Una città - anno II - n. 10 - febbraio 1992

B PERCHE' PARLIAMO rANro DI EBREI Perché parliamo ranro di ebrei ce lo chiedono inmolti. Ma come sospettando che ranra insistenza da parte nostra celi qualcosa di tenebroso. Quasi fossimo lo11ta11i disce11de111i di quei marrani spagnoli che, obbligati a convertirsi, continuavano poi in segreto a celebrare il sabato. Qualcuno ha adombrato che questo "avvicinarsi" a Israele via Auschwitzfosse un eccesso dell'ormai imperante zelo da "sinistra in crisi". Un altro ha tagliato corto: "gli ebrei ora vanno". Ma è strano che sul finire del secolo si tenti di discutere di un avvenimento che ha segnato la storia de/l'umanità, avvenuto sollo gli occhi dei nostri genitori, mentre abbiamo ancora la possibilità di parlarne con gli ultimi testimoni? Epoi non basta aprire un giornale in q11esti giorni? E siamo veramente sicuri che scoprire una lapide ai martiri ebrei di Forlì e prima, casomai, parlarne nelle scuole, sia meno importante, e senza scherzare affatto, di una qualsiasi opera pubblica, che fosse pure la costruzione di un teatro da miliardi e miliardi? E importante non già da un punto di vista morale, che non ci sarebbe neanche da stare a discutere, ma proprio da quello della fu/lira qualità della convivenza, e quindi della vita, di una cillà. In questo numero intervistiamo due signori molto affabili, che abitano a pochi chilometri da Forlì, che annoverano parecchi familiari perdliii ad Auschwitz. Ci hanno spiegato di qua/Zie cose minute si n111rauna persecuzione e per quante, altrellanto piccole, si possa aver salva la vira. Ebbene a noi sembra strano che questi signori non siano mai stari invitati in una scuola superiore a parlare ai ragazzi, a tenere una grande lezione di storia. **** Il Rabbino dice che chiedersi cosa avremmo fallo in situazioni simili è la domanda principale. Ce la facciamo da tempo. Abbiamo passato serate a discutere cosa avremmo fatto sentendo il frastuono delle vetrine in pezzi del negoziante di sotto. Eil giorno dopo? E quando il negozio veniva riaperto da un altro esercente? Come ci ha spiegato il nostro amico che insegna a Princeton massime còme "non fare agli altri quello che non vorresti che gli altri facessero a te" e "la mia libertà finisce eccetera eccetera" funzionano solo se tulli le rispellano. Che non basta non esser prepotenti. ma bisogna impedire Laprepotenza degli altri. E che per questo possano o debbano bastare i carabinieri non è solo un problema tecnico. Sempre a Princeton, afilosofia politica. discutono in aula cosa significhi politicamente quel che si farebbe in metrò imbattendosi in uno stupro di gruppo in allo. Quando ce Lo eravamo chiesto noi, uno ammise che forse avrebbe fatto finta di 11011 vedere, un altro che avrebbe fatto di 11111p0er intervenire per salvare se non altro il rispetto di sé, ma un terzo si lasciò sfuggire che si sarebbe messo a correre per andare a chiamare i carabinieri, e a correre forte ... Non parliamo poi di quando una maggioranza decide democraticamente di diventare prepotente, coi carabinieri a tenere l'ordine nuovo. In Germania ora c'è chi vuol far passare come una specie di resistenza antinazista la non-collaborazione di tanti tedeschi. Tipo che molti giovani continuavano ad ascoltare jazz. Che è vero, peccato che non sia stato sufficiente a non far portar via il compagno di st11di. E allora? Scendere mentre stavano distruggendo le vetrine poteva voler dire il /ager,forse lamorte sul posto, eprobabilmente senza ottenere alcun risultato visibile. Eppure il problema resta. Forse ci siamo ormai abituati ad una libertà slacciata da responsabilità non più richieste ad alcuno, forse 11011è LIII caso che si parli quasi solo di "diritti" mentre il sopruso imperversa e che parole