di un via io Una terra dura, segnata da vulcani, terremoti e inondazioni. Il rinnovamento continuo, delle strade come degli anticlti templi. La fedeltà al signore e fa sfrenata competizione. Nel racconto di Willy Signora, uno squarcio di una realtà cosi fontana e, per noi, cosi difficile da comprendere. Com'è nato questo tuo interesse per il Giappone? Ad avvicinarmi al Giappone è stato l'interesse per i "manga" (i fumetti) e per i cartoni animati giapponesi, "Goldrake", "Mazinga", eccetera, attraverso i quali ho cominciato a vedere un po' il funzionamento della cultura e della società giapponese. Poi ho cominciato a leggere i libri di Mìshima, di Tanizaki, di Kawabata e l' interesse è diventato più serio, ha perso quel tocco di esotico che poteva avere all'inizio. In Giappone sono finalmente andato l'anno scorso, dopo aver rimandato il viaggio varie volte per due motivi. Uno era il motivo economico, andare in Giappone non è certo una spesa indifferente, l'altro motivo era la paura di restare deluso. Gli autori che avevo letto, infatti, si fermavano quasi sempre prima degli anni '70, gli anni del miracolo economico giapponese, e, specialmente Tanizaki, riflettevano la cultura di prima della guerra. Ti semplice, di legno per via dei terremoti, ma sempre molto grande ed il giapponese ha fatto molta fatica ad abituarsi alle case piccole costruite in seguito al boom delle nascite degli anni '60. Quando si è là, si vede questa sofferenza del giapponese che è costretto a vivere in un modo che, nonostante se lo sia costruito, non è il suo. Ha dovuto fare di necessità virtù e questo è uno dei motivi per-cui in Giappone ho visto moltissimo verde; non mi aspettavo di vedere tanto verde e così pocliè case. disegnatore ed abbiamo avuto la sventura di capitare alle cinque del pomeriggio nella stazione della metropolitana di lkebukur, che è una stazione periferica, ed anche noi siamo stati spinti nella vettura dagli spingitori in guanti bianchi. Però, se ci vai alle dieci del mattino o alle quattro del pomeriggio, in metropolitana c'è molto meno gente che a Milano. Come dicevo avevo molta paura di restare deluso, invece. quando sono stato là, a parte l'emozione di essere nel paese che era un po' il mio sogno, la realtà ha superato ogni mia aspettativa. Molto spesso penso che parlare male dei giapponesi, come tanti fanno qua, sia quasi una forma di invidia. Dopotutto è un paese che ha avuto una storia abbastanza simile alla nostra: eravamo dalla stessa parte durante la seconda guerra mondiale, abbiamo avuto circa gli stessi danni, in più loro hanno avuto le bombe atomiche, eppure loro hanno saputo risollevarsi in modo incredibile. non solo spingitori dai guanti lìianclti . faccio un esempio per far capire la differenza fra i due periodi. Le case,,soprattutto in città, sono molto piccole e di solito i giapponesi vengono per questo presi in giro dagli occidentali, ma loro ci soffrono molto, molto più di quanto soffrirebbe per questo un occidentale. Soffrono soprattutto perché, e leggendo i romanzi di Tanizaki o Kawabata si vede bene, prima della guerra anche in città una famiglia, per quanto povera, aveva una casa, spesso su due piani. Una casa molto La nostra "verde Brianza" è senz'altro molto superiore, come densità di abitazioni, allo Y amato, che è la zona vicino a Tokio. Loro hanno concentrato tutto in queste metropoli gigantesche, come Tokio e Osaka, lasciando intatti i centri minori. Se si va a Toda o !sé, dove c'è un tempio che è alla base di tutto il culto Shinto, si scoprono cittadine deliziose. Lì la vita non è certo affannosa come a Tokio; c'é la vita di tutti i giorni, molto simile a quella dei nostri paesini, con il panettiere, il giornalaio, il verduraio, non c'è la marea di gente che si vede da noi in televisione. Certo, nelle grandi città, nelle ore di punta, la gente c'è. lo sono andato in Giappone con un mio amico Ma il prezzo che hanno pagato è stato altissimo. Ad esempio negli scritti diMìshima la nostalgia per la tradizione emerge fortissima ... In Mìshima si fondono moltissime cose. Lui era soprattullo contro la dominazione americana, ma amava moltissimo l'Occidente, aveva viaggiato in Europa e negli Stati Uniti. Da sua nonna, che discendeva da una famiglia di