Fabio Strada, è affetto dalla nascita da pseudo retinite pigmentosa, o "retinite pigmentosa senza pigmento", malattia di cui ancora non si conosce la causa nè la cura. E' dotato di un "residuo visivo" più o meno stazionario dalla nascita. Conosce l'alfabeto Braille, ma usa prevalentemente la macchina dattilografica per scrivere e un apparecchio chiamato Optacon per leggere i testi normali. E' studente di scienze politiche, ha 22 anni, è redattore di questo giornale. tanto c'è il problema che accennavo sopra, di dover ricorrere agli altri in certe situazioni. Per uscire o in circostanze improvvise, devo chiedere aiuto a qualcuno. Ed è un po' imbarazzante. Non credo che sia un sentir i inferiore, ma la dipendenza crea sempre disagio, anche se gli altri sono poi felici di aiutarti. Qui poi ci può essereun altro problema, quello da parte degli altri, di una premura eccessiva che rischia di condizionare i rapporti. Non Sono così dalla na cita. Non so neanche bene che cosa ho. E' una malattia della retina, non me ne sono mai interessato molto perchè ho sempre saputo che per il momento non ci sono cure. Anche da piccolo non ho mai avuto "l'idea" di guarire, anche se ovviamente ci spero sempre, ma di questa speranza non ne faccio una ragione di vita. fin da quando ero piccolo, mi ha accompagnato. L'idea di muoversi, fare un giro in piazzaquando ti.va, effettivamente mi manca. Dover avere sempre qualcuno che ti accompagna a volte non fa piacere... In prospettiva pensi di fare qualcosa per essere più autonomo? uccede con gli amici, con cui ho confidenza, ma con gente nuova, che conosco da poco, ho sempre paura che questa premura ci sia. E la cosa ti può riuscire fastidiosa? Sì. Sarei piL1felice sapendo che simpatia, interesse cd affetto, quando mi si dimostrano, onodovuti acome sono io come personae non ad altro. Però il problema più gro o, forse, ce 1•ho con le ragazze. Ncll' incontro con una ragazza lo guardo è molto importante per comunicare e dover partire subito con le parole è più imbarazzante cd anche un po' rischioso. Questa for e è la cosa che mi dà più fastidio. E poi ho anche la paura che mi vedano come i I ragazzocon i I ··problema", molto bravo a scuola, e tutto finisce lì. Una specie di stereotipo. Non sono mai stato nemmeno in un istituto, perchè si trattava di andare lì a sei anni e lasciare la famiglia. Sinceramente non me la sono mai sentita, non o sesia stato un beneo un male... inoltre i miei genitori, non dico chesianotroppo protetti vi, però avevano piacere di seguirmi molto da vicino. Devo ammettere però che quelli che ci sono stati hanno sviluppato una grande indipendenza, e questa è una cosa positiva. 11 fatto di muoversi da soli, ad esempio, che io l'ho sempre fatto solo fino ad un certo punto, perchè c'è semprestato qualcuno che, In prospettiva, una cosa che potrei fare, è quella di addestrare un cane. Quando sarò più libero dai miei impegni, penso che mi prenderò il tempo per andare in uno di questi centri dove si impara ad andare col cane. E nei rapporti con gli altri. Quali sono i problemi? Ma ... da bambino non ho mai avuto problemi perchè sono cresciuto così e per me è stata una condizione naturale. L'unica cosa forse all'asilo, sai quando i bambini prendono in giro, puoi restarci male, ma erano cose passeggere. Forse qualche disagio posso cominciare ad avvertirlo adesso. InE non sei diflidente? No, questo no, ho sempre avuto IL PRIMO ROSSETTO E LO SGUARDO DEGLI ALTRI Di handicap non mi sono mai interessato, non ne so nulla. Non mi ha mai stimolato, in un certo senso non me ne veniva niente. Ero disposto a firmare qualsiasi petizione sulle barriere, ma perchè ci pensasse il comune. Ho avuto un amico handicappato, ma alle elementari. Era molto zoppo. Eravamo inseparabili ma poi ricordo che per una parola di troppo, ci attaccammo fuori dalla scuola, con tutti attorno. E ogni tanto mi sono chiesto se.fosse giusto affrontarsi alla pari, o se invece mi si dovesse, che so, legare una mano dietro alla schiena. Ma l'altro avrebbe mai accettato? Fatto sta che ricordo bene la sua soddisfazione orgogliosa mentre lentamente muoveva verso di me trascinando il