Gino Zaccaria insegna discipline filosofiche all' Università Bocconi di Milano. C'è una frase di Heidegger che suona, ad una prima lettura, non solo provocatoria, ma addirittura terribile, quasi impronunciabile. In essa si dice che la produzione tecnica di cadaveri, vale a dire la distruzione scientifica e premeditata del popolo ebreo, è l'equivalente, dal punto di vista del senso, della meccanizzazione della agricoltura. Che cosa intendeva dire Heidegger con questo disorientante paragone? forme. Il passo al quale ti riferisci era contenuto in una conferenza degli anni '50 che costituì la struttura del celeberrimo saggio sulla Questione della tecnica (nel quale la frase incriminata scomparve, per evitare, forse superficiali, fraintendimenti). La frase esattamente diceva: "Il lavoro della terra è divenuto oggi industria alimentare meccanizzata, il medesimo, dal punto di vista del l'essenza, della fabbricazione dei cadaveri in camere a gas e in campi di sterminio, il medesimo del blocco esercitato contro interi paesi per ridurli Una frase ignobile o un invito a pensare l'origine essenziale di ogni violenza? Complicitàcon fa barbarie o tentativo di esperire l'impensato dell'Occidente? Risponde Gino Zaccaria. Forse non bisognerebbe leggerla come una frase "provocatoria". Per chi conosce, io credo, il cammino di pensiero di Heidegger, il suo Denkweg, questa frase non solo non è provocatoria, ma è assolutamente evidente. Non vuole suscitare delle reazioni. Ciò che essa ci invita in qualche modo a pensare, costringendo il pensiero a lottare contro se stesso, è l'evento della violenza nel mondo contemporaneo. Questa infatti non si dà soltanto in un modo. Innumerevoli sono le forme e le modalità in cui accadono la violenza e la sopraffazione dell'uomo sull' uomo. E addirittura inconcepibile è il livello di violenza che può essere di fatto raggiunto. Il fatto allora di pensare al nazismo come ad un evento asso Iutamente straordinario, unico, come da più parti oggi si richiede, potrebbe forse significare non prendere una reale distanza da questo evento. Certamente, dopo Auschwitz, si inuore in un modo diverso, come se la morte fosse cambiata dopo quello che è successo; tuttavia la domanda che occorre porsi è un altra. Come mai l'uomo è stato capace di giungere a questi livelli di violenza? alla fame, il medesimo della chiarificazioni veloci che non fabbricazione delle bombe al- ci permettono di provare davl'idrogeno." In quel passo, vero a pensare. L'invito che come vedi, Heidegger ricorda- Heideggerci rivolge è un inviva anche l'esplosione della to al pensiero "radicale" e non bomba atomica. Se infatti noi ad una qualche presa di posinon riusciamo a tenere insie- zioni. Ecco perché diventa asme lo sterminio degli ebrei con surdo pensare che si tratti di la bomba atomica sganciata andare semplicemente a "de- "per fermare il nazismo", se stra" o a "sinistra". Siamo dinnon riusciamo a tenere insie- nanzi a qualche cosa che sfugmè questi due eventi e tutti gli ge alla caratterizzazioni sistealtri eventi di violenza che han- maliche, sistemiche, alle mes- _.; •• .,, -❖••• t~~-- -)i"~· distrugge la possibilità stessa del e senso Che cosa è in gioco in questa violenza? Heidegger ha bene indicato ciò di cui è capace quell'uomo che è completamente schiavo della volontà, che ragiona in termini di volontà, che progetta il mondo sotto forma di volontà e che vuole costantemente livelli superiori di potenza. Se egli afferma che l'agricoltura meccanizzata è il medesimo della produzione di cadaveri nei campi di sterminio, è perché sta cercando di cogliere ciò che le tiene legate, ciò che le rende possibili. Da questo punto di vista io non vedo alcuna provocazione nella sua frase, vedo soltanto un invito a pensare profondamente l'evento del nazismo per oltrepassarlo. L'anti-nazismo autentico, infatti, non è una presa di posizione, ma consiste proprio nel fare una esperienza di pensiero della violenza in tutte le sue no caratterizzato il nostro secolo (dal gulag a Tien an Men) non stiamo pensando fino in fondo il destino nel quale siamo finiti. la bomba clte distrugge con la potenza del continuo Lo stiamo semplicemente evadendo. Diamo cioè a noi stessi l'impressione di essere arrivati ad una visione chiara quando invece sono proprio queste se in ordine di visioni del mondo, siamo forse in una epoca in cui non sono più in gioco scontri tra le visioni del mondo ma qualcos'altro di più profondo. Nel Nietzsche, corso di lezioni tenuto alla fine degli anni '30, Heidegger dice che il fine ultimo della nostra riflessione è giungere allo scontro tra la "verità dell'essere" e la "potenza dell'ente". Preparare questa disputa, preparare questo confronto è il fine ultimo della meditazione