Una città - anno I - n. 7 - novembre 1991

mato fino ai denli contro la natura, dobbiamo anivare alla civiltà industriale nel secondo '800. Ed è da lì in avanti che come massa di alberi, quantità, estensione di boschi distrutti, abbiamo toccato il culmine. Quello che non abbiamo potuto fare in Europa per molti motivi, l'abbiamo fatto fuori d'Europa e col passare del tempo il fenomeno si è ingigantito. Pensiamo ai diboscamenti fatti da europei in Madagascar, alla grande foresta delle Amazzoni, pensiamo a tante altre foreste di cui non conosciamo né le vicende attuali, né quelle passate. Cioè abbiamo esportato fuori un modo di comportamento, un sistema di vita che qui ormai non potevamo applicare più di tanto, anche perché non restava materiale da alterare. E poi perché fuori non c'erano opposizioni, fuori non esistevano dei limiti, quindi si sono distrutti i paesaggi insiemeaciviltà,eadesso ci si rende conto di questo. clte si creda o no in Dio, l'ambiente non I' alJIJiamo creato noi sociali, di mestieri, di attività, l'uomo può conoscere la realtà solo da lontano E' un limite ed anche un grosso pericolo il credere che ci si possa basare esclusivamente sulla scienza, che è poi, attenzione, un solo certo tipo di scienza. La scienza della tecnologia, la scienza legata alla matematica, alla fisica, così come si sono andate creando queste discipline, non è l'unica scienza possibile. E poi è la scienza dell'uomo, cioè di un unica componente del cosmo. Il resto del cosmo non è fatto solo di uomini. Adesso noi siamo di fronte alla crisi di ideologie che hanno esaltato l'uomo al di là della soglia che prima non si superava. Sono più o meno tutte in crisi. Anche quelle che, vedendo la crisi di altre ideologie, credono di non esserlo. Il gridare al fallimento di una ideologia con trionfalismo, significa avere troppa fede in se stessi, nella propria ideologia, e quindi, cadere poi dalla padella nella brace. Forlì 5 settembre, 17 settembre, 1944 17 ebrei stranieri -1 O uomini e 7 donne- detenuti nelle carceri di Forlì, furono prelevati dalle SS e portati al campo di aviazione locale, presidiato da membri della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR). Gli uomini vennero freddati con un colpo alla nuca il 5 settembre. Le 7 donne furono fucilate il 17 successivo. Vittime dello stesso eccidio furono una quindicina di civili non ebrei. .. Particolarmente toccante è la vicenda dei coniugi polacchi lsrael Amsterdam e Lea Rosembaum. I due nel 1940, si erano imbarcati a Trieste per raggiungere, via Siracusa, Bengasi. L'idea era di incontrarsi con altri fuggitivi e organizzare da là una partenza verso la Palestina tentando di aggirare il blocco navale inglese che impediva lo sbarco agli ebrei provenienti dall'Europa. Il gruppo, che contava 302 persone, rimase purtroppo bloccato a Bengasi a causa dell'entrata in guerra dell'Italia e, alla fine di settembre del 1940, fu portato in Italia nel campo di concentramento per ebrei stranieri di Ferramonti di Tarsia. Da qui, gli Amsterdam furono trasferiti al nord in internamento a Forlì e, successivamente, imprigionati nelle locali carceri (la sorte volle invece che quanti rimasero internati a Ferramonti fossero tra i primi ad essere liberati e salvati dalle truppe alleate in avanzata, a metà settembre del 1943). dal Libro della Memoria, di Liliana FaggiottoFargion, Mursia .. . L'innegabile perdita della tradizione non implica affatto una perdita del passato, poiché tradizione e passato non sono la stessa cosa, come vorrebbero farci credere quanti credono nella tradizione da un lato e quanti credono nel progresso all'altro: per cui finisce con l'essere indifferente che i primi deplorino questo stato di cose e i secondi se ne rallegrino. Perdendo la tradizione abbiamo perduto il filo che ci guidava sicuri nel vasto dominio del passato. Ma questo filo era anche la catena che vincolavacare: e questo oblio, a parte i contenuti che potrebbero andar perduti, equivarrebbe, umanamente parlando, a restare privi della dimensione della profondità nell'esistenza umana. Infatti memoria e profondità sono la stessa cosa, o meglio, l'uomo può raggiungere la profondità soltanto attraverso la memoria. "Tra passato