come onore e disonore siano in totale disuso. Che in nome del cosiddetto "valore della vita•· il grido più nobile dell'uomo che si alza in piedi sia risuonato capovolto: "meglio schiavi che morti". Cos'è allora libertà? Sartre disse che il massimo di libertà ci fu solto l'occupazione na:isra quando per un francese decidere se salutare o no una persona conosciuta poteva essere questione di vita odi morte. Pensiamo che siano questioni lontane anni luce? **** Abbiamo giovani amici tedeschi. E abbiamo sempre discusso, cmche con accanimento, del carcutere dei tedeschi, della loro responsabilità collettiva, che avevano rimosso, che 11011avevano pagato abbastanza. Quasi a incitarli a scavare nella storia dei loro genitori, ad indagare sull'origine dei gioielli di famiglia, sui passaggi di proprietà della casa in cui erano cresciuti. E la più timida perplessità avvalorava il peggior sospetto. Ora ci risentiamo stonati. Accusare gli altri è sempre attraente, ma ancor più se dà occasione per squadernare delle carte in regola, con su scritto. nel caso in questione, "brava gente, 1101r1azzista, non antisemita". Ma 1101è1 forse vero che in tutta Europa, nel dopoguerra, la demonizzazione del tedesco sen,ì addirittura aripulirle, le carte di tutti? Basta andare a vedersi cosa amavano fare i patrioti lituani nelle pubbliche piazze. Si portavano anche i figli piccoli, che non dovrebbero aver dimenticato lo spettacolo. (Leggere se interessa "Bei Tempi", editrice La Giuntina "). Allora scoprire l'eccidio di via Seganti, scoprire che in via Seganti c'erano italiani. che gli ebrei venivano anche arrestati da italiani. spesso su denuncia di italiani. che a Forlì funzionò 111p1iccolo campo di co11ce11tra111e11t1o0, 11 è stato cosa da poco. Ma più grave ancora è stato scoprire che noi 1101l1o sapevamo, scoprire che di questo eccidio Forlì non porta memoria. Abbiamo chiesto ai nostri genitori, abbiamo chiesto in giro. Nessuno ne sapeva nulla. Sette donne fucilate dovrebbero "fare notizia", ma per loro non c'è neanche una lapide in via Seganti. Al quartiere Resistenza, a meno che non ci sia sfuggita, non c'è via intitolata agli ebrei trucidati in quello che dopo le Fosse Ardeatine e il Lago Maggiore. è il terzo eccidio in Italia per numero di ebrei caduti. Una semplice dimenticanza? Ma app111110I.nutile trovare scuse. Abbiamo anche qui la riprova che lo sterminio degli ebrei in Europa è stato considerato una "cosa a parte". 11nfa11oche riguardava loro e che pilÌ di tall/o nonfaceva neanche notizia. Allora aveva ragione Hitler pensando che per gli ebrei si sarebbero sparse poche lacrime? Ed è quella indifferenza che/a impressione. Se poi si ha il sospello che da allora. in fatto di indifferenza, si siano fatti passi da gigante ... Da tu/lo ciò la decisione, un po· anomala per noi, di "impegnarci,. anche al di là del giornale. **** Un conoscente, anche in1el/ige111e. per niente razzista, parlando della giomata che stiamo organizzando è sca11a10: "gli ebrei? Non mi in1eressa110! ". Di lì a un minlllo, però. eremo state delle le parole "Rockfeller" e ''rabighi110"e le frasi "sparano sui palestinesi" e "puzzano". Q11es1'ultima cosa perché, in metrò a New York in pieno agosto, c'era LIII ortodosso con soprabito e colbacco di pelo. A parre che "perché puzzano" è da sempre una delle frasi preferire da ogni razza di razzista; a parte che per avere un 'idea di quanto sia relativo il conce Ilo di "puzzo" basta chiedere a w1 giallo. che per rau.a 11011 suda, cosa significhi per lui star di fianco ad un bianco qualsiasi. sia pur irrorato di Chanel. Ma ammesso anche che al nostro amico l'odore del signore "ortodosso" risultasse sgradevole, sarebbe il caso che prima di riempirci la bocca di indignazione antiraz:isra ogni volta