'aspetto totalitario e distruttivo delle democrazie moderne quello di individuare dei beni generali e assoluti per l'umanità che lo stato deve poi imporre a tutti. In realtà da decenni nei nostri paesiè in atto un processo degradanteche prolunga sempre più l'adolescenza, diminuisce i tempi formativi e allontana l'inserimento nel lavoro e nelle responsabilità della vita reale. Crono, per paura di essereuccisodai suoi figli, preferisce tenerseli in pancia, al calduccio più a lungo possibile. Pur avendo ufficialmente anticipato a 18 anni la maggiore età legale quella realesi èallontanatamolto oltre i 25 anni, sesi tiene conto del la laurea, del tempo necessario per incardinarsi in un lavoro, per mettere su casa ed esserein grado di averedei figli. Contemporaneamente è stato cancellato dall'orizzonte sociale eculturale il lavoro delle mani, che costituisce uno dei fondamenti essenziali della trasmissione della cultura e del processo vocazionale. Senza lavoro manualeutile esignificativo, cioè non mera esercitazione didattica, la fatica sportiva non bastaa sperimentareil proprio corpocon le sicurezze psicologiche essenziali che ne derivano. E' grande la sofferenza che devono subire tutti i ragazzi, ma in particolare quelli considerati deficienti, spessosolo perché portati ad anteporre l'apprendimento diretto, del veder fare, aquello astratto del sentir parlare. Quanti ragazzi hannosubito tremende umiliazioni perché in quinta elementare non sapevano bene le tabelline e perciò venivano considerati scemi, anche se di due biciclette rolle sapevano, loro soli, farne una nuova? Poi nella vita hannopili che ripreso il tempo perduto dimostrando la relatività di certi criteri scolastici! Quale civiltà può essereconsiderata quella che gli vorrebbe imporre adessonon solo altri due anni di sofferenza a scuola, ma addirittura cinque? Cè una parola d'ordine di don Lorenzo Milani che è opportuno ricordare a questo proposito: "Borse di studio ai deficienti e un branco di pecore da badareai più dotali!": dopo che i cosiddetti deficienti sono usciti dalla scuola,hannoimparalo allascuola a loro più congeniale, la pratica, al Iora le borse di !>ludoi ~crvono a dar loro quello scallo in più di cui sentono il bisogno. E così il branco di pecore da badare agli studenti che vogliono andare alJ'unjversità concretizza 1anco l'esigenza di quelle attività manuali di cui sto parlando. Invece anche le ore di applicazioni tecniche che potevanocopri reparzialmentequesto vuoto nella scuola media, per legge vengono tenuteda insegnanti laureati, selezionandoancorauna volta i cosiddetti deficienti, proprio nelle cosein cui eranomaestri, in cui potevano avere una rivincita utile per loro e per la scuola. Una riforma che nasceda un principio astratto e non da un'esigenza concreta possiede un carattere autoritario e tende a scompaginare l'esperienza. Con il cresceredel monopolio della scuola come luogo a cui è delegata la funzione di far diventare adulti, si sviluppano nei confronti suoi e dei "pezzi di carta" che essa eroga attesespropositate e salvifiche. Perciò la scuola, nell'intento di risponderea tutto, tendea rendere sempre meno precisi e disciplinari i suoi strumenti di formazione, sfumandosi e diluendosi in generici "percorsi formativi", conditi di parole difficili, a cui di fatto corrisponde un sensodi vuoto e rinvio della vita vera, uno sprecodi intelligenze, capacità e tempo, a cui corrisponde la crescita del bisogno di evasione, che rischia di essereil vero risultato pedagogico, con i suoi strascichi anche tragici nel mondo della droga. La riforma approvata dal senato non arriva a una licealizzazione forzata di tutti i ragazzi, perché conserva l'articolazione fra licei e istituti professionali e d'arte, ma cancella gli Istituti Tecnici e Magistrali, cioè quelli che fino ad oggi hanno preparato alla più immediata autonomia di lavoro da parte dei ragazzi appena. finita la scuola. Il prolungamento di due anni della scuola media in unagenericità culturale e formativa rischia di far perdere due anni essenziali, rinviando scelte importanti senzadare ai ragazzi nessunaabilità concreta su cui crescere. La dimostrazione di questa tendenza è data dalla recente sperimentazione ministeriale sugli istituti professionali che ha portato a 40 ore settimanali di frequenza,potenziando la parteculturale con ambizioni smodate (nemmeno un laureato in lettere raggiunge le competenzeche si danno come obiettivi!) e riducendo la formazione professionale, col risultato che sono calate vistosamente le iscrizioni. La riforma non offre nemmenosufficienti autonomie nei programmi, nei metodi e nelle materie di insegnamento e infine produce l'esigenza di nuovi insegnanti in palesecontrasto