"f"s-,, IN RICORDO DI PRIMO VANNI Per anni gli infermieri prendevano i quaderni sui quali scriveva le sue storie e li gettavano via. Ma ostinatamente Primo Vanni continuava a usare carta e penna per dire di nuovo ciò che gli premeva, «per insegnare agli altri». Solamente nel 1988 -dopo quasi 30 anni passati nell'ospedale psichiatrico- gli scritti di Vanni trovano estimatori e grazie alla tenacia di Francesco Lanza diventano un libro, Ma ogni tanto la debolezza ci prende (pubblicato nel '90 dal Centro culturale "Nuovo Ruolo" di Forlì). Primo Vanni è morto in ottobre, a 72 anni. Dal marzo '90 abitava a Ca' del Vento, una residenza auto-gestita dove vivono liberi alcuni di coloro che sono stati internati nell'Osservanza, il manicomio di Imola: un ex reparto che diventa casa in un ospedale per anni sbarrato (anche dopo la riforma) che finalmente si apre alla città, che pubblica riviste, organizza feste e mostre, che di nuovo a dicembre chiamerà donne da tutt'ltalia per discutere del "mal di Luna", quell'inspiegabile debolezza che ha segnato la vita di Vanni. Non lo vedremo dunque più in giro con quei vestiti da contadino o montanaro, con la borsa a tracolla dalla quale tirava sempre fuori acqua, cibo o sigarette da offrire a tutti, una delle sue mosse più tipiche. Non lo ascolteremo più raccontare le sue storie, le favole o cantare quegli strani stornelli (sull'importanza della pensione) apprese o inventate chissà quando e dove. E non andrà più nel salotto di Maurizio Costanzo che gli aveva dato una strana notorietà sulla quale Vanni ironizzava («a me la TV non piace, preferisco la radio ... Ci sono andato solo perché era l'occasione di vedere Roma e il Papa»). «Aveva una saggezza zen e mi ha insegnato due cose importantissime» ricorda Lucia Saponi: «La prima è che, nonostante l'età o i mali, bisogna sempre sognare e progettare senza rassegnarsi mai. La seconda è che bisogna volgere, tradurre i grandi problemi in racconti, fiabe. Quando parlavamo, in astratto, delle difficoltà di convivenza che gli ex degenti avrebbero incontrato alla Ca' del Vento ricordo che Primo ascoltava con grande attenzione; poi, alla fine, raccontò una favola. C'era un frate che abitava in un convento e litigava sempre con tutti, convinto che gli facessero i dispetti. Così un giorno il fraticello se ne andò per vivere da solo, portando con sé solo una bottiglia di vino. Mentre si preparava da mangiare un colpo di vento rovesciò la bottiglia e lui si mise a litigare con chi gli aveva fatto quello stupido scherzo, finché s'accorse di essere solo. Così tornò al convento e da allora imparò a vivere insieme agli altri». Cos'è che ha fatto impazzire Vanni, che lo ha spinto al ricovero volontario negli anni '60? Non lo dicono le cartelle cliniche, tanto piene di dottrine e parolone quanto vuote di vite. Non lo sa o non lo ha voluto raccontare lui. Forse sono le capriole (fatte nel 1941 alle parate ginniche obbligatorie dei sabati fascisti) «che hanno spostato il regolamento del cervello». Forse una storia di povertà, in una casetta sperduta dell'Appennino tosco-romagnolo prima e nell'imolese poi. O forse qualche terribile ricordo di quella prima guerra mondiale vissuta attraverso i racconti del padre (e Francesco Lanza addirittura ipotizza che le prime «debolezze» di Vanni nascessero dal suo desiderio di non andare in guerra). Forse è ancora lo choc di una persona abituata alla solitudine che finisce d'improvviso, e a forza, nel «carrozzone fascista». Lui faceva capire -con un'aria di mistero, ma anche con allegria (come nella canzone che chiude Ma ogni tanto la debolezza ...)- che è il «progresso» a fare impazzire gli uomini, che lasciare la terra non è sano, che l'aria della città produce strani effetti. Noi non abbiamo parole così pure e profonde per spiegare questo concetto. Noi ci rassegnarne (che è forse peggio di impazzire) per le castagne perse o per le nostre faticate parole d'amore che diventano spot. C'è una celebre frase di Henri Fabre che ci spiega di quanti Primo Vanni avremmo bisogno: «La storia celebra i campi di battaglia dove incontriamo la morte, ma sdegna di parlare dei campi arati dei quali viviamo; sa i nomi dei bastardi dei re, ma non può dirci l'origine del grano: queste sono le vie dell'umana pazzia». Daniele Barbieri Le foto della paginasono state scattateall'Osservanza, ospedalepsichiatricodi Imola. UNIPOL ASSICURAZIONI IDENTITA I GENICA E NORMALITA I certe la