Una città - anno III - n. 27 - novembre 1993

problemi di confine Giorgio Antonucci, ha operato in vari istituti psichiatrici tra i quali quello di Gorizia diretto da Franco Basagli a. Dal '73 si è dedicato allo smantellamento di reparti manicomiali di Lungodegenti a Imola, dove tuttora lavora. Come è arrivato qui e che situazione ha trovato? Sono arrivato nell'agosto del 1973 e non immaginavo di restare qui così a lungo. Quando sono arrivato si era ancora ai tempi della vecchia legge, quella del 1904, mentre la nuova legge è del 1978, e trovai un manicomio con tutte le strutture perfette, nel senso che era un luogo di reclusione dotato di tutte le at-. trezzature. Ero stato invitato da Cotti, che si atteggiava ad innovatore ed aveva bisogno di qualcuno che facesse, e conoscendomi per esperienze precedenti, mi chiamò. Mi trovai solo, con idee diverse, in mezzo ad un gruppo di 20 medici che, salvo Cotti, rispettavano la tradizione psichiatrica. Chiesi di prendere il reparto più duro, perché se avessi aperto un reparto intermedio, avrebbero potuto dire "Per forza va bene, i più gravi sono da un'altra parte". I più gravi erano al reparto 14, che ora non c'è più. C'erano 44 persone tutte rinchiuse, donne schizofreniche, agitate, irrecuperabili. Rinchiuse vuol dire che il reparto aveva alte mura tutt'intorno e porte di ferro, anche i cortili erano dentro queste mura. Superata la porta di ferro si entrava in corridoi in cui non circolavano i pazienti, che generalmente erano nelle camere, o celle, con lo spioncino. la maschera di plastica del mostro del reparto I ricoverati, oltre che essere al di là delle porte di ferro, erano anche legati ai letti ed erano sottoposti a una grande quantità di trattamenti farmacologici paralizzanti. In più i corridoi interni erano a compartimenti stagni e anche per andare dalla sala da pranzo all'ingresso c'erano delle porte chiuse. Il personale era schierato sempre con le chiavi in mano, in modo da poter controllare tutte queste chiusure. Mi sono trovato con tutte queste persone che urlavano continuamente, quando avevano fiato per farlo; una di queste persone era considerato il mostro del reparto: aveva, oltre che la camicia di forza, anche una maschera di plastica. Era un luogo di orrore. Cominciai, e dopo un mese feci uscire tutte insieme le 40 donne, poi feci buttare giù i muri e così via. Le persone che uscirono per prime, nel 1973, all'Osservanza, erano quelle ritenute più pericolose e quando le liberai detti un. segnale per dire che tutti quelli che erano internati, 1200 persone, erano tenuti prigionieri arbitrariamente. Da questo venne fuori un conflitto fondamentale con gli altri medici: si sentivano scavalcati, speravano che succedessero guai perché si dimostrasse ufficialmente che avevano ragione loro a tenerli chiusi e avevo torto io a tenerli aperti. Naturalmente i problemi ci sono stati, ma siccome sono sempre qui, le persone che stavano con me son libere. E' un conflitto che è durato anni e anni e che non è ancora finito, perché anche ora, in un reparto di diagnosi e cura, prima c'è quello che la nuova legge chiama "trattamento sanitario obbligatorio" (con la vecchia legge si chiamava "trattamento coatto"), la qual cosa significa che comunque si prende la persona con la forza e la si porta dove ci sono le camicie di forza, le porte chiuse e mezzi equivalenti. E prendere le persone con la forza, ritenendo che non siano autonome in nessun caso, e metterle in un luogo chiuso significa costruire il manicomio. arbitraria: ci sono molti psichiatri che pensano che io sia matto, ma se uno mi classifica io non sono più credibile e vengo rovinato. Prima ancora dell'essere rovinati fisicamente si viene squalificati a livello sociale e questo è un delitto della psichiatria. Così come i nazisti squalificarono un popolo per farne quello che volevano, gli psichiatri squalificano delle persone che generalmente non hanno il potere sociale di difendersi. E' contro questa squalifica che ritengo debba essere fatta una battaglia culturale. La