Una città - anno III - n. 20 - marzo 1993

In ultima una "giovane del 77" ci racconta la sua esperienza di carcere duro: tre anni per aver prestato una chiave ad amici che, detto fra parentesi, non ha mai tradito e non già per ripulsa di pentimenti o dissociazioni che fra l'altro, con poca eleganza ma alquanto realisticamente, nessuno le ha richiesto, ma per banalissima lealtà. Un'esperienza vissuta con ironia e serenità che purtroppo sappiamo non poter essere da tutti, e che, tra l'altro, ci fa capire come non solo una legge, ma una direttiva, una circolare interna, gli ormai famosi "computer", una piccolissima attenzione da parte degli applicatori di regolamenti, possano volgere al meglio la vita quotidiana, e forse il destino, di tanti. La riprova, purtroppo, nel contrario. Nella città in cui viene redatto questo giornale in pochi mesi tre detenuti hanno perso la vita. E che la cosa sia diretta conseguenza dell'arrivo di un nuovo direttore, freddo fautore di regolamenti, nessuno può dirlo. Può succedere però che un cambiamento di clima e che un lento, quotidiano, deterioramento di difese già fragili faccia precipitare a/l'improwiso una malattia grave che sembra colpire a caso e contro cui, a quel punto, diventa vano combattere. Un polacco che non sapeva una parola di italiano, in carcere da venti giorni per rissa, si è suicidato. Così un ex-operaio, ladro per quattro soldi, che, disperato per aver perso il contatto con una moglie oligofrenica e con i figli dati in affidamento, aspettava con ansia il beneficio della Gozzini che non è stato rifiutato, ma si è perso in meandri che lo zelo burocratico può rendere senza uscita. Il terzo per overdose. Poi, dal giorno alla notte, e sembra vada da sé, il trç1sferimento di una trentina detenuti in carceri lontane, a rifarsi daccapo una vita che non può cambiare. Fra questi un tossicodipendente che, a/l'indomani de/l'ottenimento del permesso per stare tre giorni alla settimana con una madre gravemente ammalata, si è ritrovato a La Spezia. E solo l'intervento coraggioso del cappellano presso il direttore delle carceri italiane in visita, ha evitato il peggio facendolo ritornare. Tutto, owiamente, regolamento a/la mano, a dimostrazione di quanto conti meno delle persone che lo impugnano. E dopo un altro tentativo di autolesionismo di un nero che ha dato fuoco al materasso, a un giornalista il direttore non ha saputo che rispondere: "normale amministrazione". Inutile immaginarsi una normale amministrazione pubblica dove, per eccesso di zelo verso le leggi e difetto di premura verso le persone, un direttore possa essere trasferito, dal giorno alla notte, a un lavoro non a rischio della vita d'altri. In realtà, è tutto normale. Storie di drogati, di ladruncoli, di polacchi dispersi. Inezie. Abbiamo ben altro a cui pensare. Non sono simpatiche queste grida che "contro il palazzo" si levano da più parti e che invocano "carcere", ancor più se intonate da qualcuno a nome di altri, detti, con espressioni equivoche e in fondo spregiative, "società civile" e "opinione pubblica". Meglio sarebbe che ognuno si limitasse a declinare le proprie, di generalità. Certo, chi in vita sua non ha mai visto un soldo pubblico prova ora un certo sollievo interiore e anche la tentazione di alzare la voce per dire "io" e forse anche la mano. Ma in fondo per tanti non ci fu occasione e se poi vogliamo usare grandi parole come innocenza e colpa, pensiamo veramente che sia solo questione di rispetto delle leggi? Che i conti con la propria coscienza si facciano sfogliando codici? Chi scrive Venerdì 19 marzo 93, Sala Albertini, h 21 IL CARCERE E LA CITTA' introducono ALDO BRANDIRALI e don DARIO CIANI Ass. di Volontariato "Incontro e Presenza" INTERVISTI: A Agnese Pese/lii: Rosanna Ambrogelli e Morena Mordenti. L'imen1isra di teno pagina: Carlo Po~ lelli. A Manfred Elrrlich: Lisa Masselli A Giorgio Bezzecchi: Ana Gomez. A Augusto Cavadi: Antonella Bonvini e Dolores David. A Viuorio Foa: Liana Gavelli e Massimo Tesei. I • ha lavorato 1 O giorni in Somalia a uno di quei megaprogetti che sono già sul tavolo di qualche giudice. Fra l'altro andare per misure, di buonissimo mattino, in un paese allora meraviglioso non fu che avventura e gita. Ora però, rivedendo le immagini che di quel paese passa la TV e, anche, l'orrida faccia del datore di lavoro nostrano, riesce impossibile, a dispetto di tutte le leggi e dei loro rispetti, non pensare che