con la necessità di ridurre la spesapubblica. Non è facile capire come si possa da una parte ordinare con frella da emergenza l'accorpamento del le classi, mettendo adisposizione o in esubero diversi insegnanti e contemporaneamenteperseguirela loro molti pi icazione artificiale con I' allungamento dell'obbligo scolastico e con la riforma della scuola elementare. Non possonon parlare della riforma elementare anche se non è strellamenlc il tema di oggi, perché è stata comunque l'ultima riforma scolasticarealizzata in questo paese,che come tale è indice di un tipo di filosofia riformatrice. Il nocciolo della riforma della scuola elementare italiana èstatoquel lo di sostituire il maestrodi classecon il cosiddcno "modulo", al posto di una persona una struttura di tre o quallro persone. Grande è la varietà degli ordinamenti della scuola elementare nei vari paesi elci mondo, ma tutti senza eccc;,.ioni hanno una cosa in comune: la figura umana forte del maestroo mae~Lradi classe. In nessun altro paese del mondo, tanto meno nella Comunità Europea, si è nemmeno immaginato cli prendere una strada come questa nostra. Le conseguenzepedagogico-culturali sono pesanti e investono i caratteri di fondo di una società, avendo prodotto la secondarizzazionedella scuola elementare, cioè la sua distruzione e anticipazione della scuola media. Oggi, in Italia, i bambini in una classe elementare non incontrano la maestra, ma quella di italiano, poi quella di storia, di matematica, con un susseguirsidi monadi incapacidi colLivarenel bambino I' istinto dell'unitarietà della cultura e del processo formativo, di cui ci sarà più che mai bisogno in una società in cui la specializzazione è diventala una delle principali cause di difficoltà culturale. Il maestro elementare non è un tuttologo, ma un educatore che ha davanti prima di tutto il bambino e solo dopo le singole materie, a differenza del professoredi scuolasecondariache deve insegnare bene la materia. Con la riforma, in omaggio a idee astratte, si sono compromessi la centralità e lo specifico della scuola elementare, senzarispondere ai veri problemi che le trasformazioni sociali più recenti hanno provocato, primo fra Lutti il ridursi del numero dei bambini e il crescere della funzione sociale della scuola in una società in cui i legami familiari edi vicinato sonotroppo allentali ed è proprio solo la scuola elementaremolte volte apoterli ravvivare sia in città che in campagna. Questa riforma hadimostrato quale somma di sofferenze umane, culturali e sociali si possono provocare, contro ogni più semplice evidenza e buon senso,in nomedel progressismo ideologico. Del tutto spontaneamente,anchein conseguenza delle lotte scatenate dai genitori, dell'ingiustizia patita, a causa della legge, della rigidità della suaapplicazione edei successivi fallimenti, sono sorti comitati di genitori di cui avolte fanno parte anche insegnanti, che rivendicano sacrosanti diritti sull'educazione dei figli e sulla libertà di insegnamento. Qui sta il segno del nuovo che comincia timidamente a farsi strada anche nella scuola contro i principi astratti e superati del vecchio riformismo scolastico. La secondarizzazionedella scuola elementare è stata possibile anche a causadi un vuoto culturale diffuso da qualche tempo: l'incapacità di capirequantosia importante trattare i bambini da bambini e non da piccoli adulti non ancoracresciuti. Qui si è avuta difficoltà ad accettare l'infanzia, esattamente come, Giannozza Pucci. (intervento al Consiglio Comunale di Firenze) OCCUPAZIONI CICLICHE L'intervento di Giannozzo Pucci è stato pronunciato un paio di settimane fa nel Consiglio Comunale di Firenze, durante il dibattito sulla situazione delle scuole superiori fiorentine occupate quasi tutte dagli studenti, per lo più col consenso, anche esplicito, di genitori, insegnanti, forze politiche e sindacali; causa scatenante le misure del Ministro tese a risparmiare riducendo il numero delle classi. Si tratta di materia complessa, terreno di scelte anche contradditorie, come fa notare Giannozzo, con seri risvolti occupazionali e sociali (si badi, però, che nessun insegnante finisce sul lastrico); materia trattata spesso con stile emergenziale ma anche con marce indietro poco rassicuranti. Vorrei però ricordare -per aiutare a una sorta di igiene mentale- che nella provincia di Firenze dopo le restrizioni (saggiamente avviate gradualmente negli anni scorsi) la media di alunni per classe è di 21, 13. Una mia amica insegnante, sposatasi ed emigrata in Germania, manda quest'anno la bimba primogenita al primo anno della scuola media inferiore (di indirizzo classico): dice d'essere stata fortunata perché la classe è di soli 29 bambini nella