Avete sempre fatto questo lavoro? Manfrìgul: sempre! Mio nonno, mio babbo, mio zio. Noi siamo proprio di ceppo ortolano, il mio povero nonno lo faceva proprio dove adessoc'è Villa Serena, dal Piazzale di Ravaldino lungo il fiume, costeggiando le mura della città, sfruttando il lato sud dell'orto per avere le primizie. Ortulèn: le vecchie mura della città facevano da paravento, erano messe verso nord, in quella zona ci batteva il sole di primavera, eradetta "la costiera". Manfrìgul: sfruttando le acquedel canale al sud piantavamo i finocchi, a nord l'insalata, perchè i finocchi avevano paura del freddo. Una volta stavamo attenti al sole, sapevamo bene dov'era il nord e dov'era il sud. Casomai oggi lo sapete meno voi che avete studiato. Facevamodei fossetti, delle cunette asecondadelle esigenze. Ortulèn: si faceva un solco, praticamente, fatto in un modo che aveva un tantino di riparo. lo, gli altri col somaro, o seno lo portavamo a mano addirittura, andavamo fino alla città. Questo in che periodo? Noi abbiamo smessonel 1954, l'abbiamo fatto per trent'anni, noi eravamo ancora bambini, ci scendevamo tutte le sere, due viaggi tutte le notti, io ricordo che portavo il lume a petrolio. Ortulèn: passavanoi vigili tutte le sere e se passava una macchina doveva essere segnalato il mezzo, quindi ci volevano due uomini col lume, uno di dietro e l'altro davanti al biroccio, oppure, a volte, se ne metteva uno solo a metà. E andavate a svuotare i pozzi neri, i gabinetti delle case? Adesso non si potrebbe più fare... brucerebbe ogni cosa,ci sono degli acidi. Ortulèn: ORTI, PO.Z.ZINERI E ODORI DI CAMPAGNA intervista a Gaspare Gardini, deffo Ortulen, ex-ortolano e oggi furgonista e a Vincenzo Manucci, deffo Manlrigul, ortolani da generazioni E per il problema concimazione? lì poi, "succedeva un altro programma", la faccenda del pozzo nero. Si andava con labarilla, o il bigoncio, mastello o il barilotto con duemanici. Manfrìgul: ci si andava, gli ortolani più buoni con il cavaiAdesso è subentrata la faccenda del bagno, una volta c'era la latrina, si andava nel cortile. Per le pulizie al massimo avevano un secchio d'acqua, adessoci sono detersivi, acidi muriatici, non è più il pozzo nero, è un miscuglio di acidi. Aveva puzzo anche allora, ma era una cosa diversa. Misto a questi acidi, diventa una cosa disgustosa, una volta non era puzzo, era profumo di campagna. veniva svuotato ogni tre-quattro mesi. Manfrìgul: una volta c'erano quegli animalini con la coda, li avetemai visti? Erano loro a "mangiarsi" le feci, adessosono morti e si è sbilanciata ogni cosa.Perdire, quando ho ristrutturato la casa, per la fogna l'architetto ha fatto mettere giù dei tubi da trenta e io gli ho detto: "cosa devo passarci io" e lui "i tempi sono cambiati". "Cos'è, è cambiata anche l'acqua?" E lui "certamente". Adesso è acqua nera, ma una volta se passava in quattro o cinque travalli, l'acqua del pozzetto era buona da bere, tanto lavoravano questi animaletti. Ortulèn: sul pozzo nero si toglieva la botola in cemento, talvolta in legno, nel giro di quattro mesi si era formato un crostone colore marrone-nero, di 15-20 centimetri in base al numero della famiIl pozzo nero doveva subire una stagionatura, come il letame? Macerava pian piano, .-----------di Roberto Balzan• ODORI DI CITTA ' Non c'è nulla di più artificiale, forse, dell'idea di una casa, di una città pulite, asettiche, "batteriologicamente pure". Il moderno criterio di inquinamento o di degrado, fondato com'è sul mito apparentemente raggiungibile di un microcosmo urbano senza formiche e senza acari, dove perfino la lotta contro il pulviscolo atmosferico può ben giustificare l'accanimento di uno stuolo di volonterose casalinghe televisive, inconsapevoli sacerdotesse della verginale, luccicante purezza di quel fantasma d'origine che è il monolito nero di Stanley Kubrick (qui assunto come involontaria, ironica metafora d'un bisogno primario e ancestrale di pulizia); il moderno