La clonazione ed il terrorismo culturale di notizie. Dove è arrivata e dove può arrivare ricerca. Intervista a Carlo Flamigni. Carlo F/a111igni è pri111ariodel reparlo di jisiopawlogia della riprod11:,io1d1ell'Ospedale S. Orsola di Bologna e 111e111bdreol Co111itato Na:,ionaleper la Bioetica. Recenti notizie sulla clonazione hanno molto allarmato. Cosa si sta sperimentando esattamente? Tecnicamente si traila dell'amplificazione dei blastocisti, o produzione di gemelli identici: sono tecnichecon le quali si approfilla della totipotenza dei blastomeri. cioè delle cellule in cui si divide all'inizio l'uovo fecondato, per farie sviluppare . eparatamente. Siccome hanno lo stessopatrimonio genetico. si sviluppano individui identici. Questa è una cosa, tra r altro, chei veterinari fannoconsuccesso, e con grande vantaggio economico, damoltissimo tempo. Seabbiamo il toro Annibale e la mucca Carolina che costano un mucchio di soldi e riusciamo ad ottenereda loro unembrione, ovviamente conviene ricavare da quell'embrione più di un soggello. In campo specificamente umano, la ricerca haduepunti interessanti, macomunquepocoscandalosi.Uno è che questi sperimentatori, per avvolgere i vari blastomeri, hanno utilizzato unamembranapellucida artificiale. Si tratta della membrana che avvolge prima l'uovo e poi l'embrione fino al sesto giorno e mezzo. E questo è interessante. Secondo,hanno visto che nell'uomo soltanto l'embrione a due cellule è utilizzabile per unaclonazione.Quando 1• embrione è giàaquattro cellule lo sviluppo degli embrioni successivi si ferma. Con l'embrione a due cellule sono arrivati fino alle trentaduecellule, poi si sono fermati. Questapotenzanel continuare a dividersi diminuisce nei blastomeri percarenzadi RNAmessaggeromaterno e per superare questo problema esistono tecniche che vengono usatedai ricercatori che fanno biologia sperimentale, con le quali fanno fare un passaggioai nuclei dei blastomeri dentro dei nuclei di ovociti ai quali il nucleo è statotolto. Così consentono di aumentarela capacità di suddivisione successiva.Ma la biologia dell'evoluzione è già andata, straordinariamente, più avanti di questo.Tuttavia il problemadi base è che la clonazione vera, quella di cui si parla con qualche sgomento, non è questa. La clonazione vera è la sostituzione del nucleo; è quella che si fa negli anfibi e che fino ad ora nessuno è riuscito a fare coi mammiferi. Si prende unacellulauovo, si toglie il nucleoesi melle al postodel nucleodella cellula-uovo il nucleo di unacellula somaticadi un altro individuo, assistendoalla produzione di un individuo nuovo, identico al proprietario del nucleo. E' la tecnica con la quale lei si potrebbe riprodurre facendo una persona esattamente uguale a lei. Questaè la clonazione, che non ha niente a che fare con l'amplificazione dei blastocisti, ma che non è mai riuscita nei mammiferi. E' stata tentata, nei topi ad esempio. ma non è mai riuscita. Clonazione è UNIPOL: DA 5 ANNI, una parola molto ampia. vuol dire produzionedi individui identici con una riproduzione agamica; è una parola dentro cui ci stanno molte cose,ma la clonazione di cui genericamentesi parla, quella a cui si fa riferimento, quella che dovrebbe porre degli interrogativi morali, è ben lontana dall'essere realizzata nell'uomo. Cosa fa questa differenza radicale di risultati fra gli anfibi e i mammiferi? Intanto negli anfibi le uova sono molto più resistenti, più grandi, più maneggevoli e hanno anche, evidentemente. maggiore semplicità funzionale. Nei mammiferi succedonocosemolto particolari, percui la capacità di produrre l'embrione è molto fragile. E' unacosadi cui si approfitterà probabilmenteungiorno. Se si prende una cellula da un embrione aotto cellule e la si met.te in un embrione a quauro cellule. l'embrione nellequattrocellule non si forma più; si forma solo la placenta che diventa la placenta dell'embrione a otto cellule. C'è una grande fragilità nella costruzione del!' embrione. Cosa ha spinto la ricerca ai risultati ottenuti finora? Una logica molto precisa, che è quella che muove quasi tutta la ricerca nella biologia sperimentale umana. Le donne che arrivano a fare fecondazione assistita sono, generalmente, non più giovani. Nelle donne non più giovani è difficile averesuccesso,perchési hanno pochi embrioni equindi si cerca di migliorare la fertilità con le fecondazioni assistite le cui tecniche consentono una duplicazione dell'embrione e danno