Una città - anno III - n. 19 - gen.-feb. 1993

ettere 1ntervent1 ORIENTI Ho letto spesso con interesse sulle colonne di "Una città" gli interventi e le interviste di Ivan Zattini, di frequente tesi ad illustrare motivi inerenti al pensiero orientale. Nulla da obiettare; credo anzi che ciò possa svolgere una funzione meritoria, soprattutto se si è convinti con Zattini della colpevole trascuratezza dell'occidente nei confronti dell'altra metà del globo. Condivido ancor più questa sua convinzione se, come lui suggerisce di fare, con tali designazioni non s'intendono zone geografiche, bensì "luoghi dello spirito", se comprendo adeguatamente, territori concettuali e categorie utili alla riflessione. E tuttavia lo scopo del discorso di Zattini non mi pare quello di proporre un incontro tra due tradizioni culturali... Nelle affermazioni di Zattini s'avverte un tono di risentimento nei confronti della tradizione occidentale, vera fonte della nostra odierna dannazione. Certo, non credo che Zattini voglia condannare tutte le forme della cultura occidentale, ciascuna di esse nessuna esclusa, bensì una caratteristica predominante del nostro patrimonio spirituale che avrebbe offerto le sue prove più mature negli ultimi due secoli. Insomma, la critica di Zclttini è rivolta anzitutto ad un presunto tratto peculiare della nostra cultura: la tendenza a sfociare ndla tecnica vedendo in essa la propria manifestazione fatale e letale. Ciò consente peraltro di individuare in occidente importanti precursori, o presunti tali, di questo modo di rapportarsi ali' insieme della nostra cultura; in particolare si enfatizzerà una vena di pessimismo radicale nei confronti della ragione, capace (sia pure in estrema sintesi) solo di rifondere nella tecnica il senso dell'uomo nel mondo. Sorvolando su alcune forzature, quasi figlie di un luckàcsismo rovesciato, diverrann<l'senz'altro maestri positivi i filosofi per i quali la ragione occidentale servirebbe solamente ad assoggettare la natura ali' uomo, diventando mero strumento per l'esercizio di una violenza addirittura catastrofica per la sopravvivenza del pianeta. Almeno in un punto di grande importanza questa argomentazione non convince e non sembra rendere giustizia al cosiddetto "pensiero della tecnica", visto che con questa mitica categoria si intende designare il nocciolo autentico del pensiero occidentale. Quest'ultimo è infatti l'unico che - a quanto mi consta - abbia talvolta cercato di vedere nell'uomo qualcosa di più di un riverbero metafisico. E spesso proprio in virtù dell'enfasi posta sulla tecnica. Ricordo, ad esempio, Eraclito, col suo invito a scorgere nel logos qualcosa di comune a tutti gli uomini; e Gorgia, che ripudiando ogni decisione metafisica vedeva in un linguaggio divenuto tecnica la residua possibilità dell'uomo di sopportare l'enigma della vita prendendo dimora in un'incerta dimensione civile; e ancora Socrate, che nella tecnica dialogica riponeva le speranze del rinnovamento della convivenza politica. Insomma, quello stesso pensiero della tecnica spesso vituperato è spesso stato, sin dalle sue origini, insieme un pensiero del Tu oltre che un tentativo di dominio della natura, e credo anzi sia stato espressione di passione umana prima che adesione a paradigmi metafisici. Finanche nelle sue espressioni più assolutiste e violente, come in Hegel. Forse il motivo di ciò risiede nel fatto che la tecnica non è che l'espressione culturale dell'atteggiamento che contraddistingue l'uomo nel mondo della prassi, nel mondo comune all'Io e al Tu. Viceversa la Tecnica (quella mitica, il demone dell'occidente) è solo immagine iperbolica, uno dei risultati di questo pensiero e non la sua essenza umana e dialogica. Mi pare quindi improprio giudi-. care l'intera matrice culturale del1' occidente facendo esclusivo riferimento alle iperboli che predominano nella nostra situazione epocale: questa sì incapace di salvaguardare, prima che la natura, le diversità degli uomini, avendo smarrito i lumi fiochi di quell'intelligenza che dovrebbe rischiarare i rapporti tra l'individuo e il suo ambiente di vita. E inoltre, mi pare opportuno riflettere sul fatto che - al di là delle buone intenzioni - la proposta di sostituire ali' occidente