Una città - anno III - n. 26 - ottobre 1993

to, senza attutirne la violenza. In sostanza l'ambizione della pace ha permesso lo stillicidio della guerra; e finiamo poi con un altro peacekeeping addirittura di 50.000 uomini, a tempo indeterminato, in una siIllazione assurda in cui manca qualsiasi consenso, -è di oggi il rifiuto dell'assemblea mussulmana di accettare lo stato etnico- con uno sforzo militare impressionante e una spesa assurda che non valgono la Bosnia e quindi non reggerà. li contribuente americano pagherà i 50.000 uomini, ma per quanto tempo? ora la violenza sta già dilagando altrove Come se ne esce? lo non lo so. Non essere intervenuti prima, non avere fatto il peace-making non permette alcuna soluzione ora, a meno che non si pensi alla cacciata dei mussulmani dalla ex-Yugoslavia ... E ora vediamo che la stessa cosa succede in Georgia. 11 massacro dei giorgiani da parte degli Abkazi sta succedendo ora, mentre parliamo. Quindi cosa significa? L'aver rinunciato a un intervento in Bosnia rende possibile il dilagare della violenza di tutti contro tutti. Noi affidiamo ora alla Russia il regolamento della questione delle minoranze nei territori dell'ex-Unione Sovietica, ma questo porta al fatto che, siccome i russi vogliono r Abkazia che è sul Mar Nero. alla fin fine se la sono presa. Ed ora anche in Abkazia ci sarà la pulizia etnica. A questo punto siamo al di fuori di ogni ordine. Siamo in un dramma senza fine, il più terribile accaduto in Europa dopo i campi di concentramento nazisti, vi abbiamo assistito senza fare nulla, e ciò ha creato dei principi che si porranno poi altrove. I I problema delle minoranze in Russia sarà un problema, ovunque siano. E l'unica soluzione, in realtà, che si può pensare è il ritorno dell'impero russo, che la Russia svolga praticamente di nuovo un ruolo imperiale sui territori per imporre un certo ordine, che eserciti, cioè, essa stessa un principio di intervento che sarà ancora più forte di quello delle Nazioni Unite. Dobbiamo sperare in questo ... Abbiamo creato una situazione tragica senza via d'uscita, mi sembra quasi peggiore di quella cambogiana ... dove c'è ancora Poi Pot! Allora cosa viviamo oggi? Un clima di guerre etniche, il ritorno alla guerra come mezzo per la regolazione dei connitti, la guerra dei popoli invece che degli stati, cosa resa possibile anche dal mercato fiorente delle armi. Rispetto al comportamento degli stati europei lei ha fatto il paragone con la Monaco del '38. E' stato fatto anche il paragone con la Spagna del '36. Perché, come allora in Europa, Sarajevo non è diventata una bandiera dietro cui schierarsi'? Ma la Spagna del '36 fu una guerra ideologica: fascismo contro antifascismo, comunismo contro capitalismo, religione contro ateismo. Per carità. Queste invece sono guerre di carattere etnico, dove la religione vale non come fatto universale, ma come determinazione di un particolare che non coinvolge nessun principio. la cosa essenziale sarà quella di dimenticare E poi ... per la guerra ideologica la gente è disposta a morire, la Seconda guerra mondiale fu combattuta con più partecipazione della prima. La guerra di Spagna fu combattuta in nome degli universali. Oggi il dramma è che abbiamo guerre particolari. Noi pensavamo che eliminati gli universali fossero cadute le guerre. No, eliminato un bersaglio, è nato un altro tipo di guerra: guerre di particolari. Guerre, cioè, di piccole patrie, guerre etniche che sono una possibilità nuova che la società tecnologica offre e rispetto a cui siamo disarmati. In realtà oggi, siccome nessuno ha interesse a fondare un impero come una volta e non c'è un principio ideologico che possa fondarlo, nessuno ha interesse a intervenire come forza internazionale per combattere le piccole guerre. In realtà non c'è un supporto politico sufficiente per eliminare i piccoli connitti. Non c'è ethos. Chi è che muore per Sarajevo? Chi è che muore per una operazione di polizia internazionale? Lo vediamo già in Somalia, gli americani sono già stanchi e ne sono morti una ventina ..., ma è già un disastro perché, in sostanza, non si muore peroperazioni