Una città - anno III - n. 20 - marzo 1993

11 NUOVO MONDO NON I' 1 'AMIRICA Ci sono delle rivoluzioni, come quella scientifica per esempio, che proprio perché awengono lentamente e silenziosamente si realizzano pienamente; instaurano modelli di vita sociale impensabili, impongono anche inawertitamente dei criteri di giudizio, informano sensibilità e atteggiamenti. L'uomo che le ha iniziate ne risulta alla fine anche succube, incapace com'è di guidarle. Accorgersene in tempo è comunque già un gran passo, perché la libertà è sempre fondata sulla consapevolezza. La bioetica, per il nostro tempo, rappresenta appunto una tale coscienza: prima ancora di indicarci le scelte, ci awerte del nuovo mondo (altro che America!) che sta sorgendo; delle possibilità sconfinate e sconcertanti, da fantascienza, che ci si preparano. Prima di indicar risposte, rivela le domande: questo il primo significato della bioetica. In fin dei conti si tratta di problemi che toccano tutti ed è bene che lo si sappia. Ma a chi poi compete la parola di risposta? Chi si azzarda se non è più che competente su problemi che son sempre più specialistici? Divario fra il sapere e la gente che del sapere subisce le conseguenze. Gli stessi scienziati d'altro canto non possono di per sé vantar titoli come maestri di umanità. Lo osservava recentemente la stessa Levi Montalcini: tra virtù e debolezze, i Nobel son gente comune; intelligenza e senso etico non sono la stessa cosa. A chi spetta parlare, dunque? Tutti in qualche modo hanno il diritto e il dovere di intervenire su questi problemi di bioetica, "grandi come le montagne", direbbe Gandhi: dalla manipolazione genetica, all'eutanasia, la vita e la morte sono diventati un esperimento. L'uomo, un esperimento di laboratorio. E tutto si tiene: le stesse operazioni di trapianto d'organo, che sembrerebbero questioni "minori", includono invece il problema del significato dell'identità personale e del limite della morte. Che significa morire? Quando si muore? Evento o processo? E come si accerta la morte? Cuore o encefalo? Il Comitato nazionale di Bioetica ha indicato un anno fa il criterio neurologico della morte cerebrale, la cessazione definitiva e irreversibile della funzione del cervello; un singolo organo responsabile de/l'autonoma unità funzionale dell'organismo. Un criterio sicuro e preciso, anche se non trova d'accordo metà dei cittadini di un'inchiesta Gal/up. Ma resta poi ancora aperto il problema degli anencefalici. Vanno ancora considerati soggetti di diritto? Si può -ricordiamo il caso dell'anno scorso- lasciarli tranquillamente morire senza il sostegno dei mezzi artificiali? Su questa strada si apre alla possibilità del loro uso (ecommercio) come donatori d'organo. La morte cerebrale apre il discorso sulla vita dell'uomo; conosciamo poco la morte perché conosciamo poco la vita. Tenendo poi sempre presente, quando si tratta di trapianti, che non di semplice vita si tratta, per non lasciarsi bloccare da malintesi sensi di sacralità che ostacolano l'espianto e il dono degli organi. In bioetica si dovrebbe parlare di soggetti umani, più che di dignità della vita. La Vallesi chiedeva perché invece di "movimento della vita" non si dovrebbe dire invece "movimento della persona". Sarebbe più appropriato; e distinguendo più chiaramente tra persona ~ vitaci renderebbe più liberi di disporre dei singoli organi del corpo. Occorre infatti favorire un 'etica della solidarietà, che sola impedisce alle operazioni di trapianto di scadere a mera tecnica, a spettacolo, a commercio. Chi obietta ai trapianti, più che impuntarsi sull'arresto cardiaco e sull'attività del cuore-muscolo, farebbe meglio ad impegnarsi sul cuore-metafora, sulla solidarietà sociale. Lo Stato ha sì il diritto di intervenire, disponendo autoritativamente, presumendo l'implicito consenso di ciascuno al dono, ma tanto meglio se si diffondesse nella coscienza comune questo senso di solidarietà sociale; più che la legge, la coscienza sociale. Tanto più che altri problemi interpellano questa coscienza, sempre in fatto di trapianti. Non fa problema la sostituzione cuore-polmone, ma fino a che punto il trapianto di cellule cerebrali interferisce nell'identità del soggetto? Non è fantascienza: sugli animali si sperimenta la sostituzione testa-tronco. Nasce allora la domanda sul costitutivo dell'identità dell'Io. Nel film "Biade Runner" i replicanti