quel salario sia stato "maltolto". Ciononostante la restituzione non è avvenuta e l'assegno a favore di Annalena con ogni probabilità non sarà staccato. Meglio quindi non sbracciarsi e c'è da credere che, in fondo, se in quelle mani alzate qualcuno mettesse una pietra, a nessuno resterebbe la voglia di scagliarla. In quanto ai soldi pubblici ci vorrà tempo per riciclarli perché, pur essendo di tutti, sono ormai sporchi come fossero di mafia, e sarebbe utile riuscire per un po' a starne lontani. Almeno da quelli "per la cultura", la cui pochezza non sminuisce lo scempio che in ogni città se ne fa, certo in piena regola. Tutto sommato quei signori, mentre si abbuffavano di soldi pubblici, una cosa giusta la dicevano in quegli anni: privato è bello. E' ancora meno simpatica, però, una intera classe dirigente che, per evitarlo anche solo per poche settimane, il carcere, si mette in fila alla porta di un giudice per denunciare amici di infanzia, soci in affari, compagni di partito. Confessano peccati altrui e via a casa, tre nomi per tre ave maria. L'aspetto in fondo più desolante di questa vicenda non sta nel fatto che un'intera classe dirigente abbia avuto un rapporto col denaro pubblico in fondo simile a quello che ha la gente, con l'aggravante, certo non da poco, dei privilegi che purtroppo l'esercizio del potere sembra inevitabilmente comportare, ma in questo dilagare irresistibile della delazione. E che a un giudice costretto a fare onestamente, quasi eroicamente, un lavoro così sporco, quello di scambiare carcere con nomi, si diano da indossare le vesti di grande purificatore nazionale, dà da pensare. Si spera che malgrado un simile spettacolo i bambini di oggi continuino a "non fare la spia", a pensare che "i nomi non si fanno" né degli amici né tantomeno dei nemici, se non per salvare una vita, e che il proprio codice d'onore personale venga sempre prima dell'utile e funzionale codice penale. Agghiacciante poi che un personaggio che ha dettato legge per anni, frà cui quella per cui un consumatore di droga casomai sieropositivo era eticamente giusto che stesse in carcere, nel momento di indossare i panni dell'accusato abbia tentato, per di più falsamente, di addossare tutte le colpe al suo sottoposto morto di crepacuore. Per di più dopo essere andato al suo funerale e aver tentato di addossare la colpa di quella morte a dei giudici che non stavano facendo niente di più che il loro lavoro. In una due infamie, incolpare un sottoposto e incolpare un morto, che sono fra le più gravi nei codici non scritti degli uomini di ogni tempo e paese e che, in un leader nazionale, non possono non meritare che il massimo della pena: il disprezzo. Dopodiché il resto potrebbe essere condonato e anche il maltolto dimenticato, a parziale risarcimento di tanta miseria d'animo. In ultimo c'è da augurarsi che i nomi di questa gente, fino a ieri così assetata di onori, privilegi e gloria e che oggi, dopo la delazione, "rientrano nel loro lussuoso appartamento", vengano dimenticati al più presto, e che invece ne siano ricordati altri: i nomi di coloro che, come tutti noi in fondo, innocenti non erano, ma che purtroppo hanno ritenuto di dover pagare per così poco il massimo. Quei nomi i loro figli potranno portarli a testa alta e tutti noi, se per un attimo cessassimo di vociare contro qualcuno, potremmo, col cappello in mano, fare un esame di coscienza e poi, forse, cominciare a fare qualcosa per quello che, comunque sia, è il nostro paese. G.s. Pest Control Igiene ambientale A Gino ZLlccaria: Franco Melandri. Rocco Ronchi. Gianni Saporelli. • Disinfestazioni - Derattizzazioni • Disinfezioni A Giovanna Passati: Giulia Gessi, Enrichella Susi. Dolorcs David. A Gherardo Martinelli: Ilaria Baldini. A Giuliana Ciani: Gianni Saporelli Foto: di pag.4, traila da ..A... rivista anarchica; di pag.5. Cristiano Frasca; di pag. 6. Augusto Cavadi; di pag. IO. traila da ..Il Milionc ..-De Agostini-vol. VII; di pag.11. Libero Casamurata; di pag.12. traila dal libro ..Uomini ad Auschwitz ... Hermann Langbein-Mursia. La foto di ultima è di Luciano Laghi Benclli. Le altre foto sono di Fausto Fabbri. ■ Allontanamento colombi da edifici e monumenti ■ Disinfestazioni di parchi e giardini ■ Indagini naturalistiche 47100Forlì - viaMeucci,24 (ZonaIndustriale) TeL(0543)722062 Telefax(0543)722083 CO IL CARCERE:UN'ISTITUZIONE MOSTRUOSA DI PER SE' Tre detenuti clte perdono fa vita in poclti mesi. Come può succedere? 