suo enorme scarpone nero. E ricordo anche la mia vergogna, dopo, per aver accettato quel confronto impari. O forse, più probabile, perchè alla fine le avevo pressochè prese. All'incontro sull'handicap organizzato da "Una Gitta" alla "festa della solidarietà" in via Dragoni, una cosa mi ha colpito, fra le altre. Che un'universitaria molto preparata e molto impegnata sul problema, abbia raccontato, malgrado una difficoltà a parlare talmente forte da dover essere "tradotta" da un amica interprete, di quando e di come abbia deciso di mettersi il rossetto. E' stato un momento di forte tensione che per un attimo ha "accomunato". Più tardi, però, mi è venuto da chiedermi perchè solo lei, in quella sala, dovesse parlare di rossetto. Perchè, solo lei dovesse, in un certo senso, mettersi in piazza. E se per lei solo fosse stato un grande problema "mettersi il rossetto". E mi è rimasta l'impressione che, malgrado la buona volontà, anche in quel dibattito la disparità fosse rimasta inalterata. Con Fabio Strada ci siamo incontrati per il giornale. Poi, per caso quasi, ci siamo riproposti di leggere ad alta voce dei racconti. Ed abbiamo iniziato con due libretti da considerarsi veri testi di meditazione del nostro tempo. "Memorie del sottosuolo" di Dostoevskij e "La morte di Ivan 1/ich"di Tolstoi. Ed entrambi hanno a che fare con lo "sguardo degli altri". Nel primo si narra della devastazione interiore cui può portare il risentimento verso se stessi e verso gli altri. Nel sottosuolo si passa la vita a spiare gli altri, a tentare di precipitarli dai piedistalli su cui noi stessi li abbiamo proiettati, ci si guarda allo specchio con odio, ci si sente giudicati da tutti, anche dallo sguardo impassibile di "colui che vede tutto'', il proprio servo. Nel sottosuolo si va a caccia di capri espiatorii. E' il regno dello sguardo di traverso, dello sguardo con la coda dell'occhio, del "malocchio", appunto. Ed è dal basso del suo letto di moribondo che Ivan 1/ich,negli occhi di moglie, figlia e dottori, legge solo menzogna, ipocrisia e malcelata impazienza. E come in una scena degli addii d'altri tempi in cui si tirano bilanci ma in cui chi s· ~" r-: parte questa volta è irrimediabilmente solo, Ivan llich va a riguardarsi la propria vita. Una vita da "consigliere d'appello", passata fra il desiderio di poter squadrare degli inferiori intimiditi e quello di trovare "approvazione" nello sguardo dei superiori. Una vita "camme il faut", fallita in tutto e per tutto. Eravamo pochi amici. Edi quei pochi uno rischia l'insoddisfazione cronica per i problemi derivati da una "banale" balbuzie infantile, un altro si dice non si sia più rimediato da un cortocircuito adolescenziale fra una vocazione religiosa e una mancata educazione sessuale. E guarda caso entrambi i problemi hanno a che fare "con lo sguardo degli altri". Immaginiamoci di avere addosso lo sguardo di una intera classe e di un maestro mentre ci si incanta e qualcuno si trattiene dal ridere e più ci si sforza e più ci si incanta ... Oppure andare in giro per anni sentendosi addosso degli sguardi di stima totalmente immeritati, e colpevolizzarsi fino al punto, alla fine, di dover per forza trovare altri colpevoli, di prendersela con altri. Eppure, i difetti, grandi o piccoli che siano, poi vengono come imbozzolati, "lavorati" e non sempre, per fortuna, fanno infezione. A volte diventano parti integranti, caratteristiche della personalità e forse chissà, oltre a rendere inabili a qualcosa, possono abilitare a qualche altra. Per carità, non si pensi a cose come "handicappato è bello". Non so quanti, costretti a scegliere fra vista e gambe, si terrebbero le gambe, ma credo pochi. A maggior ragione, però, /"'immunità", la serenità di Fabio mi hanno fatto pensare. Intervistandolo, chiedendogli di questa società, forse mi aspettavo qualcosa come una critica aspra, forse anche astiosa, per un mondo in cui "l'apparire" la fa da padrone. Mi ha spiazzato. Certo la critica c'è, ma è dall'alto verso il basso. Proprio quella di cui, forse, io non sono capace. Forse l'astio era il mio, e se chiedevo dell'invidia stavo già interrogando anche me stesso. Forse