e futuro", Hannah Arendt, Garzanti coop.una ciffà IL GRUPPO ''LEA ROSEMBAUM' Sul finire del secolo volgere lo sguardo indietro. A partire dai "campi", l'esperienza estrema. Ripartire di lì. Per continuare a ricordare e per tentare di capire quel che ci è successo. "Liberi da ogni tradizione", riandare al passato. Ascoltare chi nel secolo fu inascoltato. Raccontarsi storie. A partire dai libri. Raccogliere testimonianze finché si è in tempo. Discutere con qualche giovane. Un gruppo della memoria. Nel nome di Lea Rosembaum, perseguitata ignota, che dopo aver attraversato l'Europa e un mare, fu risospinta verso il centro del gorgo. E si fermò a Forlì. Il gruppo si propone di organizzare un libroforum. Di raccogliere testimonianze da pubblicare sul giornale o anche autonomamente. Di organizzare una piccola biblioteca circolante, "mirata", mettendo a disposizione libri da biblioteche private. Di pubblicare un giornale di "rassegna-libri", casomai, soldi permettendo, come inserto di Una Città. Ogni mercoledì sera, (escluso l'ultimo mercoledì di ogni mese) ci si trova in via Valverde, alle ore 20,30 per discutere e fare delle letture collettive. Oltre al recapito della redazione di Una Città, per chi volesse contattarci, telefonare al 24330, orario di ufficio e chiedere di Patrizia o alla sera al 26049. mercoledì 13 nov. via Valverde, ore 20,30 leffura de "La noffe" di Elia Wiesel mercoledì .20 nov. via Valverde ore .20,30 la "Banalità del male" di MannaArendt "il racconto" di SIivano Galeoffl Quello che però è triste, è che l'uomo ora teme per il paesaggio soprattutto perché teme per la propria salute. Non tanto per una visione che porta ad una coscienza che esiste una realtà complessa, che non si può maneggiare con disinvoltura. Questo non è ancora entrato nelle teste di gran parte delle persone e nemmeno in molta parte degli stessi studiosi, anche quando sono studiosi del mondo vegetale. Hanno troppa fede nella scienza. Io ho fede nella scienza, ma non ho la fede che hanno molti altri, sia miei colleghi di storia, sia antropologi, sia scienziati nel senso stretto della parola. In realtà noi ci occupiamo molto dell'ambiente, oggi, perché abbiamo paura per noi stessi, ma non perché abbiamo coscienza della complessità del- !' ambiente e della difficoltà che ha l'uomo di intervenire in esso senza alterarne i rapporti, che sono infinitamente più grandi e poi differenze dettate dai tempi, dalle epoche. Noi, al giorno d'oggi, assistiamo ad una fase finale, nel senso pieno della parola, di soluzione finale, checché se ne dica, egli appelli degli ecologisti sono sempre più disperati. Gli stessi scienziati sono d'accordo su questo .. Io la storia medievale la studio da più di trent'anni, sotto l'aspetto del paesaggio, e poi me ne sono occupato anche oltre il Medioevo, e anche prima del Medioevo. E non ho certo una visione ottimistica. E neanche per il passato. Perché io vedo il presente alla fine di una linea che ha inevitabilmente portato a questo momento. Altre culture, come quelle asiatiche, sono addirittura eccessivamente naturalistiche. Se noi prendiamo l'animismo, l'induismo, sono fin troppo arrendevoli, arresi di fronte al mondo naturale. Culture fatalistiche in cui l'individuo è considerato una piccolissima parte di un tutto, che è però marcato dalla collocazione naturalistica, animale e vegetale e sono ben altra cosa dalla nostra cultura che è chiaramente antropocentrica, ma antropocentrica nel senso sbagliato. Come ha messo in rilievo una grande pensatrice, Maria Zambrano, di cultura spagnola, di quella Spagna in cui si sono incontrate la cultura cristiana, la cultura giudaica e quella islamica e poi attraverso quella islamica le culture orientali dell'India, della Persia, della Cina. Maria Zambrano ha scritto che ci sono due modi per rapportarsi al mondo che ci circonda. "Comportamento di uomo" e "comportamento umano". Il comportamento di uomo è quello che vede l'uomo, secondo la concezione giudaica della vita, come sempre inferioread altre realtà, non idoneo, non abilitato ad intervenire soltanto con la propria ragione nel mondo che lo circonda. E' l'uomo giudaico che ha sempre Dio al di sopra di sé, è il Giobbe insomma, che riconosce