Una città - anno III - n. 27 - novembre 1993

linguaggio, della comunicazione, ma va svolto anche. come dire, col catalogo, con la descrizione minuziosa, di quello che abbiamo intorno. Dovremmo rifare come l'inventario di quel lo che abbiamo nelle nostre aree di vita ed è una cosa che riguarda i beni culturali, i monumenti, ma riguarda anche le strade che abbiamo. il giardino, gli spazi sociali che ci interessano. Dovremmo prendere coscienza degli spazi sociali, di tutto quello che ci appartiene e di cui non ci rendiamo conto, e non delegare perpetuamente la gestione del nostro spazio vitale alla politica. In questo senso dicevo che la politica non deve essere ritenuta onnipotente, neppure sul piano amministrativo, perché non può fare tutto. Tutto questo presuppone molta fiducia nella gente ... Purtroppo in questo senso non ho fiducia. Di solito si dice che gli italiani, egoisticamente, sono individualisti e da un lato lo si dice nel senso che si fanno gli affari loro, mentre, dall'altro, lo si dice quasi in senso positivo, perché non sarebbero irregimentabili. lo penso che, in realtà, gli italiani non siano abbastanza individualisti: se fossero davvero individualisti si vedrebbero in giro più persone che si comportano in modo imprevedibile, più coraggiosamente, seguendo le proprie idee. certo che se siamo subito in 1 O, ma anche da soli ••• Purtroppo la sola scommessa che si può fare è augurarsi che certe forme individuali di ribellione, o di comportamento controcorrente nel lavoro o nella vita quotidiana, possano provocare un contagio positivo. Quindi, più che una militanza come la si intendeva negli anni '60, una testimonianza, il mostrare un modo di essere ... Anche la militanza dovrebbe ripartire da lì, non credo che un gruppo di persone possa fare qualcosa di più. E comunque non bisogna mai aspettarsi troppo da un'organizzazione, perché, come sappiamo, le organizzazioni ci illudono di poter moltiplicare gli effetti delle nostre azioni. Uno si dice: ··se faccio una cosa da solo che conta? Non conta niente, ma se la facciamo in mille conterà tantissimo, allora aspettiamo di essere in mille", ma per essere in mille bisogna organizzarsi, fondarsi, avere una sede, fare delle riunìoni e prima che si arrivi ad agire passano degli anni. Certo se siamo subito in dieci è meglio, ma io penso che anche se sono solo e c'è qualcosa che posso fare da solo, la devo fare cercando di dargli un certa visibilità. In questo senso si può fare l'esempio di chi si metta a pulire una spiaggia sporca da solo, senza avere nessuna delega, senza essere l'addetto alle pulizie. Se una famiglia di tre o quattro persone si mettesse a pulire per mezz'ora quel1 o che ha intorno già provocherebbe una specie di scandalo. perché gli italiani sono abituati a vedere che nessuno fa niente. Secondo me molti li considererebbero dei cretini, che fanno ciò che non gli è richiesto e lavorano per gli altri, ma ci sarebbe una parte che subirebbe il contagio, soprattutto i più giovani, i bambini. Ci sono delle cose che devono essere fatte in modo che gli altri vedano, naturalmente non in modo troppo teatrale, senza cercare l'effetto o l'esibizionismo, che è anche antipatico. Cose fatte senza pretendere che anche gli altri le facciano, perché sarebbe ricattatorio, fastidioso; cose fatte, semplicemente. La possibilità di contagio di uno che fa una cosa giusta, una cosa che tutti pensano sia giusta ma che nessuno si decide a fare, secondo me potrebbe essere ciò su cui, almeno in parte, contare. Su questo terreno la sinistra può avere delle carte da giocare? Sl, secondo me su questo terreno la ARREDAMENTO 81 NEGOZI E SUPERMERCATI 1no 1anco GLI ANNI DELLA PROVA Gli anni 'BO: il decennio del rampantismo e della sconfitta operaia, delle copertine patinate e della volgarità, dell'egoismo selvaggio e della superficialità. Come negarlo? Ma rattrista vedere come la giusta critica del ? passato prossimo tenda a trasformarsi irresistibilmente in una allegra rimozione