che abbiamo intrapreso. In questa ottica è evidente che se stiamo cercando ORTIDI GUERRA Camminavamo come egiziani, quando una voce che non poteva venire dalle tombe oltraggiate ci disse che era inutile parlare, se sapevamo leggere la mente dei passanti, e dunque tacque. Un pensiero è una scarpa spaiata, può avere un tacco elegante o volgare a seconda del fango che calpesta, per quanto i poeti dicano che si perde parecchio in stile mettendosi a correre per strada, qui oppure a/l'inferno dove si soffre a causa del concetto di eternità: si soffre da matti, e senza speranza. La palla calciata di sbieco rotolò dove il selciato assumeva una pendenza curiosa, e i bambini parlavano nel sonno temendo di cadere su quei sassi e poi essere picchiati dove la pelle è più rossa e fa già male per conto suo. Allora correvano via, rapidi, leggeri, senza mai posa, senza gravità. Sfido a produrre una musica migliore di quella, dove la paura e la fantasia occupavano il posto che proprio io, ipocrita tra gli ipocriti, volevo negargli. La paura è a/l'inizio della saggezza. Per strada non si vede più nessuno, adesso, nemmeno i giornalisti che non riescono più a eccitarsi con qualche trucchetto imparato a scuola durante le ore di noia. Non succede mai niente che meriti una vera bugia. Basta una svastica tatuata su una chiappa per far gridare alla nuova Marlène Dietrich. EdoardoA/binatiper UnaCittà CO di pensare in qualche modo l'origine della violenza, non possiamo fermarci alla semplice distinzione tra le violenze, ma si tratta di pensare ciò che rende possibile tutte quante le violenze. La bomba atomica distrugge con la potenza del continuo, non uccide soltanto gli uomini, ma uccide anche l'ambito, l'habitat, il luogo dove ci può essere la possibilità di altra vita. Distrugge in maniera totale, distrugge infine la possibilità stessa del senso. E' questa inaudita possibilità, il venir meno della possibilità stessa del senso, la cosa che veramente bisogna temere e che Heidegger ci invita a pensare. In quest'ottica, la via da lui indicata ci può introdurre ad una autentica presa di distanza dalla violenza, ma questo richiede anche una opera su se stessi. Quindi secondo te non c'è una specificità ed una qualità peculiare dell'olocausto. Il campo di sterminio lo vedi in una continuità con altre forme di violenza senza che subentri il momento della rottura, della differenza. Io credo che noi riusciamo a pensare veramente alla specificità, alla differenza, soltanto se ci mettiamo in una posizione che potrei chiamare centrale. Noi siamo abituati a pensare che non si possa più occupare un centro, siamo una umanità che ha paura di autoaffermarsi come capace di raggiungere un centro. Eppure solo se guadagniamo questa posizione, se cogliamo la medesimezza di tutte le forme di violenza che appartengono al destino della nostra umanità occidentale, possiamo cominciare a capire. Questa posizione non si tiene fuori dal gioco, piuttosto riconosce il coappartenersi, nell'essere, del bene e del male. E' infaui certo rassicurante pensare che un nazista sia un ente di verso da un uomo, un mostro mi-steriosamenle caduto sulla terra. In realtà, il nazista ha una esistenza come la mia. Un uomo violento ha una esistenza come la mia. Questa verità, forse spiacevole, deve essere guadagnata dal pensiero per poter giungere a qualche cosa come una possibilità di cambiamento, di rottura, di uscita dalla situazione nella quale siamo. Finché invece noi rimaniamo costantemente impegnati nel tentativo di dividere tra una cosa e un'altra, finché rimaniamo presi dalla volontà di prendere posizione, continuiamo ad essere sopraffatti da qualche cosa che accade nonostante tutte le nostre prese di posizioni. Una specificità del nazismo, allora, sicuramente c'è, ma la possiamo pensare soltanto se occupiamo quella posizione centrale. Se ci si rifiuta di seguire questa via, è, io credo, solo per timore delle decisioni che ciascuno di noi deve prendere in proprio, perché essa implica un rivolgimento nel rapporto con la nostra egoità, con la nostra soggettività. testimoniare l'abisso: la sua possibilità autentica Ci sono dei versi di Hèilderlin che a questo proposito vale la pena di citare. Essi dicono: "Ma proprio dall'abisso noi abbiamo avuto inizio". L'uomo è quell'enteche, ad un certo punto, può comprendere di avere il compito di toccare l'abisso. Testimoniare l'abisso: questa è la sua possibilità autentica. Senza entrare nel merito della discussione, spesso terribilmente volgare (penso al libro di Farias), sul "nazismo" di Heidegger, non credi che, nella stessa economia del pensiero heideggeriano, il campo di sterminio nazista resti un impensato? Voglio dire qualcosa che un pensiero della tecnica doveva