di polizia. Si moriva per un impero, ma morire per difendere l'ordine interno di un paese, senza ricavarne poi alcuna inn uenza, morire gratuitamente, senza una ragione di potere, senza la nobiltà del potere, è impossibile. Si muore per l'impero, per la patria, si può morire per ragioni umanitarie, per portare aiuti perché assume un significato simbolico universale, ma per la polizia internazionale, per il compito politico di portare l'ordine internazionale in un paese dilaniato da una guerra interetnica, chi muore? Non è una funzione fascinosa. Come vede ora la questione dei diritti umani? Diritti umani? In Bosnia? Facciamo il tribunale internazionale per giudicare i colpevoli? I colpevoli saranno condannati tutti in contumacia. Un'autorità internazionale che non è intervenuta che diritto avrà di applicare una giusti zia? Non ne avrà né il potere di fatto né il titolo derivante dall'aver imposto la pace in nome del diritto. Diritti umani? Quale tribunale! In alcune parti del mondo siamo in piena anarchia interetnica. Ad un certo punto, la cosa essenziale sarà LE TANTE MAPPE DEI BALCANI Non c'è solo la Grande Serbia, sono in tanti a sognare di diventare grandi. La miscela fra problemi economici e mancanza di tradizioni democratiche ha favorito i nazionalisti. Aiutare chi non è d'accordo e ce ne sono tanti. Intervista a Sonia Licht, dissidente serba. Sonja Licht è fra i fondatori dell"'Associazione dei cittadini di Helsinki" e una dei principali esponenti del movimellto pacifista di Belgrado. Entrata giovanissima nel Partito Comunista yugoslavo, ne è stata espulsa nel '68 perché dirigente delle lotte studentesche. Col marito ed altri hafondato il Partito Socialdemocratico, poi sciolto da Milosevic. E' presidente della "Soros Foundation ", che interviene in Serbia a tutti i livelli per aiutare le vittime della guerra eper costruire spazi di democrazia e di informazione indipendente. Ebrea, dissidente nel vecchio regime, dissidente oggi, èfermamente intenzionata a restare in Serbia il più a lungo possibile per lottare lì contro il nazionalismo. goslavia era precisamente la Yugoslavia e questo tetto è stato distrutto con l'obbiettivo di costruirne altri. Uno di questi è appunto la Grande Serbia, che non è l'unico, anche se è il più visibile a causa soprattutto dei media e di un approccio ideologico al problema. Non voglio dare l'impressione di sottovalutare il ruolo del nazionalismo serbo e di Milosevic: entrambi hanno contribuito a portarci al disastro. Ma non concordo con le semplificazioni per cui il solo progetto della Grande Serbia, il solo progetto di Milosevic, è sufficiente a spiegar~ questa guerra. Questa guerra non è semplicemente un' aggressione, ma è il risultato di quanto dicevo all'inizio, cioè del fatto che queste persone hanno cominciato a sognare di costruire la loro Dove nasce l'idea della Grande nazione. E cioè, perché è precisaSerbia? Dove prende la forza per mente di questo che si parla oggi, "valere" una guerra? come costruire stati etnici. Questo E' il tipo di domanda a cui di solito ha portato al concetto e alla pratica non amo rispondere, perché in qual- della pulizia etnica, ha portato a che modo rivela che non si coglie grandi distruzioni, come a Vukoper intero la complessità della si- vare Mostar, e sta dando vita, dalla tuazione nei Balcani. Se nei Balca- Slovenia alla Macedonia, ad una ni esistesse solo l'ideologia della serie di stati etnici assolutamente Grande Serbia non ci troveremmo autoritari, privi di sensibilità, dinei guai in cui ci troviamo. Il pro- scriminatori. Non è corretto, ancoblema è che in questo preciso mo- ra, comprendere la Macedonia, ma mento il modello della Grande Ser- sono certa che sarà così, purtropbia attraversa tutti i Balcani e c'è po ... l'idea della Grande Croazia, della Tutto questo è il risultato del fatto Grande Macedonia, della Grande che sia il popolo della ex YugoslaGrecia, della Grande Romania, via che la comunità internazionale della Grande Bulgaria, della Gran- hanno consentito che si distruggesde Ungheria; non è unaesagerazio- se la Yugoslavia, piuttosto che getne. Sono