sono in tutto simili all'uomo tranne che non hanno memoria; la memoria costituisce l'uomo. Attualità di S. Agostino. L'etica dei trapianti, giustificata dalla solidarietà, trova qui un suo limite, nel rispetto dell'identità del soggetto umano; senza questo rispetto la pura tecnica ci farebbe entrare in un mondo di pratiche disumane. E sappiamo bene che il semplice saper fare diventa un poter fare e poi alla fine inevitabilmente un fare: chi ha l'autorità sufficiente a fermare la hybris dello sperimentatore? Tanto più che c'è la concorrenza del sapere: i laboratori sulla fecondazione artificiale inAustralia insegnano. Solo la coscienza sociale può guidare lo sviluppo scientifico. E se dinnanzi al dolore si è chiamati alla generosità e al dono del corpo, davanti alle potenzialità tecniche dei trapianti si richiede pur sempre una cultura dell'individuo unico e insostituibile, non manipolabile, e una scienza nei limiti de/l'umano. Sergio Sala nel prossimo numero LA MOR1E DI IERI E QUELLA DI OGGI intervista a Francesco Campione, docente di psicologia medica e direffore di "Zeta" BibliotecaGino Bianco L'ULTIMA CONSEGNA ALL'OSPEDALE la morte clinica e il prolJlema della donazione degli organi. L'inutilità della "carcassa". Lamentalità moderna clte delega fa nascita e fa morte all'ospedale. Intervista a Gherardo Martinelli. ILprof Gherardo Martinell è primario di Anestesiologia dell'Ospedale S.Orsola di Bologna. I problemi tecnici ed etici che ci sottopongono la morte cerebrale, la morte in senso assoluto, la certificazione della morte, provengono da una serie di concetti innovativi emersi in questi ultimi anni. Dieci o venti anni fa non c'era questa necessità di definire la morte: quando era finito il ciclo vitale uno moriva, si seppelliva ed era finita lì. Ma dal punto di vista etico non è solo il concetto di "morte" ad essere preso in considerazione dagli studiosi. Presso la Presidenza del Consiglio è stato istituito un "Comitato Etico" molto importante, composto da una trentina di illustri scienziati, filosofi, biologi, medici, religiosi e laici, che deve cercare di mettere a fuoco i vari aspetti della vita, della morte, della fertilizzazione in vitro, i problemi attinenti ai nuovi farmaci, i problemi relativi all'ingegneria genetica e così via. Tutte questioni nuove, che hanno bisogno di una rivisitazione sotto l'aspetto morale perché si possa procedere nella pratica. Questo succede perché negli ultimi anni c'è stata una evoluzione notevolissima e rapidissima della medicina ed è quindi necessario prendere in considerazione, dal punto di vista morale e rei igioso, tutte le innovazioni, per darne un assetto chiaro, che faccia da base alle leggi che il Parlamento deve emanare su questa materia estremamente delicata. Questa commissione ha già tirato fuori il parere sull'assistenza ai malati terminali, sull'accanimento terapeutico, sull' accertam'ento della morte e sulla donazione di organi. A proposito della definizione di morte, qual è la situazione oggi? Qual è il momento in cui è possibile il trapianto di organi? Dare una definizione precisa della morte non è facile e a questo proposito il Comitato di Bioetica parla di morte cardiaca e di morte cerebrale. Il concetto di morte fa riferimento al concetto di fine della vita, vale a dire che, dal punto di vista clinico, la persona viene dichiarata morta quando le principali funzioni vitali, cardiocircolatorie e cerebrali, si sono spente in maniera irreversibile. fa persona muore con la morte dell'encefalo Questa è la "morte clinica", ma, se vogliamo andare più in profondità, non tutte le cellule muoiono inconfutabilmente in quel momento: ci sono cellule che continuano a vivere ancora per settimane o per mesi e questo implica il concetto di "morte biologica", cioè quando tutte le cellule, dalle più nobili alle meno nobili, si sono spente. In medicina seguiamo il concetto di "morte clinica": dopo 24 ore dalla "morte clinica" si può procedere ali' inumazione del cadavere. Un tempo la "morte clinica" si incentrava su un unico momento, quello della cessazione dell' attività cardio-circolatoria, perché si diceva che la vita era a livello del cuore. Oggi, invece, il cuore è considerato un muscolo, non l'organo più importante della persona; i filosofi, i bioetici, la stessa Chiesa, nella figura di Pio XII e di tutti i suoi successori, hanno deliberato che la parte più nobile