volendo fare dei conti con qualcuno, mi sono ritrovato a farne con me stesso. Allora anche noi avremmo cose da dire, anche noi avremmo da raccontarci del giorno del nostro "primo rossetto". Allora l'incontro fra cosiddetti "diversi" e cosiddetti "normali" potrebbe servire, reciprocamente, a riflettere su noi stessi, sempre che non rifuggiamo la cosa come una disgrazia. Uno specchio che rimanda un'immagine difforme, a volte può dirci la verità. Allora "siamo tutti handicappati?". Non so, ma di certo, la "comunità dei sani", la comunità degli integri, dei belli, semmai realizzabile, sarebbe semplicemente molto brutta. Forse, se mai èpossibile una qualche comunità, non potrà essere che quella minore, dimessa, dei malati. E dei convalescenti. G.S. molta fiducia, anche se poi ho saputo ad esempio, che quando andavo a scuola. qualcuno fra i miei compagni ha '·scherzato" sulla mia condizione, quando io non c'ero. Questo mi è dispiaciuto, avrei preferito che l'avessero fatto quando ero presente, sarebbe stato più corretto. Però non ho nemmeno rotto i rapporti con questi, mi uccede che con le persone mi possoanche arrabbiare, però poi mi passa. on ~ono angosciato, non è mai stato un dramma. E un sentimento come l'invidia? Potrei dirti di no, ma direi una bugia. on è però un' invidia permanente, e neanche astiosa. In genere non sono invidioso come carattere. Solo che ogni tanto mi viene da chiedermi: '·però, questa cosa anch'io vorrei farla". Momenti in cui dico: "'per la miseria, non è giusto ..." Ma sono cose che pa ano presto. Ti sei mai impegnato con altri che sono nelle tue condizioni? Sono iscritto ali' Unione Ciechi. ma non ho mai partecipato alle iniziative, perchè secondo me c·era, nel passato almeno, un indirizzo molto discutibile. Rivolto solo alle . emplici gratifiche, tipo pensione etc., e non magari all'inserimento. Ci si occupa, è vero, di trovare lavoro ai ciechi, che va bene, però il solo lavoro assicurato è quello di centralinista. e allora c'è tutto que to esercito di ciechi centralinisti ... io ne conosco anche uno, però nonè ceno la sua aspirazione di vita fare il centralinista, e neanche la mia. Inoltre, sinceramente, non ho mai sentito molto l'esigenza di impegnarmi attivamente, anche se ritengo necessario l'impegno in prima persona degli handicappati organizzati fra di loro, perchè senon c'è questo. allora c'è solo paternalismo. I tuoi tempi e quelli di una società che esalta l'attività, la velocità? Percertecosesonodiversi. Per esempio per la lettura avrei bisogno di molto più tempo. E comunque non è una cosa rilassante perchè devo sempre star . eduto alla scrivania con un braccio fermo. Un altro può leggere in qualsiasi posto, io no. Così dopo lo studio mi alzo e casomai. se mi siedo in poltrona, è per ascoltare un po' di musica. Poi ho il problema che. facendo scienze politiche, dovrei leggere molti giornali. E a leggere per esempio una Repubblica dall'inizio alla fine mi ci vorrebbero dei giorni. Un titolo ci metto un minuto pcrchè essendo scritto grande devo,col mio apparecchio, fare il giro di ogni lettera. E d'altra parte saltare i titoli significherebbe non raccappezzarsi più. Comunque penso di riuscire adarrangiarmi abbastanzabene anche in questo. Rispetto ai tempi di questa società, più in generale,devo dire che mi sento abbastanza in~erito. Razionalmente. d'accordo, la critico questa società. la vita frenetica di una metropoli è alienante. ci vorrebbe una vita più sensata,con più tempo per gli affetti, per gli interessi. Ma anche se la critico, ne sono attratto. Dicevi che vai in discoteca. Intanto c·è da dire che noi andiamo in un certo tipo di discoteche, dove non ci vanno i righetti. Casomai ne parliamo dopo dell'esteriorità, al limite a mc potrebbe non interessare il fallo del ·•righetto'' pcrchè per mc non cambia nulla, però quel mettersi in mostra. badare acome la gente è vestita, eccetera. non mi piace. 