distinzione fra saggi e folli è una distinzione che filosoficamente non regge, perché è saggio vivere o non vivere? E' saggio continuare a vivere in circostanze tragiche o suicidarsi? E' il problema di Amleto. Ed è saggio essere d'accordo con la società o esserle contro? E' il problema del conformismo e delle rivoluzioni. La distinzione fra saggio e non saggio non regge perché è una distinzione fondata sulla pretesa di possedere la verità e, di conseguenza, la morale universale. Ma siccome non c'è né la verità, né una morale universale, non ci può ~, essere questa distinzione. Per me, che sono un borghese europeo del ventesimo secolo, può darsi che certe cose riguardo ai costumi cui sono abituato risultino strane, però devo rendermi conto che questa stranezza è relativa alla mia collosaggio e non cazione culturale. La distinzione tra saggezza e follia è una distinzione tragica e deriva non poco anche da impostazioni filosofiche. Sant' Agostino, ad esempio, parte saggio, sano e malato di mente Dopo tutti questi anni di esperien- dal dubbio per arrivare alla verità, za, io dico che il guaio comincia ma se si parte dal dubbio bisogna quando uno viene classificato. In- restare nel dubbio, alla verità non ci tanto è una clariÀzione semr~ si arriva ma·. Con Cartescèo IL DOLORE NON E' LA MALATTIA L'esperienza di chi arrivò, 20 anni fa, in un manicomio che era luogo di torture agghiaccianti. Uno scontro che non è mai finito. L'assurda pretesa della psichiatria di scambiare i sintomi per la malattia. Intervista a Giorgio Antonucci. stesso: si dice di dubitare di tutto e poi si trova la verità, ma se si trova la verità si pretende poi che tutti gli altri si mettano in linea. Partendo da questa base filosofica la psichiatria ha fatto un secondo passo, anche questo falso: la distinzione fra sano e malato di mente. Secondo un certo punto di vista il suicida non è un saggio perché bisogna vivere, però inaltre morali, ad esempio in quella delle classi dominanti del Giappone, suicidarsi è, a volte, una scelta preferenziale; per gli stoici in certe circostanze il suicidio era una forma di dignità. La psichiatria, invece, parte dal fatto che il suicidio non è saggio e dunque chi lo fa non ha il cervello a posto, ha un cervello difettoso. Ma questa distinzione tra sano di mente e malato è ridicola anche a livello della scienza contemporanea. Nel- !' ottocento si pensava che ci fosse una natura con delle leggi precise: ecco allora Lombroso che diceva, riprendendo anche filosofi positivisti come Spencer o altri, che un individuo può anche non essere d'accordo con la società, però, siccome la società è naturale, cioè realizza le leggi di natura, chi non è d'accordo con la società non è naturale, quindi è malato. Ora sappiamo benissimo che non c'è una "natura", né una società naturale, sono tutte delle convenzioni, per cui anche a livello epistemologico la psichiatria è superata. Ma in pratica? Si può dire che sia superata? Gli psichiatri si nascondono dietro un argomento molto falso: dicono che se si è contro la psichiatria si sottovaluta la sofferenza. Ora, a parte che dalla psichiatria io ho visto solo atroci torture, il fatto che di fronte a situazioni tragiche un essere umano stia moralmente male è una cosa che io, come tutti, so benissimo, forse lo so anche più degli altri. Il problema è che si fa una altro errore, anche questo di tipo filosofico: gli psichiatri fanno confusione tra sofferenza e malattia. Il dolore fisico è un segnale fisiologico, l'indice di qualcosa che non va, di una malattia, ma in sé non è una malattia, così come la sofferenza psicologica non è una malattia. Se io sto male perché mi sento un fallito, non è a causa di una malattia, ma è perché di fronte alla vita di relazione se le cose non vanno come voglio io, ci soffro. Ma anche questo è tisiologico, è il segnale che qualcosa non va o nell'organismo o nella vita di relazione. Confondendo il dolore con la malattia gli psichiatri hanno fatto un'ipotesi per cui chi è depresso è malato. E' chiaro che