che succede 1111 farwccio, ragionassimo sullo scenario che ci piacerebbe vedere entrando in 1m qualsiasi vagone di me1ropoli1a11aoccide11tale.Non è un problema da poco. Perché se poi la comunità che preferiamo è una comunità di eguali, co11 lo stesso odore. lo stesso cibo. gli stessi abiti, gli stessi dei. allora meglio dirselo chiaramente, ma avendo anche l'onestà di riconoscere che Hitler un problema in Europa ce l'ha risolto. Se altrimenti sia inevitabile 1111caomunità in cui ognuno è diverso dagli altri, dove. con tu/ti i rischi di perdita delle identità, si diffondano i matrimoni misti, oppure ancora. se sia possibile una "comunità di comunità", malgrado 1111te le tensioni che si potranno creare, • 2 UNA ClffA' sono i problemi che .1·1c111110 a1ta11a-glia11dogran parte del mondo. Ma mm era poi concesso che quel signore "ortodosso·• p11zzasse. Perché spesso decidiamo "pri111a ". Perché 1111col-• bacco di pelo in agosto puzza agli occhi già a venti 111e1rdi i distan:a. Niente di grave. 111sae poi, senza sapere nulla della storia de/l'ebraismo americano, decidia1110 che gli ebrei a111erica11siono /LIiiiRockfeller e se, senza mai aver co11osci1110 LIII ebreo, decidiamo che sono 111tti''rabighini", in questo peraltro confortati dal vocabolario dia/e/tale, affermare che in questo "decidere prima" ci sia 1111 piccolissimo, microscopico "prodromo di pogrom" sarebbe dire troppo? Forse sì, 111au11 problema c'è. Ovviamente il conoscente ha rige11a10 con sdegno l'accusa, considerata infamante. di antisemitismo. **** Alcuni di noi da sempre parteggiano con i palestinesi. E nel passato è capitato che qualcuno si sia 111essoa 111is11raroegni cosa che faceva Israele col bilancino, an:i. con la pesa usata per giudicare la Germania di Hitler. Ora al 111011deo.proprio dopo Auschwitz. non si può escludere più nulla, neanche LII/O Sterminio di palestinesi, ma neanche, visti i rapporti di forza nella regione, 1111 nuovo sterminio di ebrei. E che a sinistra questa possibilità quasi 111acroscopica non sia mai stata presa in considerazione fa pensare. Nona//'a111isemi1ismocasomai, ma a 1111 a111iamerica11ismotal111e11c1ie co da far dimenticare Auschwitz. Poi se si vuol giudicare, bisogna. essere esaui. L'abuso di parole che ad alcuni 1101c1osta nulla ad altri/a male. Allora Sabra e Chatila, che resta una delle pagine più nere del dopoguerra, andrebbe co1111111que paragonata a Marzabo110. Così come le stragi di Tali el Zatar e del Settembre Nero commesse da siriani e giordani. Mai ad Auschwitz. Ma la cosa che conta è chiedersi chi giudica chi. Allora un certo accanimento, /'asso/1110 disi111eressea capire anche cos'è Israele. la sua storia e la sua psicologia. un certo compiacime1110q. uasi 1111 · impazienza nel voler dare dei nazisti agli israeliani, di dimostrare che le vittime 1101e1rano 111egliodei carnefici. 11111q0uesto oggi suona 111p1o' sinistro. Meditiamo sul vivo compiaci111e11toche provava 1111SaS ancora sicura di sé. tronfia e ben saziata, dedita caso111aia qualche buon commercio di ricavati da sele:ioni, difronte al/a vili ima che in lolla per la sopravvivenza si abbassava a commeuere al/i disumani. **** Il signor Matatia al sindaco di quella che la sua famiglia un tempo considerò la propria comunità non chiede molto. Che venga tenuta pulita e leggibile la targa che sul ponte di Faenza ricorda chi lo costruì: la Brigata Ebraica che co111ba1tèa fianco degli alleati per liberare la Romagna. Ma non pare sia stato ancora acconte11ta10.Ma ci ha anche raccontato la sua amarezza per il fauo che i giovani. anche ebrei, 1101s1i i111eressi110 più di 1<1111q0uaello che successe allora. Al signor Ma1a1ia periodicamellle imbrauano le vetrine del negozio. E/ 'ultima volta. per la guerra del Golfo, insieme alle