identificato con la sua faccia più cupa, un oriente assolutamente estremo, potrebbe determinare un trapasso fatale dal dialogo tra I' uomo al monologo che incombe sull'uomo, cioè la sospensione ultima e definitiva del mondo della prassi e la conseguente chiusura solipsistica e passiva in vista di un avvento della Verità. A detta dei loro stessi "sacerdoti" ed epigoni culturali, è appunto questo a rendere possibile, per esempio, ai cinesi di convivere con la violenza di Tien An Men, ai giapponesi di sopportare ritmi di vita-lavoro psicologicamente e socialmente alienanti, agli indiani per secoli di "convivere" in una società divisa per caste. LQ sfondamento finale sarebbe allora il possibile preludio di una·catastrofe umana difficilmente rimediabile. E il risultato sarebbe identico a quello ottenuto con l'affermazione finale della Tecnica, poiché in entrambi i casi andrebbe perduto il gusto per la precarietà critica del nostro esistere. Il "nuovo" uomo (anche quello di Nietzsche e di Foucault) sarà solo se saprà essere "più" uomo, poiché più in là non s'annunciano che nebbie metafisiche, a Ovest come a Est, nella Tecnica come nell'Evento. Nella sua vita, prima che nella sua dottrina, Machiavelli aveva messo ottimamente a nudo le due grandi regioni estreme dello spirito. Da una parte quella "estremoorientale", in cui la Fortuna domina incontrastata e verso la quale l'uomo virtuoso e stupefatto cerca soprattutto d'instaurare un rapporto d'armonizzazione a costo della propria inattività. Dall'altra parte quella "estremo-occidentale", in cui la Fortuna è "donna giovane e bella" rispetto alla quale la virtù dell'uomo mostra l'altra sua faccia ispirata al dominio. In entrambe non v'è spazio per l'Altro. E ciascuna, in sé, surroga questo deficit creando una Morale (positiva o negativa) incapace di rendere adeguatamente la precarietà dell'immagine dell'uomo, mentre la piena virtù umana è semmai sollecitata da entrambi quei due momenti, e stimolata da una passione per il Tu tanto profonda da poter persino esigere che la morale venga ad essa, paradossalmente ma realisticamente, assoggettata. In Machiavelli queste due regioni dunque non confliggono, ma costituiscono assieme il torbido spirito umano, e giungono a determinare un atteggiamento razionale sebbene non assolutistico che è uno splendido frutto del nostro pensiero, ma non un patrimonio esclusivamente suo. Ritengo che questa labile marca di confine possa ancora offrire risorse per ovviare ai difetti di ciascuno dei due imperi del globo spirituale. Ciò riuscirà nella misura in cui si imparerà a non affidarsi a costellazioni immobili di pensiero, senza far abdicare la ragione. Vi è infatti una ragione (e una tecnica) che non fonda nulla poiché rimane fedele alla precarietà della propria singolarità, e che risulta quindi insensibile ali' attrazione degli antipodi, e intatta dalla lotta tra l'assolutismo tecnico di un mitico Ovest e l'estremismo mono logico di un mitico Est: lotta, questa, cruenta e fatale perché, chiunque ne sia il vincitore, ne usciremmo comunque "visconti dimezzati". E, come insegna Calvino, la presunta "metà buona" apparentemente dimessa sarebbe tanto nociva quanto quella ritenuta "cattiva•·.Questa forse apparirà una provocazione più che una riflessione. La CassdaeiRisparmdiFi orlì I Del resto, altro non riuscirei davvero a dire, in quanto certi luoghi estremi dello spirito rappresentano per me più terrifiche minacce di esilio che agognate mete di pellegrinaggio. NIVI' SHALOM Giovanni Matteucci Possono vivere Insieme palestlne•I ed ebrei? Oa vent'anni ormai Nevè Shalom è un tentativo. Ne parla uno del protagonl•tl, Al,de-Salam Na••ar L 'INffRVISTA A DI BAR Ad ascoltare De Bar, il modo come evolveva il suo discorso, mi domandavo se la gente sarebbe disposta ad ascoltarlo, a capire le nuances, a cogliere tra un passaggio e l'altro l'onestà e allo stesso tempo la difficoltà di chi sa bene ciò che ci sarebbe da dire ma che sa anche che si tratta di un terreno minato.Minato perché lunga è la storia dell'intolleranza nei confronti degli zingari. E anche lunga è la storia dei fraintendimenti fra intervistatore e intervistato. Molto spesso, la complicità che si stabilisce nel faccia a faccia, nel