samurai, era stato educato ad una serie di dettami samuraici ormai in diLA BILLIZZA DILLADECISIONI Fra i testi tradizionali sulle arti marziali dell'era Togukawa, in Giappone, il Sudo sho shin shu, "Pensiero fondamentale della via del guerriero", charisce l'essenza di ciò che ci attira nell'Estremo Oriente, e fa baluginare il significato profondo di quella "tecnologia del Sé" che sono le arti marziali. Il fondatore del karate moderno, Gichin Funakoshi, ha definito le arti marziali come la via della non-violenza, /'ahimsa. Le arti marziali identificano il Giappone non solo ne/l'immaginario, ma anche nell'essenza.1/Budo sho shin shu spiega che il tempo, per ilbushi, il guerriero, deve contrarsi, deve essere anticipato, perché l'azione sia veramente efficace. Il bushi deve cioè vivere in una dimensione in cui il tempo è già da sempre finito. La prima frase di questo testo infatti recita: "Il pensiero della morte è la prima cosa che il bushi deve avere presente, giorno e notte, dalla festa del primo gennaio fino al trentun dicembre". Questo pensiero è l'altro, il rimosso, di cui si nutre chi è attratto dal Giappone. Ma i/bushi, per questo, ha bisogno di una decisione, una scelta radicale, una conversione, che viene espressa in queste suggestive parole che hanno la chiarezza del respiro: 'Nell'alternativa tra la vita e la morte, il bushi deve scegliere senza esitazione la morte. Essa ci indirizzerà sempre al fine migliore". Sono comprensibili, per noi, queste parole? Possono ancora risuonare nei nostri orecchi abituati solo a riconoscere significati? Esse dicono che esiste un'alternativa fra la vita e la morte. Il bushi è immerso continuamente in questa alternativa, anzi a volte la cerca, la costruisce: di fronte all'alternativa fra la vita e la morte il suo pensiero è costretto a fare unpasso indietro, direbbe Heidegger, è costretto ad essere autentico, nel bene e nel male. Dunque prima di tutto si deve riconoscere che l'alternativa fra la vita e la morte è nell'aria che respiriamo, è la nostra fondamentale modalità esistenziale. La decisione viene dopo, dopo questo riconoscimento che è una vera conversione. E' nel successivo tempo della decisione che emerge la necessità dell'adesione al dharma, al dovere, al modo giusto in cui l'azione vacompiuta. E il dharma fondamentale è nella scelta della morte. L'azione giusta è la scelta della morte nell'alternativa fra la vita e la morte, perché "essa ci indirizzerà sempre al fine migliore". Questo spirito del guerriero, in effetti, sgombra il campo da tante banalità e incomprensioni che in Occidente vengono spacciate per vie mistiche, come quella della non-azione. La nonazione, il wu-wei dello Zen, non è la rinuncia all'attività, o il non compiere il proprio dovere, o il non lavorare, o il pensiero che spazzare una stanza a farsi la bar(':_,s~o ~erdita di tempo. La non-azione è in realtà l'agire dopo aver compiuto la scelta della morte. E' solo questa scelta che può guidare, indirizzare al fine migliore, guidare l'azione, renderla piena di significato. In altre parole, l'azione è efficace solo quando si aderisce completamente all'essereper-la-morte, quando ci si consegna al destino. Questa scelta apre il tempo del guerriero alla felicità. Il kamikaze autentico, questo giapponese cosi "incomprensibile", questo giovane che si preparava a partire con un aereo privo di carrello e di benzina per il ritorno, che si preparava all'azione vivendo in anticipo la propria morte per mesi o per anni, attraverso una disciplina durissima, è un uomo che ha scelto la bellezza della decisione per la morte al di là di ogni calcolo, politico, militare, umano o strumentale. Non c'è niente di più lontano dal kamikaze del suicida, soprattutto il suicida del romanticismo europeo. Il suicida, Werther o Jacopo Ortis, si dichiara sconfitto in nome della vita, e cede alla disperazione, mentre il kamikaze si dichiara vincitore in nome della morte. Nel kamikaze non c'è niente di eroico: l'eroe occidentale è colui che, compiuta la missione, cerca a tutti i costi di salvare la propria vita, o tutt'al più la sacrifica (ossia la salva) per salvare quella di un altro. Dalla prospettiva del kamikaze una tale possibilità è completamente esclusa. Nell'azione de/kamikaze