sempre la grande presenza di Dio e la sua nullità. Il comportamento umano, invece, è quello della civiltà greca che è la civiltà occidentale per eccellenza, una civiltà che ha addirittura trasformato in uomini gli stessi dei, un insieme di uomini con i vizi e le virtù umani. E' quindi un civiltà che ha trasformato non solo gli dei, ma anche l'ambiente, in base ad una razionalità tutta dell'uomo, senza pensare che altre forze hanno contribuito alla composizione, alla fabbrica dell' ambiente. Ed è la civiltà della polis, la civiltà della città. L'esperienza cristiana spesso si è accostata alla cultura greco-romana e l'ha fatta propria, vedendo nell'uomo il centro dell'universo, del creato e l'universo come una realtà inferiore. Ma è un comportamento di uomo quello che va scelto. Senza eccessi, naturalmente, perché nessuno ha la verità in tasca. Il progresso è determinato dalla dialettica. Ed è proprio un merito della civiltà occidentale è stata la compresenza di due poteri, quello spirituale e l'altro, mentre le culture orientali non hanno avuto questa distinzione, non hanno avuto quindi la dialettica, la mobilità, la vivacità della nostra cultura. La quale è stata troppo vivace, possiamo dire. Anche per la compresenza di questi due poteri, appunto. Nel medioevo c'era l'imperatore e il papa, e anche dopo la Chiesa cattolica non è mai stata una chiesa di stato, per lo meno non lo è mai stata pienamente. Si è spesso opposta, ha costituito un'alternativa, non solo, ma una lotta. Ben diversamente la Chiesa ha agito in Oriente, nei paesi delJ' Est.Non sempre, non in tutti i suoi uomini, però ha sempre agito sottomessa, alleata al potere civile. CORSARI dei viaggiatori, dai quali ci si aspettava notizie e novità. Quel pomeriggio Lucio era nella piazzetta a curiosare insieme agli amici quando vide la Mori, che era centralinista al telefono pubblico situato poco distante, venirgli incontro con il volto teso. Lo chiamò in disparte ed agitata gli disse: "guarda vicino alla chiesina dei caduti, c'è Corbari con l'Iris". E aggiunse "non dire niente agli altri". Lucio guardò e riconobbe i due partigiani. Corbari con un vecchio berretto alla francese calcato sugli occhi, l'Iris con un cappellaccio a quattro acque. Sembravano dei poveri contadini. Mentre Lucio li osservava i due presero ad avvicinarsi a passi lenti ma sicuri alla piazzetta della fermata. Passandogli accantoCorbari strizzò un occhio e senza fermarsi si avviarono per il Borghetto che comunica con la Piazza Grande. "Che diavolo vorrà combinare" pensò "vanno a cacciarsi in un budello, come faranno ad uscirne?". Il campanone aveva appena toccato l'una del pomeriggio e di lì a poco, con la corriera sarebbero arrivati anche imiliti repubblichini di Rocca, di stanza a Forlì, armati fino ai denti. Lucio li segul tenendosi a distanza. Intanto i due partigiani erano entrati in piazza e mentre erano nascosti dalla sua visuale, dalla parte del caffè Perla Lucio sentì giungere due, quattro colpi di pistola e vide Cor-bari e l'Iris correre a ritroso, armi in pugno e col volto teso. Lucio non era riuscito a vedere cosa fosse successo, ma intul il pericolo che stavano correndo. Se avessero continuato a ritirarsi in quella direzione si sarebbero imbattuti, con ogni probabilità, nei repubblichini appena scesi dalla corriera. Si mise in mezzo alla strada ed indicò loro il Vicolo di S. Maria che, costeggiando la chiesa parrocchiale, sbuca sulla "strada nuova''. Raccolsero i I suo consiglio. Lucio li seguì e. raggiunta la "strada nuova", mostrò loro, a una distanza di 50 metri, lo stradello del "castellaccio" che, ancora oggi, in ripida salita, porta alla collina. Cosl fecero. Corbari, alzando la mano con cui ancora stringeva la pistola, fece un gesto di saluto e guidò l'Iris su per l'erta verso la salvezza. minaccia delle armi ad indicare loro la via della fuga. Si fidava dei pochi che l'avevano visto collaborare coi partigiani e sperava che la sua versione non avrebbe suscitato dubbi fra le autorità. La cosa sembrò infatti chiudersi lì. Ma nelle settimane che seguirono la situazione si fece pesante. Un parente di Lucio che simpatizzava per i repubblichini lo avvertl che i fascisti stavano esaminando