momento dell'intervista, non traspare poi nel testo scritto e reso pubblico. E poi, una volta reso pubblico, il testo scritto non appartiene più ai suoi autori, cosa che può richiamare una diffidenza in più dalla parte di chi invece si orienta ali' interno di una tradizione orale. Si è già detto che la parola scritta è diventata anch' essa merce. E allora si ha paura che essa venga a passare in mano ai non destinatari. E comunque vale la pena una volta in più' cercare di comunicarci, tastando il terreno per evitare le mine. Tastare per sapere con chi si parla e di che cosa si può allora parlare. In questo senso, in questa intervista si è parlato di tante cose, molte delle quali non arriveranno alla carta. Come ad esempio il fatto che Debar dovesse portare una figlia al lavoro a meta' intervista, oppure che l'altra doveva andare a fare la spesa nella bottega vicina al campo per preparare la cena. O le varie interruzioni e rumori e rumori di fondo che il "setting" dell' intervista comportava (eravamo dentro la sua roulotte e, mentre si parlava, la vita attorno continuava, con chi doveva asciugarsi i capelli, o chi domandava di un compagno di gioco, o chi veniva a vedere chi erano le persone di fuori, o chi semplicemente veniva ad ascoltare un pezzo della conversazione). L'inizio del discorso è emblematico, di quelli che si devono fare in TV per evitare malintesi in così poche parole. Dopo, mentre si racconta della vita, il discorso univoco dell'inizio comincia ad arricchirsi di elementi vari. Piuttosto che sentire ogni frase, mi colpiva sentire la variazione sul tema; comunicare la mobilità della realtà stessa. Non c'era mai una frase del tipo "adesso le dico come stanno le cose". Le cose possono stare in modi molto diversi, a partire dal punto di vista di chi le guarda. Nell'intervista la variazione viene data dall'interazione faccia a faccia ma, e nella lettura dopo? Mi domando se la gente sarà pronta a capire che non si può capire d'un colpo. Se si renderà conto che tendiamo a valorizzare ciò che viene a combaciare con quello che pensavamo di sapere dapprima. Se capirà l'apertura implicita nell'alternanza del discorso che può anche essere appresa come un invito a proporci anche noi in modo meno presuntuosamente categonco. Debar non lo dice, ma mi fa capire (o forse sono anch'io a cercare la conferma di quanto mi sembra di aver capito di loro) che non sarà facile il dialogo. E Mafalda fa notare che siamo cambiati tutti, sinti e non sinti. E comunque noi siamo andati da loro (io c'ero già da poco prima) e loro ci hanno ricevuto, disponibili a parlare. I malintesi della stampa/scrittura? Lasciamo perdere, sono inevitabili. Invece quello che potremmo evitare è di andare oltre ai malintesi. In altre parole, che la conversazione non finisca qui. Ana Gomez Ci puoi dire la storia di Nevè Shalom, quante persone ci sono, quali sono le attività? E' una comunità palestinese ebraica. Oltre alla comunità c'è quella che chiamiamo "scuola per la pace": è un centro educativo che si occupa del conflitto israelo-palestinese con strumenti educativi. La comunità comincia 20 anni fa. Il fondatore, l'uomo che ebbe l'idea, è un frate domenicano, Bruno Hussar. lo ne sono venuto a conoscenza nel 1976 quando ero studente. Mi diedero i dialoghi degli studenti palestinesi e israeliani, così venimmo a sapere dell'idea di Hussar. Lo invitammo e ci disse della sua idea. Ci invitò a vedere Nevè Shalom e noi andammo. Fu una sorpresa perché non c'era alcuna nulla. Gli chiedemmo: dov'é? E lui si guardò intorno e ci rispose: voi siete qui, adesso esiste. Noi ridemmo, ci piacque l'idea. Fu un'opportunità per noi per mettere in pratica le nostre idee e ideologie. Cominciammo ad incontrarci nei fine settimana, per pensare a come costituire la comunità di NS. La prima famiglia arrivò nel 1978. Poi venimmo in 5 famiglie e da allora, lentamente, le persone hanno cominciato a venire qui. Oggi ci sono in tutto 22 famiglie, più di 80 persone. Abbiamo una scuola per i nostri bambini, bilingue, biculturale, abbiamo asilo nido, asilo e scuola elementare. Ali' inizio era aperta solo per i nostri bambini, -palestinesi ed ebrei-, adesso la frequentano anche bambini che non appartengono alla comunità, e la