1'abbiamo chiesto a Agnese Pesenti, una delle Memores Domini di Comunione e liberazione, da anni impegnate nell'incontro coi detenuti Quando avete iniziato il vostro impegno nel carcere di Forlì? Abbiamo iniziato 4 anni fa. casualmente. Siamo entrate, in quattro, come volontarie in questo carcere, dove l'attività dei volontari non era ancora stata presente, perlomeno in modo così sistematico. Quando c'è stato chiesto di fare questa cosa nessuna di noi pensava ad un impegno di tal genere. La realtà del carcere ci era molto estranea. Poi è accaduto che ci siamo appassionate, per un motivo soprattutto, almeno per me: ho visto che era possibile anche in quella situazione incontrare "l'uomo", ho visto che i bisogni delle persone chiuse lì dentro, le loro domande, erano uguali alle mie. Era quindi possibile un incontro che arricchiva, nel senso che costringeva ad una serietà. Ovviamente non sempre questo accade, solo una volta ogni tanto, ma quando accade è un avvenimento. Allora ci si accorge che ne vale la pena e che è sempre possibile che questo avvenga in ogni circostanza, in ogni condizione.' Personalmente è la cosa che mi affascina di più. L'altra cosa importante è stato accorgersi che non è possibile stare di fronte ad una drammaticità così forte da soli. Infatti i primi tempi, dopo due ore che stavo lì, quando uscivo avevo bisogno di fare delle sciocchezze, di ridere, di distrarmi. Nel tempo poi mi sono resa conto che potevo continuare a ritornare perché non ero sola, perché potevo condividere questa cosa con gli altri. E capisco la fatica degli operatori istituzionali ed anche il rischio che corrono di immunizzarsi rispetto alla drammaticità della situazione. E' difficile portare una tensione del genere. Gli agenti di custodia poi sono quasi tutti ragazzi giovani e spesso impreparati. In cosa consiste la vostra attività? Abbiamo iniziato incontrando personalmente i carcerati e poi, grazie anche alla disponibilità del personale direttivo. proponendo loro iniziative di carattere culturale e ricreativo. Una di noi, che è regista, ha favorito, specie nei primi due anni, l'ingresso in carcere di rappresentazioni teatrali, di spettacoli di vario genere ed è riuscita anche a mettere su un piccolo gruppo che ha prodotto delle cose. Questo è stato importante perché si è visto proprio come attraverso il lavoro e l'impegno sia possibile ritrovare la dignità della persona. Queste attività hanno svolto una vera e propria funzione educativa. Ricordo un detenuto che faceva il protagonista in una delle commedie che avevamo realizzato. Ebbene, questo ragazzo era rimasto colpito dal fatto di essere riuscito ad imparare a memoria la sua parte. Era riuscito in qualcosa finalmente e questa era stata per lui una sorpresa totale. Si è proceduto così, continuando gli incontri e le attività. Tra la fine del '91 e l'inizio del '92 abbiamo organizzato degli incontri che abbiamo chiamato pomposamente "di etica sociale". Una serie di incontri su tematiche che ci sembrava potessero aiutare a prendere coscienza di sé. Abbiamo trattato temi quali la libertà. la responsabilità, l'errore, la compagnia. facendoci aiutare da qualcuno che introduceva l'argomento e dava lo spunto iniziale. poi si procedeva a ruota libera. Questa iniziativa è stata particolarmente positiva perché ha creato un cl ima di relazione e di rapporto che ha permesso ai detenuti di scoprire che si poteva stare insieme senza parlare sempre delle stesse cose, dei soliti reati. Che lo stare insieme, mettendo come tema se stessi ed il livello profondo dell'umano, fa stare meglio. Questa era la novità importante anche se molti capi vano poco di quello che si andava dicendo, per via del livello culturale che è un po' basso. Percepì vano comunque la diversità del clima. Tutto questo è durato fino al maggio 1992. A quel periodo risale il cambio del direttore e c'è stata una stasi iniziale che è servita al nuovo direttore per rendersi conto della situazione in cui si era venuta a trovare. Forse questo momento di stasi è durato un po' troppo a lungo. Cosa ne pensi dell'istituzione carceraria? E' un'istituzione di per sé mostruosa. A Forlì, ad esempio. c'è carenza di personale educativo, di strutture adeguate, c'è sovraffollamento ed i locali a volte non sono agibili. E non credo che le condizioni delle altre carceri siano molto diverse. Le donne, ad esempio, sono una trentina in una sezione che