Una città - anno I - n. 8 - dicembre 1991

Cosa vi dicevo prima? Uno zingaro, tre ragazze trentine ... E in pochi anni questi movimenti hanno invaso tutto il mondo. Il problema è lasciar fare al Signore e non pensare di essere noi a fare. "Voi siete messaggeri" ha detto Gesù. Quando non c'è questa fede ci si rifugia nei poteri umani. alla maffina • un signore con 85 milioni ... Una volta l'ho sentita dire "far terra bruciata di noi stessi". Intendeva questo? Perché se tu dici a uno "vedi, nel nome di Cristo" non devi piùesistere sevuoi che lui veda. Qui davanti alla parrocchia c'è un bimbo che era diventato cieco ... i genitori disperati e il signore ha fatto un segno: alla sera ha riacquistato la vista e i dottori non ci hanno capito niente. I genitori hanno avuto un segno forte. Abbiamo avuto guarigioni di cancro, eccetera, ma questo non vuol dire, perché tutti possono farlo. E' scritto "nel mio nome fate questo". Imponete le mani e comandate. Però ci vuol una grande fede che vuol dire annullarsi, scomparire. Se dici "lo faccio questo'' allora non va bene, il Signore non può operare. Una parentesi. Cos'è questo diavolo? Anni fa era andato in disuso. Ora? Era andato indisuso perché ce l'hanno presentato sempre con coma e coda, una cosa da bambini. li diavolo è una cosa seria. E' una creatura molto superiore all'uomo, libera come l'uomo, che si è ribellata a Dio. E' scritto nella prima pagina nella Bibbia, il diavolo ha fatto una catechesi tutta falsa al primo uomo e alla prima donna e ci ha messo nei guai tutti. E continua così questa lotta fra l'uomo e il diavolo. Ma Cristo è venuto a salvarci, ha detto "Io sono venuto a darvi potestà e autorità sui demoni, voi li potete cacciare semplicemente dicendo nel nome di Cristo vi comando di uscire" ... l'esorcismo ... ma esorcisti siamo tutti. li Vangelo di Marco termina così: chiunque crede inme farà dei segni miracolosi. Primo, caccerà i demoni. Secondo, parlerà altre lingue nuove. Terzo, renderà innocuo qualsiasi veleno mortifero, qualunque serpente. Imporrà le mani ai malati e guariranno. Quindi esorcisti siamo tutti. Poi ci sono esorcismi solenni, per possessioni diaboliche molto forti, aJlora è bene che il vescovo dia il permesso. Ma per le infestazioni normali, visto che tutti siamo infestati dal diavolo, tutti possiamo fare esorcismi. E' vero che avete iniziato vent'anni fa in un negozio? E' vero, per due anni in un negozio. Poi dopo non ci stavamo. Ci siamodettiche senon veniva fuori un altro ambiente, una comunità parrocchiale non poteva nascere. Ed è venuto fuori che c'era questo capannone, di un poltronificio fallito. Andava all'asta il giorno dopo, per 85 milioni, vent'anni fa. E noi non avevamo neanche una lira. Allora siamo stati tuIla la notte a pregare nel negozio. Alla mattina si è presentato un signore, con 85 milioni inmano, la persona più impensata. Siamo corsi dal vescovo, e in curia non volevano crederci, ma entro mezzogiorno iIcapannone era della curia. E adesso è la più bella chiesa di Romagna! Perché non ha cupola, non ha campanile, non ci piovedentroe lagente sta qui ... Se io dovevo costruirla l'avrei fatta così, non è più tempo di cupole, di campanili. In qualche caso forse, ma Cristo ha detto che non vuol queste cose. Quindi lo squallore di cui si diceva prima... sì, piace a Cristo. Anzi, dovrebbe essere ancora più spoglia ... A me ha colpito anche la semplicità, la sobrietà della Messa. E poi il fatto che la gente può intervenire durante la Messa. L'ho fallo fin da vent'anni fa. lo parlavo con lagente, lagente poteva dir quello che voleva. Trent'anni fa, conservo ancora l'articolo del Corriere del la Sera, nella cattedrale di Barletta, durante la Messa, uno ha alzatola mano, volevachiedere qualcosa al prete. L'hanno arrestato e poi condannato per disturbo di funzione pubblica! Hai capito? Incredibile. Il dialogo è lì nel Vangelo, Cristo non insegnava niente se non dialogando ... Diceva "che ve ne pare, che dite, cosa pensate. Perché ci sono infiniti punti interrogativi che pone le gente. E la gente deve essere ascoltata. Lei ha parlato di comunità al plurale. E' per via del numero? Che deve essere su "scala umana", come lei ripete spesso? Esatto. Su scala