Una città - anno II - n. 12 - aprile 1992

vile nella quale c'è una neutralizzazione delle convinzioni, eliminando ogni confronto delle opinioni e dei valori. La società così non è più viva, non è capace di esprimere pensieri, valori che siano riferimento per le molte espressioni dell'esistenza dell'uomo. La società civile è stata mortificata nella sua soggettività·. E a sua volta questo si è ripercosso sullo stato che ha perso il contatto con la società. In base a cosa si fa una legge? In base a una società che ti interpella, che ti chiede, che esprime degli orientamenti. non è un buon servizio alla Chiesa assolutinare il contingente Credo che questo sia il problema. Riportare al centro la soggettività personale e sociale. Ma la società civile cosa esprime oggi? La lega. Può darsi. Ma se mi è consentito forzare l'analisi, forse che la lega non esprime una reazione, certo scomposta e negativa, ma del bisogno vero di una maggiore soggettività politica ed economica? A cosa sono servite le regioni? La lega è da condannare, ma è forse da condannare anche uno stato che ha soffocato le molte soggettività della società. Oggi nel mondo cattolico si avverte un grande disagio, ma anche una grande voglia di recuperare la soggettività politica. Faccio un esempio. A livello nazionale ci sono 200 scuole diocesane di formazione sociopolitico, con 5000 iscritti. Sono segni. Vuol dire che il mondo cattolico non si riconosce più in istituzioni lontane, offensive della propria soggettività. In questo senso Cl allora? Va bene? Comunione e Liberazione ha grandi meriti, ma, mi sembra, anche un grave limite: quello di non esercitare sufficientemente le "mediazioni". Certo, a volte, a forza di fare mediazioni si dimentica la verità e il valore che si vorrebbe in qualche modo mediare, ma altre volte si rischia di appiattire l'immagine della Chiesa sulle dimensioni terrene scatenando un cortocircuito fra fede e vita, fra Vangelo e storia, fra Chiesa e società. Il Vangelo, la Chiesa, non sacralizza mai il gruppo, il partito, il potere, ma esige riserva critica nella vigilanza, nella denuncia e nelle realizzazioni storiche. il dialogo con l'altro è una delle sfide della nostra epoca C'è un relativismo che va accettato, bisogna orientare, mettere delle ipoteche sul politico e sul resto, ma il contingente non sarà mai l'assoluto. La scelta è tua, devi dire che è la tua. L'integralismo può creare situazioni di disagio. Non si fa un buon servizio alla Chiesa assolutizzando il contingente. E questo può aiutare anche in una situazione sempre più complessa, con l'arrivo di "diversi", altre religioni ... E' questa una delle sfide della nostra epoca. Porsi in dialogo con l'altro; altro perché è diverso. La capacità di accoglienza della alterità, della diversità è difficile e problematica, ma è la misura dello spessore della nostra cultura e della nostra fede. E' questa accoglienza che è capace di creatività e di arricchimento anche per questa nostra società. Altrimenti ci appiattiamo su un integralismo che ci porta alla contrapposizione. Dialogo vuol dire che sono qui anche per imparare da te. Se non c'è questa disponibilità vuol dire che è falso. LO ZERO zen come via del dubbio Leggo i giornali senza prendere nulla per vero, piuttosto cerco la ·'morale" nascosta nella metafora. così come si cerca la saggezza nelle trame ermetiche dei miti antichi. Tra le righe delle "terze pagine" trovo spesso gli indizi per delineare l'anima di questo momento storico, il suo andamento. la sua tendenza. C'è una relazione automatica tra il divenire della storia ed iImio e così succede che, leggendo. in qualche modo io mi cerco e forse mi trovo. Inquest'ultimo periodo mi sto interessando ai segni che conducono ali· individuazione di una particolare "crisi", forse una delle più insidiose: la crisi di certezza. Nelle pagine di ·•una Città" ho trovato, con piacere, la disponibilità a parlare anche di questo, e ciò è un punto a favore, purché non diventi piagnucolio. Certo