scuola ha ora 100 allievi. Questa scuola è unica nel suo genere, è bilingue e binazionale. Non è stata finanziata fino a questo momento dal governo, ma loro sanno che esistiamo, stiamo diventando molto famosi per questo tipo di educazione, in Israele e anche in altri paesi. Oltre alla comunità abbiamo, come ho detto, la scuola per la pace, e teniamo dei seminari per gruppi palestinesi ed ebrei che vengono per occuparsi del conflitto. I seminari sono a volte uninazionali, solo per palestinesi o solo per ebrei, e a volte sono seminari di incontro per i due gruppi. Il nostro scopo è di provocare la coscienza che i partecipanti hanno della loro identità, l'autocoscienza, e della complessità del conflitto, di dare loro degli strumenti per porsi di fronte al conflitto, dei metodi, delle possibilità. E poi di dare loro l'energia, il senso di poter fare qualcosa, e soprattutto che lo potrebbero fare. Ci sono state delle discussioni nel 1982, durante l'invasione del Libano, o quando è cominciata l'Intifada? Discussioni ci sono sempre, specialmente, come hai citato giustamente, nei momenti difficili, guerre, violenze. Ci sono molte discussioni tra ebrei e palestinesi, maancheall'interno dei gruppi palestinese ed ebreo, perché le persone hanno idee diverse anche ali' interno di uno stesso gruppo. Noi non siamo una comunità pacifica, non siamo tranquilli, a Pest Control Igiene ambientale ■ Disinfestazioni - Derattizzazioni - Disinfezioni ■ Allontanamento colombl da edifici e monumenti ■ Disinfestazioni di parchi e giardini ■ Indagini naturallstlche 47100Forll - via Meucci,24 (ZonaIndustriale) Tel (0543)722062 Telefax(0543)722083 CO volte ci sono discussioni dure, in cui si grida, a volte qualcuno sbatte la porta e se ne va, qualcuno piange, ma una cosa fondamentale che abbiamo deciso è che continueremo a vivere insieme: questa è l'unica strada, anche se a volte, e capita molte volte, ci sono momenti difficili tra palestinesi ed ebrei, perché reagiamo alle cose in modo diverso. Se io reagisco emotivamente alle violenze contro i palestinesi, la reazione degli ebrei è diversa per questa violenza, è, a volte, più ... razionale. Loro sono contro questa violenza, ma la mia reazione è più emotiva. lo mi sento male, mi fa sentire molto arrabbiato. Poi succede anche l'opposto. Dopo 15 anni di esperienza mi sembra che, da una parte, ebrei e palestinesi possano convivere, dall'altra che non possono, perché, dopo tanto, siete solo 22 famiglie. Mi sembra che ci sia un problema. Fin dall'inizio, comunque, il nostro scopo non è stato di essere un movimento pubblico, ma un centro educativo. Il limite massimo che ci siamo dati per la nostra crescita è di 60 famiglie, non di più. Ma ci sono persone che vengono alle nostre attività e se ne vanno quando queste sono terminate. La scuola per la pace funziona per la gente esterna alla comunità. Negli ultimi 12 anni 15.000 persone sono venute e hanno partecipato alle iniziative di NS. Nonostante ciò tu hai ragione: c'è una sorta di paradosso nella nostra comunità. Non pensare che noi siamo un modello di soluzione possibile. NS non è questo. Da una parte noi siamo ebrei e palestinesi che vivono insieme, dall'altra noi parliamo di due parti che dovrebbero essere separate tra di loro. lo non sono venuto qui, a NS, per dimostrare che ebrei e palestinesi possono vivere insieme, per me è un assioma: se vogliono possono, se non vogliono non possono. La nostra esperienza riguarda piuttosto questo: come lavorare insieme, più che come vivere insieme, e che mezzi dovrei avere per capire l'altra parte, ma prima di tutto per capire me stesso, e poi l'altra parte. E a NS noi facciamo questa esperienza. Noi stiamo lavorando qui e adesso, giorno per giorno, noi non stiamo lavorando per il futuro o il passato, ma per quello che succede ora, come possiamo affrontarlo. E questa è la cosa più importante. Tu mi hai fatto una domanda alla quale forse un politico dovrebbe rispondere, ma io non sono un politico, sono un educatore. lo faccio un lavoro che viene prima di quello del politico. Io non cerco le soluzioni, io educo la gente a trovare soluzioni. Comunque io penso che la cosa più importante, nel conflitto tra palestinesi e israeliani, è che le due parti si