umana. Una chiesa domestica. Gesù ha detto "voletevi bene uno con l'altro". Se siamo cento, mille come faremmo? Una fratellanza molto concreta, "materiale". E quella "universale"? Certo. La fratellanza universale è una bella parola, ma non c'è. a cura di Michele Fiumi, Marco Lega, Gianni Saporetti CASSARURALEDARTIGIAN-AFORLI' NEL CUORE DELLA CITTA' Pest Control Igiene ambientale ■ Disinfestazioni • Derattizzazioni • Disinfezioni ■ AJlontana111ento colo111bl da edifici e 111onu111entl ■ Disinfestazioni di parchi e giardini • Indagini naturalistiche 47100 Forll -viaMeucci,24 (ZonaJndustriale) Tel (0543)722062 Telefax(0543)722083 U PASSIONI PRIMA DEGLI ARGOMENTI Andrea Brigliadori ricorda don Mario Ricca Rossellini In questo anno 1991, credo al principio dell'estate, Pierantonio Zavatti ha stampato a sue spese un libro: Sentiero fra le capanne. Vita e opera di don Mario Ricca Rossellini. Piùche di un suo libro, si tratta di una molto documentata raccolta di testimonianze, fotografiche e scritte, direttamente legate alla figura di don Mario. Da qualche anno Zavatti si dedica lodevolmente a questo tipo di lavoro: ricercare, raccogliere, antologizzare, compilare, prefare, pubblicare e firmare.Così sono nati in anni recenti, se non ricordo male, compendi antologici di temi di studenti della scuola media e di lavori, ancora studenteschi, per concorsi dedicati alla Resistenza e sma particolari, la cui vita fu segnata dalla croce indelebile e inesauribile della vocazione. E certo andò molto vicino a quella "sete del martirio" di cui parla Dante a proposito di san Francesco. Giustamente nella sua prefazione Zavatti elogia il pauperismo francescano di cui fu intrisa l'anima di don Mario, con la stessa forza di contestazione e volontà di contraddizione dell'ordine borghese di cui fu capace l'antico santo medievale. Tuttavia un po' lontano, o almeno diverso, da quella "povertà patita con orgoglio" che è lo spirito laico del Quartiere di Pratolini, a cui pure fa cenno Zavatti. Né ci fu in don Mario quella / determinazione intellettuale e ideologica che fu invece di don Milani (apparentato a don Mario da Zavatti), per quante revisioni oggi se ne possano fare. C'è in tulle le parole di don Mario, anche le più contestative, una mitezza che le distanzia dalla durezza aggressiva e persino beffarda degli interventi più "militanti" e impegnati di don Milani. Ma certo ci furono consonanze, e la discussione è aperta. l'Africa, furono passioni prima che argomenti. Io andavo a trovare don Mario di tanto in tanto alla Cava nel 1954 e 55. Era una festa. C'era ancora la "capanna" di cui parla Zavatti. Ne ricordo la tonaca lisa, il corpo minutissimo e ossuto, la povertà del cibo che talvolta mi faceva condividere, la miseria, quasi, dei suoi arredi personali. Ne era del tutto incurante. Parlava piuttosto, instancabilmente e in letizia, del progetto della chiesa, della onestà della gente, dei bisogni dei poveri, da cui faceva dipendere molte delle loro trascuratezze morali e religiose. Non gli importava che si convertissero, gli importava che parlassero con lui, di potergli dare una mano. La chiesa, di sostanza e di fatto, sarebbe venuta dopo. Come infatti venne. Parlava dei comunisti come di gente perbene, era con loro, e loro con lui, nel rivendicare diritti a quella neonata borgata di periferia. Ricordo che era estremamente ingegnoso nelle tecniche dei materiali e del loro uso. Inventava e faceva quasi tutto da solo, e te ne parlava con compiaciuto entusiasmo. Così fu, mi pare, anche inAfrica. lo avevo sedici, diciassette anni. Avevo conosciuto don Mario a Meldola, nel 1950, nella parrocchia di san Francesco. lo dodicenne, come tutti i miei compagni, frequentavo I' "oratorio" della parrocchia, mescolando insieme in quella pratica un po' di tutto: la messa, il pallone, le bambine, il calciobalilla, il pingpong. Con ignara naturalità indifferenziata. Arrivò don Mario e ci fece tutti aspiranti di azione cattolica. Imperativamente. Riunioni, gruppi di lavoro, esercizi spirituali interruppero e limitarono tassativamente lo svago e il perditempo. Don Mario aveva occhi ceruli, ridenti e un po' freddi in quel brillìo delle lenti. Noi di Meldola fummo la sua prima missione, in