due occasioni invece di una. Ma esistono anche altre tecniche utilizzate su donne non più giovani: si fanno iniezioni dirette del!' embrionenell 'endometrio, anziché depositarlo sulla mucosa, o si assottiglia la membrana pellucida con unpiccolo intervento per migliorare l'impianto. li problema fondamentale è che fino ai 38 anni si ottengono facilmente gravidanze, dopo è un disastro. E siccome ledonneoltre i 38 anni che cercano un figlio sono tantissime, allora si cerca di aiutare proprio loro. Le sperimentazioni oggi in atto, allora, cosa hanno a che fare con le notizie tipo "magazzin.o di organi"? Queste sono proprio sciocéhezze, spazzatura.Sono cose neancheda leggere, è solo mancanzadi limiti nel voler fare del terrorismo culturale. Sono notizie interpretate in modo stupidamente drammatico, che partono da un errore di base, cioè dall'attribuzione a questa ricerca di valori che questa ricerca non ha. Ma quale compito deve avere la ricerca? lo ritengo che la ricerca debbadare risposte alle domande. E' l'uso sociale di questerispostechevadecisodalla gente.Ma perchési possano faredelle scelte,bisognasapere, perché l'ignoranza è la peggiore delle condizioni umane. Allora bisogna informare bene. lo, da tecnico, dico checi sonodelle rispostee dico quali sono. Poi è la società nella sua interezza, non il prete, non il filosofo, e nemmeno il bioeticista, a dire qual è l'uso corretto che bisogna farne. Non ci sono domande davanti alle quali fermarsi? No, non ci sonoe non ci sono mai state. In una recentee bella discussione fra bioeticisti, i bioeticisti laici sostengonoche non ha senso frapporre un divieto fra la ricerca e la verità, perché la verità viene poi comunque a galla e ridicolizza n divieto. li problema non è frapporre divieti, ma responsabilizzare e affidare a 1u11iil punto successivo, cheè il veropunto importante:adessoche abbiamo la risposta cosace ne facciamo?La ricercadeveandare avanti, poi una volta che abbiamo stabilito che una cosa si può fare, possiamodecideredi non farla, perché non ci interessa,perché lo riteniamo immorale, perché vogliamo spendere i soldi in altre direzioni. Le opinioni della gente vannoascoltate.Lo scienziatomatto che nella suacantina di casasta costruendo il mostro di Frankestein, è fuori dalla realtà. Sapesse cosaci vuole in termini di costi per fare una qualsiasi ricerca di biologia! I soldi che spendela veterinaria in Australia, nel campo della biologia dellariproduzione, noi non ce li sognamonemmeno per la medicina umana. Lo spauracchiodel- )' uomo con due teste è puro terrorismo. La ricerca nel campodell' ingegneria genetica è ferma aquestopunto: si possono fare facilmente terapie geniche nelle cellule somatiche, mentre ci sono dei problemj nelle terapiegenichedelle ceUulegerminali perché non si sa bene dove finiscono i geni iniettati. Il giorno in cui saràpossibile avere lacertezzache un gene iniettato finisce nel postogiusto -cioè viene recepìtoda tutte le cellule, funziona bene,non fa modificare altri geni nella loro funzione, quindi non si creanodelle mutazioni transgeniche- quel giorno, e solo quel giorno, si faranno anche le terapie geniche nelle cellule germinali e nei pre-embrioni. E' un atteggiamento assolutamente responsabile ed è anche un impegno assunto dal Comitato Nazionale per la Bioetica, dove abbiamo detto chiaramente di sì per le terapie genetichedelle cellule somatiche, no per le altre. Per questo ancora non abbiamo le tecniche, che sarannomessea punto, ma anche quel giorno il problema non sarà fare l'individuo perfetto, perchéquestesceltenon sononelle mani del genetista.Tutti i caratteri importanti dell'uomo sono i I frutto dell'attività concorrente di un' infinità di geni e quel giorno saràpossibile evitare che un bambino nasca con una malattia. Se si pensa che questo vadacontro il diritto ad una identità genica, non ci siamo. L'identità genica è un diritto se è un'identità nom1ale,ma non credo abbia molto sensoparlare di orgoglio della propria identità genica per un down. - . CASSARURALEDARTIGIAN-AFORLI' Erboristeria - Prodotti naturali - Shiatzu FABBRI Dr. Enrico AMICA PERTRADIZIONE AGENZIA GENERALE Via P. Maroncelli, l O FORLI' • Tel. 452411 FRA LE GRANDI COMPAGNIE, LA PRIMA NEL RENDIMENTO DELLE POLIZZE VITA. CON NEL CUORE DELLA CITTA' Bi Forlì - via Albicini, 30 (ang. via S. Anna, 2) Tcl. 0543/35236 liotecaGino Bianco wuumw UNA ClffA' I 5
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