dispiace che sia solo la cultura di sinistra a parlare della sua crisi, quando a ben vedere il tracollo ha un fronte ben più ampio. Oltre a questo, ci si dimentica a volte che una crisi è anche il frutto di quel!' attitudine alla critica e all'impegno acquisito proprio nella militanza a sinistra. Più spesso succede che altrove, per utilità o per paura, si attuino pratiche di camuffamento, idonee a rimuovere i problemi più che a farli evo!vere. Questa crisi, per esempio, non è una questione da poco; va capita, va vissuta; la crisi della certezza, crisi del pensiero: qualche cosa che ci farà compagnia in questa fine di millennio. Apparentemente sembra che tutto fili liscio. Dalla televisione si apprende l'immagine di una realtà sociale piuttosto coerente nella sua precisa ripartizione tra buoni e cattivi. Della storia viene fornita una versione rettilineo-ascendente come se tutto fosse destinato ali' emancipazione, al benessere. Questa visione, e i valori che ne derivano, sembrano essere sempre alla base delle scelte politiche importanti. Si vuol credere nei politici con le idee chiare, negli scienziati con le idee chiare, nei religiosi con le idee chiare. Si delega perché si spera che gli esperti posseggano quella chiarezza, quella forza che a noi manca. Nel saggio "L'uomo senza ceneu.e e le sue qualità" (ed. Laterza) Prandstraller spiega, con ricchezza di materiale, come la caduta delle idee "forti" sia oggi una condizione che interessa tutti i principali ambiti dell'agire umano, ma qualora questa caduta, per paura o inesperienza, non venga riconosciuta, si possono creare le condizioni per quel disagio sociale sotterraneo che si manifesta facilmente nella ricerca di "autorità" esterne o con gesti di aggressività. Paradossalmente, invece, chi, dolorosamente nudo, ha preso coscienza della propria condizione ENDAS Comitato Provinciale di crisi non solo si trova esposto ai lazzi di chi non ha avuto il coraggio di spogliarsi, ma sarà probabilmente l'obbienivo previlegiato di ogni sorta di esorcismo, a causa di quella insinuazione di dubbio che minaccia ogni instaurazione di sistemi "forti". Invece, la condizione dell'uomo senza certezze ha una propria ragione di essere ed una propria dignità. E' vita come tulio il resto, a volte più di tulio il resto. Si tratta di capire cosa significa quello "zero'' che ci si può trovare ad essere, capire e magari un giorno trovarsi a dire ''il re è morto? Viva il re!" La condizione di crisi pare abbia un andamento ciclico, nella vita di un individuo come nella storia del pensiero. Diversi i modi di affrontarla. Anche all'interno della sinistra, i I mondo degli anarchici era diverso da quello dei marxisti. I primi, pur facendo essi stessi attività di gruppo e pur riferendosi a specifici modelli culturali, tendevano a modellare le risposte al contingente; mentre i secondi si sforzavano troppo di costringere il contingente nelle maglie strette delle risposte. Nel primo caso l'autorità di riferimento era la "realtà", nel secondo, invece, era l"'idea". Il dinamismo dei primi era reale, ma produceva insicurezza; la fissità dei secondi era irreale, ma produceva sicurezza. Anche come individui ci troviamo continuamente di fronte a queste due possibilità. sarà perché ormai non ci sono più "palestre" dove allenarsi al dubbio e ali' insicurezza, ma pare che i più, oggi, puntino decisi verso una condizione di "sicurezza", a costo di rinunciare ad un'esperienza più concreta della vita. E' un problema di attitudine e anche di allenamento, richiede energie, curiosità, senso del gioco e poi esseredisposti a cambiare sempre abitazione al punto da arrivare a non averne più. Incamminarsi e fare della strada la propria casa. Il punto di partenza per qualcuno è la sensazione che la vita, quella vera, sia più mobilità che staticità, e ciò suggerisce l'idea che l'anima di un uomo o di una donna sia tanto più vasta del personaggio che la contiene. Un'anima tanto ampia, tanto "libera" può prevedere