cui impegnò quella sorta di sorridente intransigenza che sarebbe poi stata un tratto di tutta lasua vita. Anche verso sé stesso. Ancora da Meldola, nel 1951,mimandò a un campo estivo dell'azione cattolica al passo Falzarego. Conservo ancora i quaderni di esercizi spirituali che si alternavano alle escursioni e alle "scalate". Lassù conobbi, in quell'anno e nei due successivi, Sergio Sala, Lamberto Valli, Massimo Foschi. Era una scuola di azione cattolica in quegli anni di spirito di crociata (di cui noi in verità eravamo abbastanza ignari). C'erano alle pareti quadretti con figure di adolescenti accompagnate da motti che noi imparavamo a memoria. Ne ricordo uno: "L'aspirante è primo in tutto per amore di Cristo re". Ma devo a don Mario il mio primo incontro con le Dolomiti, e dunque quell'amore per la montagna che non mi avrebbe lasciato più per vent'anni. Venuto a Forlì nel 1951, ritrovai don Mario, e quei quadretti, nella "sede" di santa Lucia. Don Mario, cappellano nella parrocchia più "borghese" di Forlì, fece lì la sua seconda missione: molto pingpong, molto biliardo, molto pallone, e per la prima volta molta televisione, in una saletta buia e greve dove ci si radunava tutti prima e dopo le funzioni religiose. E don Mario era lì a scuotere invano quella indifferenza "borghese". In tutte le sue riunioni batteva un solo tasto, quasi ossessivamente: il sesto comandamento, gli atti impuri, il problema della purezza. Ci indicava i quadretti appesi alle pareti, con volti angelici di adolescenti puri. Tormentava e si tormentava. Cadde una volta dalla tasca di uno di noi, giocando, una figurina da collezione: un'attrice americana in costume da bagno (intero). Scattò, la raccolse, si sdegnò, la strappò con violenza, a nostra mortificazione e vergogna. Nessuno, se poteva, si confessava da lui. La purezza gli ardeva mistica negli occhi ceruli. Quando se ne andò alla Cava trovò lì, credo, quella verità di impegno umano e cristiano che aveva sempre cercato. Non i riti stantii ed opachi dell'azione cattolica, ma la verità evangelica dei poveri. Ed a quella si attenne, facendosi povero tra i poveri. E fu alIora, credo, felice. Come poi, credo, in Africa. Conservo qualche sua lettera e cartolina. Gli ho voluto bene, non senza qualche soggezione erispetto. Anche se quando a sedici anni gli chiesi la Bibbia da leggere, mi disse che era troppo presto. Quella unica volta che tornò dall'Africa, andai a sentirlo parlare in sala Gaddi. Gli chiesi se gli premeva più il rispetto e il sostegno alla cultura africana o l'opera di evangelizzazione. Mi rispose che prima venivano gli africani, e solo dopo, se accadeva, la loro conversione. Questa era la sua idea di missione. li messianismo woityliano della evangelizzazione, o della ri-evangelizzazione, era di là da venire. Nellafoto in alto:donMario Ricca.Al centro la "Capan11a" dellaCava. Le foto sono tratte dal librodi Pierantonio"Zavatti alla Liberazione. Arricchiti, s'intende, da prefazioni e interpretazioni dello stesso Zavatti. Tutto ciò a conferma di una autentica vocazione pedagogica di padre e di insegnante che fortemente ne marca la personalità, e di una comprensibile ambizione bibliografica e letteraria. Per l'accento particolare con cui viene proposto, ogni "suo" libro si carica inoltredi un valore sincero di testimonianza. E ha il merito di indagare e privilegiare quelle umili cose che altrimenti, manzonianamente, non avrebbero dalla storia la degnazione di un cenno o di uno sguardo. Eppure è in esse, manzonianamente, la voce profonda della storia. Ma il libro su don Mario è qualcosa di più: è scoperta, riconoscimento ed omaggio ad un uomo che ebbe virtù e cariQuanto al "misticismo" di don Mario, non so quanto esso fosse interiormente profondo, ma certo misticheggiante era il timbro, l'ardore, l'enfasi quasi della sua parola. Più che convincere, voleva entusiasmare. Usava passione, più che argomenti. O perlomeno gli argomenti lo interessavano meno della passione. La Cava, -------------------intervento VIA BERTINI, 49/A · FORLI' - TEL. 0543/795796 DISCBOAR MANDIAMO I BAMBINI A11 'ORATORIO "'Lacosaalmondoche ascoltapiù sciocchezzeè un quadro di un museo". dicevano all'incirca a metà dell'Ottocento