la questione dell'eroismo ègià stata completamente epreliminarmente risolta nella decisione interiore: un atto eroico esteriore non avrebbe alcun senso. Ora, il Giappone è un luogo altamente simbolico, poiché è la patria del kamikaze e del budo e insieme testimonia l'esplosione atomica di Hiroshima. Proprio il paese del bushido, la via del guerriero, e del kamikaze, è l'unico luogo della terra che testimonia l'annientamento tecnico di una popolazione attraverso la bomba atomica, attraverso la stessa tecnica. Non so cosa questo possa significare. Ogni risposta mi sembra banale, inautentica, o può comunque prestarsi ad errate interpretazioni. Certamente c'è una verità di questa "coincidenza", di questo "sincronismo". Ma più della verità del bushido, credo, deve interessarci la sua esistenza. Come diceva Guru Nanak, il maestro dei Sikh indiani, "niente è più alto della verità, ma ancora superiore è un'esistenza vera". Una vita vissuta in nome della verità è una vita che preserva se stessa, nel senso più nobile dell'espressione; ma una vita che decida l'anticipo della morte, una vita che aderisca allo spirito del bushido, vede la bellezza in ogni azione, ed è più grande, perché è un'esistenza vera. Ivan Zattini CO suso nel Giappone moderno ed ha tentato di riviverli per molti motivi. Non ultimo anche un certo esibizionismo: era uno che amava molto essere all'attenzione di tutti, voleva essere sempre presente, aveva anche un suo piccolo esercito privato, il "Tate No Kai" (l'"Associazionedegli Scudi"). Non per niente anche il suo suicidio, ripreso dalla televisione e che doveva essere attuato secondo le regole del sèppuku, il harakiri, è stato spettacolare: non è stato solo una presa di posizione politica, è stato anche un voler mostrare agli altri che cosa era capace di fare. Mishima soffriva molto nel vedere che il suo paese prendeva tantissimo dall'Occidente, ma non dava nulla. In Occidente c'è veramente poco della cultura giapponese, ci arri va pochissimo. Se si leggono libri come il ''Genji Monogatari", che è del 1100, ci si accorge di livelli di raffinatezza stilistica da noi assolutamente impensabili. E questa è una raffinatezza che in Giappone si è mantenuta. Ma come si manifesta? Soprattutto nelle piccole cose. Mi spiego con un piccolo fatto che ho visto. A Tokio ci sono lavori di manutenzione stradale continui, ricostruiscono sempre tutto, se c'è un buchetto loro rifanno la strada e per sovrintendere alla circolazione vicino a questi cantieri spesso vengono richiamati apposta dei poliziotti in pensione. ore di coda in strada per vedere i ciliegi in fiore Vicino ad uno di questi cantieri stradali c'era un negozio di cui stavano addobbando la vetrina e in questo addobbo c'era una pianta che non ne voleva sapere di stare dritta: il poliziotto in pensione, approfittando di un attimo di scarsa circolazione, è corso nel negozio per andare dalla donna che era alle prese con la pianta, ha messo un viticchio in un certo modo e la pianta è stata su. Sono piccole cose, stupidaggini, ma sono il sintomo di tutto il resto. Specialmente in città che hanno subito meno di altre l'industrializzazione, come Kyoto o Nara, questa estetica si respira dappertutto. A Omotesàndo, che è un quartiere di Tokio, c'è ancora la festa del ciliegio. In Aprile, quando i ciliegi fioriscono, vedi tutti che vanno a vedere i ciliegi in fiore; ore di code in strada solo per ciliegi in fiore. Questa conservazione della tradizione adesso si mischia con la cibernetica, col futuro, ma non c'è una fuga dalla tradizione per cercare i miti stranieri. Le generazioni più giovani hanno un po' l'infatuazione per l'America, ma come diventano più maturi quasi tutti ritornano alla tradizione. I giapponesi, in genere, preferiscono lasciarsi alle spalle tulio ciò che deriva dal!' occupazione americana. L'unica cosa che di questa sopravvive e prospera è il baseball, che è un mistero che non sono riuscito a chiarire. In nome di cosa si vogliono lasciare alle spalle l'occupazione americana? In nome dell'orgoglio nazionale. Per tanti anni i giapponesi si sono sentiti rimproverare l'aggressione ali' Asia e il tentativo di unificare l'Asia sotto di loro, e quindi soffrivano un po' di un complesso di inferiorità. Non