accettino reciprocamente come tali, che i palestinesi accettino che l'altra parte sono gli israeliani, e lo stesso da parte degli israeliani. L'altra parte non sono l'Arabia Saudita, l'Egitto o il Kuwait, ma i palestinesi, e dovrebbero avere un rapporto con loro, non con le altre parti. Ignorare l'altra parte non significa risolvere il conflitto. Questa è la prima cosa, la più importante. La seconda cosa è ottenere l'uguaglianza per le due parti, e se tu hai uguaglianza e accettazione, allora puoi cominciare un dialogo. Uguaglianza dei diritti. Ora in Israele, io penso, c'è uguaglianza di diritti. Ora possiamo cominciare. lo posso dire quello che tu puoi dire, posso fare quello che tu puoi fare. Questa è uguaglianza. Senza uguaglianza non puoi continuare a parlare. Se gli israeliani vogliono parlare con i palestinesi e vogliono che i palestinesi facciano qualche cosa, i palestinesi diranno: noi non siamo uguali, non possiamo fare niente. Se cominciamo un dialogo non c'è già una soluzione finale: cominciare un dialogo vuol dire cominciare un processo di pace, è un processo, a volte va avanti, a volte si ferma. E forse l'obiettivo cambierà nel corso del processo. Perché? Perché ora l'obiettivo degli israeliani è avere sicurezza, e hanno paura di uno stato palestinese. Credono che uno stato palestinese minacci la loro sicurezza. I palestinesi vogliono il loro stato sovrano, questo è il loro obiettivo. Se queste cose vengono poste come base ali' inizio del dialogo, il dialogo non può avere la sua la sua soluzione fin dall'inizio. In questo modo non potranno continuare a parlare, perché sull'ultima cosa, sulla soluzione non siamo d'accordo. I palestinesi non sono d'accordo con una soluzione che escluda uno stato palestinese; gli ebrei non vogliono uno stato palestinese. Allora cominciamo a parlare dall'inizio, non dall'ultima cosa. Allora, quando parlano, perché gli israeliani non vogliono uno stato palestinese? L'ho detto, perché hanno paura. Hanno paura perché hanno un'esperienza in questo senso. Ma se continuano nel processo di pace avranno un'esperienza diversa. Forse avranno un'esperienza positiva con i palestinesi, magari un qualche genere di cooperazione, e prima o poi il loro atteggiamento di paura cambierà. Forse in futuro accetteranno uno stato palestinese. Forse i palestinesi accetteranno una federazione con Israele, insieme. Questo è un processo e forse richiederà IO anni, forse 5, chissà ... Stare insieme non sembra più una idea popolare in Europa, vedi quello che succede in Jugoslavia, in Italia, in Germania contro gli stranieri ... Non è tanto contro gli stranieri, è più la situazione economica difficile. E' facile attribuire ad un altro la colpa. In Italia il nord dà la colpa al sud e agli stranieri, se non ci fossero stranieri o meridionali forse darebbero la colpa alle donne oppure a qualcun altro. Questo non è prendersi la responsabilità di una situazione. Sembra che sia importante avere un nemico ... A cui dare la colpa ... mentre dovrebbero prendersi la responsabilità della situazione e lavorare o per cambiarla. Cercare il colpevole significa che non stai facendo niente. E un'altra cosa molto importante: quando noi collaboriamo fra due parti, non siamo d'accordo che una parte incolpi I' altra. Prenditi la responsabilità di una situazione e fa qualcosa per cambiarla .... - CINFRO LIA ROSIMBAUM glovedi I I FIBBRAIO ore 21: Incontri di leffura MARIANGIU GUALTIIRI legge PAULCILAN lunedi 22 FIBBRAIO ore 19: proiezione video di un'intervista sulla memoria a Nuto Revelli ore 21: discussione con la partecipazione di Andrea (anevaro pressoil Centroin P.zzaDante 21,Forlì -per informaziontielefonareal 21422cera una voltanel ,~ paesedi Uz unuomodi nomeGiobbe Sfa per uscire Il primo "fasclcolodlleHuran. Verrà Inviato In omaggio a tuffi gli al,l,onafl di UNA Cfff A', col prossimo numero. PIII. GLI ABBONATI: Al,l,lamo laHo un 'Interruzione Invernale di un mese, Invece che di due In estate. Cl scusiamo con al,l,onatl e leHorl per Il mancato preavviso. Il preuo di copertina diventa di 3000 llre. Mentre l'al,l,ona• mento ancora per tuffo Il mese di lel,l,ralo e mano resta di 25000. Poi passerà a 30000 llre. 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