l'incostanza, l'incoerenza, la conflittualità; in breve la trasformazione. di fronte ali' intuizione che tutto sia "trasformazione" e che quindi tutto sia destinato a finire, anche l'idea a noi così cara di "identità" subisce un colpo mortale. E' vero, si impiegano anni e anni per formare un'identità, la si cementa con narcisismo e abitudini, poi un bel giorno si scopre che la vita èaltrove e che tutto quello che si è messo assieme è utile quanto un sacchetto di sabbia nel deserto. ci si sente cadere, una specie di vertigine. Un col patrocinio del Comune di Forlì Settore cultura PAROLE-CHIAVE Seminari sui fondamenti della storia della filosofia Terzo seminario La filosofia contemporanea Venerdì 27 marzo 1992 La questione della verità in Nietzsche, Husserl e Heidegger Relatore: Rocco Ronchi Venerdì 3 aprile 1992 Morire nel linguaggio. La parola e la cosa dopo Charles Sanders Peirce. Relatore: Ivan Zattini Venerdì 10 aprile 1992 Henri Bergson: la memoria come destino dell'essere finito. Relatore: Rocco Ronchi Venerdì 17 aprile 1992 Il tempo come luce. Heidegger e Levinas Relatore: Rocco Ronchi Venerdì 24 aprile 1992 Soggetto e fondamento tra Schelling e Heidegger. Relatore: Giampiero Moretti Giovedì 30 aprile 1992 Husserl e la dimora nel mondo-della-vita Relatore: Ivan Zattini Sonoprevistidueseminaridi interpreta1Jonedellaprassifilosofica. Tema del primoseminario, che avrà luogo presso il Cinema Saffi in data 21 e 28aprilee 5maggio alleore 17,30,è Genealogia,eermeneutica.Letture di Nlet~he (relatoreRoccoRonchi).Tema del secondo, che avrà luogo sempre presso il Cinema Saffi in·data22 e 29 aprile e 6 maggio alle ore 17,30, è Heidegger,l'Orientee ilsognodellapoesia (relatoreIvanZattini). I seminari sarannoattivati solo se si raggiungeràla quotadi almeno 10 iscritti. E' possibile l'iscrizionead entrambi i seminari. Le iscrizioni al corso e/o ai seminari devono essere effettuate entro il 17 aprile presso il Cinema Saffi (V.le Appennino, 480 - Forll) o presso la segreteriacittadina dell'ENDAS(C.so Della Repubblica,83 - Forll). B1bl1otecG8 ino l:31anco conto era leggerlo sui libri di Camus, un conto, invece, trovarcisi dentro. Eppure non ci erano estranee certe idee, immagini metaforiche come quella che contrappone alla purezza del torrente di montagna la putrescenza dello stagno. mobilità contro staticità, lasciare o trattenere, la vita e la morte. Cose lette, dette, a volte proclamate. L'epopea hippy, ad esempio, non fu forse una versione moderna del mito del cavaliere errante? L'andare. la strada, non erano forse simboli di un percorso di emancipazione che riconosceva come ostacoli ogni forma di attaccamento? Viaggi in autostop, viaggi in India, viaggi psichedelici. Un modo ingenuo di pensare alla vita, ma, proprio per questo, pulito. un modo da adolescenti, destinato anch'esso a finire, eppure può tornare utile, ora, quell'esperienzadi strada, a tutti quelli che si mettono in viaggio per amore o per forza: la capacità di vivere con poco. la disponibilità ad andare senza certezze. Voglio pensare che tulio ciò che avvenne in quegli anni non sia dimenticato, come vuol far credere una certa cultura "perbene", così come penso che tutti i tentativi fatti per avvicinarsi alla verità facciano parte di una specie di staffetta che, pur attraversando la storia, al tempo stesso la trascenda. Cambiano le forme, i modi, ma non la sostanza. Adolescenti, ancora meglio bambini, bisognerebbe ridursi ad una condizione di principianti, saper ricominciare sempre da capo, con occhi sempre nuovi, così da accogliere la vita come essa è, prima che intervengano i giudizi, le idee. Bambini, oppure adulti che hanno perso per strada le cose che avevano con loro. Persone semplici, degli "zero". Qualcuno davanti a quello zero si è fermato pensando di essere giunto al capolinea, qualcun altro, invece, scoperto con stupore che quel cerchio nel muro era in realtà un buco , lo ha attraversato e, come in un parto, si è trovato oltre, non più alla fine