criterio d'inquinamento, si diceva, tollera a stento la minima alterazione del vago profumo di bucato dal quale è ormai costantemente narcotizzato il nostro "senso comune dell'odore". Eppure, proprio l'ampio spettro di sollecitazioni olfattive, il rapido alternarsi di effluvi e miasmi,avevacontribuitoasegnareper secoli la qualità del "vissuto" dentro la cinta delle mura. Per la verità, la città premoderna non aveva conosciuto spazi "incontaminati" dal prepotente diffondersi degli odori: se un solo elemento può consentire di abbozzare uno schizzo capace di rendere il fervore di attività coagulate all'interno del borgo, questo è proprio la contiguità di mestieri, di ceti, di commerci en plein air, senza soluzioni di continuità, senza mortificanti cesure fra ricchi e poveri. Solo con il periodo napoleonico e con la Restaurazione, ad una prima razionalizzazionedellospazio urbano infunzionedi nuove "variabili" (il "decoro" e l'igiene anzitutto), avrebbe fatto da contrappunto un primo tentativo di interpretare il "lezzo ammorbante" dei tuguri o delle fogne -in una parola: l'odore del degrado- come sintomo di un malessere sociale, incompatibile col volto dinamico e "borghese" di una Forlì ormai awiata verso il traguardo della modernità. La cruda mentalità conservatrice degli amministratori pontifici, ad esempio, avrebbe suggerito, nel 1841 , di prescrivere ai carri carichi di letame in uscita dalla città un itinerario preciso, che si snodava, guarda caso, attraverso gli isolati più poveri e depressi di Schiavonia. Alla segregazione topografica dei ceti subalterni, sanzionata dall'incapacità di agire sulle condizioni sociali ed infrastrutturali degli isolati malsani, l'élite notabilare locale finiva, così, per affiancare una sorta di divisione del lavoro applicata ai diversi ambienti, ispirata ad una rozza ed inconscia "fisiologia urbana", nel cui ambito alle zone "a rischio" di Schiavonia sarebbe spettato l'espletamento delle funzioni più degradanti e ripugnanti, come l'evacuazione dei rifiuti prodotti dal "corpo" sano di Forlì. A distanza di quasi mezzo secolo, sul finire dell'Ottocento, nuovi notabili, ormai consapevoli della centralità acquisita dalla "questione sanitaria" nell'ambito dell'auspicato "decollo" industrialee commercialedella città, avrebbero riaperto la bottiglia degli odori sgradevoli, incalzati da un'opinione pubblica borghese già omologata, quanto a gusti e a mentalità, alla cultura igienica diffusa ovunque da un'ampia e capillare letteratura popolare. Ch'l'inglesa ch'a strabghé dmenga matena / In zir cun la pariglia d'e' Murett / L'ha dett: "Paese sucido", l'ha dett, / Par-ché un s'trova nè un bagn nè una latrena. Così, ad esempio, suona l'incipit di un sonetto di Olindo Guerrini dedicato al fetore della "sua" Ravenna: una testimonianza ironica ma inequivocabile sull'insufficienza delle più elementari infrastrutture igieniche pubbliche nella profonda provincia rurale dell'Italia umbertina, ancora segnata dal tifo, atterrita dal fantasma del colera e percorsa dai miasmi degli scoli, dal sudiciume dei canali, dal lezzo nauseabondo dei rifiuti. E mè ai ho arspost: "In quant ai bagn, babena, / Un i'è nisson paes ch'as staga impett / E s' un basta e' canel d'e' Mulinett/ Ui è tott e' Cangian fen a marena. Quant'a latren us chega da par tott / Mo caso mai s'an vò mustré la lazza/ Ui n'è ona dal Scol ch'ui chega tott". Anche a Forlì, sia pure su un piano più pratico, ben lontano dal tono lievedell'irreverente denuncia di Stecchetti, il dibattito si accese intorno all'ubicazione delle latrine municipali. Di orinatoi, in centro, ce n'erano parecchi, mentre esisteva una sola latrina in via Stallacce (ora via Allegretti), proprio a ridosso di piazza Maggiore. Fin dall'agosto del 1885, il presidente della commissione sanitaria, dottor Violani, aveva proposto al sindaco la costruzione di altre tre latrine nel quartiere più degradato (in via Bacilina, dietro la chiesa di Schiavonia e in via Curte), sia