modelli presenti negli ide- tare tutte le energie nella costruzioali e nei programmi di forze politi- ne di un progetto di trasformazione che; sono già state preparate le map- democratica del paese. Per esempe! Nient'altro che questo è la tra- pio, la Macedonia è una delle regediadei Balcani. Tuttaquestagen- pubbliche che finora è riuscita ad te sta sognando come ingrandire i evitare la guerra, che ha concentrapropri territori,o,comeamanodire, togli sforzi politici per mantenere come "mettere tutti i serbi (o tutti i la sua condizione interetnica e quancroati, o tutti i macedoni e così via) do alcuni parlano della Macedonia sotto lo stesso tetto"; solo che met- con accenti nazionalistici la gente tere ognuno sotto il proprio tetto dice che si tratta di pazzi, di personon significa altro che la guerra, ne bisognose di cure (in effetti anperché tutti sono sparpagliati, me- ch'io penso che tulli i nazionalisti scolati con gli altri. L'unico tetto abbiano bisogno di cure ...), ma di- Broifofe1Ce~r t3 l'1 10chegrarfc0 1 Partito Nazionalista Macedone il suo leader, Georghiewsky, ha concluso il discorso dando appuntamento per l'anno dopo a Salonicco, capitale della regione macedone della Grecia! Queste sono cose pericolosissime, sono stupidi slogan che, però, già alla base hanno il concetto di guerra e accendono le reazioni più impensabili. Questo è quanto sta accadendo nei Balcani. E l'atteggiamento della gente comune? Dipende dalle circostanze. Dopo la caduta del muro di Berlino l'insicurezza per i cambiamenti radicali che sono seguiti è aumentata e ad un certo punto la gente ha cominciato a sentirsi frustrata. Nel modello comunista le persone erano abituate ad avere molte certezze ed una presenza dello Stato, delle istituzioni, delle leggi, molto precisa; avevano, per semplificare, un modello da seguire per pensare, per le cose da fare, per il comportamento ... Tutto questo è improvvisamente scomparso e purtroppo l'alternativa più facile è stata proposta dal nazionalismo. La gente ha paura del futuro, questa è l'eredità del sistema autoritario e dell'ideologia collettivista. Non ci sono istituzioni democratiche, non c'è società civile e così è facile che molti, spesso la maggioranza, cadano in una nuova trappola che si presenta come prospetti va chiara, comprensibile, che dà un senso di sicurezza. Sono certa che tantissima gente non ha la più pallida idea di dove li porterà la retorica nazionalista. E qui c'è la grande responsabilità degli intelleuuali che hanno cominciato a parlare di nazionalismo e a sognare di queste cose: loro sanno dove si va a finire! li problema è che i media sono completamente controllati (lo vedete anche in Italia: chi controlla la tv ha in mano la più potente delle risorse) e il novanta per cento delle persone non legge né giornali, né libri: guarda la tv e basta. I media stanno giocando un ruolo incredibile in questo dispiegarsi del nazionalismo; non voglio dire che i giornalisti siano peggiori degli altri, ma sono forse più portati all'opportunismo, gli viene più facile ripetere quello che i politici dicono e pensano. I politici sono immersi nel nazionalismo da molto tempo -almeno dagli anni '70, quando il comunismo era già morto nei fatti e quello che c'era in Yugoslavia era tutto tranne che socialismo- e questa nuova manipolazione delle idee in chiave nazionalistica non è stata altro che il modo per garantirsi il potere e il controllo del paese. E' importante aggiungere che c'erano due tipi di dissidenti politici in Yugoslavia: uno era l'anticomunista democratico, che voleva una società libera e pluralista; l'altro era l'anticomunista nazionalista, non democratico, non libertario. Nel momento del cambiamento è stato facile per questi ultimi andare al potere, perché molti in qualche modo c'erano già essendo, come Milosevic e Tudjman, ex comunisti. Si sono semplicemente riciclati come nazionalisti, ma è stato facile perché il loro modo di pensare era già quello. C'è anche un'altra cosa, che mi mette paura: questi leaders non sono assolutamente all'altezza di guidare un paese, non hanno esperienza, non sono abituati alla