collettiva. Settimanali satirici celebrano trionfi commerciali miscelando abilmente umorismo e buoni sentimenti (la crudeltà del primo «Male» e l'umorismo nero dei Monty Python sono anni luce lontani ...). Centri sociali in lotta rimettono in scena un copione arcinoto a chi ha almeno trent'anni. L 'impressione, desolante, è che si tratti, non di un movimento reale, ma della quinta posticcia di un inoffensivo teatrino, coccolato da quegli stessi media che vent'anni foto pubblicitaria degli anni '80 prima l'avrebberoignorato O boicottato,utilea registi sinistra avrebbe molte carte da giocare. Sarebbe molto importante che. per esempio PDS e Verdi, incoraggiassero la formazione di gruppi spontanei per fare qua e là delle cose precise. Qui a Roma vedo che i Verdi, perdi re una delle forze del cui comportamento mi rammarico maggiormente, non fanno niente, sono diventati dei politici. Non fanno nessuna azione dimostrati va, non si occupano per niente dei giovani che, secondo me, hanno un grande potenziale. quando i giovani ebrei romani hanno attaccato La manifestazione con striscioni, che blocca il centro delle città, ormai è una cosa quasi da evitare, mentre formare dei piccoli gruppi che, al posto della manifestazione, vadano in punti molto visibili della città e facciano un cosa che nessuno fa -dal dirigere il traffico al pulire un giardino o un asilo, all'occuparsi concretamente di extracomunitari- avrebbero un impatto, inimmaginabile. L'idea di affrontare globalmente i problemi è diventata una forma di paralisi, mentre ci vorrebbe un po' di immaginazione pratica. L'impegno politico oggi, secondo me richiede soprattutto immaginazione pratica. Tutto questo presuppone dei tempi di trasformazione lunghissimi, mentre sembra che in questo momento il rischio di guerra civile non sia poi così lontano ... Quelli che parlano di guerra civile dovrebbero stare molto attenti. A parlarne sono di solito dei politici, ma proprio i politici dovrebbero sapere quali sono gli effetti di queste cose. Innanzitutto hanno effetti tremendamente demoralizzanti, perché quando uno pensa alla guerra civile pensa che tutto il resto sia inutile. Si creano delle situazioni di allarme generale in cui la vigilanza si trasforma in un specie di nichilismo per cui si è portati a pensare "se ci si spara non serve a niente pulire la strada davanti a casa mia". E' vero che tutto può succedere, che siamo in una situazione difficilissima, ma bisogna anche ragionare un po' freddamente: si parla di colpo di Stato, ma il colpo di Stato chi lo farebbe? Tutti i colpi di Stato richiedono due cose fondamentali: la copertura di una potenza estera e una casta militare forte e autonoma. Il colpo di stato in Italia potrebbe essere coperto soltanto dagli Stati Uniti, o da una Unione Sovietica che non esiste più, e attuato da una casta militare che fosse l'incarnazione diretta del mondo della finanza o della grande industria, disposto a delegare ai militari dieci anni di governo del paese. Tutto questo è impossibile, ma questa faccenda della colori tura eccessiva del linguaggio politico è qualcosa su cui bisogna riflettere. Ma lei è ottimista o pessimista? Non sono pessimista perché temo la guerra civile o il colpo di Stato, ma purtroppo ci sono alcune cose che vanno fatte in tempi brevi, mentre ne abbiamo anche molte da fare in tempi lunghi. Una cosa da cui sono allarmato è che la politica sia quella che fa la televisione, che la gente non sia più in grado di scendere per le strade a fare cose giuste, a bloccare qualcosa di brutto che può sempre succedere, a disarmare le bande di naziskin. Se avessi visto qualche iniziativa in questo senso mi sarebbe molto piaciuto, purtroppo non è avvenuto. Mi sono rallegrato quando un gruppo di ebrei romani ha reagito alle violenze dei naziskin; ad un certo punto ci sono cose che bisogna fare direttamente, dal pulire le strade ali' impedire la violenza razzista. L'unico antidoto contro gli allarmismi di guerra civile può venire solo da questo punto di