Una città - anno III - n. 24 - luglio 1993

noi e gli altri I I Il nazionalismo come manifestazione di una identità incerta. Un "noi" che non necessariamente veda in "loro" un nemico. La comunità, il ritorno al sacro e l'idea di impero. Intervista a Marco Tarchi. Marco Tarchi è unodeipiù autorevoliesponentidella "nuovadestra". Dirige le riviste Diorama Letterario e Trasgressioni. fendere il privilegio corporativo di un dato gruppo. Considerando tutto questo è quindi necessario trovare un livello intermedio ed io credo che tale livello possa essere il rapCol crollo dei paesi del "sociali- porto interpersonale comunitario, smo reale" il nazionalismo sem- un rapporto che deve essere riscobra l'unica risposta al problema perto rivalorizzando la solidarietà. della ricostituzione di una identi- Anche il concetto di solidarietà, tà collettiva di quei popoli. Ma, tuttavia, va analizzato bene. Se parvisto quello che sta succedendo liamo della solidarietà pietistica venella ex Jugoslavia... icolata dalle grandi ideologie di Innanzitutto non credo che nella questo secolo, in particolare dal ricerca di identità collettive forti il cattolicesimo e dal marxismo, non problema sia eliminare il referente faremo un passo avanti, perché sono nazionale, si tratta invece di vedere solidarietà retoriche o sono solidauna sua coniugabilità al plurale. In rietà prettamente materiali, certo altre parole, se il problema è "la concretemaesclusive,comeèstata nazione" siamo nei guai, se il pro- · la solidarietà di classe in determiblema sono "le nazioni" la questio- . nate fasi storiche. La solidarietà a ne ha già una base su cui discutere. cui penso io poggia, piuttosto che Il nazionalismo, infatti, è l'esaspe- su interessi, prevalentemente su razione dell'identità, perché nelle valori ed è quella che si è espressa società complesse le identità sono in questi ultimi anni, pur frammenmolteplici e quasi inestricabili. At- tata, in movimenti collettivi come tualmente le identità si incrociano "Comunione e Liberazione", il e quindi determinano stratificazio- movimento verde o il volontariato. ni diverse a seconda dei momenti: Certo, mi rendo conto che questi in un momento siamo cittadini, in movimenti hanno molto sofferto un altro momento siamo membri di l'impano con la società neocapitauna comunità religiosa, in un altro lista, però è necessario domandarsi momento ancora siamo legati alla se a determinare la loro crisi sia nostra collocazione professionale stato un limite intrinseco o se è e così via. Ovviamente in questo stato il tipo di approccio con cui sistema complesso di identifica- questi movimenti hanno giocato le zioni ci sono identità prevalenti, loro carte. Ma la globalità di valori foprattutto nei momenti di crisi. di questi movimenti collettivi poOggi, a livello europeo, siamo in trebbe sorreggere una democrazia una fase quantomeno pre-critica, organica, basata sulla riappropriain cui questa esasperazione dei se- zionedel senso di cittadinanza, sulla gni dell'identità può trovare una diminuzione della delega, sulla giustificazione. Noi abbiamo as- coscienza individuale e di gruppo? sunto una posizione molto critica nei confronti del nazionalismo, perché il nazionalismo, vissuto non come appagamento di un proprio diritto all'identità, ma come negazione dell'identità altrui, è un segnale di debolezza, di incertezza, della propria identità. Quando si vuole aggredire l'identità altrui evidentemente è perché non si è certi che la propria possa essere soddisfacente e non è un caso che questo groviglio di nazionalismi aggressivi sia venuto fuori in quella parte d'Europa in cui, per 45 anni, era impedita l'espressione di un principio di nazionalità in senso forte. L'aggressività nazionalista dell'ovest europeo non ha, secondo me, il potenziale e la forza di quella dell'est. Anche ali' est, comunque, il nazionalismo è espressione di una fase di transizione; il problema è verso cosa? Se la transizione è verso una società globalizzata ed omogeneizzata, allora il rimedio sarebbe peggiore del male, perché l'annegamento delle diversità può portare solo ad una implosione colossale. Altra ipotesi è che la crisi sbocchi in un individualismo esasperato, in cui il conflitto, invece di verificarsi a livello di macro aggregati, si verificherà fra i singoli o a livello di aggregazioni momentanee per di- .. nazione europea, federalista, senza sciovinismi Secondo me, almeno come modello, sì. Quando come "Nuova Destra" dicevamo che la rinascita della dimensione comunitaria, come stile di comportamento interpersonale, era