del!' organismo è l'encefalo. Dalla centralità del cuore, che come muscolo può anche essere sostituito, si è passati quindi, da un punto di vista concreto, a centrare l'attenzione sull 'encefalo; il cuore è un organo importante, ma la vera essenza della vita è a livello dell 'encefalo e quando muore l'encefalo, muore la persona. E questo anche nel caso che si sostituisca il cuore e gli si faccia riprendere l'attività. Quindi, dal punto di vista pratico, concreto, oggi il concetto di vita viene incentrato sull'attività cerebrale. Il cuore può continuare a battere, può mantenere la circolazione nell'organismo anche per 4 o 5 giorni dopo la fine della attività dell'encefalo, ma non c'è mai stato un caso al mondo per cui, con un encefalo morto in maniera totale ed irreversibile, anche il cuore abbia durato nel tempo: dopo 4/5 giorni anche il cuore si arresta. se la morte è ineluHabile • non c, accaniamo E' qui che si innesta il discorso della donazione degli organi: un soggetto in cui si sia verificata la morte dell'encefalo, pur battendo ancora il cuore, è un possibile donatore d'organi. Ma siamo in grado di stabilire con certezza la morte cerebrale? La morte dell'encefalo, quale conseguenza di un arresto cardiocircolatorio, in quanto per 5-7 minuti non arriva più sangue a ossigenare l'encefalo, è riscontrabile attraverso I' elettroencefalogramma, che permette una diagnosi totale, sicura e certa. La morte dell'encefalo, scientificamente diagnosticata, con cuore battente, permette tre strade diverse. La prima è che questo cuore batte per 3/4 giorni e poi, senza accanimenti terapeutici, si spegne. La seconda è, con una esplicitazione scritta dei familiari, di rendere questo cadavere con cuore battente donatore d'organo. A quel punto, c'è una legge del '75 che lo prevede, partono 12 ore di osservazione clinica da parte di una commissione formata da un neurologo, un rianimatore e un medico legale, che ogni ora eseguono tutte le indagini utili per essere sicuri che l'encefalo sia morto. Alla fine delle 12 ore di osservazione, dopo una vidimazione del Procuratore della Repubblica che certifica una garanzia assoluta, scientifica e giuridica della morte, si possono prelevare gli organi da quel cadavere con cuore battente. L'accanimento terapeutico ha dei supporti etici e professionali, ma in rianimazione, davanti ad una situazione terminale irreversibile, non c'è accanimento terapeutico: in caso di morte dell'encefalo non siamo abituati a mantenere per forza battente quel cuore. Non mettiamo in atto le varie tecni- - MELDOLA - VIACAVOUR,180 TEL. 491753 che per far continuare questa vita, né siamo dell'opinione di assicurare, attraverso I' eutanasia, una morte precoce. Quando abbiamo la certezza di aver fatto il nostro dovere per cercare di strappare quella persona alla morte e quando questa morte è ineluttabile non ci accaniamo. La terza strada di cui dicevo consiste nella possibilità di deconnettere il corpo dal respiratore, inducendo un arresto del cuore, ma non siamo ancora completamente legittimati a praticarla. Noi non giochiamo né con la vita, né con la morte. come la nascita la morte si fa ospedale Certamente agire in questa situazione è molto difficile, ma abbiamo fatto della nostra attività un quadro, la cui cornice sono questi principi: non accanimento terapeutico, non eutanasia e, dove c'è la possibilità, rendere utile la morte, perché per me la morte è una cosa inutile, attraverso una eventuale donazione. Il tutto nel rispetto assoluto dei nostri pazienti e dei loro parenti. I parenti, anche di fronte à.lla morte certificata dal medico, molto spesso non autorizzano la donazione .... Questo non è dovuto alla mancanza di chiarezza della legge sulle donazioni, che è ferma in Parlamento da quattro-cinque anni e i cui punti qualificanti sono che si sposta il termine di osservazione da 12 a 6 ore e che non è più necessario il consenso dei parenti. Ma questo punto può essere superato solo con un'educazione di tutti noi, dei medici prima che dei parenti. Quello che ho detto prima sulla definizione della morte si sta diffondendo attraverso i medici, i mass media, la stessa Chiesa, per cui la gente comincia ad imparare. Spesso il motivo per cui sovente i parenti riti utano l'assenso alla donazione è dovuto al fatto che non c'è ancora un'opinione precisa su queste questioni. Quando vado a dire ai parenti che una emorragia