vista. La gente deve sapere che non basta vedere le trasmissioni di Santoro. ma se è necessario deve anche uscire per la strada. • LA FORTEZZA SINTESI s.r.l. 47034 FORLIMPOPOLI (FO) - ITALV Via dell'Artigiano, 17/19 Tel. (0543) 744504 (5 linee r.a.) Telefax (0543) 744520 spompati per raccattare qualche idea e indispensabile a stremati operatori di marketing alla continua ricerca di «tendenze» da spendere nell'asfittico mercato musicale. Tutta la nostra umana simpatia va alle passe, allo stile grunge e all'ironia di «Cuore», ma sono stati proprio i famigerati anni 'BO -forse gli anni più estremisti e radicali di questo secondo dopoguerra- ad insegnarci che tutto questo non solo non basta, ma, proprio perché ci soddisfa e ci consola, restituf!]ndo visibilità e pubblico riconoscimento alla cosidetta «sinistra d'opposizione», deve essere abbandonato. Perché gli anni '80, a chi aveva voglia o coraggio di ascoltare la loro dura lezione, hanno insegnato a non confondere la tensione verso la comunità possibile con il gregarismo rancoroso degli eterni insoddisfatti, con il «/uogocomunismo», con il culto della immediatezza e dell'azione. Si suole sintetizzare quel periodo con la formula abusata della "crisi", ma si dimentica che la "crisi" è in primo luogo il momento del giudizio, della rottura inaugurale. Quando non uccide la crisi è un inizio. E' sul piano della formazione spirituale, della metamorfosi, che gli anni 'BO sono stati allora decisivi. Come ha detto benissimo a questo giornale Umberto Fiori, in molti hanno dovuto improvvisamente misurarsi, con la libertà estrema, quasi vertiginosa, che la catastrofe di tutte le sicurezze e la mancanza di ogni prospettiva comune assicurava alla propria voce. Nel giro di pochi anni una intera generazione, privata dalla feroce logica delle cose di ogni protezione, è tornata in possesso della propria parola, si è sentita di colpo completamente responsabile della propria voce, in una situazione di perfetta e disorientante parità con l'altro. Sono stati gli annilaboratorio delle scoperte decisive, delle letture, delle amicizie profonde e delle vocazioni. Era inevitabile che di fronte a tanta solitudine e a tanta libertà molti indietreggiassero spaventati: non l'opportunismo, ma l'angoscia spiega allora la repentina trasformazione di non pochi incalliti rivoluzionari in impeccabili uomini d'affari. Non si sono affatto arruolati nelle file dell'esercito vincente, come superficialmente si ripete, piuttosto hanno perseverato, con altri mezzi, in quell'oblio felice della propria solitudine che già anni di militanza avevano assicurato. Da questo punto di vista gli anni 'BO sono stati anche e soprattutto gli anni della verità intorno a se stessi, una verità interiore, che, per fortuna non ha bisogno di giudici e non teme errori. Vi è infine chi semplicemente è diventato grande proprio in quegli anni. Di solito è guardato con compassione mista a sufficienza da chi ha conosciuto il tirocinio della delusione, quasi che, nato troppo tardi, non avesse avuto il privilegio di vivere gli anni «belli» della lotta. E' lo sguardo inevitabile che il vecchio ha per il giovane, ma l'errore, lo sappiamo è nello sguardo. Perché chi si è formato negli anni del gelo ha dovuto misurarsi immediatamente con la durezza estrema di una realtà che non tollerava illusioni di sorta. Il suo cuore è stato subito messo alla prova, non ha potuto indugiare, come quello di papà, nel torpore della chiacchera rivoluzionaria. La scelta tra la carriera e una libertà senza frutti era subito lì ad attender/o, spietatamente. La memoria non lo confortava. La speranza non lo giustificava. Bisognerebbe forse imparare a guardare a quella generazione come ad una generazione di sopravvissuti ad una «esposizione» post-natale. I sopravissuti sono indubbiamente pochi, ma a loro, non certo ai nostalgici dei «formidabili anni '70», dovremo le cose migliori del nostro futuro. Rocco Ronchi UNA CITTA'

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