I TEMPI DELLA VITA QUOTIDIANA i\bbia1110chiesto al monaco Marco Ungo Cane/lato di descriverci come si svolge la giornata di 1111 monaco. La sveglia è alle 3.55 -uno si alza una ventina di minuti prima e fa il giro di tutto il monastero con unacampana- poi c'è un periodo di meditazione di 40 minuti. Dopo c'è la funzione ciel mattino, che dura una trentina di minuti esi svolge nella '·saladel Dharma", in cui si recitano i Sutra. Ad essa segue la pulizia interna del tempio, diviso per settori. Alle 6,45 c'è la colazione, che dura mezz'ora. Tutto questo avviene in silenzio, normalmente dal le I O di seraf'ino alle 8 ciel mattino non si parla. ma se ci sono molte persone per il week-end è quasi inevitabile parlare. Subito dopo la colazioncc·è un incontro col maestro,ci si prosterna uno di fronte ali' altro eci si dà i I buongiorno; aquesto punto il maestropuò dare un insegnamento e per l'occasione viene offerto un té in maniera molto ritualizzata. Alle 8 si comincia il lavoro al1·esterno, che dura fino a mezzogiorno. alla mezza c'è il pranzo, sempre in maniera formale. Al pranzo segue, in un'altra sala. un caffè edèquello il momento in cui ci si ritrova a discutere i problemi della giornata. Segue un periodo di studio che va dalle 2alle4del pomeriggio, maquesto periodo può subire variazioni a seconda degli impegni. Alle 4,30 c'è nuovamente un periodo di meditazione, alle 5 la funzione della sera, nuovamente nella '·sala del Dharma". e alle 5,45 si cena. Dopo cena c'è un periodo dedicato ai bagni. D'estate c'è un'ora di riposo fino alle 8. poi meditazione fino alle I O, mentre cl' inverno si va a letto un'ora prima. Ogni 5 giorni ce n'è uno di festività, in cui si è ' dispensati dall'insegnamento, ma non dal lavoro. In pratica ci si alza alle 4,40 e si salta il primo periodo di meditazione. la giornata comincia con la cerimonia e prosegue sempre uguale. E' il giorno in cui, dopo il té, si rasano i capelli, mentre la barba va rasata più spe so. In questo giorno chi si occupa della cucina va a fare la spesa, chi ha bisogno di comperare qualcosa esce, si lavano i panni, ci si può occupare delle proprie cose personali, mentre normalmente le attività sono tutte al servizio della comunità. Ci sono anche momenti in cui uno va a fumarsi una sigaretta nella salad'accoglienza esi parla anche di a11ualità.ma non sono specificamente previsti. • • staz1on1 LA LIBERl'A' DELLA PERSONA AMAl'A Un commento che si limiti a prendere in esame solo pochi versi di una poesia, senza dar conto dell'insieme, rischia sempre di far apparire il suo argomento alquanto pretestuoso. Eppure, alle volte, imbattendoci durante la lettura in un passo che sembra rivestire una particolare importanza per la nostra vita, noi avvertiamo l'esigenza di sollevare lo sguardo dal libro per cercare in noi stessi le ragioni di quell'immediato consenso. Ai versi 230-235 del Requiem che Reiner Maria Rilke scrisse nel 1908 in memoria dell'amica Paula Modersohn-Becker, morta di parto l'anno prima, troviamo, ad esempio, detto: Perché, se c'è una colpa, è questa: I non accrescere la libertà della persona amata I pur offrendole tutta la libertà che in noi matura. I Noi quando amiamo abbiamo solo questo da offrire: I lasciarci; perché trattenerci I è facile, e non è cosa da imparare. Per quanto un'affermazione come questa possa, a prima vista, risultare avventata, o forse provocatoria; bisogna riconoscere che in una relazione affettiva è più facile sviluppare una dipendenza che acquisire una maggiore libertà reciproca. Il timore del figlio di deludere i genitori, la gelosia degli amanti o lo strazio del coniuge di fronte alla perdita dell'altro testimoniano la nostra difficoltà di concepire un amore che sappia corrispondere ad una nostra tanto essenziale quanto inesorabile solitudine. In effetti, proprio per amare, noi dobbiamo essere, innanzi tutto, soli. Essere, cioè, liberi di amare e di accogliere la libertà dell'altro come qualcosa di inalienabile, pena il fraintendimento dell'amore con un sentimento condizionato da bisogni o con un banale desiderio di possesso. Tuttavia, se una tale libertà fosse davvero possibile, ci sarebbe da chiedersi sulla base di che cosa noi preferiremmo donarci ad una persona piuttosto che ad un'altra. La gratuità del nostro gesto apparirebbe subito arbitraria. Ciò entro cui, allora, più realisticamente, ci troviamo gettati è una libertà iniziale come condizione di possibilità dell'amore e un amore come condizione di possibilità di una libertà autentica, dove il "trattenerci" è in qualche modo dato -le nostre stesse istituzioni non fioriscono che allo scopo di proteggerci dalle nostre angosce e paure-, e il "lasciarci" il fine ultimo di un amore veramente compiuto capace di abbracciare l'intero essere. Non più una libertà di amare, bensì una libertà nell'amore. Se proprio vogliamo trovare una colpa, osserva, a questo proposito, Rilke, essa risiede nel "non accrescere la libertà della persona amata", quando questa è, in realtà, l'unica condizione a permettere la riuscita di un rapporto che ha come meta l'amore attraverso continui gesti di libertà. "Pur offrendole tutta la libertà che in noi matura", noi, infatti, non riusciremo mai né a supplire alla minore libertà della persona amata né a ritenerci finalmente liberi nell'amore, giacché su quest'amore peserà il dolore e la riconoscenza per la disponibilità offerta dalla persona amata. Qualora anche decidessimo di separarci in ragione della maggiore libertà acquisita sempre ci troveremmo a sperare nella liberazione dell'altro e ad espiare, in tal modo, quell'insufficienza grazie alla quale la nostra libertà è maturata. Scegliere, a quel punto, di continuare a dividere la vita con la persona amata o dedicarsi ad altro non costituisce nulla di sostanzialmente diverso. Quel desiderio, semmai, di offrire "tutta la libertà che in noi matura", rischia solo di aver inibito una libertà nella persona amata che proprio allora ci sarebbe parsa provvidenziale. Gianluca Manzi UNA ClffA' 7
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