ne può contenere al massimo una ventina. Ma la cosa più grave è che non c'è praticamentealcun localedi uso comune. L'unico spazio comune è il corridoio. E per giunta contro il carcere spesso la stampa accende l'opinione pubblica, criticando le aperture permissive introdotte dalla legge Gozzini. Non voglio certo sostenere che la legge Gozzini sia una legge perfetta, ma apre qualche possibilità. L'invocata funzione riabilitativa del carcere è di fatto contraddetta dalla istituzione stessa che ne rende impossibile la realizzazione. Sono convinta che nel momento in cui si giudica il reato, la legge deve essere uguale per tutti. Dopo, a giudizio avvenuto. nell'espiazione della pena. il cammino delle singole persone non è uguale per tutti e l'istituzione carceraria questo non riesce a coglierlo. Forse non può cogliere queste differenze che sono legate alla diversa storia dell'uomo, al diverso cammino, al fatto che qualcuno si pente ed altri no. Consideri importante il rapporto del carcere con l'esterno? E' importantissimo, ma non solo nel senso che persone dall'esterno entrino in carcere, ma che durante la detenzione si creino le condizioni per il reinserimento del detenuto. Qualcosa in questo senso si fa, ma è ancora troppo poco. Occorrerebbe impegnarsi di più anche per cambiare la mentalità della società nei confronti del carcerato. Sono rimasta colpita dalla proposta avanzata anche da autorevoli personalità locali, di allontanare iI carcere dal centro della città. Ma il carcere è già fuori dalla città, perché la gente non lo nota. non se ne occupa. Portarlo fuori dalle mura può significare solo allontanare ulteriormente il problema. lo credo comunque che il carcere altro non sia rispetto alla società se non lo specchio negativo di essa. Nel carcere vengono fuori le stesse contraddizioni della società e le persone emarginate in carcere sono le stesse emarginate nella società. Faccio un esempio: la cosa che pesa di più al carcerato è scoprire di non appartenere a nessuno. E' gente sola: non appartiene alla famiglia né tanto meno alla società. Il tessuto sociale che sta dietro a queste persone è completamente lacerato. Ma questa lacerazione non inizia in carcere, è iniziata prima. E' la lacerazione di una società in cui le persone vivono sole. E quando noi entriamo là dentro e ci conoscono, quello che li colpisce non è la nostra disponibilità, ma il fatto che abbiamo degli amici, che poi è l'unica risorsa che uno ha entrando lì. Non riusciamo a fare granché anche quando cerchiamo di dare una risposta ai bisogni che incontriamo, che possono essere quello del lavoro, della casa, ma in ogni caso potere contare su qualche amico ci ha aiutato a trovare qualche soluzione. Il fenomeno droga aggrava in qualche modo la drammaticità del carcere? Certo, anche se di questo potrebbe parlare più appropriatamente un operatore del settore. In genere i detenuti sono quasi tutti tossicodipendenti, di età compresa tra i 20 ed i 30 anni, poco diversi da quelli che sono fuori. Sono giovani che continuano a drogarsi in carcere e a morire per overdose in carcere. Perciò non è vero che iI carcere e la società sono separati: l'aspetto più maligno della società in carcere riesce ad entrare. Poi il drogato in carcere ha bisogno di cure. L' assistenza sanitaria è presente ma con i tempi della burocrazia che mal si conciliano con le ansie di chi non sa se è sieropositivo. Anche in carcere, dove i tossicodipendenti li puoi avere a portata di mano, i tempi degli operatori non coincidono con quelli di chi deve essere aiutato? L'istituzione garantisce un pronto intervento, ma poi. per visite ed esami specialistici, il carcere deve fare riferimento alla struttura esterna e quindi i tempi della burocrazia interna si sommano a quelli delle strutture esterne. I tempi sono davvero insopportabili. In questa situazione delicata avviene poi il cambio della direzione. Una cosa apparentemente innocua può provocare così grandi danni? Sì, un'attenzione troppo letterale alla legge in una situazione come quella che ho descritto, può paralizzare la vita del carcere e questo è un rischio sempre presente. Posso fare un esempio: qualche mese fa era partita da un gruppo di detenuti r idea di organizzare una partita di calcio fra detenuti ed agenti. Questa idea aveva trovato il consenso dell'istituzione ed erano anche partite lettere alle personalità del mondo politico e civile fori ivese. Anche noi avevamo