per offrire un servizio alle famiglie disagiate, sia per owiare al problema di quella esistente; ma, ancora nel maggio del 1890, il dottor Bertaccini, ufficiale sanitario pro tempore, era stato costretto a denunciare l'"immenso danno" che la struttura fatiscente di via Stallacce procurava agli isolati finitimi. La giunta ne avrebbe deliberato la "rimozione" solo nel 1894; nel frattempo, però, Carlo Giovanardi, proprietario di un caffè aperto nel palazzo Serughi, proprio sulla piazza Vittorio Emanuele, si era rivolto al sindaco perché l'orario di svuotatura del pozzo nero della latrina fosse posticipato alle due di notte, "onde evitare così disgusti e nausea nellasua numerosa clientela". Segno che "fetori" ed "esalazioni insalubri" cominciavano ad essere percepiti, anche dalla gente comune, come l'alterazione sgradevole di una condizione "normale" dello spazio pubblico, asettico, e "inodore". Del resto, lo spostamento del mercato in piazza Garibaldi, e la destinazione della piazza Maggiore a "salotto" di Forlì imponevano una diversa dislocazione dei luoghi "indecenti": la distruzione delle latrine in via Stallacce rispondeva, quindi, ad un nuovo progetto di intervento sulla topografia "sociale" del centro storico. L'antica promiscuità premoderna fra ricchi e poveri, cementata dalle immondizie e dalle strade puzzolenti, arretrava ulteriormente verso Schiavonia, mentre la zona ad est dell'asse Porta Mazzini-Porta RavaIdino tendeva a potenziare la propria fisionomia di cuore del potere amministrativo ed economico, attraverso un'attenzione più accentuata all'igiene e al "decoro". Anche gli odori, nella Forlì di fine secolo, testimoniavano le differenzedi status o di classe fin nei viottoli meno battuti, certificando, di volta in volta, il ''trionfo" della borghesia igienista o il degrado in cui marcivano il proletariato e gli ultimi irriducibili brandelli di un modello di società urbana ormai al tramonto. Bih . 6 UNA CITTA' glia, alle dimensioni del pozzetto, erano pozzi in case private? in città, nei cortili delle case, la gente al mattino vi svuotava il contenuto dei vasi da notte. E questo crostone marrone, quasi nero, lo vedevi che si spostava continuamente, erano questi animalini bianchi chemangiavano le feci. Manfrìgul: al mondo ci vogliono proprio tutti, la natura è unciclo, non c'è niente da fare, è bilanciata al millesimo, ci vogliono tutti, sembra impossibile. Noi, per esempio, diamo della calciocianamide ai carciofi, perché, dicono, che non ci va più il sorcio. Ma è chiaro che non ci va più il sorcio perché muoiono i lombrichi, la talpa non ci va più perchè mancano i lombrichi, e senzail solco della talpa il topo non passa più, perchè il topo cammina sul solco della talpa... Perchélacalciocianamide hadel "carburo", unacosache fa morire i lombrichi, edè solo per quello che il sorcio non ci va più. Insomma è tutto un ciclo chesi è interrotto, equesto è avvenuto circa trent'anni fa. Ovviamente usavamo anche il letame. Il letame lo pagavamo seerabuono, seeracalli vo non ci andavamo per niente, poi quando andavamo a prendere del letame c'erano dei birocciai qui alla porta di Ravaldino, c'erano delle buche che erano alte e larghe due metri, dovevamo andarecol forcale a mischiare perchè il letame bruciava gli occhi. Era il letame della stalla? sì, letame di bestia, cavallo specialmente. E per i pozzetti c'erano delle regole?Ortulèn: anzitutto c'erano degli orari, non si poteva uscire prima delle nove di sera, d'inverno alle nove e mezzo, d'estate alle undici e mezzo, per ragioni d'igiene pubblica, per il cattivo odore. Trasportavamo unbari Ionedai "pozzi neri", in via Pelacano, dove c'erano delle cisterne immense. Aspiravano tutto e lo rovesciavano là perchè, in certi momenti dell'anno, non si sapeva dove metterlo; poi dal di lì lo portavano via, I' inverno andava per concimare erbe mediche o d'estate, lo stendevano nei campi nelle stoppie, che dopo veniva "lavorato" nell'aratura. Noi