la sua posizione, chiedendo informazioni ed interrogando i testimoni di quel giorno. Lucio rimase in casa per un mese dichiarandosi malato. La gente del Borgo di Sopra e il dottor Vio avvallarono la versione. Poi la situazione si fece insostenibile. Il 10 di giugno con tre amici, Franco Bruno e Gino, Lucio decise di prendere la via della montagnaedi raggiungereCorbari che intanto aveva ripreso la guerriglia a pieno ritmo. di noi. Che si creda o non si creda in Dio, l'ambiente non l'abbiamo creato noi. Noi l'abbiamo alterato, l'abbiamo modificato, l'abbiamo distrutto, l'abbiamo anche migliorato, perché no, certamente non l'abbiamo creato. Nel la storia dell'uomo, che pare sia sulla terra da centomila anni, per lo meno, dipende da quale tipo di uomo vogliamo considerare, è bastato poco per accelerare la marcia di una divisione che purtroppo è sempre più marcata. Però, ripeto, con differenze. E sono differenze dettate, prima di tutto, da culture, e poi culture in senso più indotto, di ceti E allora, se dall'opposizione di due forze contrastanti è nata la vivacità dell'Occidente e la sua civiltà, e adesso si grida alla vittoria, perché una visione della vita è crollata e non si pensa che la propria possa avere dei grandi limiti. E quando crolla un'ideologia, si deve subito pensare che tutte le ideologie hanno dei limiti. Non è importante che un'ideologia crolli prima o dopo. Dipende anche da che cosa è crollato: se è crollato l'apparato esterno, che sorregge il potere di chi crede nell'ideologia, o la natura, la sostanza di questa ideologia. E' difficile valutare. E soprattutto è sbagliato gridare alla vittoria, perché nessuno deve avere la presunzione di possedere la chiave interpretati va del la realtà. L'uomo può conoscere soltanto molto da lontano la realtà. a cura di Graziano Fabro Lucio conobbe Silvio Corbari dopo 1'8 settembre 1943. In quel periodo aveva lasciato Faenza, sua città d'origine, per stabilirsi temporaneamente a Rocca, presso certi suoi parenti. In seguito alla caduta di Mussolini, il 25 luglio, era rimasto implicato nell'uccisione di un fascista ed aveva dovuto cambiare aria per qualche tempo. Veniva nel Borgo di Sopra a corteggiare laMaria di jaja sedeva sui gradini della casa detta della "Ciciliona", chiaccherava e scherzava con la Maria, partecipava ai giochi dei ragazzini che sciamavano per il Borgo. Poi si allontanava fischiettando giù per la discesa che porta alla Piazza Grande. Lucio lo vedeva passare dalla finestra della sua casa ed era affascinato dal suo aspetto di ragazzone felice di essere al mondo. Era di altezza media, gli occhi chiari, la fronte spaziosa, i lineamenti piacevoli, il passo virile. Un pomeriggio di quel periodo Corbari se ne stava seduto sul solito gradino a chiaccherare con la Maria quando questa, vedendo Lucio uscire dal cancello di casa, lochiamò per chiedere notiziedella sua ragazza, la Mori, sua intima amica. Lucio si avvicinò, le rispose e cosl scambiò qualche battuta anche con Corbari. Alcuni giorni dopo Lucio lo rivide al solito posto: vestiva pantaloni di velluto, una "sahariana" come di moda a quei tempi e grosse scarpe militari vistosamente inleffera--------------------- Spett.le Redazione di UNA CITIA', in primo luogo mi complimento con voi per avere portato nelle edicole forlivesi (e spero presto cesenati) questo foglio, con I' intento di raccogliere testimonianze pensieri riflessioni tamtam da quella sinistra diffusa (troppo, purtroppo) che ancora ha voglia di pensare, si interroga, riflette, resiste.Lo spunto per scrivervi mi è stato dato dalla pagina "vecchie storie" del n. 5 e dall' intervista ali' ex partigiano Fusaroli. Al di là del caso specifico, la mia riflessione vuole essere più ampia, generale, visto che quello della Resistenza, sembra essere diventato da un po' di tempo un tema dominante dell'informazione. Informazione? Qui sta il punto. Molte volte mi sembra, guardando i TG e scorrendo i giornali nazionali, chela cosiddetta "informazione", qualsiasi notizia, scivoli sempre su una saponetta o un profumo e gridi allo scandalo, richiamandosi alla morale dei ben pensanti, ancor prima che scandalo ci sia Poche le voci discordanti, "Il Manifesto", qualche altro