collaborato cercando coppe e scarpe per questa partita che poi non si è più fatta perché la direzione ha interpellato il Ministero che ha risposto negativamente. In altre circostanze abbiamo presentato proposte di spettacoli che non si sono potute realizzare perché itempi reali (disponibilità di personaggi o di compagnie teatrali) non coincidono con i tempi burocratici. Occorrerebbe una certa elasticità. All'improvviso si suicidano tre detenuti... sembra un contagio. La prima morte è avvenuta la scorsa estate. si trattava di un polacco che era stato arrestato. credo. per una rissa. Era in Italia da pochi giorni ed in carcere è rimasto per circa un mese. Non parlava italiano e quindi non aveva nessuna possibilità di comunicare. Nessuno sapeva niente di lui e anche noi non sapevamo che ci fosse. E' stato lasciato solo con la sua impossibi lità di comunicare. Ti viene da pensare. a Forlì con tanti polacchi che ci sono, qualcuno poteva essere chiamato a fare da interprete' Probabilmente questo giovane è stato preso da una crisi di disperazione. Gli altri detenuti in occasione del suo funerale hanno fatto una colletta. La seconda morte è stato un caso di overdose. Si trattava di un ragazzo che era stato anche al la "Paolo Babini" a Durazzanino. Si è fatto in una cella in cui tutti si erano fatti. Poi lui, durante la notte, ha rincarato la dose e questo gli è stato fatale. L'ultimo era di Torino. Era come se non avesse più una ragione di vita. Non era un tossicodipendente, penso fosse un ladro, sposato ad una oligofrenica, una ragazza che lui diceva bellissima, un angelo che tutti gli invidiavano. Aveva avuto due figli che gli erano stati tolti per l'impossibilità di seguirli. Si è trovato così a non sapere più nulla dei figli, a non riuscire più a mettersi in contatto con la moglie, che aveva cambiato indirizzo. L'aveva detto che sarebbe successo, e già altre volte aveva tentato il suicidio. Certamente c'è il fatto che queste morti sono avvenute nell'arco di sette mesi; credo che non debbano passare inosservate e per questo vorremmo fare qualcosa perché la città si accorga dei problemi del carcere. Non per cercare un capro espiatorio, ma perché c'è bisogno di prendere coscienza di questa realtà. Bisogna fare di più per migliorare le condizioni di queste persone, fare in modo che tutte abbiano qualcosa da fare, delle attività. Su una popolazione di 180 carcerati, solo meno di 40 possono lavorare. Gli altri non hanno niente da fare e quindi trascorrono il loro tempo davanti al televisore in cella. Questo è disumano, specie per un giovane che ha bisogno di essere educato ad assumersi responsabilità, ad avere un impegno. Così nel carcere si viene semplicemente parcheggiati e si continua nelle cattive abitudini. Per questo noi avevamo proposto dei corsi di ginnastica e cucito per le donne e di informatica per gli uomini.L'anno scorso non sono passati, ora pare possano essere approvati. Il Direttore Generale delle carceri, Amato, pare che abbia anche promesso l'apertura di una nuova sezione per i tossicodipendenti. 11carcere di Forlì non sarebbe del tutto privo di strutture: c'è tutto il settore del carcere scuola che è stato ristrutturato. ma è ancora chiuso. Doveva servire per aprire una sezione per i tossicodipendenti. una specie di pre-comunità e anzi l'anno scorso la direzione del carcere aveva preso contatti con la USL per dare il via a questa cosa. Poi tutto si è fermato e non so esattamente neanche il perché. C'è stato il trasferimento di 30 detenuti? Sì. ma non so se erano proprio trenta. So però che fra di loro c'era anche un ragazzo di Forlì la cui madre sta morendo. Aveva ottenuto il permesso per uscire qualche giorno ad assisterla e all'improvvisoè stato trasferito. Ora però è ritornato. Del suo caso si era parlato anche all'incontro con Amato ed era stata fatta una richiesta precisa perché tornasse. Questi improvvisi trasferimenti interrompono i pochi rapporti che si riescono ad instaurare dentro le carceri, rendendo ancora più grave la situazione di solitudine. Il trasferimento crea infatti una situazionedrammatica non solo perché ti allontana dalle amicizie. ma anche perché ti può sradicare rispetto a prospettive positive di inserimento in comunità. C'è gente che viene da Milano, da Genova. e ti dice che era in trattativa per entrare in comunità e ora deve ricominciare tutto da capo. ■

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