i fratelli Goncourt. Questa osservazione qualificava la presunzione e il conformismodi un pubblicoborghese di ristrettevedute intellettualie pocopropensoadaccettare ciòchesidiscostavadalpacificoe gratificanterealismodel quadretto di genere.Oggi inveceil conformismosembraesprimersicon il silenziosoconsensoversotutte le novitàartistiche.E' semprepiù difficiletrovare il coraggiodelle proprieopinioniestetiche.C'è un diffusoscoraggiamentoe pudore amostrareciòchesisentedi fronte alle opere d'arte. E questo fenomenoèparticolannenteaccentuato quandosi tratti di artecontemporanea, di manifestazioninon ancora conosciutee codificate nei manualidi storia dell'arte. Il disagio è ulteriormenteaccentuato dal fattoche semprepiù spessoi contenitoridi queste opere sono exedificidi cultoo palazzinobiliari che incutono reverenza, timore,eperciòrispettososilenzio. Ciò, a mioavviso,è in nettocontrastocon lo spiritodiffusamente ludicodi gran parte dell'operare artisùcocontemporaneoa,ncorché investitodi intenzioniepifaniche e parasacrali. Il saggio introduttivodel critico, dell'addetto ai lavori, molto di frequentedàpoi il colpodi grazia a qualsiasipossibilitàcreativaall'interpretazionedel fruitore. Lo specialistageneralmentesiesercita o in un lavorodi storicizzazione oppure,secondounamodaprevalente negli anni Ottanta, ignora quasi le opere fornendo quadri epocali,sfoggiandounlinguaggio cripticopoetico-filosofico.A tale pericolo non si sottraggono le numerosee qualificate iniziative che hanno"riconsacrato"artisticamente a Forll l'Oratorio di S. Sebastianoe ultimamenteanche lachiesaclaustraledi S.Caterina. Mandiamoi bambiniall'oratorio Le sculturee le installazioniartistiche ricevonosenza dubbio un grande vantaggioda questi contenitori prestigiosie dagli ampi spazi sacrali: lo spaesamento,il rovesciamentodelle funzioni, il contrastodeimaterialipovericon lasempliceemaestosaarchitettura antica, producono nel pubblico aspettativediaccadimentimagici, incantesimi,in una parolala meraviglia.E ciò è sicuramentepositivo se pensiamo con Bruno Bettelheimche il vero compito delmuseodovrebbeessere"quello diabituarelagenteameravigliarsi, a lasciarsiincantare,sicchéin seguito questa capacità possa estendersianche ad altri oggetti, anchead altreoccasioni".Perciò, se queste manifestazionisi liberassero da un atteggiamento nascostamentedidascalico,incui il critico assume la veste di sacerdotedella verità, le opere potrebbero avere una più naturale funzione educativa. implicita nell'atto stesso di presentazione del!'opera. suscitando il libero esamedellosguardodellospettatore. Neglispazimusealisi muovonoe verbalizzanoo, vviamenteconpiù libertà, i bambini, se non sono statitroppofrustratinellorointerrogarel'operadell'adulto.impacciatodall'aurasacraledelmuseoe bloccatodal propriopassatoscolastico.Si potrebbeperciò imparare dai bambinio meglio farci guidaredaibambiniallariscoperta del rapportocon gli oggettie col mondo,che è senza dubbio uno degli aspetticosùtutividell'esperienzaestetica.Unafruizionenaif, una riedizione della pascoliana poetica del fanciullino interiore quindi? No. Questo è semplicementeun tentativodi reazioneal climadi sussiegodell'artee della critica più recenti.che, come ho giàaffermato,è in nettocontrasto con il piacerecreativosiadell'artista, sia del narratored'arte, sia del fruitore.Nonsi trattadimetterealbandolemoltestrati-ficazioni intellettuali che inevitabilmente portanocon sé l'arte, il gestoe il luogo stesso della sua presentazione, ma di non offuscare l'aspetto ludico dell'esperienza dell'arte. Leproposte.Giocarepiùefficacementela fonnuladi presentazione diduepersonalitàartistiche,come unasortadi"viteparallele",senza però l'eccessiva preoccupazione filologicaper le pocheoperepresentate.Dovrebberoperciòessere sceltequellemaggionnentedotatedi vitapropria,menobisognose di dottenote a piè di pagina. E i critici? Potrebberoescogitarenuove forme narrative, magari maggiormente interrogative, o scrivere post-fazioni dopo essere stati "scortati" nella mostra da un bambino,comeBelfagoril fantasma, che si faceva guidareda un fanciulloneimeandridel Louvre. FrancoCamporesi B1011otecGaino Bianco UNA CITTA I I I

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