di una storia, ma bensì all'inizio. Lo zero, allora, appare la condizione propizia per rinascere a se stessi, il luogo di estrema libertà in cui è possibile muoverci in ogni direzione sen.za più paura. Dopo che per tanto tempo le nostre orecchie non hanno ascoltato altro che la nostra stessa voce, insisten'temente, dopo esserci riempitj la vita di cose nostre, solo nostre, quello zero arriva quasi come una medicina. Nel silenzio della caduta di noi, in quello zero che rimane si ripristina delicatamente un dialogo sincero con la vita, che non credevamo attuabile. Allora è anche possibile piangere, perché è vero che di quel monologo di tutta una vita si era intimamente stanchi, oppure si può ridere, pensando a come ci sia voluto tanto per capire da dove provenisse quel senso di solitudine, quel sentire la vita così distante. ViuorioBelli • prossimo numero: AMBIINrr cu,ruu AGGRISSIVITA' intervista a Giorgio Ceffi I' GIUSTO CANALIZZARE I ,1UMI? dibaHito fra tecnici del seffore KYBIRPASS le impressioni di viaggio di Libero Casamurata RICORDARSI il resoconto del convegno sugli eccidi del 44 a ,orli UN DIO DI POCA FIDI Stiamo assistendo ad un'impressionante fioritura di movimenti, gruppi, sette religiose che al di là delle loro differenze esprimono tutte in modo sempre più evidente la Loro pretesa di affermazione alternativa e di conquista del mondo. Sembra quasi che tra le diverse crisi che stiamo attraversando, anche la coscienza religiosa subisca la tentazione di se stessa e del proprio potere; magari abusando delle indubbie contraddizioni del mondo moderno. La seconda tentazione di Cristo: il potere sul mondo. Dal "Dio d'America", come una decina di anni fa intitolava un suo libro Furio Colombo, ali' emergere imponente del radicalismo islamico, all'affermarsi sempre più incisivo in Israele del Gush Emunim (letteralmente: "blocco del/afede")fino ai più vicini movimenti cristiano-europei di presenza e di militanza politica è tutto un pullulare di questi movimenti e un profilarsi vasto e unitario di una comune coscienza religiosa che lascia pe1plessi, suscita domande, richiede comprensione. Al di là della sua estrema diversificazione è importante individuare il comune denominatore, l'immaginario sacrale che lo sottende, la somiglianza dell'idea di Dio che ne è al fondo e all'origine. Vedere gli alberi, ma anche il bosco: capirlo come insieme globale e non conoscerlo solo nell'analisi particolare. anche perché proprio così in una prospettiva unitaria, se ne può avvertire più chiaramente la pericolosità fondamentale: "gli errori dei filosofi sono solo ridicoli, ma quelli della religione sono pericolosi" ammoniva già Hume due secoli fa. Chi è religioso sa la potenza del sacro e condividerà questo giudizio di un filosofo scettico. tanto più poi se si considera di questo fenomeno così ampio il suo lento ma costante e progressivo sviluppo, segno indiscutibile della/orza, non necessariamente della verità, delle sue ragioni. Fin dagli anni 70 sta salendo questa "rivincita di Dio", come significativamente l'ha chiamata Gilles Kepel. Non si tratta dunque di semplice attualità. Queste "religioni dello smarrimento" come dice Kepel, testimoniano a loro modo il malessere sociale profondo che stiamo attraversando; i loro discepoli sonofigli del nostro tempo. E' giusto quindi riflettervi su, senza naturalmente lasciarsi andare a complessi d'assedio o a timori ingiustificati ai quali si reagirebbe con atteggiamenti uguali. Talora si tratta di movimenti ancora marginali, sette più o meno volontariamente separate dal contesto sociale in cui viviamo. Comunque ne va accolta la sfida. Ci sono poi anche delle contraddizioni nella loroprassi. Anche se si pongono come alternativa radicale del mondo moderno, non ricusano poi concretamente di servirsi dei suoi vantaggi; nella loro immacolata separatezza dalla società neopagana non si sentono per nulla imbarazzati ad usarne gli strumenti (e i finanziamenti). Anche queste incongruenze e