011sono neanche di quelli che fanno i riti collettivi del sabato ~era, quindi forse non potrei parlare, ma mi pare che i rapporti umani in discoteca siano molto scarsi, molto spesso si sta sulle proprie. oppure c'è un fine ben preciso, il cosiddetto "'intorto". Però la funzione liberatoria del ballo la vivo parecchio. Permolti è un modo di liberarsi delle tensioni accumulate durante la settimana, forse un diversivo, forse molti vivono una vita poco soddisfacente e il sabato era funziona come sfogo, questo non risolverà niente. ma mi sembra comprensibile. Comunque questanon è la mia situazione, io mi diverto veramente a ballare, soprattutto quando la musica èquella che ascolto per conto mio e che mi piace. E ballarla è un modo di espressione e una fonte di benessere. E questa continua, assillante, esaltazione della bellezza e della prestanza fisica? Devo dire che la mia reazione epidermica è di indifferenza. La nostra società è giovanilistica, bisogna esseresempre in forma. e infatti per un anziano diventa un problema. Certo ancheper un handicappato può essereun problema, 10000 palestre, bisogna fare body building, ceno ad uno che non lo può fare, che si sente escluso può non far piacere. In generale penso che questo sia uno dei tanti aspetti di una ocictà edonistica come la nostra, dove i I metro per valutare unapersonaèbasato. u ciò che si vededall'esterno. sull'apparire cioè. equesto e terno deve essere il più gradevole e perfetto possibile. Disapprovando ciò. però, non voglio neanche cadere nell'errore opposto, di disprezzare salute e bellezza fisica, che restano cose buone. Dirci che la cosa più fastidiosa è che venga fissato uno standard il cui raggiungimento è necessarioper godere dcli" approvazione sociale. E comunque resta il fatto che questaesaltazione del la perfc1.ionc fisica nasconde la rimo1ionc di problemi che hanno tutti. come la paura della deformità. la malattia. la vecchiaia e in ultimo la morte. E questo ovviamente va a pesare sui rapporti con ··categorie"' come gli handicappati, gli an1ia11i,i malati. Rapporti spesso imbara21.antie conflittuali. da rimuovere casomai, appunto per la pauradel "'potrebbe succedere a mc"'. "succederà anche a mc"'. Oppure ci si sente tenuti ad una solidarietà un po' pietista, paternalistica, un po' sgradevole per il destinatario. Ti vedo molto sereno. Mi sento come se ti volessi far parlare male di questa società e invece ... Da che cosa ti viene tanta serenità? E' una serenità con qualche incrinatura però. A volte sento un po' di rancore. Forse contro un modello di "intraprenden- ,-:a" in tutte le cose. Una certa serenità di fondo mi deriva sicuramente dal fatto della '·nascita". Non aver, cioè, mai subito un trauma violento. Poi sono sempre vissuto fra persone che mi hanno accettato e quindi non mi ~onomai sentito a disagio. Comincio forse ora a scoprire certe ~ituazioni in cui con gli altri sentodei problemi. Ma comunque tendo sempre a pensare che dipende da noi. Certo il limite oggettivo esiste, se una persona, per esempio, non riesce a muoversi, non riesce a muoversi. Però molto spessola capacità di affrontare una cosa dipende dalla capacità interiore di una persona. Se per esempio io non riesco in qualcosa potrei anche usare l'alibi della mia condizione, però tendo a non farlo. Arrivo sempre alla conclusione che sono io che non mi sono impegnato. che è colpa mia. "Usare l'alibi'' sarebbe più comodo. però io non credo tanto ai limiti esterni. Ceno, for e come handicappato sono un privilegiato, forse parlo così per questo. Ho l'impressione che il tuo handicap tu tenda a darlo per scontato e poi a ripartire di lì. Come se tu l'avessi... non so, neutralizzato ... No, neutralizzato ti assicuro di no. Non voglio. però, dare una visione di me '·eroica"', di uno che lotta. Da una parte potrebbeancheesserepiù gratificante presentarmi come unoche deve combaucrc, ma per mc non è così e 1101l1o dico. Senti, a proposito sempre di discoteca riparliamo dello "sguardo". A mc urta abbastanzal'approccio finalizzato solo a una conquista maschilista, però non c'è dubbio che nel corteggiamento. nell ·avvicinamento iniziale, lo sguardo è fondamentale per la comunicazione. Quindi nel mioeasoo non comunichi o "'passi subito alle parole"', che si può fare, ma è faticoso e anche rischioso senza la ·'preparazione·• dello sguardo... a volte può bastare uno sguardo per