foglio, ora voi (anch si el Jroteèa In questa informazione-saponetta parlare di fosse, o presunte tali, in cui furono sotterrati cadaveri di donne e di uomini (fascisti?) uccisi dai partigiani, omicidi di prelati fa scandalo, tutti a deprecare imprecare inorridire. Sacrosanti sentimenti, ma perché non c"é più chi inorridisce per i morti che i ventidue anni di fascismo hanno prodotto?E i caduti civili della seconda guerra mondiale? Non mi sembra che gli oppositori al regime, socialisti o comunisti che fossero, abbiano voluto questo conflitto. E allora? Il problema è complesso e profondo. La notizia oggi per i mass-media deve essere veloce, il titolo a caratteri cubitali, la sensazione enorme, e poi ora ora non c'é più il Muro ... tutto è lecito: di qua tutti buoni, di là tutti cattivi (anche quelli che di là effettivamente non ci sono mai stati, "ma è come se ci fossero stati"). lo faccio l'insegnante: una delle cose che cerco di trasmettere ai miei ragazzi è che quando si è davanti a un fatto storico, un avvenimento, qualsiasi esso sia, il primo passo da fare è domandarsi "perché", da che cosa e da chi è stato determinGqrne oondfpa e così a ritroso, alla ricerca delle cause e concause che hanno portato a quell'evento, sospendendo, finché non se ne ha un quadro chiaro, il giudizio. L' informazione che oggi si da' su quel capitolo tragico e duro della nostra storia mi pare che operi esattamente a rovescio, prima il giudizio morale, il "guarda cosa facevano quelli là", poi ...poi, avete visto qualche cos' altro? Chi ha parlato di oltre vent'anni di olio di ricino. manganello, sedi bruciate, fucilazioni, sparizioni, assasinii compiuti dalle squadracce fasciste e dalle camicie nere ? E la Repubblica di Salò? E i rastrellamenti, le deportazioni nei campi di concentramento di ebrei e oppositori che vedevano fianco a fianco fascisti e nazisti? Passato il fronte, dopo lacaduta del fascio, c'era chi voleva sapere dove erano finiti i propri cari, sapere chi aveva ucciso il padre, il fratello, il marito, chi aveva ordinato le deportazioni e magari (non trovando risposte) era pronto a vendicarsi. lo, pacifista e antimilitarista, cosa avrei fatto a quei tempi? Sinceramente non lo so. Ma proprio per questo cerco di capire, di entrare in quel clima di CO guerra civile che ha segnato drammaticamente quegli anni, specialmente alle nostre latitudini, quel clima di rancore e di odio, troppo a lungo soffocato e che la soluzione della guerra e la ritrovata libertà non avevano sanato. Quel clima di dolore ed al tempo stesso di euforia. Solo in questo modo si può cercare di comprendere per poi capire, capire gli uomini e le loro motivazioni. capire quei ragazzi, troppo giovani, che avevano bruciato i loro anni su per i "greppi'', come si dice da noi, con un fucile in mano e che si erano trovati a combattere con altri ragazzi, anch'essi giovani. senza pietà uno per I' altro, perché la sofferenza causata dal "Mascellone" di Predappio e dai suoi accoliti non era sanabile. O almeno, non era immediatamente sanabile, perché troppo vissuta sulla pelle. Spero di aver contribuito almeno un po' alla chiarezza, al tentativo che state facendo di rileggere quei tempi in base alle ragioni, idee, sentimenti di quei tempi medesimi. Un antico libertario Alherto Anto/ini (Cesena) fangate. Corbari salutò e subito aggiunse: "comincia a tirare una brutta aria per noi giovani, io dico che è meglio prendere lastrada dei monti". L'argomento era estremamente delicato, ma la Maria evidentemente gli aveva detto come la pensava Lucio. Quest'ultimo si guardò attorno e disse titubante: "mi sembra un po' presto, bisogna pensare agli altri giovani, convincerli alla causa antifascista, vincere la paura, organizzarli". Lui tagliò corto: "molte cose le abbiamo già fatte, il resto lo faremo con le armi inpugno". Cambiarono discorso, parlarono di Rocca, della sua gente, Corbari fece gli elogi delle ragazze. Salutò dicendo: la guerra ha rovinato tutto, c'è tanto di bello attorno a noi, chissà per quanto ancora riusciremo a godercelo ..." Quando Lucio lo rivide, qualche tempo dopo, già parlavano di lui e delle sue azioni spericolate, della sua audacia e della sua spietatezza, parlavano del