compromessi, a parte ogni giudizio morale sono segno e spia dell'ambiguità della loro natura: si tratta di una nuova emergenza del sacro, più che di espressione di autentica religiosità. Il sacro combatte e assorbe il profano, lo aggredisce o lo utilizza senza rispetto "consacrandolo" ai propri fini. Diversamente il "santo" delle autentiche religioni non concorre con ilprofano, rna convive; non lo distrugge, ma lo feconda con i propri valori. Con un'analisi attenta, esemplare e suggestiva Kepel, che insegna al "Institut d'études politiques" di Parigi sa indicare il denominatore comune di questa variegata rivincita di Dio, o piuttosto di questo ritorno del sacro. L'informazione precisa e lo studio globale ne garantiscono l'onestà del giudizio. Resta tuttavia ancora aperta la domanda sul chefare. E le risposte dovranno necessariamente essere altrettanto globali e profonde quanto è grandioso l'immaginario di questi movimenti. Non possono bastare risposte specifiche per ciascun caso; probabilmente si dovrà offrire un'alternativa globale di fondo, laica e religiosa. Per esempio, almeno. in Occidente, il "vincolo della democrazia" impedisce che un partito cristiano si proponga di attuare un'organizzazione sociale su una verità esclusiva (pag. 117). In questo non c'è solo un vincolo pratico ma una scelta storica di valori etici. Ma al di là di queste risposte etiche dovrà essere proprio l 'autenticità dellafede afarsi carico del problema, cercando credibilità e linguaggio non certo polemico, ma sicuramente alternativo; ad una intensa religiosità si dovrà proporre un'autentica fede, più amica dell'uomo, ma anche più esperta di Dio e del suo mistero. "L'ombra di Dio" è staro appunto il tema di un recente convegno. Da parte sua Sergio Quinzio ha da poco pubblicato un volumetto che èproprio l'altro della supposta rivincita di Dio, intitolato "La.sconfitta di Dio". Non si tratta di un gioco letterario. Ricco di cultura biblica e di esperienza storica, Quinzio si pone proprio la domanda critica per qualsiasi radicalismo religioso: che ne è staro delle promesse storiche di Dio? Alla fine del secolo due immagini di Dio si confrontano: l'onnipotenza di un Dio grande e lo scandalo della croce di Gesù. La sconfitta di Dio può rivelarci non un Dio lontano, su cui conviene tacere, ma piuttosto un Dio diverso e più vicino al dolore dell'uomo. Sergio Sala LA TUASTORIA I' LA MIA o LA TUASTORIA I LA MIA? Ho avuto occasione di leggere il testo di un'intervista a F. Tosquelles, personaggio importante nel panorama della psicoterapia istituzionale, che ha operato per anni nell'ospedale psichiatrico di S. Alban, facendolo divenire punto di riferimento fondamentale del movimento di trasformazione dei vecchi ospedali psichiatrici francesi nel dopoguerra. Fra le altre mi hanno colpito alcune parole, a proposito dei luoghi in cui è possibile iniziare con qualcuno un percorso di ricerca della saggezza, del senno, dell'arte di vivere, riportate in un paragrafo titolato: riformulare le condizioni della libertà. Tosquelles propone di considerare ogni luogo come possibile spazio d'incontro con l'altrodiverso da me, fino a riconoscere se stessi in ogni realtà. La libertà è la possibilità di poter passare da un luogo all'altro dal centro ai suoi dintorni "...Se partecipate a diversi spazi allora ogni volta che rientrate "chez vous", quando rientrate nella notte di voi stessi, allora Il vi dite: "sono io". Io sono lo stesso! Vi definite cioè come soggetto direi responsabile: letteralmente da "Res" la cosa -la posizione della cosa. "Responsabile" vuol dire che vi identificate con la posizione della cosa interna a voi, da dove sporga il vostro essere soggetto ..." Essere in diversi spazi come occasione per riscoprire ogni volta se stessi. Fra questi spazi ce ne è uno privilegiato che è quello del primo incontro, ma in ogni passaggio di questo percorso è in gioco l'identità in relazione alle domande: chi sono io?, cosa faccio qui? Trovo in questa messa in gioco