politica, alla mediazione, non sanno cos'è la democrazia. E' così anche per la popolazione in generale, che ha sempre pensato che la democrazia sarebbe arrivata da sola, che sarebbe stato tutto semplice, che tutti sarebbero stati ricchi e felici. Questo non è accaduto, anzi, è successo proprio il contrario! E in questa situazione di delusione, di frustrazione, di insicurezza non è stato difficile manipolare le idee e i sentimenti. Tanti ricordano quanto è successo nella seconda guerra mondiale e forse quelli della mia generazione che vivono nelle città, che hanno toccato con mano il progresso, possono sentirlo passato, ma per coloro che vivono nei villaggi e nelle campagne, dove è forte la tradizioquella di dimenticare. In Angola sono morte 50000 persone, ha fatto mai notizia sui giornali italiani? Il nostro vero problema sarà quello di convivere, di tollerare, dimenticando che la gente accanto a noi viene ammazzata perché georgiana, perché mussulmana ... E il mondo va avanti, e guai a chi tocca. La Bosnia segnerà un epoca? La Bosnia, il Tagikistan, la Georgia, l' Azerbeigian, in Africa l' Angola, il Sudan, la Somalia, il Sudafrica ... Guardiamoci attorno ... questi drammi dei confini turco-russi ... Alla fine, se siamo usciti dalla seconda guerra mondiale forse usciremo anche da questo. Non so con quale soluzione. La pulizia etnica è la peggiore, ma in sostanza può anche essere che alla fine riusciremo a convivere anche con questa. "per chi suona la campana?" suona per te Speravamo di uscirne con la polizia internazionale. In quel caso si portava la guerra ad un livello più alto, quello del rispetto dei diritti umani in una struttura mondiale. Il tentativo è fallito. No, non siamo usciti dalla guerra. Forse siamo usciti dalle grandi guerre, ma non siamo usciti dalle piccole guerre fra paesi che prima o poi possono tutti diventare delle potenze nucleari. Il mercato delle armi nucleari è aperto. Gli americani ne orale, il ricordo è ancora vivo. Un giornalista straniero di ritorno dalla Krajina mi ha raccontato che un giorno, all'inizio della guerra, in un villaggio gli hanno detto di avere avuto 58 morti. Lui non ricordava che si fosse parlato di una strage così grande in quella zona e ha cercato di saperne di più. I ricordi però non erano precisi, non tutti dicevano le stesse cose, finché lui ha chiesto "Ma quando so". Questo semplicemente per dire che improvvisamente le differenze fra passato e presente sono scomparse e tutto viene vissuto come un unico continuo. Ecco perché è così facile che la gente beva questo veleno nazionalista che gli viene offerto. Dopo due anni di morti e distruzioni non è cambiato niente nella testa della gente? Qualcosa sta cambiando. Sento che in Serbia c'è molta stanchezza e avanzano i primi dubbi che tutte queste storie di nazionalismo, di Grande Serbia, di pulizia etnica siano sbagliate. Ma in Serbia non c'è una guerra reale, ci sono gravissime conseguenze sul piano alimentare, su quello dei medicinali, sulle condizioni di vita di bambini e anziani, ma non c'è una guerra vera. In Croazia e in Bosnia, dove si combatte davvero, dove le famiglie piangono i morti, dove gli odi e le vendette trovano continuo ali• mento, le idee nazionaliste resiste-- ranno più a lungo. Tuttavia sono convinta che se si riesce a fermare la guerra, ad abbassare il livello della violenza, a tornare ad una vita quasi normale, il nazionalismo subirà una battuta d'arresto. Non scomparirà, perché per farlo scomparire occorrerà sviluppare la democrazia, le iniziative civili, l'educazione dei bambini. Ma per farlo ci vogliono tutte le energie disponibili e un grandissimo aiuto di tutti. A questo proposito vorrei aggiungere che ho molta paura che finita la guerra tutti volgeranno le loro attenzioni altrove, lasciandoci soli nel momento più importante. Da soli non possiamo farcela, anche perché gran parte dei nostri giovani, sia croati, che serbi, che bosniaci, proprio quelli che potrebbero capire cos'è la democrazia e farla funzionare, sono ali' estero. Pensi sarà possibile ristabilire una vita in comune fra croati, serbi e mussulmani? Cosa s'intende