ricca e ben ordinata Germania (importante antica città di Wurzburg), consueto termine di paragone per denigrare in tutti i modi il nostro paese. Ci manca solo di rivendicare la serietà del nazismo nei confronti del nostro buffonesco e opportunistico fascismo. Converrà una volta o l'altra soffermarsi su natura e fenomenologia di quello che pare diventato costume e diritto della condizione studentesca: occupare ciclicamente o ogni anno la propria scuola. I pretesti si trovano. Che diceva Singer, certo per cose ben più tragiche? Un giovane una nobile causa per potere ammazzare la trova sempre. E' noto che i ragazzini di terza media sognano l'accesso ormai prossimo al liceo per realizzare l'avventura dell'occupazione. E di fatti nel mio liceo, quando gli studenti hanno fatto la votazione (ma guarda dove va a infilarsi la democrazia!) per occupazioni sì-occupazioni no (l'alternativa era comunque l'autogestione!), il consenso più compatto al sì è venuto dai piccoli di prima e di seconda. In questa tornata di occupazioni, la brutta figura l'hanno comunque fatta insegnanti e adulti in genere, tra i quali si è spesso sentito dire che i ragazzi lottavano (sic) anche per noi, a difesa della bontà della scuola di stato, cioè di quella "scuola di merda" di cui parla, mi dicono, il Manifesto, gran sostenitore di occupazioni. Del resto il Manifesto qualche anno fa, in occasione della morte del nostro grandissimo studioso Gianfranco Contini, affidava un necrologio compunto e serioso in pagine molto interne a un paio di professori tra i tanti suoi adepti, ma in prima pagina dichiarava, rivolto a lettori giovani, che la vera cultura stava sugli striscioni degli studenti nello stesso giorno manifestanti, non mi ricordo per cosa, in piazza del Popolo. La testimonianza del Preside della mia scuola, che con un breve digiuno ha voluto richiamare tutti alla gravità della ferita che la scuola subiva (poi sono finiti per essere 15 giorni di lezioni perdute, alcuni milioni di danni. .. per restare nell'immediatezza più corposa), non ha avuto per ora eco percettibile. Anzi. Mentre stavo riprendendo tra tante amarezze, anche dei ragazzi, l'ordine scolastico, è arrivato l'annuncio di un giornalino, finanziato e sostenuto dall'Assessore all'Istruzione della Provincia, l'assessore che amministra anche la scuola dove insegno, annuncio che prometteva l'intero prossimo numero a disposizione degli studenti per "raccontare esperienze e desideri, bisogni, vizi e virtù di questa esplosione di autogestione". Il momento delle occupazioni ha coinciso con quello di una congiuntura politica in cui parevano arrivare in porto le attese o le paure di una riforma della scuola media superiore. Adesso però tutto pare tornato in alto mare: chi la pensa come me può forse.tirare un sospiro di sollievo. Il processo si è interrotto per le difficoltà del Parlamento e anche per resistenze, in parte inaspettate, di alcuni gruppi parlamentari. Ma sono anche emerse opposizioni per così dire di segno contrario, progressiste, tra pedagogisti e uomini politici ostili alla riforma o perché non è abbastanza avanzata e mantiene la distinzione tra licei e istituti professionali o perché apre all'autonomia e alla responsabilità locale oppure semplicemente perché piace alla Confindustria (il cui centro-studi, sia detto tra parentesi, di scuola non capisce nulla). Insomma sembra saltata la tregua grazie alla quale si era costruito il testoquadro votato dal Senato. Questa speranza di definitivo fallimento ne apre anche un'altra, di rimettere in discussione la riforma della scuola elementare. I Verdi del Comune di Firenze hanno attivato dei contatti col gruppo radicale della Camera, il quale si dichiara disponibile a un'ipotesi di referendum che abroghi i "moduli" e reintroduca quindi il maestro. La difficoltà sta nel trovare una formulazione corretta e efficace del quesito tale che non giustifichi la bocciatura da parte della Corte Costituzionale. Quanto a me, ho poca simpatia verso l'uso abituale del referendum, in quanto tendenzialmente demagogico e varco di facile irresponsabilità ecc ...,ma soprattutto in quanto destabilizzante, specialmente ora che si tratta di ricostruire un assetto politico e più in generale il credito della politica e del suo personale. Per finire. Giannozzo nel suo intervento, come fa sempre appena può, cita con consenso e ammirazione qualche idea di Don Milani. Credo che Don Milani sia stato un caso dei più chiari e esemplari di radicalismo negativo, contro la scuola, l'idea stessa di scuola, e contro i ragazzi. La prossima volta dirò estesamente la mia; poi attenderemo risposte. Vincenzo Bugliani UNA CITTA'

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