cerebrale ha causato la morte dell'encefalo, e lo dimostro con la Tac, con la risonanza magnetica, con l'elettroencefalogramma, una volta assorbita questa terrificante notizia io posso chiedere il loro assenso alla donazione e mi rispondono al 50% sì e al 50% no. Già c'è una buona parta di gente che mi offre spontaneamente la donazione; non tutti, perché non tutti sanno questi concetti. Gli stessi addetti ai lavori non hanno ancora tutti recepito inuovi concetti. Concetti nuov-iche sono poi vecchi, la morte è sempre stata morte, prima veniva identificata nell'arresto cardiaco, che è un gravissimo errore ... Se viene recepito il concetto che la morte è una cosa inutile, che se io sono morto sono inutile, almeno prelevare gli organi significa fare vivere qualcuno e rendere utile la mia morte. E' facile per l'uomo contemporaneo accettare questa idea che la propria morte è inutile? E' chiaro che quello di mantenere l'integrità del cadavere è un discorso ancestrale, soprattutto in senso psicologico. I fenomeni putrefattivi a livello dell'encefalo iniziano quasi immediatamente e una volta inumata la salma tutti gli organi vanno in disfacimento: basta andare a fare una riesumazione per vedere cos'è la mia carcassa. Dire che c'è la resurrezione della carne e io mi ritrovo senza cuore e senza fegato è una cosa non più accettabile, modernamente parlando. Con la donazione almeno il mio cuore o il mio fegato non spariscono con me! La morte, che è una cosa negativa, può essere resa positiva; questo discorso l'ha recepito la stessa religione cattolica, che ha centrato un po' il discorso della resurrezione in termini filosofici, psicologici, evangelici, ma non in termini di integrità fisica. Nella diffusione di queste tematiche certamente c'è molta differenza: il nord dona di più del centro-sud perché ha recepito di più questi concetti. Siamo alle soglie del 2000, non si può fermare il progresso, non si può non essere per la vita e a favore della morte. Il progresso dobbiamo accettarlo, anche nella morte. Lei diceva che è giusto scegliere che la propria morte diventi utile per qualcuno, ma nel caso del malato terminale di cancro che vorrebbe morire prima, lei cosa pensa: è ammissibile l'eutanasia, almeno per risparmiare sofferenze inutili? L'eutanasia, attiva o passiva, non è accettabile, non solo per motivi etici, morali, ma anche per motivi giuridici. E se cambiasse la legge? Non cambierà mai, io comunque sono contrario. Si dice che quando non si può assicurare una buona vita, si deve almeno assicurare una buona morte, ma in che termini si parla di "buona morte"? Nel senso di non far soffrire. acceffare il progresso anclte nella morte Il malato terminale ha il grave handicap delle sofferenze fisiche, ma queste si possono alleviare con farmaci, con mezzi particolari e con mezzi alimentari. lo non posso fermare il suo cuore un giorno prima per non farlo soffrire: lui morirà quando il suo cuore si fermerà, non un giorno prima. Io non lo faccio soffrire e lui morirà senza soffrire e alimentato. La morte oggi è la morte in ospedale, mentre un tempo il malato moriva a casa, addirittura dall'ospedale lo portavano a casa quando stava per morire, perché c'è stato questo cambiamento? Sono i tempi che sono cambiati. Un tempo si partoriva in casa con l'ostetrica, adesso tutti, o quasi tutti, partoriscono in ospedale. Sono cambiati i tempi e le mentalità: in casa non posso trasformare la mia stanza da letto in infermeria per le ore, o i giorni, di doglie. Lo stesso vale per chi sta morendo. Soprattutto al nord è raro che questo "impiccio" rimanga in casa. La vita moderna, le comodità, l'edonismo, hanno fatto sì che sia la morte che la vita vengano consegnate ali' ospedale. E' l'egoismo della vita moderna, che fa sì che in casa non si vogliano rotture di scatole, né il malato grave, né il moribondo, né il matto. La verità vera è questa: in casa noi vogliamo avere la televisione, gli elettrodomestici. E' la vita moderna, quella per cui dico "abbasso il sindaco" perché mi fa girare con le targhe alterne. Sono realtà di cui dobbiamo farci carico. Il malato grave, la morte e la nascita, rappresentano per la famiglia un fardello, allora sia la famiglia che il medico di famiglia avviano ali' ospedale queste tre realtà. Ma, a monte, tutto è dovuto all'edonismo nostro. - UNA CITTA' 1 5

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