capire come si è con una persona. le "'parole subito"' possono essere anche shockanti. lo poi. anche per il mio carattere. devo vincere delle rcsistcn,c interiori. E poi non solo nel l'approccio lo sguardo è importante. Anche dopo restaun polente mcvo di comunica,-:ionc. E" immediato, spontaneo. La stessacosadetta a parole può perderci molto o risultare banale, pcrchè poi le parole bisogna anchecercarle e non sempre si trovano quelle giuS!C. Ma forse per mc c·è anche un altro problema: che mentre in tutti gli altri rapporti io mi sento normale, nel rapporto fra uomo e donna forse subisco un complesso inconscio. E' una cosa che ho pensato in questi giorni e di cui non sono sicuro. Che, cioè, questa mia paura di esprimermi a parole dipenda dalla paura sì, di non esserenormale, ma agli occhi del l'altro. Che, cioè, parlando, facendomi avanti, mi possa presentare all'improvviso a una ragazza in una dimensione che lei non si aspetta. Forse ad un handicappato non gli si riconosce una dimensione normale sul piano degli affetti. Quindi, poi, la pauradiventa quella di stupire, di imbarazzare. D'altra parte non voglio ascrivere sempre tutto aquella cosa. Chissà, forse avrei avuto gli stessi problemi con gli altri anche da "normale" ... Dello "sguardo" più in generale, è vero che gli aspetti negativi dello sguardo meli sono risparmiati. Ti faccio l'esempio banale degli esami, con Federico che mi dice che sono fortunato perchè non vedo la faccia del professore mentre sono lì che parlo, e se ti fa una faccia di disapprovazione non te ne accorgi e può essere un vamaggio ... non vedi le facce dei "giudici" nella vita ... e atto, chiaramente la paura della disapprovazione esiste, a volte può essereanche superiore, ma l'inibizione è più difficile. O per esempio, quello che diceva la signora al dibattito, di quando un handicappaLO, per la strada, si accorge che la gente si volta a guardare, credo che sia doloroso. E lo sguardo che ti rimanda uno specchio? Certo, in condizione di insoddisfazione per la propria vita lo specchio ti rimanda indietro un' immagine di come tu non vuoi es ere ed è uno strumenLodi autogiudizio molto forte. Oppure il fallo di non accettarsi fisicamente. lo ovviamente tutto questo capisco cosa può esere ma sfortunatamente o fortunatamente non so, non lo sperimento. Mi ricordo che da bambino mi piaceva molto stare davanti allo specchio, l'idea di vedermi rinesso mi piaceva molto, ma forse a tutti i bambini piace. La cecità ha sempre avuto un alone strano. Come se ci fosse un rispetto speciale ... Può essereche i I luogo comune ci sia. li cieco arti ta, il cieco professore, soprattutto il cieco musicista. E infatti... nel mio caso musici ta mediocre e quindi sfalcrci subito la leggenda... qualcosa può esserci. La preclusione della vista, di una forma fondamentale di comunicazione col mondo, può da unaparte far sviluppare l'interiorità e, dall'altra. gli altri mezzi di comunicazione. Ma credo che siano gli altri a vedere forse nella cecità un handicappiù nobile. in uncerto senso.Ci si può immaginare di stare su una sedia a rotelle, molto più difficile immaginarsi senzavista. E forse è per questo che ti considerano in modo diverso. Questo è verissimo. In particolare nel caso del cieco dalla nascita, a me risulta una cosa quasi impensabile. Se io ti dico "mare" non riesco a immaginare cosa tu hai in testa. lo per esempio la percezione del la natura ce l'ho molto. stare in un giardino. ascoltare gli uccelli, star di fronte al mare, mi piace molto. cerco di immaginarmi le cose ma non i colori pcrchè non ho proprio il concetto del colore. Quando devo spiegare aqualcuno questacondizione io dico che vedo in "'bianco e nero"'. anche se poi non so se il mio bianco e nero corrisponde al "'normale"' bianco e nero. Alla fine il rapporto col mondo viene affidato all'udito e al tatto che si sviluppano particolarmente. E ali' immagina1.ionc. Ma comunque resterà sempre un a~pctto di mistero, una sensazione difficile da descrivere, tipo ··altro mondo ... cose che so che ci sono ma che non vedrò mai. a cura di Cia1111Si apore/li '
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