il dato da cui si doveva partire per aggregazioni nuove credo dicessimo una cosa saggia. Il fatto che non si sia giocato su quel piano ha dato vita a tutti i meccanismi che si vedono oggi, in una società in cui i tradizionali referenti dell'identità politica sono sempre più delegittimati, i movimenti sono nell'impasse, l'egoismo prolifera a tutti i livelli, e sappiamo tutti che l'egoismo non è un possibile fondamento per una costruzione sociale solida. In questa situazione il rischio è che l'egoismo venga fuori nella forma della nevrosi nazionalistica, come sta succedendo nell'est europeo, oppure che rimanga legato a quella specie di atrofia generalizzata, cosmopo1ita, che aleggia nei paesi occidentali. E, a mio parere, questo è un equilibrio instabile che dovrà trovare dei punti di rottura. Se invece volessimo coniugare il discorso della comunità al discorso . ·. : ... :· . . : . . . . -, •. 0Kl Y06lt Erboristeria - Prodotti naturali - Shiatzu FABBRI Dr. Enrico Forlì - via Albicini, 30 (ang. via S. Anna, 2) Tel. 0543/35236 CO della nazione dovremmo innanzitutto cercare di capire quale senso, oggi, possa giocare la nazione come "mito fondatore" di una dimensione politica. Io ho molti dubbi che possa farlo: il nazionalismo in senso stretto è una non risposta, ma la tensione che veicola potrebbe essere giocata su altri livelli. Adesempio c'è bisogno di una dimensione dinamica dell'Europa, per aggregare l'attuale situazione frammentata. Ma è pensabile una dimensione popolare di un sentimento europeista che prescinda completamente dalla dimensione nazionale? Secondo me no; io credo che, in fondo, un concetto di "nazione europea" non sia più difficile di un concetto di nazione tradizionale. A chi dice "Ma in Europa ci sono molti popoli assai diversi fra loro" si può rispondere che tutte le nazioni dell'Europa contemporanea sono composte di realtà etnicamente diverse, che in qualche misura si sono fuse o che, comunque, hanno convissuto. Certo oggi le difficoltà a convivere sono maggiori, ma la prospettiva potrebbe ugualmente essere valida. Poi nulla toglie che questo "mito" nazionale europeo possa avere delle specificazioni ulteriori, delle modifiche radicali, e andare verso una dimensione più federale di quella prevista dall'attuale processo di unità europea. Il tutto, ovviamente, presuppone una fine delle attuali passioni scioviniste. Ma una "identità forte" che sia dialogante con le altre presuppone la sicurezza di quel che si è, mentre invece, in un epoca dominata dalla globalizzazione, dal "mondo in casa", il dato prevalente sembra essere l'insicurezza... Sono perfettamente convinto che l'insicurezza sia il carattere distintivo della nostra epoca: i fenomeni nazionalistici cui assistiamo possono essere più efficacemente visti come reazione xenofoba ad una fondamentale insicurezza. Ci sono degli studi sull'elettorato del "Front National", pubblicati da "Micromega", che mostrano che la maggior parte degli elettori di quel partito dichiara, come motivo del voto, per prima cosa proprio I' insicurezza. Certo questa insicurezza è legata al gigantismo, alla globalizzazione e a tante altre cose, ma perché deve essere giocata sempre nel senso di una aggressività nei confronti del vicino? Potrebbe invece essere scaricata positivamente nel tentativo di fare grande la propria collettività, che non significa necessariamente soffocare le collettività altrui. comunità sempre chiusa, società sempre aperta? Un progetto di costruzione europea non legata ad una dimensione puramente mercantile, per esempio, potrebbe paradossalmente rovesciare il meccanismo dell'insicurezza. Oggi la gente si sente insicura e vota contro Maastricht, ma offrendo a queste stesse persone una prospettiva costruttiva reale sul piano europeo, legata a valori, si potrebbe un domani giocare il meccanismo nel senso di un accumulo di volontà di costruzione: "Mi sento più sicuro se l'Europa diventa un caldo ventre in cui sono con gente che con me e come me può resistere alle grandi crisi". Ma qui si ripropone il problema degli antagonismi, della logica "amico-nemico" teorizzata da Cari Schmitt. E' una logica di funzionamento politico che portata ad assoluto, come in parte è stato fatto sia a destra che a sinistra, mi convince poco; ma del discorso di Schmitt è stata sempre vista la categoria del "nemico", mai quelladell'"amico", che è anche aggregazione: "Non sono solo io contro il mondo, siamo noi". Questo problema degli antagonismi è ineludibile e alla caduta del sistema di Yalta dovranno necessariamente sovrapporsi altri