andavamo nei nostri orti portando con la carriola un bigoncio piccolo e con la ramina se ne dava un litro ogni piantina. Quando avete smesso di usare i pozzi neri cosa avete adoperato come concime? Manfrìgul: i prodotti chimici. Non si poteva più per il costo della manodopera, per il puzzo, le pocheore adisposizione; il letamelo usiamoancora,però combinato coi prodotti chimici. Una volta usavamo il letame per fare il letto caldo ai pomodori, alle melanzane,alla frutta. Adesso ci sono le serre, una volta si andava a prendere il letame, non al massimodella fermentazione perchè faceva troppo calore, si facevano le mucchie e ci si buttava il terriccio. Per vedere se bolliva bene si infilava un bacchetto dentro al letame; lo bagnavamo perchè doveva andare in fermentazione, perchè se asciutto, specialmente il letame di cavallo che ha molte calorie, non andava in fermentazione e bisognava bagnarlo, perchè nel bagnato ci sono i microelementi che lo fermentano. Per bagnarlo usavamo l'acqua dei pozzetti, che l'aiutadi più. Noi avevamo un pozzetto, dove mettevamo il letame, erasigillato, seci si metteva sopra un lume a petrolio prendeva fuoco, era il gas. Adesso cambio discorso, ma a Porto Garibaldi, mio cognato e tre soci possedevanounastalla con cui volevano produrre la luce col gasnaturale, avevano questi pozzetti dove mettevano il letame, il letame fermentando doveva fare il gas e accendere la luce. Ma questo letame non bolliva, "tramescola che ti tramescola", non bolliva ancora. A vevano fatto i pozzetti e poi ci avevano dato del catrame, dandogli il catrame morivano i microelementi e non andava in fermentazione. Come abbiamo già detto, tutto in naturaènecessario. Dicevate delle serre? Occorreva molta manodopera, bisognava montare le vetrine che sono un metro di lunghezza e dovevano essere pareggiate in altez- ~ ~~ ~~~ eKJl!e.YeG1t Erboristeria - Prodotti naturali - Shiatzu FABBRI Dr. Enrico Forlì - via Albicini, 30 (ang. via S. Anna, 2) Tel. 0543/35236 ~ , tto DIM..RIRBO..O.•LAI CCESSCQI PELR'A ~org o BBIGLIMfl.lTO • VIANICCG1OE'NT8IALI SANTSAOFoIA=oo•.nrn1usLoADOMJIJICA, ILM RTPEODI' M:RIGGIO, ILGIOVBP)OI'OIGGIO [;iii BORGOTTO • DIMJ/IEL ROOL• IACCESSCQI PELR'ABBIGLIMENTO • VIANICCG1OE' NTI8LAI• SANTSAOFIA {FOO_•I') rn1usLoADOMENICA, ILM ARTEPDOI'OIGGIILOG,IOVEPDOI'MERIGGIO [;iii BCQGOTTO • DIMl.RIEL ROOL• I ACCESSORI PEL'ABBIGLIAMB'JTO • VIAN ICC1GOE' NT8IAL•ISANTSAOF(IFA00.•.1r1nll6OLADOME NICIALM, ARTPEODMI' ERIGGIO, ILGI VEPDOI'MERIGGIO [;iii BOR GOT•TODIMJ?IREOL O.•LAI CCESSCQI PELR'ABBIGLIMENT O• VIANICQGO'ENT8IAL• ISANTSAOFIA !FOR•Ll'l rn1uso LADOMB-JICA, ILM RTPEODVI' ERIGGIO, I~ , LGIOVEPDOIM' ERIGGIO[;iiilBORGOTTO DI ~org otto za, e fare il "letto caldo". Non ce ne voleva nè poco nèmolto, troppo terriccio non va bene, con poco si brucia. Ortulèn: trenta cm. di letame bollente, caldo, e i suoi quindici cm. di terriccio, perchè seerano venti era esagerato,era un bilanciamento di cose dettato dal1 'esperienza, tramandato di generazione in generazione. Una volta preparato tutto, alla Madonna del fuoco (4 febbraio) si faceva il semenzaio, poi dopo un mesetto si faceva il primo trapianto dei pomodori e poi si ripiantavano ancora, perchè la pianta trapiantandola, fermava la vegetazione e irrobustiva di gambo e di foglie e veniva più compatta, poi si metteva nel campo. Dal quattro febbraio si andava a finire verso fine aprile. Invece adesso,non trapiantandola, la pianta, soprattutto lo zucchino, fa troppe foglie. Fa anche gli zucchini, ma è meno produttiva. L'annaffiatura, poi, le prime volte, veniva fatta col secchio, per non agghiacciare il terreno. Manfrìgul: quando trapianti la piantadevi trattarla male, perchè lei pensi che stia per morire, in questo modo fa più frutti, lega meglio col terreno; più tardi, se tu non togli gli zucchini dalla pianta, essa muore perchè pensa di aver portato a buon fine la sua prole, invece noi le rubiamo i figlioli e lei fa sempre i figlioli, cioè altri zucchini. E la selezione la facevate voi? Ortulèn: nei piselli, per esempio, si lasciavano due fila sen.;; za raccoglierli, si raccoglievano i baccelli migliori ... una selezione naturale quindi? Sì naturale.I sapori eranodiversi, il "naturale" eramigliore, specialmente lo zucchino e il pomodoro. 