dimentichiamo poi che nel '45, per la prima volta nella loro storia, i giapponesi sono stati "battuti in casa" da qualcuno ed hanno avuto gli americani in casa per più di dieci anni. Questo è un fatto che li ha traumatizzati. Altre volte nei secoli passati erano stati sconfitti, inCorea ad esempio, ma mai sul loro suolo e non avevano mai avuto una dominazione straniera, fra I' altro alluata da un nemico che sottovalutavano. Adesso. dopo tanti anni, cominciano a farsi largo non solo economicamente, ma anche in politica estera; cominciano a contare e questo li riempie di orgoglio e li spinge a riscoprire le loro tradizioni. In queste tradizioni c'è anche l'etica del "bushido", del samurai, ·ma questa come si può conservare, in un paese come il Giappone attuale? Al centro del Bushido c'è il culto della forza e della fedeltà al signore.Un signore che oggi può essere i I padrone della fabbrica come una volta era il dàimyo, il signore feudale. In questo senso non è cambiato gran che: sono pochi quelli che mettono in discussione l'autoritàdell' imperatore, nonostante non lo considerino più il figlio del cielo, il discendente della dea del sole Amaterasu. C'è rimasto questo culto per la fedeltà, per la dedizione alla causa e nei fumelli giapponesi, per esempio, questo si vede molto. Un autore come Go Nagaj, il creatore· di "Mazinga'' e "Goldrake", ha il culto della forza, della lotta e del sangue. Anche in questo campo, però, c'è una frangia che non è d'accordo col sistema, ci sono dei critici e dei ribelli. Non va dimenticato che il sistema giapponese è un sistema neoconfuciano e il confucianesimo. nato in Cina e poi trapiantato anche in Giappone, è un sistema strellamente gerarchico in cui il figlio doveva obbedienza innanzitutto al padre, poi al signore feudale ed infine all'imperatore. In Giappone, al contrario, si doveva obbedienza innanzitutto all'imperatore, poi al signore, poi al padre. In generale, comunque, si doveva rispetto ed obbedienza un po' a tutti e la famiglia giapponese era un nucleo solidissimo. Nel fumetto ci sono alcuni, come lkegami, autore di "Criyng Freeman" che è pubblicato anche in Italia, che sono molto attenti ai temi politici e sociali del loro paese. Un altro suo fumetto, "Sanctuary'', è tutto basato sullo studio dei metodi del mondo politico giapponese, sulla Yakuza, sulla corruzione. non sono rol,ot, ltanno un sacco _di dul,l,i Ma tutte queste sono sfacce11ature che riflettono. il modo di essere dei giapponesi. Il giapponese non ha un solo aspello, è poliedrico, ricco di contraddizioni; è sbagliato c·ercare la coerenza in un giapponese. Tanti pensano che siano come dei robot, che vanno avanti per la loro strada a testa bassa, un po' come i tedeschi, mentre in realtà il giapponese è sempre tormentato da un sacco di dubbi. Inversamente non sarebbe stato capace di assorbire come una spugna tutto quello che si può prendere dagli altri popo- • ~...,~ -,.,,,,, ·~ ").,.,; :-'y•:; ·"'-- "",, li, come ha fatto con la tecnologia europea e americana, per poi rielaborarla ed andare anche più avanti. Chi non ha dubbi è difficile che impari equesta è una sensazione che ho avuto in Giappone, anche se ci sono dei punti fermi, tipo il culto della famiglia, su cui il giapponese non transige assolutamente. Ma da quello che si dice, sembra invece che il maschio giapponese sia molto autonomo dalla famiglia, che stia poco in casa coi suoi ... Ma è la differenza abissale che dicevamo prima fra la grande città e le città più piccole. Le città piccole come Toba o Nara sono paragonabili a una cittadina media italiana, mentre il discorso cambia se si parla di città come Tokio, nel cui centro noh ci sono abitazioni, tranne quelle dei politici, ci sono solo uffici con dei prezzi di miliardi al metro quadro. E' chiaro quindi che chi lavora al centro di Tokio deve abitare nei sobborghi, quindi si fa due o tre ore di treno o metropolitana al giorno e questo Io spinge a stare poco a casa coi suoi familiari. C'è poi sempre la mentalità di approfittare poco del tempo libero. Il governo sta facendo enormi sforzi per convincere la gente a prendersi del tempo libero, anche le aziende non sono più in condizione di sostenere il costo di
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