non un elemento di pericolo ma anzi di possibile arricchimento di evoluzione che trova sostegno nella presenza di elementi che ricordano la storia personale, gli oggetti ecc. Vorrei provare ad operare un collegamento fra le parole di Tosquelles e la vicenda di Lorena Anderlini. Lorena è madre di Luigi, ragazzo down che attualmente frequenta il secondo anno di scuola superiore, ed è anche autrice di un libro. In questo libro sono raccolte lettere e riflessioni scritte dalla nascita di Luigi fino alla conclusione del ciclo scolastico dell'obbligo. Il tema dell'incontro con l'altro e dell'identità accomuna Tosquelles e Lorena. Ogni madre incontra il proprio figlio in maniera unica ed originale, come è sottolineato dalle parole di F. Dolto riportate nella prefazione del libro: "...ogni genitore deve adottare ognuno dei suoi figli: non abbiamo mai i figli che ci immaginiamo; dobbiamo riconoscerli, accettarli uno ad uno, e riconoscere ed accettare noi stessi come genitori di ognuno d.iloro...". Per un genitore di un bambino con deficit questo incontro diventa più difficile e un motivo può essere individuato nel fatto che tanti percorsi sembrano già prestabiliti dal!' esterno, riducendo le storie di ognuno in categorie prevedibili a cui sono permessi solo certi tipi di comportamenti e che devono attuare solo certi tipi di scelte. L'autrice non si ferma a queste condizioni ma manifesta anzi tutto il proprio disagio per le categorie: "...spesso ho sentito dire che i genitori dei bambini handicappati sono handicappati loro stessi. A parte la frase poco felice, può anche essere vero... e certo lo diventano quando sono costretti ad assumere sempre la mentalità del perdente, dello sconfitto, di chi non può chiedere perché ... di chi non può lamentarsi perché ... (pag. 96)". La riflessione però non si ferma al fastidio ma supera la chiusura della crisi verso la possibilità di poter rappresentare se stessi e la propria vicenda in un altro modo: "Ecco i momenti (in cui non si da niente per scontato, della critica) che avrei voluto vivere come mamma di Luigi, ma che ritengo essere fondamentali per chiunque voglia affrontare in maniera coshllttiva e reale il problema dell'handicap. E tutto questo senza crociate, senza richieste spasmodiche di aiuti dovuti, senza leghe di infelicità, ma nella vita quotidiana, inserendo questo impegno, pur cosl grande, nella attività di tutti i giorni, senza dover rinunciare alla realizzazione personale, alla propria dimensione che può anche non essere quella di Mater dolorosa. Il problema infatti è anche coshllirsi una forza che permetta di avere una propria vita, che sappia accogliere suggerimenti e tecniche senza esserne stravolta". Ritrovo in queste parole l'invito di Tosquelles a percorrere più spazi e a ridefinirsi ogni volta. La stessa vicenda che si può cogliere nel libro ne è un messaggio: ai momenti di crisi spesso fanno seguito nuovi slanci in avanti. In particolare esistono alcuni momenti chiave, come ad esempio la scoperta che un altro ragazzo down ha scritto un libro. Da qui la speranza racchiusa nelle parole: " ... è riuscito ad avere una sua vita, un suo destino. Ho ragione quindi a non disperare, di non rassegnarmi, nel volere che Luigi abbia una vita degna del suo nome". La lotta di questa madre è per l'identità del figlio e per la propria anche in opposizione ad un sistema di idee che vuole per ogni problema una sola ed unica soluzione. Riapre ancora una volta il tema dei metodi di riabilitazione ritenuti perfetti indiscutibili calati da luoghi lontani e "sacralizzati". E' una riflessione non nuova a queste pagine. La storia di Luigi e Lorena e delle persone a loro vicine potrebbe essere letta come legata in modo indissolubile senza alternative. Il loro messaggio è che le scelte possono essere condivise, partecipate in un cammino che contempli allo stesso tempo la libertà e la responsabilità. EnricoLombardi UNA CITTA' 1 5

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