una vita di relazione difficile può anche comportare che uno si ammali più facilmente dal punto di vista fisico, però questo non significa che il dolore morale come tale sia una malattia. Significa che uno che è contento è probabile che viva più a lungo di uno che è scontento. In sintesi il mio discorso è questo: o si pensa che la psichiatria si sia costruita per mantenere il perbenismo e un certo ordine dei costumi e allora si fa una critica anche scientifica alla psichiatria, si superano i manicomi e le altre conseguenze negative; se invece si pensa, come fanno gli psichiatri democratici, che il manicomio è un male, ma la psichiatria può fare del bene, non si conclude nulla, perché questa è una contraddizione in termini. lo dico sempre che se penso che i campi di concentramento per gli ebrei o gli zingari sono sbagliati, devo anche pensare che il nazismo è sbagliato. li problema è quello di seguire una strada che non porti solo al superamento del manicomio, ma anche al superamento di una cultura che ha bisogno di mettere i dissidenti da parte perché altrimenti non sopravviverebbe come cultura totalitaria. Nella cultura vittoriana, per esempio, l'omosessualità era considerata una malattia di mente, il suicidio una malattia di mente, la depressione una malattia di mente. Ma si considerano malattie di mente il dolore umano. le diversità sessuali, le scelte diverse, si finisce per fare i ghetti. Questo non significa che tutte le scelte ci debbono andare bene, significa solo che non ho nessun diritto di dire che le mie scelte sono sane e le scelte degli altri, di quelli che non mi piacciono, sono malate. Ma allora come si distingue la follia? In Dante, per esempio, il concetto di follia non esiste assolutamente, è sempre il soggetto che sceglie per il suo bene o per il suo male. Questo discorso della follia non regge a nessun livello, viene tenuto in piedi solamente perché la società è organizzata in modo da poter eliminare alcune persone. Di recente due genitori mi hanno detto che la loro figlia di 24 anni era stata internata come malata di mente dopo aver avuto uno scontro con la madre e aver detto che voleva ammazzare il cane. Il padre poi mi ha confessato che aveva cercato di avere rapporti con lei quando lei era sedicenne. lo non so se li abbia avuti o no, ma comunque le ha procurato un'angoscia approfittando della sua autorità e la ragazza sta pagando questo con l'elettroshock. Il caso assomiglia a quello di Dora, con cui Freud ha fondato la psicanalisi ed in cui non fa una figura molto brillante. Dora era una ragazzina avvicinata da un amico del padre che voleva sedurla, mentre lei non ne aveva nessuna intenzione. Lui l'aveva baciata e lei sentiva ripugnanza per questo desiderio del1'amico del padre. Il padre, da parte sua, chiudeva un occhio perché, siccome aveva una relazione con la moglie di questo amico, si coprivano a vicenda. Freud, purtroppo per lui, ha considerato che fosse Dora ad essere difettosa. E tuttavia Freud -che non a caso disse che occupandosi di problemi psicologici non faceva il medico ma il biografo, e di aver avuto più suggerimenti da Goethe che non da Hemut, che era un neurologo- aveva capito che i problemi psicologici non sono oggetto di medicina. Quando gli americani gli chiesero se uno psicanalista dovesse essere per forza un medico, lui rispose di no: aveva per primo intuito che i connitti psicologici non sono malattie di mente, problemi clinici, ma sono un'altra cosa. il medico voleva insegnargli ~ dipingere Nonostante questo era ancora in un mondo rigidamente gerarchico, maschilista, e aveva anche lui dei limiti al riguardo. Un altro aspetto della storia è che le donne sono state regolarmente ritenute malate di mente ogni volta che rivendicavano, nella famiglia autoritaria, i loro diritti; ancora ai tempi di Freud, nella Vienna della fine del secolo scorso, si pensava che una donna che provasse piacere fosse patologica, perché la donna per bene non doveva provare piacere anche quando faceva l'amore con il marito. Gli