per "vita in comune"? Se s'intende una vita come era nella ex Yugoslavia, bisogQerebbe resuscitare la Yugoslavia e non credo si possa. C'è gente di buona volontà che sta sognando di ricostruire la Yugoslavia, ma credo che, in tanto lutto, in tante distruzioni, in tanto odio, i loro sforzi siano insistono sul controllo della produzione dell'uranio arricchito, ma, obiettivamente, la Cina ce l'ha e non rinuncerà a venderlo. E così parecchi paesi avranno la bomba atomica, solo il Sud Africa ha rinunciato, Israele no, l'Iraq ha i controlli in casa ma sta per arrivarci ... Il rischio allora è che le piccole guerre possano diventare più devastatrici che in passato. Forse si arriverà alla fine del mondo, non è detto. L'uomo è arrivato ad un livello tale che o creiamo una civitas dei o forse cadremo in una civitas diaboli ... "Per chi suona la campana?" recita un classico della guerra di Spagna. "Suona per te". Non v'è dubbio che andiamo verso tempi difficili in cui l'uomo ha lo svantaggio e il vantaggio di non aver più motivi universali, non ha più la fede in Dio né quella nella rivoluzione, è affidato solo a se stesso. Ormai è certo che materialmente l'apocalisse è immanente, è dentro l'uomo. Non c'è mai stata prima, c'è solo da quando siamo nel nucleare e il nucleare è diffuso. Abbiamo i mezzi per consumare la vita? Per fede dico che l'uomo può cambiare, per ragione dico che può annientare. Perché Cristo è risorto dico che possiamo salvare il mondo, per ragione dico che possiamo annientarlo. Sono due affermazioni non omogenee. Una la credo, l'altra la vedo. - addirittura controproducenti. Il problema è come resuscitare il bisogno di vivere insieme, il bisogno di democrazia, in questi stati autoritari e nazionalisti che non esistono solo nell'ex Yugoslavia, ma in tutto il mondo ex comunista. Rivendico la necessità di lavorare, di lottare il più forte possibile, per la trasformazione democratica di questi stati, cioè di quello che c'è ora, senza sognare quello che ci piacerebbe ci fosse. Non mi piacciono questi stati e staterelli; non mi sento a casa mia in nessuno di questi. Ma è questo che c'è. Ho rivisto dopo molto tempo un buon amico slovacco e mi ha detto di essere molto sorpreso dal fatto che alcuni, in Slovacchia, stanno lavorand6 per un parlamento spirituale, per una federazione spirituale della vecchia Cecoslovacchia. Lui pensa che ciò sia controproducente ed io concordo con lui. Non gli piace la Slovacchia, era ed è contro la divisione, ma ormai è avvenuta, è una realtà. Quello che dobbiamo fare è rendere questi stati il più possibile vivibili, più democratici. E' importante capire questo, perché da qui si decide il tipo di atteggiamento nel- !' aiutarci. Io chiedo di non boicottare questi stati, di non dimenticarli. Capisco che in tanti possano dire "Non mi piace la Serbia, non mi piace la Croazia" e quindi li dimen- ~icano, ma in questi paesi c'è gente che non vive bene, che non è d'accordo con quanto è successo e vorrebbe trasformarli. Queste persone vanno aiutate. Questa è politica, non mera solidarietà. In Europa l'esistenza di stati etnici, autoritari, nazionalisti, è un pericolo per tutti: prima o poi potrebbero innescare contraddizioni che si rovescerebbero sul resto dei Balcani o sul- ! 'Europa. Faccio un esempio: quello yugoslavo era uno degli eserciti più forti, addestrati, armati, centinaia di migliaia di giovani ne facevano parte e oggi sono tutti in qualche modo coinvolti nella guerra, ciò per cui sono stati preparati e caricati. Potranno smettere di combattere? Gli piacerà tornare ad una vita civile, magari monotona e difficile? Un altro esempio: quando la Slovenia s'è distaccata dalla Yugoslavia protestava perché doveva dare troppi soldi per l'Armata; oggi la Slovenia spende quattro volte quello che spendeva prima! Questi piccoli stati, con le loro strutture militari così sproporzionate, con tanta gente capace di usare le armi, senza istituzioni democratiche, saranno in grado di mantenere la pace, di affrontare i problemi senza la forza? Io sento di no. - UNA CITTA' , 5

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