tematicamente affrontare ed invece, anche dopo la guerra, ha evaso? Non dimentichiamoci che, quando nel 1933 Heidegger, assumendo la carica di rettore dell'Università di Friburgo, pronuncia il suo famoso discorso, con il quale, secondo l'opinione corrente, avrebbe aderito esplicitamente al nazismo, molti ebrei avevano aderito al nazismo. Voglio dire che il nazionalsocialismo non aver già deciso parecchie cose. Noi crediamo infatti che il più sia fatto quando la violenza è stata "rifiutata", ma ciò che più conta, vale a dire pensare la violenza, è ancora da fare. Qui è infatti richiesto un sacrificio: assumerla e abbandonarla. Io non posso soltanto rifiutarla, devo innanzitutto fare un cammino in cui l'esame di me stesso deve diventare un tema continuo della mia esistenza. Come si fa adire all'autore di "Essere e tempo" che non ha "visto" questa cosa? Certamente l'ha vista e se ha deciso di non mettersi a pensare il nazismo in quanto tale è perché stava cercando di invitare in qualche modo ad un pensiero più profondo, che abbandonasse l'idea del rifiuto, della presa di coscienza, della presa di posizione avversa, ma che diventasse invece un tentativo di congedo. Quelli che hanno taciuto ··' sono altri. Si potrebbe anzi dire che tutti quelli che hanno parlato in qualche modo hanno taciuto perché quel modo di parlare non era all'altezza di quello che stava accadendo stando ai risultati del pensiero di Heidegger. Si richiedeva ad Heidegger di partecipare alla esecrazione pubblica, di prendere una posizione che in qualche modo lo scusasse, di fare un'autocritica, ma l'autocritica non fa parte di questo tipo di esperienza, facendola avrebbe negato tuuo il resto. Non mi pare in definitiva vi sia silenzio in Heidegger, anzi direi l'opposto, c'è un'adempimento ed un compimento continuo, una testimonianza continua che non ha mai smesso di essere tale. aveva ancora assunto quella forma a noi storicamente nota. La situazione era fluida, in movimento. Heidegger, per esempio, a chi dopo la guerra gli chiese ragione di quel gesto, rispose che l'aveva fatto per evitare che l'Università cadesse in mano di chissà chi. Credeva che fosse l'occasione per affermare la sua idea di Università. Racconta infatti di essersi stupito che nessuno, dopo questo discorso, gli avesse posto delle domande. Nella sua indubbia ingenuità, quest'uomo credeva che i suoi colleghi potessero accettare la sua idea di Università pensata come luogo di dibattilo libero, di autentico dialogo. Heidegger deve aver visto in quella situazione una specie di occasione per fare qualche cosa, per uscire da una situazione assolutamente critica. Questo fu il suo errore, ma si tratta appunto solo di un errore. Quanto all'altra questione che ponevi, che senso ha, mi chiedo, pretendere che Heidegger assumesse ad oggeuo di pensiero una "cosa" come il nazismo, quando di fatto Heidegger non ha fatto altro che pensare la violenza, non ha fatto altro che preparare le condizioni perché possa accadere una svolta del nostro modo di abitare occidentale? Vi è, nel pensiero di Heidegger, una grande istanza rivoluzionaria. E poi ha veramente senso giudicare il silenzio di un pensatore, di un poeta, di un uomo? Un uomo che tace, non è giudicabile. Giudicare questo silenzio vuol dire in realtà Tu dici: "abisso", "centro", d'accordo. lo dico Auschwitz: là era il cratere, là l'uomo è arrivato al punto! Ma come si fa a dare un nome all'abisso! Noi abbiamo bisogno di nomi. Una cosa, invece, che Heidegger ci invita a fare è imparare ad esistere in assenza di nomi. l'abisso è Auscltwitz, è l'atomica, è la distruzione Da dove prendiamo poi quella caratteristica capacità di dare un nome all'abisso? L'abisso è l'abisso, l'abisso è se stesso, il gioco dell'abisso gioca come deve giocare, ci coinvolge in un gioco del quale non siamo padroni. L'abisso, il cratere, è anche Auschwitz, certo. Lasciamo però questo orrore che è accaduto fuori dal dominio della curiosità, non invadiamo il campo della morte, lasciamo che la morte continui a essere morte. Se infatti noi vogliamo dare un nome a quel tipo di morte bestemmiamo, stiamo superando noi stessi inun modo anche improduttivo. Questi uomini sono stati presi, deportati (quello che colpisce nel nazismo è che non c'è lo sterminio sul posto,c'è il trasporto nel campo di sterminio) ... dobbiamo provare a mantenere un ritegno rispetto a questa questione. Proviamo a mantenere questo ritegno e forse saremo più capaci di rispettare il fatto che questi uomini sono stati uccisi in questo modo che ripugna, diamo più spazio al ribrezzo e così facendo ci accorgeremo che non dobbiamo dare un nome all'abisso, perché l'abisso è Auschwitz,è la bom- -
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==