psichiatri, oltre che aver fatto del male, si sono resi anche ridico1i: il medico di Van Gogh pretendeva di insegnargli a dipingere, il medico di Artaud gli voleva insegnare a scrivere le poesie e così via. Sonocoseassurdeesi torna al fatto che non ha senso la distinzione tra saggio e non saggio, perché uno dovrebbe corrispondere ad un' ipotetica media, ma è chiaro che uno come Van Gogh non corrisponde a nessuna media, altrimenti non sarebbe stato Van Gogh. Il problema è che si deve cominciare ad avere un altro concetto dell'uomo. Il nostro cervello, per quello che conosciamo, è la struttura più complicata che esista. Una cellula del nostro cervello, un neurone, è più complicato del sistema solare e della galassia. Il determinismo ha fallito miseramente, è una schematizzazione. Il considerare il nostro cervello, con la sua enorme complessità biologica, come una macchinetta che deve funzionare in un modo solo, sennò si ripara, è una cosa scientificamente stupida, anzi è contraria a qualsiasi ragionamento scientifico. La pretesa di prendere una persona e renderla diversa da quello che è, è una pretesa spaventosa, perché o la si annienta o altrimenti è ovvio che questa si ribelli: ha diritto di sentirsi un essere umano. 30 anni di manicomio perché sentiva voci D'altra parte le cose sono addirittura ridicole; prendiamo, per esempio, uno che senta le voci. Una volta a Firenze sono stato chiamato per parlare di questi problemi e c'erano dei medici cattolici che parlavano di quella bambina in Jugoslavia che diceva di vedere la Madonna. lo dissi loro che se uno dice di vedere la Madonna mi va benissimo; io non la vedo, lui la vede, ognuno ha la sua coscienza, le sue credenze. Gli ho detto: come mai voi, che siete medici, discutete se la Chiesa deve approvare o no queste apparizioni, mentre io ho conosciuto persone che per aver detto di credere nella telepatia sono finite in manicomio? O si è rispettosi del la ricchezza possibile del I' esperienza o non lo si è. Uno sciamano che sente le voci acquista potere nella sua tribù, invece qui da noi non si possono sentire: una persona morta da poco è stata 30 anni chiusa in manicomio perché diceva di credere al la telepatia, ma se iIvedere e il sentire quello che gli altri non vedono e non sentono è un'esperienza che può essere religiosa rispettiamo tutte le esperienze, non solo quelle che ci fanno comodo. Tornando all'esperienza di Imola... Dopo il primo ho seguito diversi reparti e ho cercato di fare in tutti la stessa cosa, cioè di portare fuori delle persone rinchiuse per anni. Tutto questo con tante difficoltà, in un ambiente ostile, contro gli altri medici, contro l'amministrazione, contro la città, contro la magistratura. Quando è venuta la nuova legge, paradossalmente ho avuto più problemi giuridici che con la vecchia, perché è cambiata la legge, ma i costumi sono restati gli stessi, il cambiamento di legge non è servito. Adesso sono rimasto con gli ultimi due reparti del Lolli. Uno è autogestito, le persone sono libere e le cose si discutono; siamo stati insieme a Strasburgo, dal Papa a Roma, a Vienna, quando presento dei libri vengono con me. E poi sono liberi perché non so se sono dentro o fuori: loro escono, entrano, e quando c'è qualche problema si discute. Ultimamente, per esempio, c'è stata una cosa molto singolare, una novità: sono arrivate delle guardie municipali e ho pensato che venissero a lamentarsi di qualcosa di scorretto fatto da uno dei nostri pazienti. Le guardie, invece, erano venute qui perché uno dei nostri pazienti si era lamentato di essere stato trattato male dal personale e loro erano venuti a fare indagini, perché se ci fossero stati casi di maltrattamento avrebbero avvisato la Procura della repubblica. Quindi delle guardie municipali sono venute per difendere gli ex degenti, invece che per accusarli. Tra l'altro una di loro mi ha detto "Sa, questi sono cittadini come gli altri." "Meno male -ho detto- sono 25 anni che lottiamo per questo" ... -

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