seri/te antiebraiche e alle minacce di morte, c'era anche 1111 ··cane israeliano". Ovviamente in nome dei palestinesi. E' stato a quel punto del racconto che il signor Ma1a1ia ha aggiunto con 1111pa11111dai orgoglio che quel "cane israeliano" infondo 1101g1li aveva dato fastidio. E al mo111e111d0i accomiatarsi, al/'i111ervis1a1riceha regalato una bo1tiglie1taco111w1i i colori delle terre di Israele. una di quelle cose che incantano i bambini. Allora /'i111ervista1ore. da sempre filopales1i11ese,si èfauo piccolo piccolo e si è sentito irrazionalmente corresponsabile di qualcosa. E sulla via del ritorno ha pensato a come sia/acile proclamare solidarietà ad 1111d0ei tanti popoli oppressi che ci sono al mondo quando non si rischia nulla. Meno che mai di dover leggere sui muri della propria città minacce di morte al proprio figlio. E che certo 11011lo dimenticherà. il moto d'orgoglio del/ 'a11~ia110sopravvis.rn10. del "cane israeliano" che era 1111 bambino quando perse dicio1to parenti ... CO UN GIORNALI Ad un anno dalla sua uscita, ci siamo ritrovati attorno a un tavolo a discutere del giornale. Con Giorgio Calderoni e con Gabriele AttilioTurci, di cui, la volta scorsa, avevamo pubblicato le lettere. Quella di Giorgio, inparticolare, moltocritica, sappiamo che aveva raccolto vari consensi fra i nostri lettori, nonché fatto discutere anche noi. Nella speranza che continui, riportiamo la discussione nelle sue parti essenziali. Libero: Fin dall'inizio ci si è rifiutati di ripetere l'esperienza dei giornali locali precedenti, soprattutto perché non ci pareva che fosse il momento di ricadere nel solito riportare quel che accade in consiglio comunale o parlare di manifestazioni di un certo tipo. Ci siamo trovati d'accordo di privilegiare l'aspetto dell'intervento sul sociale; abbiamo cioè creduto che, più che parlare dello scontro fra forze politiche, fosse interessante indagare su quelle associazioni o persone che in qualche modo operano su questo terreno; questo spiega le pagine sulla droga, sugli handicappati, sulla bioetica. Non vogliamo considerare la "politica" in quanto tale, anche se non manca, come nel caso del dibattito sulla "fine del comunismo". Certo si può obiettare che essa non ha sul giornale un rilievo sufficiente, data l'importanza dell'argomento. Alla domanda "dove vogliamo andare", secondo me si può rispondere riaffermando che si vuole dare senso, valore, ali' intervento sociale, anche se non c'è l'obbiettivo di uno sbocco politico o di un intervento sociale organizzato, né da parte del giornale né della cooperativa. Che poi le varie iniziative del giornale, la prevalenza sul giornale di alcune cose su altre, possano dare la sensazione di una intenzione specifica è comunque qualcosa che va oltre le intenzioni del giornale. Può anche succedere, come qualcuno ha detto, che finiamo per fare propaganda indiretta per Comunione e Liberazione, ma è certo che il nostro intento non è quello. Quel che da parte nostra è certo è il non voler escludere a priori nessuno, che non vuol dire farsi portavoce di tutti, ma indagare su tutto. Giorgio: su quanto Libero diceva ali' inizio è ovvio che non ci sono problemi, dò per scontato che iIgiornale, pur fatto da gente di sinistra, non è orientato nel senso di una politica partitica e si occupa di politica solo in un certo modo. Io vedo due piani: voi dissodate molto in profondità e questo è un lavoro indispensabile, a livello locale e non solo, ma forse non c'è bisogno solo di questo, io vedo anche la necessità di lavorare su un piano intermedio, è per questo che ho fatto quegli esempi nella lettera. Chiedo se il piano che propongo io e quello che scandagliate voi siano complementari in uno stesso foglio. Si parla spesso di "urgenze", urgenze