1 trattamenti erano minori, solo verderame e calce. E altri trat-tamenti antiparassitari? Si faceva !"'acqua" mettendo a mollo dentro una cisterna di cemento un legno amarissimo, legno quassio, affettato con l'accetta, IO Kg. ogni 5 quintali di acqua. Una volta, durante I'invasione dei tedeschi, mancò il legno quassio, arrivò una ondata di pidocchi che stavano mangiando tutti i peschi, ma, per fortuna, sopraggiunse un'invasione di coccinelle che mangiò i pidocchi. Altri rimedi naturali erano allora il riso avvelenato (la risèna) per il grillotalpa, la calce viva per i lumacotti, la mettevamo noi bambini. Una volta c'erano delle vecchiette che vendevano le lumache in piazza, le andavano a prendere nei frutteti, ma questo commercio venneproibito perché le lumache assorbivano il veleno e lo trasmettevano. Una volta c'era la "farlota", "la verta" in italiano, un rapaceche mangiava il grillotalpa, la cicala; erano uccelli, ghiotti d'insetti echesono spariti. Poi la biscia, il rospo che mangiava quegli animalini chedanneggiavano la radice del finocchio, del sedano, la corteccia dell'insalata; i I ranocchio mangiava gli insetti; il ranocchio del prato, il "saltapré", di colore marrone, stava sempre all'ombra, gli dava fastidio il sole; i rospi giganti, le "pidinazi"; la cinciallegra mangiava gli insetti anchedella frutta; il "coltort", il formichiere. E' cambiato il modo di vedere la frutta? Ora si dice "la mela è bella, colorita", magari è piena di veleno, una volta non si guardava se la mela era bacata. La frutta si vendeva com'era, anchebacata,era più scadente, ma meno avvelenata, lo stesso discorso vale ancheper le verdure. Ortulèn: il grande cambiamento è stato più nella frutta, sonocambiate tante varietà, non c'è più la mela renina, per esempio, la verdura è, più o meno, la stessa. Rispetto ad una volta, è che ci sono più qualità di frutta, più belle, senzabacatura,mameno resistenti. Facciamo un elenco delle vecchie qualità di frutta ... Manfrìgul: la mela cotogna, la renetta, la durella, la volpina, la perabresciana, la peramora. Anche nelle verdure? Sì, d'insalatec'era la lattuga, l'indivia, il lattugone e la rifolina. Una volta tutto erapiù piccolo, mancavanogli ibridi, in questi giorni ho visto una verza di 4 Kg., era un ibrido, una volta erano più piccoli e più tardivi. Adesso la gente guarda alla bellezza, una volta, invece, si teneva conto del peso, della quantità, non della qualità. Sono diventati tutti più esigenti. Forse perchè la gente era più povera, aveva fame e pensava più alla sostanza, a spendere poco? Vendevamo i tocchetti, parti di frutta e verdura andate a male, adessoguai a venderli; però vedo che c'è un ritorno all'antico. La gente incomincia apensaremeno alla bellezza del prodotto e di più al gusto: in piazza ho venduto delle patate più piccole, ma più naturali e la gente è tornata a comprarle. Ci sono altre qualità, più grandi e più belle, ma han meno sapore. E' cambiato tutto: una volta, fino agli anni Cinquanta, vendevamo anche lesusinecadute dagli alberi, non facevamo la selezione, adesso sarebbe inconcepibile; erano le susine "mercuriali", perchè prendevano il nome dai susini del chiostro di S. Mercuriale. Mio babbo vendeva della roba che adessolo prenderebbero a bastonate. a cura di Giorgio Bacchin, Roberto Borroni, Graziano Fabro Coop. Centofiori I.AB. ART. fITOPREPARAZIONI ViaValDastico4, -forli-Tel.0543/70'l66t • Produzionedi estrattiidroalcolici n diluizione t:10 da piantafrescaspontaneao coltivatasenza l'utilizzo di prodotti di sintesi. • Opercoli di piantesingolee formulazioncionutilizzo di materiaprimabiologicao selezionata.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==