partigiano imprendibile, della "primula rossa" della Romagna, alcuni con ammirazione altri con disprezzo. Un giorno di fine settembre, sulla "strada nuova" di Rocca (v.Saffi), Corbari ed altri partigiani spararono ad un tedesco in motocicletta e lo spogliarono delle armi. A Lucio non parve un'azione molto coraggiosa ed efficace. Il tedesco, un soldatone alto e biondo, molto bello e giovanissimo, ferito al ventre morl dopo un·agonia di alcune ore chiamando continuamente la mamma e fece unagran pena a tutti. Fuevitata una rappresaglia perché venne dimostrata la partecipazione sentita della gente al soccorso del ferito. Non si capiva ancora la ferocia di quella lotta e, soprattutto, non si capiva l'esigenza vitale dei partigiani di procurarsi armi ad ogni costo. Nell'inverno Corbari si era unito ad una ragazza a cui i fascisti, durante un rastrellamento, avevano bruciato la casa, ucciso un fratello e catturato il padre che poi morl in un lager tedesco. Il suo nome era Iris. I due, insieme ad uno sparuto gruppo di partigiani. si limitavano a compiere eclatanti azioni dimostrative. Corbari era ormai il più leggendario dei partigiani: le sue beffe, i tranelli, le azioni improvvise, gli audaci travestimenti, creavano lo scompiglio fra le fila repubblichine. Per gran parte della popolazione era un ribelle invincibile, per i fascisti un bandito sanguinario. Lucio vide l'Iris eCorbari inazione un giorno di fine marzo del 44. A Rocca era un avvenimento, a quei tempi, l'arrivo della corriera alle I3 e I 5 da Forll. La gente si intratteneva numerosa sulla piazzetta del capo Iinea in attesa del l'arrivo Lucio tornò in Piazza Grande. A terra, circondato da una folla di curiosi, in una pozza di sangue, davanti al caffé Perla, giaceva moribondo il maresciallo dei carabinieri, colpito al collo e alla spalla da 2 o 3 proiettili. I testimoni raccontarono che il maresciallo stava entrando nel caffé quando arrivarono i due partigiani. Corbari gli aveva intimato di alzare le mani. li sottufficiale non aveva ubbidito ed aveva cercato di estrarre la pistola dalla fondina. L'Iris, senza esitare. aveva aperto il fuoco. Lucio raccontò allora che anche lui si era trovato in pericolo. Disse che era stato obbligato sotto la Rocca era diventata pericolosa per i fascisti e per i tedeschi. Ali' ingresso del paese, sotto il cartello che indicava la località, ne era stato aggiunto un altro che avvisava: "achtung banditen". Una mano sconosciuta aveva aggiunto in italiano "evviva" cercando di coprire la scritta "achtung". Quella mattina di giugno, dopo aver camminato per valli e canali, attraversato fossi e torrenti, i quattro riuscirono a trovare la Banda Corbari. Silvio e l'Iris, abbracciarono Lucio con calore. E cosl entrarono nelle fila del Battaglione O.R.I. (Organizzazione Resistenza Italiana), che non contò mai più di 40-50 elementi e che fu dichiarata, in un discorso che fece Corbari, apolitica e patriottica, impegnata soltanto nella lotta per liberare l'Italia dai tedeschi e dai fascisti. Lucio volle sapere da Corbari quali fossero state le sue intenzioni il giorno dei fatti di Rocca. Gli disse che l'uccisione del maresciallo era stata una tragica fatalità e che lui aveva come unica intenzione di dimostrare coraggio e sprezzo del pericolo. Disse esattamente: "si possono demolire gli avversari e specialmente quei cagasotto dei repubblichini anche andando a prendere un caffé nel centro di un paese, l'ho fatto altre volte, tutta la Romagna ha simpatizzato con me, esagerando mi hanno considerato un eroe e nello stesso tempo hanno dileggiato i fascisti. Sono risultati che valgono quanto una battaglia vinta". Lucio pensò che aveva ragione. Due mesi dopo, il 18 agosto del 1944, in seguito ad una delazione, Corbari cadde in un agguato. Ferito a morte venne poi impiccato a Castrocaro insieme all'Iris, ad Adriano Casadei e a Tonino Spazzoli. I cadaveri vennero poi esposti a Forlì, impiccandoli una seconda volta ai lampioni della piazza Saffi. Silvio Corbari aveva 22 anni. Otto giorni dopo, cinque partigiani del Battaglione O.R.I falciarono a raffiche di mitra tre militi delle brigate nere. In rappresaglia. UNA CITTA' 9

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