etiche o morali, ed io ho l'impressione che dissodando così in profondità si rischi di perdere il tram, qualche appuntamento. lo sono ancora "fissato" su certe cose; sono ancora convinto che rispetto ad alcuni avvenimenti un po' di tempestività occorra. Questo mi pare il punto. Mario Tronti teorizza che per trent'anni bisogna solo studiare, forse questo lo può fare qualcuno, però le cose vanno avanti. Certo nella mia lettera la questione della religiosità era messa in una maniera un po' cattiva, ma mi pare di avvertire una punta di ricerca voluta, quasi una specie di "rifolgorazione a ritroso", un voler trovare compenso alle delusioni passate. Può essere solo una impressione mia, ma mi pare che ci sia il voler cercare le grandi risposte, le grandi cose, che si ripieghi su questo piano; mi pare che un filone illuminista manchi, che manchi un po' di razionalità. C'è tutto questo tormentone che va anche bene, ma che rischia di essere una sorta di "nostalgia" per cui si taglia di netto con quello che in qualche modo si è stati, con ciò da cui si proviene. Mi pare invece che questo legame ci sia bisogno di riaffermarlo ancora oggi. Il problema è vedere se sul giornale c'è questo spazio. Franco: Un anno fa l'interesse verso chi, animato da fede, andava nel sociale non era da parte mia molto convinto ed era motivato soprattutto dal fatto che si parlava del sociale. Oggi vale l'inverso; mi interessa molto di più cercare di capire perché nonostante la ragione (ed io sono uno di quelli che nella ragione ci ha creduto tanto perché, secondo me, era la cosa migliore che tutti avevamo e potevamo usare) c'è questo ritorno alla fede. Una fede che non è solo religiosità, che è comunque molto importante e si sta diffondendo, quanto fede in senso forte, cioè il bisogno di credere in qualcosa che, anche se non lo sai definire, diventa normativo per la tua vita. Questa questione mi si è evidenziata lavorando nel giornale e, pur essendb un agnostico non in crisi, è diventata uno degli interessi più sentiti che ho in questo momento, al di là che questa fede si esprima o no nel sociale. Continuo anche ad essere convinto che la politica sia il nostro destino, nel senso che, vivendo con gli altri in società, anche se noi non ci occupiamo della politica è la politica che si occupa di noi; tuttavia quel che ora possiamo fare mi sembra sia vedere cosa significa "politica" a tutti i livelli. E allora, per esempio, scoprire che, a fronte del venir meno della presenza di chi solo pochi anni fa era nelle piazze, sta crescendo più o meno sotterraneamente, spesso con le stesse persone, una aggregazione sull'onda della fede è per me ungrosso interrogativo, mi pare importante chiedermi, e chiedersi, perché invece di cercare di elaborare un "modo" diverso della politica, invece di interrogarsi più a fondo, tanta gente senta il bisogno di trovare una risposta forte. E questa è senza dubbio una questione politica. Quanto poi all'investigare su un piano intermedio c'è da dire che, secondo me, in ogni questione ci sono svariati aspetti, molti dei quali celati, ma che possono mettere in una luce diversa la questione più apparente e quindi cambiare il tuo agire nella realtà stessa. Per spiegarmi: sarei ben contento se venisse fatta piena luce sulle stragi, ma mi importa ancor più capire come può un essere umano, che certo non è "trinariciuto", mettere una bomba e poi la mattina farsi tranquillamente la barba; cosa lo anima? Cercare di rispondere a queste domande, o comunque renderle evidenti, mi pare abbia più significato che fare un corteo contro il razzismo; il che non vuol dire che il corteo non si debba fare, solo che è importante farlo sapendo il più possibile quale è il complesso di cose che sta dietro al motivo dichiarato