antagonismi, è nella logica della grande politica. La questione è se stare al gioco dell'Occidente contro il Terzo Mondo e l'Islam, oppure tentare un altro gioco. Il mio parere è che vi sia un interesse di fatto e di valore che spinge a dover pensare ad un'Europa motore centrale di altre forme di strategia, nelle quali logicamente l'oppositore, l'antagonista, è il mondo nordamericano con la sua sfera d'innuenza ed in questo contesto, secondo me, la logica di un'identità collettiva europea ha radici. Ma la dimensione comunitaria è anche quella che non ha mai reso possibile una serie di possibilità, di libertà, che, invece, sono quasi connaturate al pensare Io stare insieme degli uomini come "società", come insieme di individui. .. Attenzione a non fare del determinismo storico al contrario: che la comunità in senso chiuso, premoderno, sia una pagina superata, almeno per l'Occidente, è senz'altro vero, ma è pensabile una "società di comunità"? Quando si dice questo immediatamente l'interlocutore dice: "Allora vuoi l'apartheid!", ma neanche per sogno! Non stiamo parlando di comunità impenetrabili: il fatto che io abbia una casa, una famiglia, che stia dentro al mio appartamento non vuol dire che non ci inviti altri, che non vada a casa d'altri o che non ci siano luoghi terzi dove m'incontro con altri; però poi la sera torno a casa mia e lì sto con chi voglio. E poi perché la comunità deve essere sempre vista come l'ente chiuso e la società come l'ente aperto? In realtà la storia, anche quel la recente, c'insegna che ci sono state società fondamentalmente chiuse e fortemente aggressive nei confronti di altre. in che misura l'infibulazione lede il mio diritto? Anche l'integrazione delrallogeno in una determinata società può avvenire assimilandolo, più o meno forzatamente -ma attenzione, perché questo "altro" assimilato non sarebbe mai come te, sarebbe la "seconda scelta"-, o convivendo con lui con la consapevolezza delle differenze. E questo non è apartheid, perché l'apartheid è in realtà un dominio mascherato. lo credo che questa seconda strada si debba almeno sperimentare e se vogliamo avere usi differenti nessuno ci vieta di averli, purché non ledano il diritto reciproco. In questo contesto quando parliamo di comunità, di appartenenza, occorre quindi cercare di vedere la cosa in termini più aperti. "Società di comunità" vuol dire semplicemente società organizzata intorno a raggruppamenti ognuno dotato di un proprio senso. Questa è una alternativa drastica alla società pensata in termini omogeneizzanti, cioè alla società liberale contemporanea, che ha come referente l'individuo e veicola omogeneità, non egualitarismo, che di fatto, oggi, è un'etichetta cui non corrisponde niente. Ma questo è un modello praticabile solo se le diversità fra le varie comunità non sono molto grandi, inversamente lo scontro, anche duro, non si riproporrebbe? Certo ci può essere il problema della valutazione, dal punto di vista morale, di certi comportamenti; i casi finora verificatisi sono di questo tipo: la polemica sull'infibulazione, sul chador. In ogni caso non è ammissibile costruire una civiltà multiculturale con la presunzione di avere una sola morale sociale. L'unica risposta posi tiva al problema delle sfide multietniche e multirazziali è la società multiculturale, una società multirazziale ma monoculturale è una tragedia. Gli standard giudiziari certo devono essere unici, ma in quale misura chi pratica l'infibulazione lede il mio diritto? In che misura chi porta un foulard lede il mio diritto? Non Io lede in nessun modo. Può urtare chi ragiona in senso illuministico, per cui razionalisticamente esiste la verità morale e tu la devi applicare se no sei un selvaggio, ma questa non è la mia logica. Un'altra questione è se passiamo da questo a voler tutelare, vedendoli come diritti inalienabili della persona, alcuni comportamenti tipo "Sono antropofago, mangio un altro e questo deve andare bene lo stesso'·. La grande regola del gioco comunitario dovrebbe quindi essere condivisa da tutte le comunità e questo significa che tutte dovrebbero condividere almeno alcuni principi, ma mi pare che l'unico tentativo sia proprio la carta dei diritti dell'uomo, di matrice illuministica ... E' un tentativo, non l'unico. Non va cancellato quel filone molto vasto, variegato e veramente trasversale, che si è riconosciuto nella tematica dei diritti dei popoli. Bisogna vedere quale soggetto uno pone al centro, ma il diritto positivo può adeguarsi, e di fatto si ade-

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