per cui si va in piazza. Il "taglio" di "Una Città" è tutto qui, nel cercare, a volte certo prendendo anche degli abbagli, di guardare dietro alle cose. E, paradossalmente, per fare questo è necessario uscire dalla logica "emergenziale" proprio perché siamo nel1'emergenza. Gianni: Noi abbiamo fin dal1' inizio scelto di non fare un giornale localistico, scegliendo invece il locale come motivo di una riflessione più di fondo. Quando Giorgio nella lettera parla del comportamento dr Comunione e Liberazione bisogna dargli ragione se in un certo atteggiamento si riscontra un'intolleranza del tipo "bruciare i libri". Però mi interessa anche capire le motivazioni di questo comportamento. E allora, per dire, scoprirei che C.L. rifiuta drasticamente di porre al centro la questione morale ed io, paradossalmente, perché mi sento lontanissimo da C.L., sono d'accordo con loro. Perché mettere al centro di tutto il fatto morale non dice nulla. Sulle stragi chi è che si mobilita? I familiari, coloro che esistenzialmente sono stati colpiti. E qualcun altro, quasi tutti quarantenni come noi, che vissero quel periodo con grande passione politica ed esistenziale. E' una indignazione così pulita, da "cittadini"? Non c'entra anche tutta la nostra storia? La stessa cosa può valere per don Ciotti; tu dici che forse noi lo abbiamo trascurato perché prima fa lavoro sociale poi è prete; ma io mi chiedo quanto conta realmente la fede in quello che fa? Ma potrei rivo)tare la domanda? Non è che per certa sinistra, quella sì folgorata sulla via del solidarismo cattolico, un prete valga solo se va dai drogati? E in quanto a valenza politica, non è che Don Femicelli ne abbia meno di don Ciotti. I carismatici, soprattutto nel mondo protestante americano, hanno cambiato molto. Ancor più, ovviamente, fondamentalisti ed integralisti. La "mora! majority" ed il fondamentalismo religioso sono stati i grandi elettori di Reagan, il reaganismo nasce quindi sull'onda di un fortissimo ritorno al puritanesimo e queste non sono sciocchezze. E allora se a Forlì ci sono trecento carismatici, non cambia niente che loro rifiutino qualsiasi discorso politico, come si fa a dire che non sono rilevanti? Poi l'esempio, che tu vedi come il più clamoroso, delle gomme tagliate: anche a me sembra un segnale sinistro, ma è il primo che vediamo? Non può essere che non siamo stati capaci di vedere gli altri o che spesso ci Ricordate! Questo è il punto decisivo. Al di là della vecchiaia, degli anni, della scomparsa del testimoni dlreHI. (Jean AmeryJ Nel settembre del '44, diciotto ebree ed ebrei furono fucilati a Forlì. Quel fatto, immaginato solo lontano da noi, è avvenuto anche da noi. E lo si è dimenticato. 1992. Forlì, via Seganti FORLI', 13 FEBBRAIO '92, GIORNATA DI RICORDO, DI RIPARAZIONE, DI RIFLESSIONE Alla mattina. Salone Comunale, ore 10 Incontro fra gli studenti medi e il Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Ferrara e delle Romagne, Luciano Caro. Al pomeriggio. Sala Gandolfi, c. Diaz 45, ore 16. Dibattito su persecuzioni razziali in Italia ed eccidi. Parteciperanno Liliana Picciotto Fargion, Paola Saiani, Fabio Levi, Gregorio Caravita. Coordinerà Mauro Pesce. Alla sera. Salone comunale. Ore 21. Dibattit? su r~zzisn:io,antise?'itism~ e rimozion~ con Liliana Picciotto Fargion, Paola D1Con, Enrico Deagho, Dav1dMeghnag1, Fabio Levi. Coordinerà Gianni Sofri. UNA CITTA'. in collaborazione con: Associazione di AmiciziaEbraico-Cristianadi Forlì. Associazione ItaliaIsraeledi Cesena, IstitutoStorico Provinciale della Resistenza. Col patrociniodi: Comunedi Forlì. Provincia di Forlì. Facoltà di ScienzePolitichedell'Universitàdegli Studidi Bologna. Provveditorato agli Studi di Forlì.

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